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La montagna dopo gli eventi estremi: Declino o nuovi percorsi di sviluppo?
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E-book179 pagine2 ore

La montagna dopo gli eventi estremi: Declino o nuovi percorsi di sviluppo?

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La città dell’Aquila ha ospitato nelle giornate dal 26 al 28 maggio 2016 il convegno internazionale organizzato da Rete Montagna, dal titolo “Le montagne dopo eventi estremi: declino o nuovi percorsi di sviluppo?” L’occasione è stata quella di chiamare a raccolta studiose e studiosi per creare sinergie, raccontare buone pratiche e dare nuove risposte per il futuro di Alpi e Appennini.
Il presente volume non vuole essere un punto d’arrivo ma un motivo in più di riflessione. Un contributo per la costruzione di un futuro migliore. Un faro acceso su un tema fondamentale che riguarda i sentimenti più intimi delle comunità locali, del loro vivere quotidiano, della loro sicurezza, per una rinnovata e più efficace costruzione di un modello di sviluppo ecosostenibile. Dai giorni del convegno aquilano a oggi gli Appennini hanno continuato a tremare. Conosciamo gli indici di sismicità degli Appennini e di tutto il territorio nazionale, sappiamo quante volte immani disastri hanno colpito le popolazioni, ma la consapevolezza del pericolo e le moderne tecniche costruttive antisismiche da sole, non sono sufficienti per determinare scelte definitive e per programmare un progetto di vita. La priorità è assegnare a questi territori un rinnovato protagonismo di ruolo nel panorama economico italiano, che guidato da forze endogene, possa partecipare attivamente al governo del cambiamento epocale che tutto il Paese sta vivendo. E tutto questo potrà essere ideato e realizzato anche grazie alle nuove tecnologie oggi a disposizione. La montagna ha bisogno di tutti e tutto il resto del territorio ha bisogno di una montagna sicura e aperta all’innovazione a garanzia di uno sviluppo omogeneo e di qualità.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2019
ISBN9788878536418
La montagna dopo gli eventi estremi: Declino o nuovi percorsi di sviluppo?

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    Anteprima del libro

    La montagna dopo gli eventi estremi - Antonio Ciaschi

    Rotonda

    ​Premessa

    Dalle Alpi agli Appennini

    Nel percorso di ricerca e di costruzione di relazioni che Rete Montagna ha svolto fin dalla sua nascita, le tappe fondamentali sono state segnate dai convegni internazionali biennali che si sono succeduti in diverse località dell’arco alpino affrontando, di volta in volta, le tematiche, le suggestioni, le visioni, le emergenze che i territori alpini di entrambi i versanti ponevano e suggerivano agli studiosi, ai ricercatori, ma pure, e questa è sempre stata una caratteristica della Rete, agli attori, agli amministratori, ai protagonisti del governo del territorio.

    In questo percorso i temi affrontati hanno riguardato lo spopolamento montano, ma pure i nuovi abitanti delle vallate alpine; i paesaggi dell’abbandono, ma anche quelli eccezionali dei Patrimoni Unesco; le attività economiche residuali quali l’alpeggio, ma anche i segnali di imprenditorie innovative e competitive rispetto a quelle della pianura; i segnali inconfondibili del cambiamento climatico e allo stesso tempo le risposte che il laboratorio alpino sta proponendo e ancora i cambiamenti nel turismo, nell’incontro delle culture, nell’insediamento. Insomma la Rete è stata un osservatorio privilegiato per leggere i cambiamenti, le risposte, le contraddizioni di quell’articolato, complesso e multidimensionale luogo che sono le Alpi.

    Era naturale che nel percorso la Rete si aprisse a nuovi luoghi e a nuovi territori, a nuove montagne che segnano l’Europa e non solo, ed è stato quasi naturale che i primi sguardi si rivolgessero alle altre montagne italiane, gli Appennini, che condividono con l’arco alpino problematiche, difficoltà, debolezze, ma pure progettualità, risposte e buone pratiche.

