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Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Filosofia (33): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 33
Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Filosofia (33): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 33
Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Filosofia (33): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 33
E-book516 pagine6 ore

Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Filosofia (33): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 33

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Il XIII secolo rappresenta il periodo aureo della filosofia scolastica, se si pensa che in esso lavora Tommaso d’Aquino, che del pensiero scolastico diventerà nei secoli a venire il pensatore modello, riconosciuto dalla Chiesa come massima autorità in ogni questione di filosofia e teologia. Della scolastica si affermano definitivamente i metodi e le forme di argomentazione, prima tra tutte la quaestio, che rappresenta non solo l’ossatura della summa, ma anche la forma della discussione pubblica. Ed è sempre nel XIII secolo che si afferma definitivamente l’autorità di Aristotele, grazie al compimento della vasta operazione di traduzione condotta nei secoli precedenti. Accanto all’aristotelismo, che ha avuto grande presa sui domenicani, il pensiero filosofico di questi anni si arricchisce dell’agostinismo dei Francescani, con Bonaventura da Bagnoregio, Duns Scoto e Guglielmo di Ockham – tra i massimi critici delle posizioni tomiste – o con l’attenzione alla filosofia naturale di Bacone. Ma questo è anche il tempo di pensatori come Raimondo Lullo, la cui ars combinatoria ispirerà Leibniz e viene ancora vista come prefigurazione della logica dei computer. In questo ebook si può assaporare tutto il pensiero filosofico del Basso Medioevo, tra dispute filosofiche e dibattito ereticale, alla luce degli studi più recenti della critica contemporanea.
LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2014
ISBN9788897514718
Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Filosofia (33): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 33

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    Anteprima del libro

    Il Medioevo (secoli XIII-XIV) - Filosofia (33) - Umberto Eco

    copertina

    Medioevo (Secoli XIII - XIV) - Filosofia

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Medioevo (Secoli XIII - XIV)

    Filosofia

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla filosofia del Basso Medioevo

    Umberto Eco

    Il XIII secolo rappresenta il periodo aureo della filosofia scolastica, se si pensa che in esso lavora Tommaso d’Aquino, che del pensiero scolastico diventerà nei secoli a venire il pensatore modello, riconosciuto dalla Chiesa come massima autorità in ogni questione di filosofia e teologia.

    Della scolastica si affermano definitivamente i metodi e le forme di argomentazione, prima tra tutte la quaestio, che organizza intorno a un problema dato le varie tesi e controtesi, le esamina, le dibatte, le confronta, e perviene a una conclusione che si vuole decisiva. La quaestio si presenta, si veda per esempio san Tommaso, come l’ossatura stessa della summa, anch’essa modello di stile filosofico che pretende di sistematizzare l’intero campo del sapere teologico e filosofico dell’epoca. Ma la quaestio rappresenta anche la forma della discussione pubblica (che contrappone il maestro ai propri allievi e avversari) sotto forma di quaestio disputata che, come quaestio quodlibetalis, può concernere anche i più marginali tra i problemi teoretici o morali.

    Aristotelismo e traduzioni

    È nel XIII secolo che si afferma definitivamente l’autorità di Aristotele. Il lavoro intrapreso nei secoli precedenti dai traduttori giunge a termine: alla metà del XIII secolo Roberto Grossatesta traduce l’Etica Nicomachea, poi rivista da Guglielmo di Moerbeke, e negli anni Sessanta dello stesso secolo Guglielmo fornisce una versione completa della Politica. Michele Scoto traduce dall’arabo i libri sugli animali e poco dopo li traduce anche Guglielmo di Moerbeke dal greco. Guglielmo di Moerbeke traduce anche la Poetica nel 1278, – e quindi, tanto per capirci, dopo la morte di Tommaso d’Aquino – mentre il Commento Medio alla Poetica di Averroè, del 1175, appare sempre a opera di Ermanno il Tedesco intorno al 1256. Sempre nel 1256 Ermanno il Tedesco fa una traduzione della Retorica dall’arabo. A questa traduzione si accompagna Translatio Vetus dal greco, anonima. E finalmente, verso il 1269 o 1270, appare una traduzione dal greco fatta da Guglielmo di Moerbeke.

