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La Tempesta invisibile: Storia dell'inquinamento elettrico
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La Tempesta invisibile: Storia dell'inquinamento elettrico
E-book850 pagine8 ore

La Tempesta invisibile: Storia dell'inquinamento elettrico

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Info su questo ebook

Torri cellulari, Wi-fi, 5G: l'elettricità ha plasmato il mondo moderno. Ma come ha influenzato la nostra salute e l'ambiente?

Negli ultimi 220 anni, la società ha sviluppato la convinzione universale che l'elettricità sia "sicura" per l'umanità e il pianeta. Lo scienziato e giornalista Arthur Firstenberg sconvolge questa convinzione raccontando la storia dell’elettricità in maniera inedita - da un punto di vista ambientale - descrivendo in dettaglio gli effetti che questo elemento fondamentale della società ha avuto sulla nostra salute e sul nostro pianeta.

Con oltre 50.000 copie vendute in Inghilterra, in La tempesta invisibile, Firstenberg ripercorre la storia dell’elettricità dall’inizio del XVII secolo ad oggi, sostenendo che molti problemi ambientali, così come le principali malattie della civiltà industrializzata - malattie cardiache, diabete e cancro - sono legati all’inquinamento elettrico.

LinguaItaliano
Data di uscita18 mar 2021
ISBN9788869347023
La Tempesta invisibile: Storia dell'inquinamento elettrico
Autore

Arthur Firstenberg

Arthur Firstenberg è uno scienziato e giornalista.  Dopo essersi laureato con lode Phi Beta Kappa, in matematica presso la Cornell University, ha frequentato la University of California, Irvine School of Medicine dal 1978 al 1982.  Le lesioni causate da overdose di raggi X hanno interrotto la sua carriera medica.  Negli ultimi trentotto anni è stato ricercatore, consulente e docente circa gli effetti sulla salute e sull'ambiente delle radiazioni elettromagnetiche, nonché praticante di diverse arti curative.

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    Anteprima del libro

    La Tempesta invisibile - Arthur Firstenberg

    Titolo originale:

    The invisible rainbow: a history of electricity and life

    by Arthur Firstenberg

    Copyright (c) 2017, 2020 by Arthur Firstenberg

    Bibliotheka Edizioni edition published

    by arrangement with Chelsea Green Publishing Co,

    White River Junction, VT, USA www.chelseagreen.com

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, marzo 2021

    Isbn: 9788869347023

    È vietata la copia e la pubblicazione,

    totale o parziale, del materiale

    se non a fronte di esplicita

    autorizzazione scritta dell’editore

    e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    per Eureka3 S.r.l.

    www.eureka3.it

    Arthur Firstenberg

    Arthur Firstenberg è uno scienziato e giornalista.

    Dopo essersi laureato con lode Phi Beta Kappa, in matematica presso la Cornell University, ha frequentato la University of California, Irvine School of Medicine dal 1978 al 1982.

    Le lesioni causate da overdose di raggi X hanno interrotto la sua carriera medica.

    Negli ultimi trentotto anni è stato ricercatore, consulente e docente circa gli effetti sulla salute e sull’ambiente delle radiazioni elettromagnetiche, nonché praticante di diverse arti curative.

    L’elettricità ha plasmato il nostro mondo.

    Ma quali effetti ha avuto sulla nostra salute e sull’ambiente in cui viviamo?

    Pochi autori sono in grado di cogliere la totalità di un argomento scientifico e di presentarlo in modo così coinvolgente, senza tralasciare alcun dettaglio.

    Bradley Johnson, MD, Amen Clinic, San Francisco

    Il libro pone sotto una nuova luce le patologie causate dall’elevato tasso di emanazione elettrica e affronta le attuali crisi ambientali, di cui solo poche persone comprendono appieno quanto siano correlate all’elettrosmog.

    Sandy Ross, Dottore in Filosofia, Presidente Health and Habitat Inc.

    Sono rimasto letteralmente sbalordito da questo libro… un documento estremamente prezioso sui rischi sempre più diffusi per la salute ambientale a cui siamo tutti esposti.

    William E. Morton, Dottore in Medicina, Medico di Sanità pubblica, ex professore emerito, Oregon Health Sciences University

    Firstenberg è un pioniere allo stesso modo in cui lo è stata Rachel Carson.

    Chellis Glendinning, Dottore in Filosofia, autrice di When Technology Wounds

    Introduzione

    "Spiegava tutto con l’elettricità. Una singolare moria di gatti si era abbattuta a quel tempo a Vienna, Basilea, Copenaghen e altri luoghi assai distanti tra loro. Essendo i gatti eminentemente elettrici, egli attribuì questa epidemia all’elettricità. Nello stesso periodo si persuase che predominasse una particolare configurazione delle nuvole; e riteneva che ciò valesse da collaterale convalida della sua ipotesi sull’elettricità. I suoi mal di testa [...] egli li faceva risalire allo stesso principio..."

    Thomas de Quincey ci ricorda così, nel suo splendido Gli ultimi giorni di Immanuel Kant, una delle fissazioni di quel grande filosofo ormai vecchio, sulla soglia degli ottant’anni. Una persuasione che è sempre passata come segno di quel suo decadimento intellettivo che, oggi, potrebbe forse venir classificato come Morbo di Alzheimer.

    L’elettricità e la birra. Quelle che Kant considerava le cause di tutti i mali.

    Se veniva a saper di qualcuno improvvisamente morto, puntualmente esclamava: Beveva birra?. E alla luce di quelli che furono poi, di lì a sessant’anni, i progressi in questo campo – grazie alla pratica di pastorizzazione e, di conseguenza, di purificazione di quella bevanda da tutti i germi che, fino a quel momento, i bevitori di birra avevano ingurgitato per millenni – si potrebbe pensar che così tanto demenziale, la convinzione del Professore di Königsberg, forse non fosse.

    Questo libro, in qualche maniera, dà ragione a Kant anche a proposito del processo di elettrificazione. E della sua dannosità per la salute delle innumerevoli specie viventi. Soprattutto nel suo metter in collegamento le diverse tappe di questo tipo di progresso con le varie epidemie che hanno via via falcidiato comunità di uomini e animali. O con i singoli danni alla salute sistematicamente accusati da parte di chi, con quel nuovo prodigio della scienza, aveva – ed ha – quotidianamente a che fare.

    Gli studi ci sono. Chi si prende gioco delle teorie anti-5G, per esempio, ha poco da insistere sul fatto che non esistano prove della pericolosità di queste radio-emissioni, a frequenze sempre più elevate. Gli studi ci sono, eccome. Migliaia di ricerche indipendenti, che nessuna multinazionale e nessun governo mai si sognerebbero di finanziare. Ma precise, puntuali. Come, ad esempio, quella condotta da Pierre Pogam nel 2019, che attesta i gravi danni provocati alle biomembrane umane esposte a frequenze pari o superiori ai 60 Ghz. O gli studi condotti nel 2017 da Haifa Othman, della Chartage University, sui topi esposti a segnali Wi-Fi di 2,45 Ghz. Frequenze in grado di indurre stress, ansia, deficit motorio, interruzioni dei livelli di fosforo, magnesio, glucosio, calcio...

    E se davvero, come anche questo libro suggerisce, il processo di elettrificazione ha storicamente prodotto danni tali da rendersi necessario quanto prima un suo arresto, per evitar di soccombere ad emissioni sempre più inquinanti che potrebbero danneggiare irrimediabilmente il nostro ecosistema, la direzione intrapresa dalle multinazionali da cui dipendono tutte le nostre esistenze, invece, risulta ostinatamente quella.

    Mentre scrivo questa mia introduzione, il Governo appena insediatosi in Italia ha istituito, tra i suoi ministeri, la novità del dicastero per la Transizione digitale. Affidato, per giunta, a un uomo che del 5G fa la sua bandiera. Quel Vittorio Colao che sogna l’Internet delle cose, le automobili capaci di muoversi senza conducente, le operazioni chirurgiche effettuate roboticamente a distanza... e che, contemporaneamente al suo ruolo di ministro, siede nel CdA di Verizon: il colosso mondiale delle telecomunicazioni che, in questi ultimi anni, ha investito miliardi proprio nella tecnologia digitale dell’automazione telematica dei veicoli.