    L’occasione è stata data da due fattori: la nascita del Centro Internazionale per gli Studi Storici e Geografici sull’Appennino e soprattutto la tematica del Convegno che voleva affrontare il tema rilevante e attualissimo della fragilità dei territori montani e delle risposte messe in essere in situazione di stress territoriale che spesso diventa disastro. I legami erano forti e simbolici: 1976 il terremoto del Friuli; 2009 il terremoto de L’Aquila, quasi premonitori degli eventi che poi si sono manifestati nell’agosto e nell’ottobre 2016 negli Appennini centrali.

    L’esperienza dei giorni passati a L’Aquila, con la preziosa regia di Antonio Ciaschi, è stata basilare per la Rete che ha potuto fare proprie le esperienze, i percorsi di studio e di ricerca, le buone pratiche delle altre montagne e al tempo stesso rafforzare, con nuovi nodi, quella rete che mette insieme tutti coloro che hanno fatto della montagna il campo privilegiato di azione sotto diversi aspetti e visuali. E questo volume conferma la validità delle scelte fatte.

    Mauro Pascolini

    Presidente di Rete Montagna

    Introduzione

    La città dell’Aquila ha ospitato nelle giornate dal 26 al 28 maggio 2016 il convegno internazionale organizzato da Rete Montagna, dal titolo Le montagne dopo eventi estremi: declino o nuovi percorsi di sviluppo? L’occasione è stata quella di chiamare a raccolta studiose e studiosi per creare sinergie, raccontare buone pratiche e dare nuove risposte per il futuro di Alpi e Appennini.

    D’altra parte, il presente volume non vuole essere un punto d’arrivo ma un motivo in più di riflessione. Un contributo per la costruzione di un futuro migliore. Un faro acceso su un tema fondamentale che riguarda i sentimenti più intimi delle comunità locali, del loro vivere quotidiano, della loro sicurezza, per una rinnovata e più efficace costruzione di un modello di sviluppo ecosostenibile. Dai giorni del convegno aquilano a oggi gli Appennini hanno continuato a tremare. Conosciamo gli indici di sismicità degli Appennini e di tutto il territorio nazionale, sappiamo quante volte immani disastri hanno colpito le popolazioni, ma la consapevolezza del pericolo e le moderne tecniche costruttive antisismiche da sole, non sono sufficienti per determinare scelte definitive e per programmare un progetto di vita. La priorità è assegnare a questi territori un rinnovato protagonismo di ruolo nel panorama economico italiano, che guidato da forze endogene, possa partecipare attivamente al governo del cambiamento epocale che tutto il Paese sta vivendo. E tutto questo potrà essere ideato e realizzato anche grazie alle nuove tecnologie oggi a disposizione. La montagna ha bisogno di tutti e tutto il resto del territorio ha bisogno di una montagna sicura e aperta all’innovazione a garanzia di uno sviluppo omogeneo e di qualità.

    Ringrazio per il supporto scientifico e organizzativo, utilissimo per la buona riuscita di queste giornate di studio, Rete Montagna, la Fondazione Angelini, il Comune dell’Aquila, l’Università dell’Aquila, la Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi, la Società Geografica Italiana, il Club Alpino Italiano, l’EURAC di Bolzano e l’Università di Innsbruck, che insieme alla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila, ci hanno sostenuto anche economicamente, nella speranza di aver concorso, pur se in piccola parte, alla costruzione di una casa comune per la montagna di domani.