    Le traduzioni della Poetica e della Retorica sono filologicamente assai dubbie e alla loro difficoltà si deve se esse hanno avuto scarsa influenza sul pensiero scolastico, venendo poi definitivamente riscoperte e ampiamente commentate nel Rinascimento. Comunque è nel XIII secolo che Aristotele entra definitivamente a far parte delle autorità filosofiche indiscutibili per teologi e filosofi cristiani, sia pure tra mille polemiche accademiche, resistenze e dispute tra la facoltà delle arti e la facoltà di teologia. Tra 1270 e 1277 appaiono ancora due condanne di tesi giudicate ereticali, e che mirano in effetti a limitare la diffusione dell’aristotelismo e a gettare un’ombra di sospetto su pensatori come Tommaso d’Aquino. Ma questa operazione di contenimento ha scarso effetto e non è un caso se nel 1323 Tommaso viene canonizzato – e con lui il suo pensiero diventa dottrina ufficiale della Chiesa.

    La scuola francescana e la filosofia della natura

    Bisogna tuttavia reagire al clichè tradizionale per cui il XIII secolo (e la scolastica in genere) fossero dominati e dall’aristotelismo e dalla sua versione tomista.

    L’aristotelismo ha certamente presa sui pensatori domenicani, ma l’agostinismo dei Francescani – il cui massimo rappresentante è Bonaventura da Bagnoregio –, fa di pensatori di scuola francescana come Giovanni Duns Scoto e, all’alba del XIV secolo, Guglielmo di Ockham i più severi critici delle posizioni tomiste. E, specie negli ambienti inglesi, è tra i Francescani che si fa strada una maggiore attenzione a problemi di filosofia naturale, affrontati con grande energia metafisica da Roberto Grossatesta o spirito empiristico da Ruggero Bacone.

    Infine, maestri che non sembrano avere avuto una influenza decisiva sui loro contemporanei saranno discussi invece sino ai giorni nostri: tipico il caso di Raimondo Lullo, la cui ars combinatoria ispirerà pensatori come Leibniz e viene ancora vista come una sorta di prefigurazione della logica dei computer.

    Le dispute filosofiche e il dibattito ereticale

    Vivace, in questi due secoli in cui s’instaura la visione ufficiale della filosofia cattolica, il dibattito ereticale, e basti pensare all’influenza che l’averroismo ha sui dibattiti circa l’eternità del mondo, e come esso abbia ispirato dal punto di vista filosofico autori come Dante, o grammatici come i modisti.

    Il pensiero politico si anima delle discussioni di Ockham e Marsilio da Padova in una direzione che oggi ci appare come fortemente laica, mentre il pensiero mistico si presenta in una declinazione assolutamente originale nella mistica renana.

    Le riletture contemporanee della filosofia del XIII e XIV secolo hanno ampiamente ridimensionato la visione tradizionale che si aveva del periodo scolastico, riportando all’attenzione degli studiosi autori che erano stati considerati minori, rileggendo come centrali dispute marginalizzate perché sospette di eresia, portando a una riscoperta delle filosofie ebraiche e arabe del periodo.

    E infine non bisogna dimenticare che nel XIV secolo iniziano ad agire autori che, estranei al circuito delle università e delle dispute filosofiche ufficiali, tuttavia, instaurando un nuovo culto delle humanae litterae (come accade con Petrarca o Boccaccio), favoriranno il passaggio dalla cultura medievale a quella umanistica e rinascimentale.

    La circolazione del sapere e le università

    Le enciclopedie medievali come modelli di sapere

    Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri

    Le enciclopedie medievali assumono le linee guida teoriche dal De Doctrina Christiana di Agostino d’Ippona, mentre il materiale proviene dalla cultura antica soprattutto attraverso Isidoro di Siviglia. Nel XII secolo lo scibile si amplia con le traduzioni dal greco e dall’arabo di numerosi testi mentre alcuni autori iniziano, soprattutto per le scienze naturali e le tecnologie, a far ricorso all’osservazione e all’esperienza. Progetti enciclopedici improntati a nuove metodologie e a nuova visione del sapere vengono proposti da Ruggero Bacone e Raimondo Lullo nel XIII secolo.

    All’origine delle enciclopedie medievali

    Ugo di San Vittore

    Sulla filosofia

    Epitome in philosophiam

    Filosofia significa amore della sapienza: non quell’amore con il quale si amano le cose che si conoscono ma quello con il quale la verità appena balenata si desidera ancora di più. Perciò la filosofia è amore per la sapienza che nasce dal desiderio.