    Un altro dei ministri di questo Esecutivo, l’economista Patrizio Bianchi, il 22 gennaio scorso ha tenuto una conferenza per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, mettendo in relazione la crescita dell’economia nazionale, con quelle dell’istruzione pubblica e del 5G.

    La strada, insomma, pare proprio quella dell’autodistruzione. In barba alla resistenza che sempre più persone oppongono a questo fenomeno di continua e incessante elettrificazione ambientale. Quelle opponibilità locali, per intenderci, che il suddetto Colao – ancora in qualità di Presidente della task force istituita dal precedente Governo Conte per gestir la crisi da pandemia in cui, da un anno, ci troviamo infognati – nel suo Iniziative per il rilancio – Italia 2020-2022 d’inizio giugno aveva bonariamente consigliato di escludere.

    Ma, per carità: che questo nostro progressivo annientamento continui. E che rimanga qualcosa da tener sotto silenzio. O, al più, di cui sussurrare.

    Basta anche meno, di questi tempi, per venir bollati complottisti.

    Pietro Ratto

    febbraio 2021

    In ricordo di Pelda Levey

    amica, mentore e compagna di viaggio.

    Per facilità di lettura ho mantenuto al minimo le note di chiusura. Tuttavia, tutte le fonti a cui si fa riferimento nel testo si trovano nella bibliografia in fondo al libro, insieme alle opere principali che ho consultato. Per comodità di coloro che siano interessati a particolari argomenti, la letteratura in bibliografia è organizzata per capitolo, e all’interno di alcuni capitoli per argomento invece del solito singolo elenco alfabetico.

    Introduzione

    "Spiegava tutto con l’elettricità. Una singolare moria di gatti si era abbattuta a quel tempo a Vienna, Basilea, Copenaghen e altri luoghi assai distanti tra loro. Essendo i gatti eminentemente elettrici, egli attribuì questa epidemia all’elettricità. Nello stesso periodo si persuase che predominasse una particolare configurazione delle nuvole; e riteneva che ciò valesse da collaterale convalida della sua ipotesi sull’elettricità. I suoi mal di testa […] egli li faceva risalire allo stesso principio…"

    Thomas de Quincey ci ricorda così, nel suo splendido Gli ultimi giorni di Immanuel Kant, una delle fissazioni di quel grande filosofo ormai vecchio, sulla soglia degli ottant’anni. Una persuasione che è sempre passata come segno di quel suo decadimento intellettivo che, oggi, potrebbe forse venir classificato come Morbo di Alzheimer.

    L’elettricità e la birra. Quelle che Kant considerava le cause di tutti i mali.

    Se veniva a saper di qualcuno improvvisamente morto, puntualmente esclamava: Beveva birra?. E alla luce di quelli che furono poi, di lì a sessant’anni, i progressi in questo campo – grazie alla pratica di pastorizzazione e, di conseguenza, di purificazione di quella bevanda da tutti i germi che, fino a quel momento, i bevitori di birra avevano ingurgitato per millenni – si potrebbe pensar che così tanto demenziale, la convinzione del Professore di Königsberg, forse non fosse.

    Questo libro, in qualche maniera, dà ragione a Kant anche a proposito del processo di elettrificazione. E della sua dannosità per la salute delle innumerevoli specie viventi. Soprattutto nel suo metter in collegamento le diverse tappe di questo tipo di progresso con le varie epidemie che hanno via via falcidiato comunità di uomini e animali. O con i singoli danni alla salute sistematicamente accusati da parte di chi, con quel nuovo prodigio della scienza, aveva – ed ha – quotidianamente a che fare.

    Gli studi ci sono. Chi si prende gioco delle teorie anti-5G, per esempio, ha poco da insistere sul fatto che non esistano prove della pericolosità di queste radio-emissioni, a frequenze sempre più elevate. Gli studi ci sono, eccome. Migliaia di ricerche indipendenti, che nessuna multinazionale e nessun governo mai si sognerebbero di finanziare. Ma precise, puntuali. Come, ad esempio, quella condotta da Pierre Pogam nel 2019, che attesta i gravi danni provocati alle biomembrane umane esposte a frequenze pari o superiori ai 60 Ghz. O gli studi condotti nel 2017 da Haifa Othman, della Chartage University, sui topi esposti a segnali Wi-Fi di 2,45 Ghz. Frequenze in grado di indurre stress, ansia, deficit motorio, interruzioni dei livelli di fosforo, magnesio, glucosio, calcio…

    E se davvero, come anche questo libro suggerisce, il processo di elettrificazione ha storicamente prodotto danni tali da rendersi necessario quanto prima un suo arresto, per evitar di soccombere ad emissioni sempre più inquinanti che potrebbero danneggiare irrimediabilmente il nostro ecosistema, la direzione intrapresa dalle multinazionali da cui dipendono tutte le nostre esistenze, invece, risulta ostinatamente quella.

    Mentre scrivo questa mia introduzione, il Governo appena insediatosi in Italia ha istituito, tra i suoi ministeri, la novità del dicastero per la Transizione digitale. Affidato, per giunta, a un uomo che del 5G fa la sua bandiera. Quel Vittorio Colao che sogna l’Internet delle cose, le automobili capaci di muoversi senza conducente, le operazioni chirurgiche effettuate roboticamente a distanza… e che, contemporaneamente al suo ruolo di ministro, siede nel CdA di Verizon: il colosso mondiale delle telecomunicazioni che, in questi ultimi anni, ha investito miliardi proprio nella tecnologia digitale dell’automazione telematica dei veicoli.

    Un altro dei ministri di questo Esecutivo, l’economista Patrizio Bianchi, il 22 gennaio scorso ha tenuto una conferenza per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, mettendo in relazione la crescita dell’economia nazionale, con quelle dell’istruzione pubblica e del 5G.

    La strada, insomma, pare proprio quella dell’autodistruzione. In barba alla resistenza che sempre più persone oppongono a questo fenomeno di continua e incessante elettrificazione ambientale. Quelle opponibilità locali, per intenderci, che il suddetto Colao – ancora in qualità di Presidente della task force istituita dal precedente Governo Conte per gestir la crisi da pandemia in cui, da un anno, ci troviamo infognati – nel suo Iniziative per il rilancio – Italia 2020-2022 d’inizio giugno aveva bonariamente consigliato di escludere.

    Ma, per carità: che questo nostro progressivo annientamento continui. E che rimanga qualcosa da tener sotto silenzio. O, al più, di cui sussurrare.

    Basta anche meno, di questi tempi, per venir bollati complottisti.

    Pietro Ratto febbraio 2021

    Nota dell’autore

    Per facilità di lettura ho mantenuto al minimo le note di chiusura. Tuttavia, tutte le fonti a cui si fa riferimento nel testo si trovano nella bibliografia in fondo al libro, insieme alle opere principali che ho consultato. Per comodità di coloro che siano interessati a particolari argomenti, la letteratura in bibliografia è organizzata per capitolo, e all’interno di alcuni capitoli per argomento invece del solito singolo elenco alfabetico.

    Prologo

    Ci fu un tempo in cui l’arcobaleno, visibile nel cielo dopo una tempesta, raffigurava tutti i colori esistenti. La nostra terra fu progettata in questo modo. Sopra di noi una coltre d’aria ad assorbire gli ultravioletti superiori, insieme a tutti i raggi X e ai raggi gamma provenienti dallo spazio. La maggior parte delle onde più lunghe, oggi da noi usate per le comunicazioni radio, erano assenti. O meglio, presenti in quantità infinitesimali. Ci raggiungevano dal sole e dalle stelle ma con energie mille miliardi di volte più deboli della luce, proveniente anch’essa dai cieli. Le onde radio cosmiche, così deboli da essere invisibili, fecero sì che la vita non sviluppasse organi in grado di vederle.

