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L'arte parola per parola
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E-book503 pagine5 ore

L'arte parola per parola

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L’arte parola per parola di Salvatore Fazia Da “a” come Accademia a “z” come Zero, Salvatore Fazia propone un suo personalissimo dizionario dell’arte, duecentocinquanta parole spiegate, raccontate, vissute e messe sulla carta con un’impaginazione che è immagine di una personalità eclettica e di una mente vivacemente indagatrice. Già la copertina è una promessa di originalità: lineare nell’uso dei caratteri e nel disegno stilizzato, tutto in bianco su fondo blu, viene completamente modificata dalla presenza di una macchia rossa, una pennellata, una fiammata, una meteora che sposta gli equilibri, che cambia completamente l’aspetto anche esteriore del libro. Il lettore che si avventurasse tra le pagine di quest’opera, non si aspetti dunque di trovare nomi di artisti famosi - se non di sfuggita in qualche citazione - o termini come “gotico”, “rinascimentale” o “impressionismo” indicanti stili artistici legati ad epoche storiche precise: quello di Fazia non è un dizionario enciclopedico sui contenuti dell’arte quanto sulla forma, sulle parole che si usano per parlarne, in particolare sui termini e le espressioni verbali che amano usare i critici. Così troviamo le parole più logiche come Artista, Colore, Innovazione, Stile ma anche voci inaspettate come Farmacia o Metabolismo, sempre spiegate e raccontate con vivace chiarezza, e una sottile componente ironica che alleggerisce la lettura di un testo che così non corre mai il rischio di divenire un esercizio di stile erudito quanto pesante. Tutt’altro, l’essenza del libro sembra invece essere la levità e la deviazione dalla norma, riassunta nella macchia rossa di copertina, così fuori canone da essere indubbiamente affascinante.
LinguaItaliano
Data di uscita17 set 2014
ISBN9788884496942
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    Anteprima del libro

    L'arte parola per parola - Salvatore Fazìa

    Zero

    Semina rerum

    «proinde colore cave contingas semina rerum, 

    ne tibi res redeant ad nilum funditus omnes»

    «guarda di non macchiare di colore i principi delle cose,

    che le cose stesse non ti vadano a finire totalmente in nulla»

    (Lucrezio)

    Indice

    Accademia - Achecosaserve - Anagramma 1 - Anagramma 2 - Analisi - Analogia - Anestesia - Anima - Antico - Antipatia 1 - Antipatia 2 - Appagamento - Archeologia - Arte - Artista - Artisticità - Art-naïf - Assoluto - Attuale - Attualità - Aura - Autonomia - Autore - Autoritratto - Azzeramento. 

    Beatitudine - Bellezza 1 - Bellezza 2 - Bello - Bene - Biografia - Bruttezza - Brutto.

    Campione - Cànone - Caos - Capire - Capolavoro - Caso - Catalogo - Categorie - Checosèlarte - Citazione - Classicismo - Classico - Codice - Colore - Commozione - Complessità - Comunicazione - Condensazione - Confusione - Consumo - Contenuto - Cornice - Cosa - Coscienza - Creatività - Creazione - Crisi - Critica - Critico - Cultura.

    Definizione 1 - Definizione 2 - Desiderio - Differenza - Dilettante - Dio - Dipingere - Disarmonia - Diva - Dizionario - Donna - Dovevalarte.

    Eccellenza - Economia - Effetto - Energia 1 - Energia 2 - Enigma - Espressione - Estetica - Evoluzione.

    Fantasia - Fantasma - Farmacia - Farmacologia - Fede - Figura - Fisica - Forma - Forme - Frammento - Fruizione - Funzione.

    Gara - Genere - Gestione - Gioco - Giovani - Giudizio - Giustezza - Giustizia - Gusto.

    Idea - Ideali - Idealismo - Illusione - Imitazione - Immaginazione - Immagine - Inconscio - Informazione - Innovazione 1 - Innovazione 2 - Insegnamento - Instabilità - Interferenza - Interpretazione - Inutile - Investimento - Invidia - Io - Ispirazione - Istituzione.