    La filosofia si divide innanzitutto in logica, etica, teorica e meccanica.

    La prima sezione si divide in grammatica e ratio disserendi. Questa abbraccia la costruzione dell’argomento probabile, necessario e sofistico: queste sono le tre principali parti della logica […].

    L’etica si suddivide in tre parti fondamentali: solitaria, privata e pubblica, ossia, per chiamarla con altri nomi, l’etica nel senso specifico, l’economia e la politica o anche la morale e la civile […].

    Anche la teorica ha tre parti, la matematica, la fisica, la teologia, le quali si suddividono ulteriormente come vedremo. La meccanica, che è disciplina recentissima ottiene a fatica il suo posto nel quadro della filosofia anche se un tempo veniva relegata fuori perché stimata assai poco. Ma essa si è arricchita di sette discendenze […]. Esse sono: l’arte della lana, l’architettura, la navigazione, l’agricoltura, la caccia, la medicina, l’arte teatrale […].

    in M. Fumagalli Beonio Brocchieri, Le enciclopedie dell’occidente medievale, Torino, Loescher, 1981

    Ruggero Bacone

    Quattro punti sulla sapienza

    Compendium studii philosophiae

    Riguardo alla sapienza bisogna considerare quattro punti che introduttivamente voglio toccare in modo sintetico e succinto fino a quando una occasione più specifica mi dia modo di approfondirli singolarmente.

    Il primo punto da esaminare è quali siano le cause e i motivi per i quali ogni uomo necessariamente avverte che manca di sapienza sia nel campo della speculazione sia nella pratica e nell’uso di questa, nel governo di sé e degli altri.

    Il secondo è stabilire che cosa necessario per la pienezza della della sapienza perché la superficialità non tragga in confusione e il corpo della sapienza non languisca mutilato nelle sue parti.

    Il terzo punto è fare in modo che colui che si occupa delle cose della sapienza percepisca le vie e i modi con i quali deve compiere la ricerca e portarla a perfezione tanto nella pratica quanto nella teoria. Poiché vi è per tutte le cose un metodo senza il quale ognuna di ese non può raggiungere il fine peculiare.

    Il quarto punto è che il ricercatore abbia la capacità di stornare con avvedutezza gli impedimenti alla sapienza e di evitarli efficacemente, dopo averne trovato i rimedi.

    […] Il metodo consiste nel conoscere quello che nell’ordine di una determinata materia viene prima di un altro, prendendo in esame le cose più facili prima di quelle più difficili, le comuni prima delle proprie, le minori prima delle maggiori, affinché l’interesse degli sia rivolto a ciò che è elevato e utile, dato che lo spazio della vita è breve. Questo affinché con certezza, senza dubbi, chiaramente, senza ombre venga trasmessa la sapienza, cosa impossibile a farsi senza l’esperienza. Ora i fattori della conoscenza sono tre: l’autorità, la ragione e l’esperienza.

    in M. Fumagalli Beonio Brocchieri, Le enciclopedie dell’occidente medievale, Torino, Loescher, 1981

    Alessandro Neckham

    Curiosità sulla natura

    De naturis rerum

    Quale sia il potere della murena, lo mostra la murena, la quale, dal canto suo, è ritenuta tra le delizie della tavola. Riferisce Basilio che la murena, dall’acqua, chiama con un dolce sibilo la vipera, persino mentre sta accoppiandosi. Ma che? Forse che la sua prole non ha il gusto della vipera? Aggiungi che i ricchi si cibano più volentieri della murena perché sono costretti a rimediare bevendo poi vino in grande quantità, quasi controvoglia. Anzi, anche non pochi medici si sforzano di dimostrare con ragioni scientifiche che la murena è un cibo sanissimo. Ma ciò facendo sono intelligenti, poiché ritengono che il cattivo sapore per gli altri sia inferiore al vantaggio che ne può derivare. […] Si dice, racconta Isidoro, che la murena sia solo di sesso femminile, e che sia concepita dal serpente. Perciò viene attirata e catturata, tanto dai cacciatori, quanto dal serpente, con un sibilo. È certo che abbia l’anima nella coda. Se infatti la si colpisce sulla testa, a stento la si uccide; se la si colpisce sulla coda, essa muore subito.