    Allo stesso modo, oggi come allora, invisibili appaiono essere anche le onde ancora più lunghe, le pulsazioni a bassa frequenza emesse dai fulmini. Quando il fulmine propaga il suo bagliore, pervade momentaneamente l’aria con esse, sparendo poi del tutto in un istante; la loro eco, che riverbera in tutto il mondo, è dieci miliardi di volte più debole della luce del sole. Non abbiamo mai evoluto organi per scorgerle.

    Ma i nostri corpi sanno dell’esistenza di quei colori. L’energia delle nostre cellule che sussurra nella gamma delle radiofrequenze è infinitesimale ma necessaria per la vita. Ogni pensiero, ogni movimento che compiamo ci circonda di pulsazioni a bassa frequenza; sussurri rilevati per la prima volta nel 1875 e necessari alla vita. L’elettricità che usiamo oggi, la ‘sostanza’ che senza pensarci inviamo attraverso fili e trasmettiamo nell’aria, venne identificata intorno al 1700 come proprietà della vita. Solo in seguito gli scienziati impararono ad estrarla e a farle muovere oggetti inanimati, ignorandone – perché incapaci di vedere – i suoi effetti sul mondo vivente. Oggi ci circonda, in tutti i suoi colori, ad intensità rivaleggiante con la luce del sole, noi ancora incapaci di scorgerla, in quanto non presente alle origini della vita.

    Viviamo il presente con una serie di devastanti malattie che non ci appartengono, ignorandone l’origine, dandole per scontate e senza più metterle in discussione. Ciò che si prova a stare senza di esse è uno stato di vitalità che abbiamo completamente dimenticato.

    Il disturbo d’ansia, che affligge un sesto dell’umanità, non esisteva prima del 1860, quando i fili del telegrafo circondarono per la prima volta la terra. Nessun accenno su di esso compare nella letteratura medica precedente il 1866.

    L’influenza, nella sua forma attuale, comparve nel 1889, insieme alla corrente alternata. È sempre con noi, come un ospite familiare, così familiare che dimentichiamo quanto non sia sempre stato così. Molti medici, sommersi dalla malattia nel 1889, non l’avevano mai incontrata prima.

    Prima del 1860, il diabete era così raro che solo pochi medici ne incontrarono più di uno o due casi nell’arco della propria vita. Anch’esso mutò carattere: i diabetici erano una volta scheletricamente magri, e non risulta che le persone obese sviluppassero tale malattia.

    La malattia cardiaca mortale a quel tempo era la venticinquesima fra le patologie più comuni, dietro l’annegamento accidentale. Era un malessere di neonati e anziani, ma era straordinario che chiunque altro avesse un cuore malato. Anche il cancro era estremamente raro. Il fumo di tabacco, in tempi non elettrificati, non causava cancro ai polmoni.

    Sono le malattie della civiltà, inflitte anche ai nostri vicini animali e vegetali, malattie con cui oggi conviviamo a causa del rifiuto di riconoscere la forza che abbiamo imbrigliato, ciò che rappresentano. La corrente a 60 cicli nei nostri impianti domestici, le frequenze ultrasoniche nei nostri computer, le onde radio nei nostri televisori, le microonde nei nostri telefoni cellulari, paiono essere solo deformazioni di un arcobaleno invisibile che scorre nelle nostre vene, rendendoci vivi. Ma lo abbiamo dimenticato.

    È tempo di ricordare.

    Parte Prima

    1. Catturato in una bottiglia

    L’esperimento di Leida fu sensazionale, immenso, universale: ovunque andavi la gente ti chiedeva se ne avessi provato gli effetti. L’anno era il 1746. I luoghi, qualsiasi città in Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, Italia. Pochi anni dopo, l’America.

    Come un bambino prodigio al suo debutto, l’elettricità era arrivata e l’intero mondo occidentale veniva a vedere la sua performance.

    Le sue levatrici – Kleist, Cunaeus, Allamand e Musschenbroek – avvertirono di aver contribuito a dare alla luce un enfant terrible, i cui shock potevano toglierti il respiro, farti ribollire il sangue, paralizzarti. Il pubblico avrebbe dovuto ascoltarli ed essere più cauto. Ma ovviamente i racconti coloriti di quegli scienziati finivano per incoraggiare le folle.

    Pieter van Musschenbroek, professore di fisica all’Università di Leida, aveva usato la sua solita macchina a frizione. Un globo di vetro che faceva ruotare rapidamente sul suo asse strofinandolo al contempo con le mani per produrre il fluido elettrico, quello che tutti oggi conosciamo come elettricità statica. Appesa al soffitto con corde di seta c’era una canna di fucile, di ferro, quasi a contatto col globo. Chiamato il conduttore principale era normalmente utilizzato per attirare le scintille di elettricità statica provenienti dalla sfera di vetro rotante strofinata.

    Linea incisione da Mémoires de l’Académie Royale des Sciences Tavola 1, p. 23, 1746

    Ma l’elettricità, a quei tempi, appariva di scarsa utilità, perché sempre prodotta sul posto e senza possibilità di immagazzinarla. Così Musschenbroek e i suoi soci progettarono un ingegnoso esperimento, tale da cambiare il mondo per sempre: attaccarono un filo all’altro capo del conduttore principale e lo inserirono in una bottiglietta di vetro parzialmente piena d’acqua. Volevano scoprire se il fluido elettrico potesse essere conservato in un barattolo. E il tentativo riuscì oltre le loro più rosee aspettative.

    Ti parlerò di un nuovo quanto terribile esperimento, scrisse Musschenbroek ad un amico a Parigi, che ti consiglio di non ripetere mai nuovamente per tutto il Regno di Francia, tantomeno dovrei farlo io, che l’ho sperimentato e sono sopravvissuto per grazia di Dio. Reggevo la bottiglia nella mano destra e con l’altra mano cercavo di attirare scintille dalla canna del fucile. All’improvviso la mia mano destra fu colpita con tale forza che tutto il mio corpo tremò come se fosse stato raggiunto da un fulmine. Il vetro, sebbene sottile, non si ruppe e la mia mano non venne strappata via, ma il mio braccio e tutto il corpo furono coinvolti più terribilmente di quanto si possa esprimere. In una parola, pensavo di essere finito¹. Il suo compagno di invenzioni, il biologo Jean Nicolas Sébastien Allamand, provando l’esperimento, sentì un colpo prodigioso. Rimasi così sbalordito, disse, tanto da non poter respirare per alcuni istanti. Il dolore lungo il braccio destro fu così intenso da farmi temere lesioni permanenti

    Ma solo metà del messaggio arrivò al pubblico. Il fatto che le persone potessero essere temporaneamente o, come vedremo, permanentemente ferite o addirittura uccise da questi esperimenti si perse nell’eccitazione generale che ne seguì. Non solo perso, ma presto ridicolizzato, non creduto e dimenticato. Allora come adesso, non era socialmente accettabile affermare che l’elettricità fosse pericolosa. Solo due decenni dopo, Joseph Priestley, lo scienziato inglese famoso per la sua scoperta dell’ossigeno, scrisse la sua History and Present State of Electricity, in cui ridicolizzava il codardo professore Musschenbroek, e i resoconti esagerati dei primi sperimentatori.³

    Gli inventori dell’elettricità non furono gli unici che cercarono di mettere in guardia il pubblico. Johann Heinrich Winkler, professore di greco e latino a Lipsia, in Germania, provò l’esperimento non appena ne sentì parlare. Ho provato grandi convulsioni nel corpo, scrisse a un amico Londinese. Ha messo il mio sangue in grande agitazione; tanto che temevo la febbre ardente e costretto al rimedio di medicinali refrigeranti. Ho sentito una pesantezza alla testa, come schiacciata da una pietra. Mi ha provocato due volte emorragia al naso, di cui non soffro. Mia moglie, dopo aver ricevuto la scarica elettrica solo due volte, si è ritrovata così debole da non poter riuscire a camminare. Una settimana dopo, passati pochi minuti da una sola scarica elettrica, sanguinava anch’ella dal naso.