    Kitsch.

    Leggenda - Letteralità - Letteratura - Lettore - Lettura - Liberazione - Linguaggio - Ludus.

    Macchina - Machecosèlarte - Male - Marginalità - Materia - Meccanismo - Medialismo - Medialità - Mediazione - Mediocrazia - Medium - Memoria - Menzogna - Mercato - Messaggio - Metabolismo - Metafisica - Mezzi - Modello - Modernità - Moderno - Morale - Mortedellarte - Motivazione - Musa.

    Naïf - Natura - Nichilismo - Nihil - Norma - Nudodarte - Nulla.

    Oggetto - Oltranza - Omologazione - Operadarte - Operazione.

    Parlare - Parola - Pathos - Perfezione - Piacere - Pittura - Poeta - Poetica - Postmoderno - Presentazione - Processo - Produzione - Psicanalisi - Pubblico - Puntodivista.

    Qualità - Quantità.

    Rappresentazione - Realismo - Realtà - Rebus - Regola - Riflessione - Riforma - Rifrangenza - Rimosso - Ritmo.

    Scrittura - S-definizione 1 - S-definizione 2 - Segno - Sensazione - Senso - Sentimento - Shock - Significato - Simbolismo - Simbolo - Sistema - Sistemi - Soggettività - Soggetto - Soglia - Sogno - Spazio - Specifico - Spettacolo - Spiegazione - Spiritualismo - Spostamento - Statodanimo - Stile - Storia - Storiadellarte - Sublimazione - Sublime - Successo.

    Tecnologia - Tempo - Trascendenza - Trasfigurazione 1 - Trasfigurazione 2 - Trasformazione - Trash - Trasvalutazione - Travestimento.

    Utilità.

    Valore - Verità - Verso - Vetro - Visione - Vita - Vocazione.

    Zero.

    nota

    Il libro è a forma di dizionario, perché le voci scorrono in ordine alfabetico. Si tratta di parole che s’incontrano, ma non sempre, nei discorsi sull’arte. Sono un certo numero. Ma potrebbero essere di più. Ogni parola diventa una chiave d’ingresso. Ne risulta una piccola letteratura di quel che si può osservare dell’arte. Diventa il luogo di uno spettacolo. Naturalmente il tono è colto, ma fa intendere la fantasia orale di ognuno. Qua e là si ferma a discutere. Il testo, allora, apre anche alla rivisitazione di certe cose e certe pose dell’arte. È ricco di citazioni, perché vuole offrire delle credenziali. Talvolta fa qualche osservazione originale. Quando è poco, mette un po’ di sale. L’idea è di prendere l’arte dall’altra parte: si fa prima. Il libro ha la sua colonna visiva nella storia dell’arte. Ne utilizza la risonanza: ci vuole orecchio per l’arte. Van Gogh, quando ha voluto punirsi come artista, s’è tagliato un orecchio. D’altra parte le immagini della storia dell’arte risuonano delle pressioni arcane della vita. Anche il libro.

    Prefazione

    (Ben Vautier, 1968) 

    "Occorre togliere a una a una le parole dal linguaggio,

    togliere a una a una le cose dalla realtà" (Baudrillard)

    Pathos. Il libro non è un dizionario di estetica, ma un dizionario di critica, è questo spostamento, dall’estetica alla critica, che ne giustifica l’impostazione affabulatoria, la sua intonazione peripatetica, proprio in quanto è il pathos del critico quello a cui si gira attorno e il cui giro coinvolge il lettore, la sua soggezione di fronte all’opera. Il critico è uno che squadra in lungo e in largo l’opera d’arte, e ne patisce da una parte l’unilateralità tecnica dall’altra il senso dell’irradiazione profetica. L’uomo comune, appassionato o collezionista, non ne sa mai l’origine e, con l’origine, lo svolgimento e il finale di partita: le evoluzioni, quelle di dentro all’opera e quelle di fuori, e tra queste magari nemmeno le proprie. La critica diventa, allora, un’attività mista, dell’artista che pensa nell’opera, del critico che legge nel pensiero dell’artista, e del lettore che, sulle parole del critico e su quelle del proprio sovrappensiero, vaga in mezzo alle voci che si accavallano, allora che tutti ne parlano e le parole di tutti sono queste voci che corrono e si rincorrono, si avvicendano le une alle altre, mentre che l’occasione d’arte prende la forma oracolare di una riunione medianica e la registrazione verbale non è mai sicura.