    in M. Fumagalli Beonio Brocchieri, Le enciclopedie dell’occidente medievale, Torino, Loescher, 1981

    Anche nel Medioevo l’enciclopedia si presenta come una serie di conoscenze valutate positivamente e organizzate in una struttura unitaria secondo vari criteri (alfabetico, per argomenti e così via): ancor più della vastità delle notizie esposte (esistono anche enciclopedie settoriali) nella enciclopedia ha rilievo il punto di vista sul sapere del passato e il giudizio sullo stato presente delle conoscenze. Nelle enciclopedie medievali, come in altre epoche, si può notare la presenza di due elementi in diverso equilibrio fra loro nei vari autori: 1) lo status quaestionis delle conoscenze esposte e 2) il tentativo di dare un senso allo scibile raccolto presentando implicitamente o esplicitamente un progetto di promozione e finalità del sapere. Adottando questa distinzione, si può utilmente confrontare le enciclopedie medievali sia con opere analoghe di altre epoche (ad esempio con il concetto classico della encyclios paideia o con la Enciclopedia della Età dei Lumi), sia con altre forme di sapere (trattati, quaestiones, summae) della cultura medievale, anche per la tradizione ebraica e islamica.

    Nel De Doctrina Christiana di Agostino di Ippona è presente, e rilevante, una prospettiva progettuale che in diversa misura influenzerà altre enciclopedie medievali. Fra alcuni assiomi, importanti per l’organizzazione del sapere, Agostino ne enuncia con chiarezza tre: 1) la pagina della Bibbia è l’unica via per la salvezza e il testo per eccellenza sul quale confrontare il valore di ogni conoscenza; 2) ogni significato è contenuto in modo nascosto e velato nelle parole della Bibbia; 3) di conseguenza per comprendere la pagina sacra è necessario adottare il metodo per figuras, congeniale del resto alla tendenza dell’epoca. Secondo Agostino la lettura figurata o allegorica è infatti dopo la Caduta dall’Eden una scelta obbligata per l’uomo divenuto incapace di comprendere intuitivamente la verità: il linguaggio è quindi per l’uomo-viator un impreciso (anche se indispensabile) mezzo di comunicazione, e analogie e similitudini sono gli strumenti fondamentali.

    Nel De Doctrina Christiana centrale è l’analogia del furto sacro che segnala il rapporto con la cultura pagana: come gli ebrei fuggendo dalla schiavitù degli Egizi sottrassero e portarono con sé le ricchezze dei loro padroni, così i cristiani per costruire la nuova cultura a buon diritto devono sottrarre ai pagani il tesoro delle arti liberali insieme ad alcune norme morali e forme istituzionali politiche e sociali necessarie alla convivenza civile.

    Manlio Severino Boezio, attraverso le sue traduzioni e i commenti di Aristotele, tramanda agli autori delle enciclopedie un lessico rigoroso insieme alla formulazione precisa di problemi che diventeranno classici. Due secoli dopo Isidoro, vescovo di Siviglia (560-636), nei 20 libri delle Etymologiae sive Origines mira a salvare il sapere antico, oramai in pericolo, e a renderlo operante nell’istruzione dei prelati e dei funzionari del regno visigoto: le enciclopedie dei secoli successivi si rifaranno ampiamente alla sua trattazione delle arti liberali, del diritto, della medicina, della storia delle lingue, della società e della famiglia, della geografia, delle scienze naturali e delle tecniche. Lo studio etimologico delle parole (che contiene fra alcune inesattezze una buona percentuale di analisi corrette) possiede in Isidoro un valore normativo e uno status ontologico che mira a raggiungere, al di là delle parole, la realtà delle cose. Le Etymologiae conobbero nel Medioevo latino una vastissima diffusione contribuendo alla ricostruzione dello scibile antico in funzione politica e cristiana.

    Le enciclopedie dalla rinascita del XII secolo al XIII secolo

    Nel XII secolo, l’età delle scuole cattedrali, la rinascita della società e della cultura segna una svolta anche nella storia delle enciclopedie che si avvalgono di testi nuovi provenienti dagli autori greci e arabi che ritornano in circolazione nell’Occidente latino proponendo nuove prospettive di valutazione.