    Dalle loro esperienze Winkler trasse la lezione che l’elettricità non dovesse essere inflitta agli esseri viventi. E così trasformò la sua macchina in un grande segnale di avvertimento. «Ho letto sui giornali di Berlino», scrisse, «che avevano provato questi impulsi elettrici su un uccello facendolo soffrire molto. Non ho ripetuto questo esperimento; perché penso che sia sbagliato dare un tale dolore alle creature viventi. Ha quindi avvolto una catena di ferro attorno alla bottiglia, portandola sino ad un pezzo di metallo sotto la canna del fucile. Quando poi viene effettuata l’elettrificazione, continuò, le scintille che volano dal tubo sul metallo appaiono così grandi e forti, tanto da essere viste (anche di giorno) e udite alla distanza di cinquanta metri. Sono come un raggio di fulmine, una chiara e compatta linea di fuoco in grado di generare un suono tale da spaventare le persone che lo ascoltano."

    Tuttavia il pubblico generalmente non reagì come egli aveva pensato. Migliaia di uomini e donne, dopo aver letto rapporti come quello di Musschenbroek negli atti dell’Accademia reale delle scienze di Francia, nonché nelle Philosophical Transactions della Royal Society di Londra, in tutta Europa si misero in fila per regalarsi il piacere della elettricità.

    L’abate Jean Antoine Nollet, un teologo diventato fisico, introdusse in Francia la magia del vaso di Leida. Cercò di soddisfare le insaziabili richieste del pubblico elettrizzando decine, centinaia di persone contemporaneamente, facendole prendere per mano in modo da formare una catena umana, disposta in un grande cerchio con le due estremità ravvicinate. Si posizionava ad una delle estremità, mentre la persona che costituiva l’ultimo anello afferrava la bottiglia.

    All’improvviso il dotto abate, toccando con la mano il filo metallico inserito nel fiasco, completava il cerchio provocando l’immediato shock avvertito simultaneamente da tutta la linea. L’elettricità diveniva così un evento sociale; il mondo era posseduto, come alcuni osservatori la chiamarono, dalla "elettromania."

    Il fatto che Nollet avesse folgorato alcuni pesci e un passero con la medesima attrezzatura non scoraggiava minimamente la folla. A Versailles, alla presenza del re, elettrizzò una compagnia di 240 soldati della Guardia Francese facendoli semplicemente tenere per mano. Stessa sorte accadde ad una comunità di monaci presso un monastero certosino di Parigi, distesi intorno in un cerchio maggiore di un miglio, ciascuno collegato al proprio vicino attraverso un filo di ferro.

    L’esperienza divenne così popolare che il pubblico iniziò a lamentarsi di non potersi concedere il piacere di una scossa elettrica senza dover fare la fila o consultare un medico. Ci fu la richiesta di un apparecchio portatile che tutti potessero acquistare a un prezzo ragionevole per goderne a proprio piacimento. E così fu inventata la bottiglia Ingenhousz. Racchiusa in una custodia dall’aspetto elegante, era un piccolo barattolo di Leida unito a un nastro di seta verniciata e una pelle di coniglio con cui sfregare la vernice per caricare il barattolo.⁴

    Bastoni elettrici venivano venduti al prezzo di tutti i portafogli.⁵ Si trattava di barattoli di Leida abilmente camuffati da bastoni da passeggio, da poter caricare di nascosto inducendo poi ignari amici e conoscenti al contatto.

    Ci fu poi il bacio elettrico, una forma di divertimento che aveva persino preceduto l’invenzione del vaso di Leida, ma che in seguito divenne molto più richiesto. Il fisiologo Albrecht von Haller dell’Università di Göttingen dichiarò incredulo che tali giochi di società avevano preso il posto della quadriglia. Si potrebbe credere, scrisse, che il dito di una signora, o la sua sottoveste di osso di balena, emettevano bagliori di vero fulmine, e che labbra così incantevoli possano incendiare una casa?

    Linea incisione c. 1750, riproduzione Jürgen Teichmann, Dall’Ambra all’Elettrone, Deutsches Museum1982

    Era un angelo, scrisse il fisico tedesco Georg Matthias Bose, con collo di cigno bianco e seni coronati di sangue, capace di rapirti il cuore con una sola occhiata, ma a cui ti rivolgi a tuo rischio e pericolo. La chiamò Venus Electrificata in una poesia, pubblicata in latino, francese e tedesco, divenuta famosa in tutta Europa:

    Se un mortale solo toccasse la mano

    Di tal creatura divina, anche il solo suo vestito,

    Scintille bruceranno, attraverso tutte le membra,

    E per quanto sia doloroso, ancora la cercherà.

    Perfino Benjamin Franklin ritenne di dover dare istruzioni: Lasciare A e B sulla cera; o A sulla cera e B sul pavimento; dare a uno di essi l’ampolla elettrizzata nelle mano; lasciare che l’altro prenda il filo; seguirà una piccola scintilla; ma quando le loro labbra si congiungeranno, saranno colpiti e scioccati.

    Le donne ricche ospitavano tale intrattenimento nelle proprie case. Assunsero costruttori di strumenti allo scopo di realizzare grandi macchine elettriche riccamente decorate da mettere in mostra come pianoforti. Le persone con mezzi più modesti acquistarono modelli standard disponibili in vario assortimento per dimensioni, stile e prezzo.

    A parte l’intrattenimento, l’elettricità, ritenuta correlata o identica alla forza vitale, venne usata principalmente per i suoi effetti medici. Sia le macchine elettriche che i vasi di Leida entrarono negli ospedali e negli studi di medici desiderosi di stare al passo con i tempi. Un numero ancora maggiore di elettricisti privi di formazione medica iniziarono a curare pazienti. Si legge di elettricità usata in campo medico negli anni 1740 e 1750 da praticanti a Parigi, Montpellier, Ginevra, Venezia, Torino, Bologna, Lipsia, Londra, Dorchester, Edimburgo, Shrewsbury, Worcester, Newcastle sul Tyne, Uppsala, Stoccolma, Riga, Vienna, Boemia e L’Aia.

    Il famoso rivoluzionario e medico francese Jean-Paul Marat, anch’egli praticante di elettricità, scrisse un libro al riguardo, intitolato Mémoire sur l’électricité médicale.

    Franklin a Filadelfia curò così tanti pazienti con l’elettricità, che i trattamenti elettrici statici divennero più tardi noti, nel XIX secolo, come franklinizzazione.

    John Wesley, il fondatore della Chiesa metodista, pubblicò nel 1759 un volantino di 72 pagine intitolato Desideratum; or Electricity Made Plain and Useful Elettricità resa semplice e utile. Definì l’elettricità la medicina più nobile mai conosciuta al mondo, da impiegare nelle malattie del sistema nervoso, della pelle, del sangue, del sistema respiratorio e dei reni. Una persona in piedi sul terreno, si sentì in dovere di aggiungere, non può facilmente baciare una persona elettrizzata in piedi sulla retina.⁷ Wesley stesso elettrizzò migliaia di persone nella sede del movimento metodista e in altre località intorno a Londra.

    Non solo persone conosciute si cimentarono ad allestire ‘bottega’. In molti – non medici – comprarono e noleggiarono macchine per uso medico tanto che lo stesso dottore londinese James Graham scrisse nel 1779: Tremo di apprensione per i miei simili quando vedo in quasi tutte le strade di questa grande metropoli un barbiere – un chirurgo – un dentista – un farmacista o un comune meccanico diventato operatore elettrico.

    Poiché l’elettricità poteva avviare le contrazioni dell’utero, divenne un metodo tacitamente riconosciuto per ottenere l’aborto. Francis Lowndes, ad esempio, un elettricista londinese con vasta pratica, pubblicizzò il trattamento gratuito su donne povere per l’amenorrea.

    Anche gli agricoltori iniziarono a testare l’elettricità sulle loro colture e a proporla come mezzo migliorativo della produzione agricola, come vedremo nel capitolo 6.