    Ludus. Roland Barthes spiega che ‘parola’ viene da ‘parabola’ (latino ecclesiastico), e che parabola si inserisce tra ‘sinbolon’ e ‘diabolé’, ossia tra riconoscimento e calunnia, ritorno e separazione. Ora, in questo lavoro, non c’è nulla che vada indietro o ritorni, né tuttavia qualcosa di insolente e di calunnioso, se non certa diceria a volte irriverente e lunatica verso luoghi comuni finalmente insopportabili. Per cui la spiegazione di Barthes va bene, fa al caso nostro: queste parole non sono simboliche perché non hanno ideali, non sono diaboliche o nichiliste perché non hanno vendette da compiere, né trame nere da disfare. Sono ‘paraboliche’, in curva cioè di avvicinamento e di allontanamento, panoramiche o in fuga di varie ellissi e successive stereoscopie. Guardano qua e là, private e pubbliche, casomai realistiche o visionarie, tra cronaca e teatro. In effetti ognuna è il nome di un’azione che opera all’interno dell’opera, o nella scena che si apre quando se ne parla, per cui il suo significato diventa un racconto. Se le parole sono dieci, mettiamo, cento, duecento, vuol dire che le operazioni e i loro racconti, dentro o fuori dell’opera, sono dieci, cento, duecento. Riguardano quella che possiamo chiamare, non senza un azzardo illustre, la relatività dell’arte, il suo campo d’azione o il suo sistema di relazioni. L’idea a dizionario, l’ordine alfabetico, non ha nessuna ragione alta, ma quella bassa e semplice di dare un posto alle parole, renderne facile il luogo; più suggestiva, invece, l’idea di giocare come si faceva da ragazzi, al mare, quando, sedendo in circolo, uno diceva è arrivato un bastimento carico di... e indicava la prima lettera del carico che bisognava indovinare, la a, la b o la c, e un altro che per indovinare diceva la parola che cominciava con la a, la b o la c. Come se il nostro gioco fosse lo stesso:… e giù la prima parola, poi la seconda, la terza e così via, indicandone, per tutta risposta, il carico dei contenuti, dei significati, dei discorsi, aprendo la scena ogni volta a quello che accade nell’opera, interni e dintorni. La segreta emozione, anche, di sortire l’effetto di rendere in qualche modo presentabili, calcolabili, perfino elencabili, quelle che vorremmo chiamare, insinuando, le funzioni dell’arte, di poterne in qualche modo fermare e affermare la presenza, la realtà, la verità; controllarne e descriverne la produttività, il risultato d’importo, l’economia. Suggerendo, perfino, l’idea che sarebbe, allora, forse, possibile via-via costruire una carta delle funzioni, opera per opera, una mappa, artista per artista, epoca per epoca; una sorta di manuale con le istruzioni per l’uso. Intanto, però, che, in alto loco, sappiamo, prevale l’opinione, di più, l’assioma e il dogma, che l’arte non si può definire, troppo diverse le opere, troppo differenti gli artisti, instabili e incostanti gli stili, i sistemi, le epoche: come pensare alla stessa cosa, se le sue manifestazioni sono così tanto eterogenee? Mentre che in basso loco, magari in privato, in segreto, le cose si sanno, si pensano, e l’arte è la stessa cosa dovunque. Nell’idea della via più semplice come è quella delle parole che ne parlano, e che sono sempre le stesse, per cui, se ne parlano, qualcosa ne sanno, qualcosa ci dev’essere ch’è sempre la stessa. A noi restando di assumerne intanto l’idea, stando nel basso, in privato, pensandone i nomi come indicatori di senso e di scena, le parole di ciò che ci può essere sia dentro che fuori. Non restando infine che un compito, o la sua tentazione: aprirli questi nomi, sfogliarne le parole, andarci dentro, nell’ipotesi che la stessa tradizione, la tradizione storica dell’uso che se ne è sempre fatto, porti con sé quel tanto di senso che cerchiamo. Il metodo è semplice perché crede alle parole, d’altra parte non è stato detto che il linguaggio è la casa dell’essere? Conviene provare, e bussare.