    Nel Didascalicon di Ugo di San Vittore la filosofia, definita la disciplina che cerca di stabilire le ragioni delle cose umane e divine, comprende cinque parti, la teologia, la matematica, la pratica o morale, la logica e la meccanica. Novità principali sono, da un lato, la collocazione della teologia che, pur studiando l’oggetto più alto (l’intellectibile, realtà pura separata dalla materia e accessibile solo alla mente), è compresa all’interno della filosofia e coordinata alle altre scienze e, d’altro lato, la valutazione positiva delle arti meccaniche. Le sette arti o scienze servili, o adulterine o meccaniche (lavorazione della lana, architettura di edifici e navi, scienza della navigazione, agricoltura, tecniche della caccia, medicina e tecniche del teatro), erano infatti escluse dalla filosofia o vero sapere sia nella prospettiva platonica, dove si presentavano come copie artificiali delle cose – a loro volta copie naturali della realtà ideale – sia nel pensiero cristiano, che le giudicava semplici rimedi alle conseguenze del peccato originale. D’altronde, mentre nella società antica e altomedievale le sette arti illiberali erano attività marginali praticate soltanto da uomini non-liberi, il mondo nuovo che si apre nel XII secolo con la suddivisione del lavoro all’interno delle città, porta alla ribalta nuovi mestieri e il progresso delle tecniche necessarie alle nuove forme di vita sociale.

    A cominciare dalla fine del secolo XII le cosiddette piccole enciclopedie, al contrario delle opere nate nelle scuole (per esempio a Chartres e a San Vittore), sono libri manuali destinati a un pubblico più vasto e non specialistico (grandi mercanti, medici, giuristi, diplomatici) e al nuovo ceto cittadino che vuole essere informato sugli argomenti scientifici e morali con testi di agile e rapida consultazione. Ne sono prova l’assenza di ampie digressioni filosofiche e teologiche e, al contrario, la presenza più estesa di temi riguardanti la vita sociale e familiare, la politica e l’economia, anche domestica. Un esempio di questo nuovo genere di manuale enciclopedico è il De rerum proprietatibus di Bartolomeo Anglico che raccoglie e attinge a una pluralità di fonti sia tradizionali che nuove, come la Fisica di Aristotele, senza tuttavia un reale approfondimento e una discussione dei temi. Le sezioni sulla vita familiare e la medicina ebbero nei secoli vita autonoma e furono stampate e citate ancora nel Seicento.

    Al secolo XIII appartengono due grandi e complesse enciclopedie di ampia fortuna, ristampate per molti secoli, quella di Vincent de Beauvais precettore dei figli del re di Francia Luigi IX, e i trattati di Alberto Magno famoso maestro universitario e grande conoscitore di Aristotele.

    Lo Speculum naturale di Vincent de Beauvais, insieme allo Speculum doctrinale e allo Speculum historiale, rispecchiano la cultura universitaria contemporanea (con citazioni di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Avicenna e Averroè) e testimoniano l’interesse prevalente dell’autore per la cultura araba. Nello Speculum doctrinale risalta la novità dell’epistemologia di Vincent: la logica perde il primato di scienza delle scienze (così la definiva Agostino) e rientra nelle litterae insieme alla grammatica e alla retorica; l’etica si divide in politica, economia e morale; le arti meccaniche sono descritte dall’autore dal vivo tanto che le pagine dedicate al tema restano un vero documento per la storia della tecnica medievale.

    L’esposizione delle scienze fatta da Alberto Magno in vari trattati (De vegetalibus et plantis, De mineralibus, De meteoris) supera senz’altro la definizione di enciclopedia e testimonia la statura di auctor del maestro che mirava a commentare e spiegare ai latini tutto il pensiero di Aristotele e non a esporre un elenco di nozioni tratte da autori diversi. Nelle scienze naturali, Alberto corregge con l’esperienza e la conoscenza dal vivo alcune descrizioni aristoteliche. Il contesto generale dei trattati è la prospettiva magico-astronomica che proprio attraverso gli scritti di Alberto si diffonde nella cultura dell’epoca (cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, III Canto del Paradiso ). Si tratta di una prospettiva derivata dalla teoria aristotelica dove astrologia e metafisica sono saldate dall’ affermazione della dipendenza del mondo sublunare dal moto dei cieli. Anche per Alberto Magno tutte le cose naturali o prodotte dall’arte sono in prima istanza mosse dalla virtù celeste.