    Antonio Ciaschi

    ​Montagne, luoghi della modernità

    Antonio Ciaschi

    Non è la prima volta che mi trovo a riflettere e scrivere di montagna. Ogni volta però sembra la prima volta. Parafrasando le parole di Antonio Gramsci «la storia insegna, ma non ha scolari» [1] , e pensando alla condizione delle nostre Terre Alte, specie quelle dell’Appennino, possiamo senz’altro affermare che anche la montagna insegna, ma anch’essa non ha scolari. I territori hanno intrecciato storie e identità, cultura e innovazione. I nostri paesi di montagna sono stati, nel tempo, laboratori di modernità e nodi di un sistema economico all’avanguardia. Lo spettro della rivoluzione industriale e del trionfo della meccanizzazione agricola hanno contribuito ad accelerare il processo di divaricazione fra la fragile e delicata verticalità e la distratta e opulenta orizzontalità. Diverse e contrapposte filosofie di sviluppo hanno generato due modi di interpretare la modernità, quella al passo con i tempi e quella del valore dell’essenzialità, ma costretta al margine, come ebbe a dire Nuto Revelli l’autore de Il Mondo dei vinti :

    Ma assistevo al grande esodo dalla campagna povera, all’abbandono delle aree depresse della montagna e dell’alta Langa, come risposta all’industrializzazione troppo rapida della pianura. Era un vero e proprio terremoto. Si contavano a migliaia i contadini, i montanari – giovani e meno giovani – che diventavano manovali dell’industria. Un patrimonio di forze valide, di esperienze, di mestieri, destinato a disperdersi. Altro che la difesa dell’ambiente; altro che il governo del territorio... Con l’esodo indiscriminato, caotico, in non poche aree della nostra collina e della nostra montagna si sfilacciava il tessuto sociale, si estendeva il deserto [2] .

    Sono passati molti anni, molti Governi hanno dichiarato la loro vicinanza ai territori montani, molto è stato fatto, ma ancora oggi, dopo leggi, interventi straordinari e politiche mirate, siamo ancora a chiedere normalità, equilibrio, apertura, coesione, in altre parole interventi ricompresi nell’ordinarietà del bilancio dello Stato.

    Tutti siamo convinti che, nonostante i problemi ricorrenti legati a marginalità, spopolamento, accessibilità, difficile dialogo con i territori contermini, la montagna svolge un ruolo cruciale, non solo in una prospettiva di salvaguardia e recupero, ma più in generale nell’ambito della gestione del territorio e buone pratiche di sviluppo. Di qui la necessità di una governance complessiva che sviluppi la centralità dello spazio montano in vista di una patrimonializzazione che sia in grado di coniugare valori, tradizioni, risorse, culture materiali e immateriali.

    Il territorio montano presenta una natura sfaccettata la cui mutevolezza funzionale ed estetica necessita di una cultura di governo per costruire nuove reti di relazioni, capaci di generare cooperazione e partecipazione. La montagna dovrebbe essere considerata proprio per le sue metamorfosi capace di offrire diverse opportunità di crescita, se si valorizzano le specificità culturali e ambientali che le sono proprie. Il che significa che vanno individuate risorse finanziarie e investite adeguate competenze al fine di conseguire l’obiettivo della coesione territoriale sociale ed economica, applicando un concetto di montanità, non come coefficiente, ma in quanto valore aggiunto.

    Proprio per la sua complessità, lo spazio montano richiederebbe l’avvio di pratiche d’innovazione in grado di attuare delle strategie rigenerative a livello infrastrutturale e tecnologico, sociale ed economico. Tali pratiche dovrebbero basarsi sulla consapevolezza dell’interconnessione dei territori montani con gli altri ecosistemi e prevedere percorsi di formazione che mettano in comunicazione attori, conoscenze e attuazione degli interventi.