    Secretum. Questo dizionario parla dell’arte in forma di cronaca, come ne registrasse l’infinita diceria che prende quando si è esposti alle viste mobili dell’opera. Non sarebbe perbene? Non è ministeriale per questo, non tende a nessuna ufficialità, ne rivendica anzi la privacy. Le stesse voci, che lo attraversano, sono e non sono istituzionali, e fanno la spola tra le rive segrete dell’io che anelano alla rivelazione e gli spalti dei palazzi del potere che ne sorvegliano i rischi dell’anarchìa. Lontane da ogni investitura ideologica, esse costituiscono il luogo libero del discorso, senza che per questo debbano essere fraintese come la letteratura di qualcuno che parla da solo, se non di quella solitudine - dal solo al solo - che dice Plotino, e prende quando si sosta tra il pensiero dell’arte e le sue rivelazioni. Del discorso privato esse premiano il segreto, il confuso nodo che vive ognuno che abbia una qualche relazione intima con l’arte e che sale a volte fino alla sua forma patetica di nodo alla gola. E tuttavia, il dizionario, che assume per questo il senso del diario, la sua forma commovente, come ogni scrigno chiuso, pretende di custodire un segreto ma anche le chiavi per aprirlo: che sono l’altro del segreto, dispersivo e nella forma poetica della critica. A S. Agostino, che gli ingiunge di salvarsi l’anima, Petrarca risponde che prima deve raccogliere le sue sparse membra, secondo la più ricca disseminazione delle parole in forma poetica.

    Accademia

    Mappa: etimologia della parola - lezioni di filosofia nel bosco - le tusculanae disputaziones e il luogo delle ombre - ne profittano gli umanisti, ma dal nome del bosco si passa al nome del gruppo - la deriva del nome verso l’evoluzione peggiorativa del suo aggettivo.

    Bosco sacro all’eroe Academo, dove insegnava Platone: «si chiamava propriamente Accademia, come si sa, quel boschetto dei dintorni di Atene in cui si riunivano Platone e i suoi discepoli; e Cicerone, per ricordo di esso, aveva chiamato così l’ombroso luogo delle sue meditazioni presso Tuscolo. Gli umanisti, fondandosi su questi ricordi, cominciano a servirsi del nome riferendosi a luoghi analoghi… Alla metà del secolo XV la parola, comincia a prendere il significato moderno di gruppo di persone che si riuniscono a scopo di studio a proposito delle adunanze di giovani che si tenevano intorno all’Argiropulo e più tardi per i dotti che si riunivano nella villa di Marsilio Ficino a Careggi: c’è ancora l’idea di ‘luogo suburbano’, ma ormai diventa predominante quella delle persone. Nel Cinquecento e nel Seicento, le innumerevoli accademie che sorgeranno un po’ dappertutto fisseranno definitivamente quest’ultimo significato… O, per citare un ultimo esempio, internazionale questa volta, la scarsa fiducia che gli uomini pratici hanno nelle discussioni fatte nelle accademie ha portato a un’evoluzione peggiorativa dell’aggettivo derivato, così che una discussione non pratica è detta ‘accademica’» (M.Cortelazzo-Paolo Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Vc. Accademia, p.7). La nota mette in allarme: da una parte il rischio di un qualche platonismo d’accatto, dall’altra l’altro di finire nelle mani nodose dei pratici - che non vedono l’ora, in tempi di mass media, di cultura dell’accesso e di web commnunication, di denunciare il difetto di visione intellettuale e di screditarne pensiero e linguaggio. Anche perché, se una volta erano gli ignoranti ad essere esclusi dalla cultura, oggi sono gli intellettuali ad esserne emarginati. E’ dunque, per non finire fuori dai fini e dai confini dell’attualità, che ci manteniamo alla sbarra della new-economy, intendendo con questo parlare d’arte passando, fin dall’inizio, dalla filosofia della forma all’economia della funzione, a questo scopo inventandoci una parola che ne chiude quattro e riapre subito i giochi, chiedendoci dell’arte: ma, achecosaserve?