    L’uso dell’elettricità sugli esseri viventi nel diciottesimo secolo divenne così diffuso in Europa e in America che si raccolse una ricchezza di preziose conoscenze sui suoi effetti su persone, piante e animali. Conoscenza oggi completamente dimenticata, molto più ampia e dettagliata di quella di cui abbiano consapevolezza i medici di oggi, che quotidianamente assistono – senza riconoscerli – ai suoi effetti sui propri pazienti, ignorando che tale sapere sia mai esistito. Queste informazioni, sia formali che informali, si trovano nelle lettere di individui che descrivono le proprie esperienze; in resoconti scritti su giornali e riviste; libri e trattati di medicina; articoli letti in riunioni di società scientifiche; e articoli pubblicati su riviste scientifiche di nuova concezione.

    Fin dagli anni ’40 dek ‘700, il 10% di tutti gli articoli pubblicati su Philosophical Transactions erano legati all’elettricità. E durante l’ultimo decennio di quel secolo, il 70% di tutti gli articoli sull’elettricità nella prestigiosa rivista Latina, Commentarii de rebus in scientis naturali et medicina gestis, furono correlati ai suoi usi medici e ai suoi effetti su animali e persone.¹⁰

    Ma le porte erano spalancate e il torrente di entusiasmo per l’elettricità scorreva senza ostacoli. Avrebbe continuato a farlo nei secoli a venire, buttando la cautela contro le rocce, schiacciando ogni accenno di pericolo come tanti pezzi di legna galleggiante, e cancellando interi pezzi di sapere, riducendoli a semplici note a piè di pagina nella storia di questa.

    2. I sordi sentono e gli zoppi camminano

    Un elefante birmano possiede lo stesso insieme di geni sia che lavori in un campo di disboscamento sia che corra libero nella foresta. Il suo DNA non ti dirà i dettagli della sua vita. Allo stesso modo, gli elettroni non possono dirci cosa sia più interessante nell’elettricità. Come gli elefanti, l’elettricità è stata costretta a portare i nostri fardelli e spostare grandi carichi, e abbiamo compreso più o meno precisamente il suo comportamento in cattività. Ma non dobbiamo ingannarci credendo di sapere tutto ciò che è importante sulla vita dei suoi cugini selvaggi.

    Qual è la fonte dei tuoni e dei fulmini, che fa sì che le nuvole si elettrizzino e scarichino la loro furia sulla terra? La scienza ancora lo ignora. Perché la terra ha un campo magnetico? Cosa rende i capelli pettinati crespi, il nylon aderente e incolla i palloncini delle feste alle pareti? Questi feniomeni elettrici, fra i più comuni, non sono ancora ben compresi. Come funziona il nostro cervello, i nostri nervi? Come comunicano le nostre cellule? Come viene coreografata la crescita del nostro corpo? Siamo ancora fondamentalmente ignoranti. E la domanda sollevata in questo libro – Qual è l’effetto dell’elettricità sulla vita? – è un quesito che la scienza moderna non si pone nemmeno. L’unica preoccupazione della scienza oggi è mantenere l’esposizione umana al di sotto di un livello tale da cuocere le nostre cellule. L’effetto dell’elettricità non letale non trova più attenzione da parte della scienza mainstream.

    Ma nel diciottesimo secolo, gli scienziati, oltre a porsi le domande, iniziarono a fornire risposte.

    Le prime macchine ad attrito erano in grado di essere caricate a circa diecimila volt – abbastanza per generare uno shock pungente, ma non abbastanza, all’epoca come oggi, da essere considerate pericolose. A titolo di comparazione, camminando su un tappeto sintetico una persona può accumulare trentamila volt sul proprio corpo. Scaricando si avverte un pizzico, ma non si rimane uccisi.

    Un barattolo di Leida da ½ l potrebbe fornire uno shock più potente, contenente circa 0,1 joule di energia, ma comunque circa cento volte inferiore a ciò che si pensa sia pericoloso, e migliaia di volte meno degli shock regolarmente erogati dai defibrillatori impiegati per rianimare le persone in arresto cardiaco. Secondo la scienza odierna tradizionale, le scintille, gli shock e le minuscole correnti usate nel diciottesimo secolo non avrebbero dovuto avere effetti sulla salute. E così è stato.

    Immagina di essere un paziente nel 1750, affetto da artrite. Il tuo elettricista ti avrebbe fatto sedere su una sedia con gambe di vetro, ben isolata dal suolo. In tal modo, una volta collegato alla macchina a frizione, avresti accumulato il fluido elettrico evitando di scaricarlo a terra. A seconda della filosofia del tuo elettricista, della gravità della tua malattia e della tua tolleranza all’elettricità, saresti stato elettrizzato in diversi modi.

    Nel "bagno elettrico", che era il più delicato, tenevi semplicemente in mano un’asta collegata ad un conduttore principale mentre la macchina veniva azionata per minuti o ore, trasmettendo la sua carica a tutto il corpo e creando un’aura elettrica intorno a te. Se ciò veniva fatto abbastanza delicatamente, non avresti sentito nulla, proprio come una persona che struscia i piedi su un tappeto accumulando una carica sul proprio corpo senza rendersene conto.

    Dopo aver fatto questo bagno, la macchina sarebbe stata fermata per dar luogo al trattamento con il vento elettrico. L’elettricità si scarica più facilmente a mezzo di conduttori appuntiti. Quindi una bacchetta di metallo o di legno, appuntita, collegata a terra e portata verso il ginocchio dolorante si sarebbe nuovamente sentita molto poco, dando forse la sensazione di una leggera brezza, mentre la carica già accumulata nel tuo corpo si dissipava lentamente scorrendo dal ginocchio verso la bacchetta collegata alla terra.

    Per un effetto più vigoroso, il tuo elettricista avrebbe potuto usare una bacchetta con un’estremità arrotondata, attirando, di una corrente continua, reali scintille dal tuo ginocchio malato. Per problemi ancora più gravi, diciamo se la tua gamba fosse stata paralizzata, poteva caricare una piccola bottiglia di Leida inviando alla gamba una serie di forti shock.

    L’elettricità disponibile poteva essere: elettricità positiva, o vitrea, ottenuta sfregando il vetro, ed elettricità negativa, o resinosa, originariamente ottenuta per sfregamento dello zolfo o varie resine. Il tuo elettricista avrebbe probabilmente scelto di trattarti con elettricità positiva, poiché compatibile con quella che normalmente troviamo sulla superficie del corpo in uno stato di salute.

    L’obiettivo dell’elettroterapia era stimolare la salute ripristinando l’equilibrio elettrico del corpo ove fosse sbilanciato. Idea certo non nuova. Nel corso di migliaia di anni in altre parti del mondo, l’uso dell’elettricità naturale venne sviluppato sino a diventare una raffinata arte. Gli aghi per agopuntura, come vedremo nel capitolo 9, conducono l’elettricità atmosferica nel corpo, viaggiando lungo percorsi mappati con precisione, e ritornando nell’atmosfera attraverso altri aghi che completano il circuito. Al confronto l’elettroterapia in Europa e in America, sebbene concettualmente simili all’gopuntura, erano scienze in fasce, che impiegavano strumenti simili a mazze.

    La medicina europea nel diciottesimo secolo era zeppa di mazze. Recandoti da un medico convenzionale per i reumatismi, ti saresti dovuto aspettare sanguinamento, epurazione, vomito, vesciche e persino trattamenti al mercurio. È facile comprendere che andare da un elettricista invece potesse apparire una alternativa molto interessante. E rimase attraente fino all’inizio del ventesimo secolo.

    Dopo più di mezzo secolo di incessante popolarità, l’elettroterapia cadde temporaneamente in disgrazia durante i primi anni del 1800 a causa di alcune sette, una delle quali cresciuta in Europa intorno alla figura di Anton Mesmer e alla sua cosiddetta guarigione magnetica, e un altra in America attorno a Elisha Perkins e alle sue aste elettriche: matite metalliche lunghe tre pollici con cui si effettuavano dei passaggi su una parte malata del corpo. Nessuno dei due usò davvero magneti o elettricità, ma per un po’ diedero cattiva reputazione a entrambi questi metodi. Verso la metà del secolo l’elettricità era di nuovo popolare e nel 1880 diecimila medici d’America la somministravano ai loro pazienti.