    La questione della montagna è diventata, in Italia, un tema vitale, come dicevo, per la stretta connessione con il fenomeno drammatico dello spopolamento, in particolare degli Appennini. L’abbandono del territorio genera, infatti, un vuoto, che non solo determina un grave impoverimento del tessuto culturale, economico, sociale e ambientale, ma contribuisce anche al dissesto idrogeologico che investe gran parte del nostro Paese. Di qui la necessità di ripensare lo spazio montano in termini di modernità, intesa non come rischio potenziale da cui tutelare un bene fragile, ma come volano di sviluppo. In quest’ottica occorre impostare percorsi di pianificazione del territorio montano che investano tutti i piani dell’amministrazione pubblica, per avviare scelte condivise e attuare un piano di sviluppo che sia in grado di coinvolgere attori pubblici e privati. L’armonizzazione della gestione dei fondi a disposizione con tali obiettivi dovrà passare per i fattori d’innovazione già menzionati, quali infrastrutture, nuove tecnologie, economia e servizi, incrociando, in un sistema integrato, i piani sociali regionali. La modernità della montagna è un concetto che vuole prestarsi a restituire alla montagna il giusto ruolo. In un’epoca di Smart City in cui si tenta di conciliare l’innovazione con la tradizione, il vivere cittadino con l’ambiente, è straordinario notare i molti giovani che tornano sulla montagna alla ricerca di un criterio di vivere compatibile con l’ecosistema, inventando nuovi modi di presidiare il territorio abitato spesso da pensionati, tanto da essere identificati da alcuni come animatori di comunità, assumendo così il ruolo fondamentale di curatori del territorio. … Il presidio è, infatti, il concetto che più di ogni altro viene ribadito nel tentativo di orientare l’ascolto delle istituzioni alfine di restituire alla montagna il giusto ruolo. È il termine più sentito dopo gli eventi sismici di questi mesi, localizzati nelle aree centrali degli Appennini, il bisogno di presidiare, continuando a curare il bestiame, le attività agricole, quelle artigianali, diventando tutti delle sentinelle del territorio, non più solo gli agricoltori, ma tutti gli abitanti, osservatori attenti dei cambiamenti, memoria vivente del paesaggio per sentirsi parte integrante di una ricostruzione (Ciaschi, 2016). Nello specifico delle contingenze post-sismiche tale concetto implica anche la riflessione sul territorio come continuum per cui gli elementi del passato che ne delineavano le caratteristiche diventano, nel tempo, i caratteri fondanti e caratterizzanti del futuro. Da tale prospettiva il terremoto da evento catastrofico, così, si trasforma in un’occasione di sviluppo di un nuovo modello che abbia come principio l’ascolto delle voci delle comunità e l’avvio di strategie complessive di rilancio dello spazio montano.

    Le buone pratiche e i diversi contributi raccolti nel presente volume, a valle di questo convegno, che è stato anche il padrino culturale del nuovo Centro Internazionale per gli Studi Storici e Geografici sull’Appennino [3] , rappresentano la ricchezza della ricerca interdisciplinare come si conviene all’universo multidisciplinare e multifunzionale della montagna. Un laboratorio, ma anche un pensatoio stimolante, dove mettere alla prova e sperimentare soluzioni nuove di crescita ecosostenibile. Quindi la modernità della montagna si esprime proprio, nel campo della ricerca, nell’individuazione di nuovi modelli di sviluppo, che partono dal bene comune locale, nelle diverse declinazioni, per agganciarsi alle reti lunghe del mondo globale.

    Da montagne diverse, risposte diverse. Perché la storia possa avere finalmente scolari, e magari anche diligenti, bisogna ripartire dalla montagna per contribuire a conseguire l’obiettivo del rilancio economico e sociale del Paese. Alla base di tutto formazione e ricerca con lo scopo di abilitare i territori attraverso una più stretta collaborazione fra mondo universitario, comunità locali e sistema delle imprese. Come ho avuto modo già di scrivere: proprio per la loro complessità, gli Appennini e le Alpi richiederebbero appunto una rete di collaborazioni che possa attuare delle strategie rigenerative basate sulle conoscenze, l’innovazione del territorio come valore condiviso delle comunità, non solo di un sentimento di appartenenza, ma di una capacità di risposta ai cambiamenti e, soprattutto, per un nuovo modo di concepire e vivere le montagne, perseguendo una configurazione reticolare tra gli attori, coinvolgendo sia nella fase di conoscenza/ricognizione di valori sia in quella di progettazione e attuazione

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