    Crisi dell’enciclopedia e progetti enciclopedici del XIII secolo

    L’ampliarsi degli orizzonti culturali, l’aumento delle discipline studiate e dei testi di riferimento insieme ai nuovi interessi dei lettori sono gli aspetti emersi nelle opere di Vincent de Beauvais e Alberto Magno. Sono questi stessi elementi a imprimere al genere enciclopedico una svolta, evidente nell’opera di Ruggero Bacone e di Raimondo Lullo): dall’enciclopedia intesa come raccolta dello scibile dell’epoca si passa all’enciclopedia progetto che prospetta, attraverso una nuova organizzazione del sapere, una riforma della società politica e religiosa.

    Nei frammenti del discorso preliminare a una enciclopedia mai realizzata (l’Opus maius, l’Opus minus e l’Opus tertium), Bacone, sensibile come molti francescani alle idee millenaristiche, lancia il progetto di un profondo rinnovamento della scienza e dell’ordine politico/religioso. L’inizio è un’opera di demolizione della cultura del tempo, asservita secondo Bacone a un’oramai sterile auctoritas e lontana dalla ricerca attiva, mentre nella parte costruttiva sono individuate le discipline indispensabili per il recupero della verità: la conoscenza delle lingue – latino, greco, arabo ed ebraico –, la matematica sull’esempio del maestro Roberto di Lincoln il Grossatesta e la scientia experimentalis che si fonda sull’osservazione dei fatti. Il modello di sapere che ne risulta, nuovo nel metodo e nei risultati, è per Bacone l’indispensabile base della riforma della Christianitas .

    L’arte combinatoria, simbolo dell’unità del sapere e della leggibilità del mondo, segna con forza l’opera vastissima (più di 250 titoli in latino e catalano) di Raimondo Lullo. Centrale l’idea di una clavis universalis insieme logica e metafisica: "la scomposizione dei concetti complessi in nozioni semplici, l’uso di lettere e simboli per indicare le nozioni semplici [...] l’idea di un linguaggio artificiale e perfetto [...] hanno fatto sì che l’ ars combinatoria di Lullo sia stata avvicinata alla logica formale" (Paolo Rossi, Clavis Universalis,, 1960).

    Lullo, come Bacone, non redige un inventario di nozioni e auctoritates ma espone un’idea del sapere che crede in grado di promuovere un mutamento profondo nella società. È un aspetto questo che preannuncia il futuro percorso dell’enciclopedia, da sistema chiuso di sapere a progetto per mutare il comune modo di pensare, come scriveranno gli enciclopedisti francesi secoli dopo.

    Rimandi

    Volume 27: Nani sulle spalle dei giganti, storia di un aforisma

    La filosofia nell’islam medievale: temi e protagonisti

    Cecilia Martini Bonadeo

    Parlare di tradizione filosofica in lingua araba e in ambiente musulmano significa considerare l’incontro fruttuoso e talvolta lo scontro della filosofia di tradizione greca con la civiltà islamica e mettere a fuoco quel processo di traduzione, assimilazione, e definitiva trasformazione del pensiero filosofico di tradizione greca in lingua araba.

    La filosofia araba dell’Islam medievale, che d’ora in poi chiamerò con il suo nome, falsafa, si produce dall’VIII al XIII secolo in uno scenario che geograficamente si espande dalla Spagna, all’Africa Settentrionale fino al corso del fiume Indo. In tale scenario la religione islamica ha coeso popolazioni diverse, portatrici di culture diverse, l’arabo coranico è divenuto la koiné e i grandi centri urbani quali Bagdad, Damasco, Il Cairo, Bukhara vedono fiorire un’intensa vita culturale dominata dalle esigenze del monoteismo islamico, ma aperta agli apporti scientifici prodotti dalle altre comunità religiose presenti (quelle cristiane giacobite e nestoriane o quella ebraica).

    Uno studio accorto della falsafa deve necessariamente procedere in modo ambidestro: in primo luogo lo studio delle traduzioni arabe delle opere filosofiche greche e dei commenti arabi ad esse dedicate deve restituirci l’idea di continuità della tradizione filosofica platonica e aristotelica dalla Grecia classica al Medioevo latino attraverso il momento arabo-musulmano – si veda il saggio dedicato in questo volume alla doppia via delle traduzioni; in secondo luogo lo studio delle opere originali dei falasifa, prodotte dall’immissione della filosofia greca nella cultura islamica, deve guidarci ad individuare i caratteri peculiari della falsafa: in particolare il costante tentativo di conciliazione del pensiero greco pagano con la teologia islamica rigidamente monoteista e la lettura concordista che ne risulta di pensatori quali Platone e Aristotele.