    L’elettroterapia cadde definitivamente in disgrazia all’inizio del XX secolo, perché probabilmente incompatibile con ciò che allora accadeva nel mondo. L’elettricità non era più una sottile forza legata agli esseri viventi. Era ora una dinamo, in grado di azionare locomotive e giustiziare prigionieri, non di curare pazienti. Ma le scintille prodotte da una macchina a frizione, un secolo e mezzo prima che il mondo fosse cablato, facevano venire in mente associazioni abbastanza diverse.

    Non c’è dubbio che l’elettricità a volte curava le malattie, sia gravi che leggere. I successi, nell’arco di quasi due secoli, sono stati talvolta esagerati, ma sono troppo numerosi e, spesso, troppo dettagliati e ben certificati per essere tutti respinti. Anche ai primi del 1800, quando l’elettricità non godeva di buona reputazione, continuarono ad emergere rapporti che non possono essere ignorati. Ad esempio, il London Electrical Dispensary, tra il 29 settembre 1793 e il 4 giugno 1819, ricoverò 8.686 pazienti per terapie elettriche. Di questi, 3.962 vennero indicati come guariti e altri 3.308 come migliorati alla dismissione: una percentuale di successo dell’84%.¹

    Sebbene il focus principale di questo capitolo verterà su effetti non necessariamente benefici, è importante ricordare perché la società del diciottesimo secolo fosse affascinata dall’elettricità, proprio quanto noi oggi. Per quasi trecento anni la tendenza è stata quella di inseguirne i benefici ignorandone i danni. Nel 1700 e 1800, l’uso quotidiano dell’elettricità in medicina fu quantomeno un promemoria costante di quanto l’elettricità apparisse intimamente connessa alla biologia. In occidente, l’elettricità nella scienza biologica rimase ancora allo stadio infantile e anche le sue cure sono state a lungo dimenticate. Ne ricorderò solo alcune di esse.

    Far sentire i sordi

    Nel 1851, il grande neurologo Guillaume Benjamin Duchenne de Boulogne divenne famoso per qualcosa per cui oggi è quasi dimenticato.

    Figura ben nota nella storia della medicina, non fu certo un ciarlatano. Introdusse metodi moderni nelle visite mediche, oggi ancora in uso. Fu il primo medico in assoluto a fare una biopsia ad una persona vivente a fini diagnostici. Pubblicò la prima descrizione clinica accurata della poliomielite. Un certo numero di malattie che egli identificò prese il suo nome, in particolare la distrofia muscolare di Duchenne. Pe tutto questo lo ricordiamo. Ma ai suoi tempi fu messo controvoglia al centro dell’attenzione per il suo lavoro sui non udenti.

    Duchenne conosceva nel dettaglio l’anatomia dell’orecchio. Infatti proprio allo scopo di delucidare la funzione del nervo chiamato corda del timpano, che passa per l’orecchio medio, chiese ad alcune persone sorde di offrirsi per esperimenti sull’elettricità. Il miglioramento fortunoso e inaspettato del loro udito fece sì che Duchenne fosse inondato di richieste da parte della comunità dei non udenti che volevano raggiungere Parigi per le cure. E così iniziò a prestare assistenza a un gran numero di persone con problemi ai nervi, utilizzando lo stesso apparecchio che aveva progettato per la sua ricerca, perfettamente adattabile al condotto uditivo e contenente un elettrodo stimolante.

    A un lettore moderno potrebbe sembrare improbabile che la sua procedura abbia avuto effetto alcuno: esponeva i suoi pazienti a impulsi di corrente più flebile possibile, a distanza di mezzo secondo, per cinque secondi alla volta. Aumentava gradualmente l’intensità, ma mai ad un livello doloroso e mai per più di cinque secondi per volta. Eppure in tale modo restituì un buon udito, nel giro di pochi giorni o settimane, a un uomo di 26 anni, sordo dall’età di dieci, ad un uomo di 21 anni, sordo dopo aver contratto il morbillo all’età di nove anni, ad una giovane donna recentemente resa sorda da un’overdose di chinino, somministratole per la malaria, e numerose altri casi di totale o parziale perdita dell’udito.²

    Cinquant’anni prima, a Jever, in Germania, uno farmacista di nome Johann Sprenger divenne famoso in tutta Europa per una ragione simile. Sebbene fosse stato denunciato dal direttore dell’Istituto per sordomuti di Berlino, venne tempestato da richieste di cure provenienti dagli stessi sordi. I suoi risultati furono certificati in atti giudiziari, e i suoi metodi adottati dai medici contemporanei. Fu riferito che egli stesso ripristinò parzialmente o completamente l’udito a non meno di quaranta persone non udenti e ipoudenti, inclusi alcuni sordi dalla nascita. I suoi metodi, come quelli di Duchenne, erano semplici e delicati. Inviava corrente più debole o più forte in base alla sensibilità del paziente e ogni trattamento consisteva in brevi impulsi di elettricità distanziati di un secondo per un totale di quattro minuti per orecchio. L’elettrodo veniva posizionato sul trago (il lembo di cartilagine posto davanti l’orecchio) per un minuto, all’interno del condotto uditivo per due minuti e sul processo mastoideo dietro l’orecchio per un solo minuto.

    Cinquant’anni prima di Sprenger, il medico svedese Johann Lindhult, scrivendo da Stoccolma, aveva riferito già del ritorno totale o parziale dell’udito nel corso di un periodo di due mesi a un uomo di 57 anni, sordo da trentadue; a un giovane di 22 anni, con recente perdita uditiva; a una bambina di 7 anni nata sorda; a un giovane di 29 anni con forti problemi di udito dall’età di undici anni; e a un uomo con ipoacusia e acufene dell’orecchio sinistro. Tutti i pazienti, scrisse Lindhult, furono trattati sia con lieve tensione elettrica, sia con vento elettrico.

    Lindhult, nel 1752, utilizzò una macchina a frizione. Mezzo secolo dopo, Sprenger si servì delle correnti galvaniche di una pila elettrica, precorritrice delle odierne batterie. Mezzo secolo dopo, Duchenne si avvalse della corrente alternata da una bobina di induzione. Il chirurgo britannico Michael La Beaume, utilizzò nel 1810 una macchina a frizione, seguita poi da correnti galvaniche con analogo successo. Loro comune denominatore fu l’insistenza nel mantenere i trattamenti brevi, semplici e indolori.

    Vista e percezione dell’elettricità

    A parte il tentativo di curare la sordità, la cecità e altre malattie, i primi elettricisti furono intensamente interessati a sapere se l’elettricità potesse essere percepita direttamente dai cinque sensi – un’altra domanda per la quale i moderni ingegneri non nutrono alcun interesse ed i medici ne trascurano la conoscenza, ma la cui risposta appare rilevante ad ogni persona che ancora oggi soffra di sensibilità elettrica.

    Poco più che ventenne, il futuro esploratore Alexander von Humboldt prestò il proprio corpo alla delucidazione di questo mistero. Fu molti anni prima che lasciasse l’Europa per il lungo viaggio che lo avrebbe spinto lungo il fiume Orinoco e sulla cima del Monte Chimborazo, raccogliendo piante nel corso del cammino, e facendo sistematiche osservazioni sulle stelle, la terra e culture dei popoli amazzonici. Sarebbe passato mezzo secolo prima che iniziasse a lavorare sul suo Kosmos di cinque volumi, un tentativo di unificare tutta la conoscenza scientifica esistente. Ma da giovane supervisore delle operazioni minerarie nel distretto di Bayreuth in Baviera, un quesito centrale occupava il suo tempo libero.

    L’elettricità è la vera forza della vita, ci si chiedeva? Questa domanda, che si sussurrava in Europa fin dai tempi di Isaac Newton, divenne improvvisamente insistente, e passò da un alto livello filosofico alle discussioni a cena, intorno alla tavola degli uomini comuni, i cui figli avrebbero dovuto convivere con la risposta scelta. In Italia era stata appena inventata la batteria elettrica, che produceva una corrente da contatto di metalli dissimili, era stata appena inventata. Le conseguenze furono immense: le macchine a frizione – ingombranti, costose, inaffidabili, soggette alle condizioni atmosferiche – potevano non essere più necessarie. I sistemi telegrafici, già progettati da pochi visionari, potevano ora diventare realtà. E le domande circa la natura del fluido elettrico intravedevano una risposta.

