Genitivo
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Anteprima del libro
Genitivo - Francesco Testa
(L’autore)
L’ECO PERSO
Firenze, 1978
Corro fino a sfiancare il piede
dietro le ombre felici ma non l’afferro.
S’immergono nel sonno mio per rivedere
i fiori che covano miele mentre in là il sole,
nel cercare l’eco perso dei respiri,
s’impone come una lama nei vuoti del mare,
servo dall’avida quiete del corallo
alla ricerca d’un corpo da riscaldare
che non dia segni di stupore come il verme
nella mela nuova.
RITORNO A CASA DI MIA MADRE
Londra, 2011
Cerco uno scintillìo che mi sia fratello
tra asfalto e mattoni che sembrano tutti uguali.
Nel passo ho freddo nel ricordare feste paesane quando
dietro la tendina illuminavi il buio di chi non vede e a me,
in terra straniera, singhiozzavi il ritorno perché sapevi
che un dì mi dissero menzogna.
Ripenso ai trascorsi e se la mano non mi fermasse il cuore,
di certo berrei il fiele a cui in tanti s’affidano
per teneri ricordi e fuorvianti delusioni.
Ti voglio bene, mi dicesti, e presagii la fine
tra quei mattoni ormai estranei mentre l’anima già
dialogava col silenzio alla ricerca di colui che tutto muove.
Ora che sono solo cerco spesso la maniglia
per chiudere quella porta sperarando di rivederti una sera
dietro la tendina, tu che incoraggiasti i primi passi e
a muovere le labbra per chiamarti mamma.
TRA MILLE CHIASSI
Firenze, 2012
Tra mille chiassi rovisto, tra le pieghe della mente,
il tempo trasognato nel cercare gli ultimi sussulti
ma non ho tregua sebbene alla solitudine
cerco di dare spazio nel tendere il filo più tenace
tra me e lassù per catturare nenie
quando la fontana sboccava in festa.
Tra mille chiassi parlo invano poiché non avevo
che te su questa terra e il vuoto dell’ordinario;
quando dal Paradiso sento bussare due volte
danno me stesso per non poterci arrivare.
M’accovaccio nell’anatema più dannato
ai pié della fontana piangendo un filo d’acqua che si congela.
Mille e mille chiassi m’avvinghiano per privarmi
del mondo di carta che mi mantiene in vita
e fino a quando non risentirò l’odore delle cose
diventerò anch’io un chiasso per cercare echi che non sentii
amico tempo ti prego torna dov’eri e scongela
quel filo per farmi vivere un altro poco
perché tra le pieghe della mente c’è ancora amore.
AL MIO NIPOTINO
Zagabria, 2013
T’ho visto camminare col fiorellino in mano
tra l’altalena, la bimbetta e un bacio che t’ha dato
quando nel fingere di darglielo, come birbantello,
ritirasti la manina e un sorriso seguì nel ridare
al giorno quello che perdiamo nel recitar la vita.
Pensai che il tempo non mi verrà incontro per vederti
un giorno adulto.
Non m’importa dove il sole pigro s’avvampa
mentre il gallo rauco, tra rovi di spine malcelate,
s’appressa a dichiararmi l’avvento della luce
mi basta ricordare quel fiorellino.
Non m’importa se non posso più correre
quando dolori vigliacchi s’appressano;
mi basta ricordare quel fiorellino
che ha lo stesso profumo delle tue manine.
Non m’importa se dovrò assaporare la partenza
e l’abbandono del tuo abbraccio
diretto laggiù tra gli isolani come se acqua e cenere,
fuse, creassero un’immagine di mangrovie
a mò di filo spinato quando ti presi
in braccio quel giorno a febbraio.
Mi manca il tuo capino.
Non m’importa se mi raggiungono mille voci
di sconosciuti come i saluti al cieco di adolescenti
all’uscire da scuola; m’importa solo che al tramonto,
tu mi sia accanto quando mi darai quello stesso fiorellino
prima che l’ombra mia s’appressi al buio
per consegnare a Lui la cagione