    La formazione della falsafa e al-Kindi

    A Bagdad, nei primi due secoli del califfato abbaside, tra l’800 e il 1000, vengono eseguite numerose traduzioni di testi filosofici dal greco e dal siriaco in arabo. La traduzione di testi filosofici greci non è solo il risultato della conquista musulmana delle province intellettualmente più avanzate dell’Impero romano d’Oriente e dell’Impero persiano – Antiochia, Edessa, Nisibe, Harrān, Qennešrīn, Rešainā, Gondešapūr –, ma anche della situazione politico-religiosa del mondo musulmano tra VIII e IX secolo. Il califfato abbaside infatti aderise alla teologia mutazilita, al-Ma’mun (786-833) la proclama dottrina di stato nell’827. La teologia mutazilita rappresenta il primo audace tentativo di discussione razionale delle questioni religiose inerenti all’Islam e per questo suscita lo scandalo dei musulmani ortodossi e conservatori, legati alla lettera del Corano e della Sunna. Con il sorgere di una vera e propria corrente di seguaci della falsafa, i falasifa considerano la filosofia greca lo scrigno della verità universale, una sorta di Scrittura secolarizzata, ed è soprattutto questo che li rende desiderosi di impadronirsi dei testi greci, in uno sforzo senza precedenti (D. Gutas, Pensiero greco e cultura araba, 2002).

    Dapprima si distinguono alcune figure di intellettuali che Gerhard Endress nel suo decisivo studio Proclus Arabus (1973) ha accomunato per lo stile di traduzione letterale, l’area geografica, Bagdad, e il loro collegarsi alla filosofia di al-Kindi (750-870). A questo primo circolo di traduttori si deve la versione in lingua araba di una vasta gamma di trattati: la Metafisica di Aristotele, il De caelo, i Meteorologica ed alcuni suoi trattati zoologici, alcune questioni di Alessandro di Afrodisia (II-III secolo), la seconda parte del suo De Providentia, l’Introduzione all’Aritmetica di Nicomaco (I-II secolo), un compendio neoplatonico al De Anima, una selezione di proposizioni tratte dagli Elementi di teologia di Proclo (410 ca. - 485) rielaborata nel Libro di Aristotele sull’esposizione del Bene Puro – il Liber de Causis latino. Vengono inoltre tradotte le ultime tre Enneadi di Plotino (205-270), destinate a divenire la cosiddetta Teologia di Aristotele. Da queste opere i lettori arabi si formano una prima immagine della filosofia dei greci, potente e pervasiva, destinata a viaggiare lontano: da Bagdad a Toledo e da Toledo a Parigi.

    In questo primo gruppo di lavoro non solo viene elaborata una terminologia coerente per la falsafa, ma si concepisce il primo progetto metafisico originale come si vede bene dalla principale opera di al-Kindi, la Filosofia Prima (al-Falsafa al-Ūlā). In essa al-Kindi propone un’ontologia compatibile con la fede di quanti aderiscono al tawhid della religione coranica, ossia di quanti, come lui, credono in un Dio che è Causa prima ed Intelletto primo e che ha voluto creare dal nulla l’universo fisico nel tempo. La pseudo-Teologia di Aristotele corona le dottrine di Metafisica Lambda. Con al-Kindi infatti la filosofia intesa alla maniera aristotelica come ricerca delle cause viene corretta quanto all’analisi della sua causa prima, il motore immobile, in senso platonico. Il motore immobile per essere armonico con il dio del Corano non può certo starsene immobile conoscenza di sé, estraneo al mondo del divenire, principio di un universo che in realtà esiste eternamente, ma deve essere creatore al modo del demiurgo del Timeo di Platone, pensare ad ogni ente particolare, svolgere un’azione benefica ed esercitare sul suo creato un’azione provvidente. Al-Kindi sostituisce alla concezione aristotelica di un primo motore che è puro intelletto, il modello cosmico di processione e di partecipazione di tutti gli esseri all’Uno che gli proviene dalla tradizione neoplatonica. In questa lettura la paternità degli elementi principali del neoplatonismo islamico è attribuita ad Aristotele: la trascendenza del principio primo, l’emanazione o processione delle cose da esso, il ruolo della ragione, strumento di Dio, nella creazione e la concezione dell’anima come orizzonte tra mondo sensibile ed intelligibile.