    All’inizio del 1970, Humboldt si lanciò in questa ricerca con entusiasmo. Desiderava, tra le altre cose, determinare se potesse percepire questa nuova forma di elettricità con i propri occhi, orecchie, naso e papille gustative. Altri conducevano esperimenti simili – Alessandro Volta in Italia, George Hunter e Richard Fowler in Inghilterra, Christoph Pfaff in Germania, Peter Abilgaard in Danimarca – ma nessuno più accuratamente e diligentemente di Humboldt.

    Consideriamo la odierna abitudine di maneggiare batterie da nove volt con le mani senza pensarci due volte. Consideriamo che milioni di noi cammina con argento e zinco, così come oro, rame e altri metalli nelle otturazioni in bocca. Consideriamo dunque, il seguente esperimento di Humboldt, che utilizzò un unico pezzo di zinco e uno d’argento per produrre una tensione elettrica di circa un volt: Un grosso cane da caccia, naturalmente pigro, lasciò con molta pazienza, che gli venisse applicato un pezzo di zinco contro il palato, e rimase perfettamente tranquillo mentre un altro pezzo di zinco veniva messo a contatto con il primo, e poi con la sua lingua. Ma appena toccava la lingua, mostrava la sua avversione, contraendo convulsamente il labbro superiore e leccandosi a lungo; sarebbe poi bastato mostrargli il pezzo di zinco perché ricordasse l’esperienza provata irrigidendosi.

    La facilità con cui l’elettricità può essere percepita e la varietà delle sensazioni sono oggi una rivelazione per la maggior parte dei medici. Quando Humboldt toccò con la parte superiore della lingua il pezzo di zinco e con la punta il pezzo d’argento, il sapore fu forte e amaro. Tolto il pezzo d’argento, la sua lingua bruciava. Spostando lo zinco più indietro e l’argento in avanti avvertì la lingua fredda. E quando lo zinco veniva spostato ancora più indietro, induceva nausea e talvolta vomito. Non sarebbe accaduto se i metalli non fossero stati due. Le sensazioni si verificavano sempre non appena i pezzi di zinco e argento venivano posti in contatto l’un l’altro.³

    Utilizzando la stessa batteria da un volt si suscitatava altrettanto facilmente una sensazione visiva, con quattro diversi metodi: applicando l’armatura d’argento su una palpebra inumidita e lo zinco sull’altra; o una in una narice e l’altra in un occhio; o una sulla lingua e l’altra sull’occhio; o ancora una sulla lingua e l’altra contro le gengive superiori. In ogni caso, nel momento in cui i due metalli erano messi a contatto, Humboldt percepiva un lampo di luce. Ripetendo l’esperimento più volte, i suoi occhi subirono un’infiammazione.

    In Italia, Volta, l’inventore della batteria elettrica, riuscì a generare una sensazione sonora, non con due metalli ma con trenta, connessi ad elettrodi in ciascun orecchio. Con i metalli che utilizzava originariamente nella sua pila, usando l’acqua come elettrolita, poteva ottenere una batteria da circa venti volt. Volta sentì solo un crepitio al medio orecchio, e non ripeté l’esperimento, temendo che lo shock al suo cervello potesse essere pericoloso.⁴ Spettò al medico tedesco Rudolf Brenner, settant’anni dopo, usando apparecchiature più raffinate e correnti più basse, dimostrare i reali effetti sul nervo uditivo, come vedremo nel capitolo 15.

    Accelerare e rallentare il cuore

    Tornato in Germania, Humboldt, armato degli stessi pezzi di zinco e argento, rivolse la sua attenzione al cuore. Insieme al fratello maggiore Wilhelm, e sotto la supervisione di noti fisiologi, Humboldt rimosse il cuore di una volpe e preparò una delle sue fibre nervose in modo che le armature potessero essere applicate su di esse senza toccare il cuore stesso. Ad ogni contatto con i metalli le pulsazioni del cuore palesemente cambiavano la loro velocità, ma soprattutto la loro forza e intensità sembravano aumentare.

    Successivamente i fratelli fecero esperimenti su rane, lucertole e rospi. Se il cuore dissezionato batteva 21 volte in un minuto, dopo essere stato galvanizzato saliva a 38-42 volte al minuto. Il cuore che aveva smesso di battere da cinque minuti ricominciava immediatamente al contatto con i due metalli.

    A Lipsia, insieme a un amico, Humboldt stimolò il cuore di una carpa che aveva quasi smesso di battere, pulsando solo una volta ogni quattro minuti. Il massaggio al cuore si rivelò inefficace, ma la galvanizzazione ripristinò la frequenza a 35 battiti al minuto. I due amici fecero battere il cuore per quasi un quarto d’ora, stimolandolo ripetutamente con un solo paio di metalli dissimili.

    In un’altra occasione, Humboldt riuscì persino a rianimare un fanello morente che giaceva sul dorso con i piedi in alto e gli occhi chiusi, insensibile alla puntura di uno spillo. Mi affrettai a mettere una piccola piastra di zinco nel becco e un piccolo pezzo d’argento nel suo retto, scrisse, e stabilii immediatamente una comunicazione tra i due metalli con una barra di ferro. Fu enorme il mio stupore quando al momento del contatto l’uccello aprì gli occhi, si alzò in piedi e batté le ali. Respirò di nuovo per sei o otto minuti, per morire poi serenamente.

    Nessuno ha dimostrato che una batteria da un volt potrebbe riavviare un cuore umano, ma decine di osservatori prima di Humboldt avevano riferito che l’elettricità aumentava la frequenza del polso umano, conoscenza oggi non più posseduta dai medici. I medici tedeschi Christian Gottlieb Kratzenstein⁶ e Carl Abraham Gerhard,⁷ il fisico tedesco Celestin Steiglehner,⁸ il fisico svizzero Jean Jallabert,⁹ i medici francesi François Boissier de Sauvages de la Croix,¹⁰ Pierre Mauduyt de la Varenne,¹¹ e Jean-Baptiste Bonnefoy,¹² il fisico francese Joseph Sigaud de la Fond,¹³ e i medici italiani Eusebio Sguario¹⁴ e Giovan Giuseppe Veratti¹⁵ furono solo alcuni degli osservatori che riferirono che utilizzando elettricità positiva il bagno elettrico aumentava la frequenza del polso da cinque a trenta battiti al minuto. L’elettricità negativa aveva l’effetto opposto. Nel 1785, il farmacista olandese Willem van Barneveld condusse 169 test su 43 pazienti – uomini, donne e bambini di età compresa tra 9 e 60 anni – riscontrando un aumento medio del cinque per cento della frequenza cardiaca quando la persona veniva bagnata con elettricità positiva, e una diminuzione del tre per cento della frequenza cardiaca quando ciò avveniva con elettricità negativa.¹⁶ A contatto con scintille positive, il polso aumentava invece del venti percento.

    Ma queste erano solo medie: non c’erano due individui che reagissero allo stesso modo all’elettricità. Il polso di un dato soggetto aumentava sempre da sessanta a novanta battiti al minuto; un altro raddoppiava ogni volta; in altri i polsi divennero molto più lenti; altri non reagirono affatto. Alcuni individui, secondo van Barneveld, reagirono in modo opposto alla media: la carica negativa accelerava sempre il loro polso, e viceversa.

    Istupidimento

    Osservazioni di questo tipo arrivavano rapidamente e in abbondanza, cosicché alla fine del diciottesimo secolo si era costituito un corpo di conoscenze di base sugli effetti del fluido elettrico – generalmente di tipo positivo – sul corpo umano. Incrementava sia la frequenza del polso, come abbiamo visto, sia la forza del battito. Aumentava tutte le secrezioni del corpo. L’elettricità causava salivazione e faceva scorrere le lacrime e il sudore. Causava secrezione di cerume e muco nasale. Poteva dar luogo a flusso di secrezioni gastriche, stimolare l’appetito. Generava eiezione di latte e flusso mestruale. Inoltre faceva urinare copiosamente le persone e muoveva le loro viscere.