    Anche per quanto riguarda l’indagine sull’uomo, al-Kindi propone una lettura concordista della tradizione platonica e peripatetica. Egli immette nella falsafa, per vie che la storia dei testi sta ancora chiarendo, la dottrina alessandrista delle specie dell’intelletto. Nella sua Epistola sull’intelletto (Risāla fī l-‘aql), tradotta in latino, sostiene che secondo Aristotele vi sono quattro gradi di intelletto: l’intelletto potenziale, l’intelletto in habitu, l’intelletto in atto e l’intelletto separato. La conoscenza nell’uomo, secondo al-Kindi, procede dalla percezione sensibile fino all’immagine che delle cose si produce nell’anima; l’intelletto umano può tuttavia conoscere anche le forme immateriali, inaccessibili ai sensi, poiché ne condivide la natura intelligibile. L’intelletto umano nel mentre conosce le forme intelligibili diviene una sola cosa con esse e così facendo si attualizza. Ma per ogni realtà che passa dalla potenza all’atto è necessario un principio già in atto: l’intelletto sempre in atto, o agente, e separato fonde in sé la dottrina del motore immobile come pensiero di pensiero (νόησις νοήσεως), l’assunto aristotelico del De Anima secondo cui qualora la cosa conosciuta sia priva di materia vi è identità tra principio conoscente, cosa conosciuta e atto di conoscere e i caratteri del νοΰς plotiniano causa degli intelligibili e degli intelletti secondi.

    Al-Farabi e la rilettura politica della dottrina dell’Intelletto

    Nel secolo successivo all’elaborazione della filosofia kindiana, il filosofo Abū Nasr al-Farabi (870 ca. - 950 ca.) torna alla dottrina alessandrista dell’intelletto – resa ora disponibile dalla traduzione araba del trattato Sull’Intelletto di Alessandro di Afrodisia – con interesse nuovo e ci consegna una dottrina dell’intelletto il cui lascito è tanto nei suoi correligionari Avicenna e Averroè, che in Maimonide, Domenico Gundisalvi, Ruggero Bacone, Bonaventura, Alberto Magno e Tommaso.

    Nella Bagdad del suo tempo, in piena decadenza del califfato abbaside, si è costituito un circolo di filosofi e traduttori, cristiani e musulmani, che si dedicano allo studio della filosofia di tradizione greca. Al-Farabi è uno dei maestri del circolo. Nella sua riflessione la filosofia aristotelica viene collocata in un nuovo sistema delle scienze capace di integrare tra loro l’eredità scientifico-filosofica greca e le scienze autoctone della civiltà islamica. Al-Farabi, inoltre, vuole ridefinire il ruolo stesso del filosofo nella società arabo-islamica attraverso il recupero della filosofia politica platonica, armonizzata con le scienze tradizionali destinate a regolare le azioni della comunità religiosa e politica.

    La scienza della politica per al-Farabi è quella degli antichi ed in particolare della Repubblica e delle Leggi di Platone. L’obiettivo della scienza politica è il governo virtuoso, ossia l’arte di chi governa, stabilisce delle regole e conserva virtuosa la città: il suo fine infatti è la vera felicità, che è raggiunta grazie ad azioni buone, nobili e virtuose. Si tratta dunque di comprendere cosa bisogna intendere per piena felicità dell’uomo. Nell’Accesso alla felicità (Tahsil al-Sa‘āda) al-Farabi afferma che Platone e Aristotele concordavano nel ritenere che ciò che conduce alla perfezione dell’uomo, e quindi alla sua felicità, è la vera filosofia. Essa consiste in un certo tipo di conoscenza – la conoscenza dell’essenza e delle cause di ciascuno degli enti – e in un certo stile di vita, descritto come la vita virtuosa. In questa prospettiva è il filosofo l’uomo perfetto e felice per eccellenza, dato che egli è colui che possiede questo tipo di conoscenza e conduce questo tipo di vita. Il governo virtuoso è dunque quello il cui principio ispiratore è la realizzazione della piena

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