    La maggior parte di queste azioni divennero utili nell’elettroterapia e continuarono ad esserlo fino all’inizio del ventesimo secolo. Altri effetti furono del tutto indesiderati. L’elettrificazione causava quasi sempre vertigini e talvolta una sorta di confusione mentale, o istupidimento, come lo chiamavano gli italiani.¹⁷ Generalmente produceva mal di testa, nausea, debolezza, affaticamento e palpitazioni cardiache. A volte causava mancanza di respiro, tosse o un respiro sibilante simile all’asma. Spesso causava dolori muscolari e articolari e talvolta depressione mentale. Sebbene l’elettricità di solito causasse movimento delle viscere, spesso con diarrea, l’elettrificazione ripetuta poteva indurre stitichezza.

    L’elettricità causava sia sonnolenza che insonnia.

    Humboldt sperimentò su se stesso, scoprendo che l’elettricità aumentava il flusso sanguigno dalle ferite e generava una copiosa fuoriuscita di siero dalle vesciche.¹⁸ Gerhard divise in due parti uguali una libbra di sangue appena prelevato disponendole l’una accanto all’altra. Notò che il sangue elettrizzato impiegava più tempo a coagularsi.¹⁹ Antoine Thillaye-Platel, farmacista dell’Hôtel-Dieu, famoso ospedale parigino, concordò circa l’affermazione che l’elettricità fosse controindicata in caso di emorragia.²⁰ Coerentemente a simili affermazioni vi sono numerose segnalazioni di epistassi da elettrificazione. Winkler e sua moglie, come già accennato, subirono fuoriuscite di sangue dal naso dovute allo shock causato loro da un barattolo di Leida. Nel 1790, il fisico e anatomista scozzese Alexander Monro, noto per aver scoperto la funzione del sistema linfatico, subiva emorragie nasali ogni qual volta cercava di suscitare la sensazione di luce nei suoi occhi con una batteria da un solo volt. Il dottor Monro fu così eccitato dal Galvanismo che sanguinò dal naso dopo aver inserito lo zinco molto delicatamente nelle fosse nasali, a contatto con un’armatura applicata alla propria lingua. L’emorragia avveniva sempre in simultanea con la comparsa di bagliori. Questo riportò Humboldt.²¹ All’inizio del 1800, Conrad Quensel, a Stoccolma, riferiva che il galvanismo era di frequente causa di emorragie nasali.²²

    Incisione di Abate Nollet, Ricerca sulle Cause Specifiche dei Fenomeni Elettrici, Parigi: Frères Guérin, 1753

    L’abate Nollet dimostrò che almeno uno di questi effetti – la traspirazione – era correlato semplicemente al trovarsi in un campo elettrico. Il contatto con la macchina a frizione non era necessario. Aveva elettrizzato gatti, piccioni, diversi tipi di uccelli canterini e per finire anche esseri umani. In esperimenti ripetuti attentamente controllati, accompagnati da tabelle di dati in stile moderno, aveva dimostrato una perdita di peso misurabile in tutti i suoi soggetti elettrificati, causata dall’incremento della traspirazione dalla pelle. Aveva persino elettrificato cinquecento mosche domestiche in un barattolo coperto di garza per quattro ore scoprendo che anch’esse perdevano il peso in eccesso nello stesso periodo di tempo: 4 grani in più rispetto alle proprie simili non elettrificate.

    Nollet ebbe poi l’idea di posizionare i suoi soggetti sul pavimento sotto la gabbia metallica elettrificata invece che dentro. Notò che perdevano comunque tanto peso, e persino un po’ di più rispetto a quando erano direttamente elettrizzati. Nollet aveva osservato un’accelerazione nella crescita delle piantine germogliate in vasi elettrificati; anche questo accadeva solo ponendo i vasi sul pavimento sottostante. Finalmente, scrisse Nollet, ho fatto sedere una persona per cinque ore su un tavolo adiacente alla gabbia di metallo elettrificata. La giovane donna perse peso per 4 dramme e mezzo in più rispetto a quando era stata elettrizzata direttamente.²³

    Nollet fu quindi la prima persona, nel 1753, a riferire di effetti biologici significativi da esposizione a un campo elettrico di corrente continua, il tipo di campo che secondo la odierna scienza ufficiale non genera alcun effetto. Il suo esperimento venne successivamente replicato usando un uccello da Steiglehner, professore di fisica all’Università di Ingolstadt, in Baviera, con identici risultati.²⁴

    La tabella 1 elenca gli effetti sull’uomo di una carica elettrica o di piccole correnti di elettricità a corrente continua segnalati dalla maggior parte dei primi elettricisti. Le persone elettricamente sensibili ne riconosceranno la maggior parte, se non tutti.

    Tabella 1 Effetti dell’Elettricità riportati nel XVIII Secolo

    3. La sensibilità elettrica

    Ho quasi completamente abbandonato gli esperimenti elettrici. L’autore di queste parole, riferendosi alla propria incapacità di tollerare l’elettricità, le scrisse non nell’era delle moderne correnti alternate e onde radio ma, a metà del XXVIII secolo, quando la sola elettricità conosciuta era quella statica. Il botanico francese Thomas-François Dalibard confidò le sue ragioni a Benjamin Franklin in una lettera datata febbraio 1762. In primo luogo, le numerose scosse elettriche hanno attaccato così fortemente il mio sistema nervoso che mi rimane un tremore convulso al braccio, tanto da non riuscire a portare un bicchiere alla bocca; e se ora toccassi una scintilla elettrica non sarei in grado per 24 ore di scrivere il mio nome. Un’altra cosa che noto è la quasi impossibilità a sigillare una lettera poiché l’elettricità statica della cera spagnola, irradiandosi al mio braccio, incrementa il tremore.

    Dalibard non era l’unico. Il libro di Benjamin Wilson del 1752, A Treatise on Electricity, contribuì a promuovere la popolarità dell’elettricità in Inghilterra, ma egli stesso non se la passava bene. Dopo aver ripetuto spesso quegli shock, in continuazione per diverse settimane, scrisse, alla fine mi indebolii così tanto che una quantità molto piccola di materia elettrica nella fiala mi avrebbe scosso in grande misura e avrebbe causato un dolore insolito. Fui costretto quindi a desistere dal tentare ancora. Anche sfregare un globo di vetro con la mano – la macchina elettrica di base dei suoi tempi – gli provocava un mal di testa estremamente violento.¹

    L’uomo che scrisse il primo libro in tedesco unicamente dedicato all’elettricità, Neu-Entdeckte Phænomena von Bewunderns-würdigen Würckungen der Natur (Fenomeni di recente scoperta sul meraviglioso funzionamento della natura, 1744), divenne a poco a poco paralizzato in un lato del corpo. Identificato quale primo martire elettrico, Johann Doppelmayer, professore di matematica a Norimberga, persistette tenacemente nelle sue ricerche e morì di ictus nel 1750 dopo un esperimento elettrico.²

    Queste furono solo tre delle prime vittime: tre scienziati che aiutarono a dar vita a una rivoluzione elettrica a cui essi stessi non poterono partecipare.

    Perfino Franklin sviluppò una malattia neurologica cronica che iniziò durante il periodo delle sue ricerche elettriche e che si ripresentava periodicamente, per il resto della sua vita. Sebbene soffrisse anche di gotta, l’altro problema lo preoccupava maggiormente. Scrisse il 15 marzo del 1753 di un dolore alla testa, dicendo: Vorrei fosse al piede, penso che lo sopporterei meglio. Ricomparve nel 1757 durante la maggior parte dei cinque mesi in cui era a Londra. Scrisse al suo medico di vertigini e giramenti nella sua testa, un ronzio e piccole e deboli luci scintillanti che disturbavano la sua vista. La frase freddo violento, che compare spesso nella sua corrispondenza, era solitamente accompagnata dalla menzione dello stesso dolore, vertigini e

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