    Achecosaserve

    Mappa: anomalia dell’arte - la comparazione arte/religione - la comparazione santo/artista in rapporto al dare e all’avere - l’assenza totale di pattualità e contrattualità nell’arte - l’idea di correggere la natura, e quella di creare per la gioia di creare che rende l’artista più divino del santo.

    Certo, l’economia, la politica, la cultura, la morale, la stessa religione, si fondano sull’interesse concreto ora della salute, ora della carriera, ora del successo: c’è dell’ego in tutto questo. E’ un problema la posizione in società, la quota individuale di partecipazione al mondo, di appartenenza all’ambiente. E’ tutto il giro del nostro modo di fare, tra essere e apparire, che incappa o meno nella fortuna, per cui perfino la più intensa vita religiosa contratta il proprio dare e il proprio avere, se la stessa santità non è fine a se stessa. Specie nella complicazione italiana, dato che l’italiano non ha etica civica, virtù repubblicana, e ha una psicologia da regno mistico, dove le transazioni con la legge, l’autorità, ogni principio superiore, si decidono nel segreto del confessionale: tanto di devozione / tanto di profitto, come al mercato dei cambi. Tranne che nell’arte, dove ogni ricompensa è un merito, e solo chi ne ha il sogno impara e ne sa ricevere le grazie della rivelazione, le protezioni dell’estetica e i doni stessi della catarsi. L’arte è un’altra cosa comparativamente alla virtù pattuale e contrattuale della santità, se mostra, a chiunque e un po’ sempre, la sua differenza metafisica, la sua diversità funzionale, la sua vocazione d’ascesi: anche la religione, come l’arte, vede che il mondo è negativo, ma mentre la religione dice che la colpa è dell’uomo, l’arte invece dice che il difetto è del mondo. Così, se il santo, mettiamo, mette a rischio il suo proprio umanesimo, l’artista ne fa invece la chiave della soluzione: prende l’oggetto di scena, qualcosa del mondo, un reale, il suo negativo e, una trasformazione dietro l’altra, lo disfa, lo corregge e lo rilancia. Aristotele: alcune cose che la natura non sa fare l’arte le fa, e poi: scopo dell’artista è creare per la gioia di creare: per questo l’artista è più divino del santo, Oscar Wilde.

    Anagramma 1

    Mappa: le forme letterarie - insolvenza e dissolvenza, apparenza e sparizione - logica del segreto istruttorio e psicologia del desiderio - poesie, romanzi e biografie - figure dell’allucinazione e forme del sogno - economia dell’espediente.

    Leopardi scrive A Silvia e fa il noto anagramma Silvia/salivi, si dà così la possibilità di ripetere l’immagine amata ma in forma segreta, come va poi facendo in tutto l’avvio del testo con l’espediente, ancora più coperto e raro, di disseminare la traccia impercettibile del suono t, sospetta microfonia del pronome tu. Ed ecco i versi: Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale, / quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi / e tu, lieta e pensosa, il limitare / di gioventù salivi?. L’esempio letterario mostra come funziona la forma dell’anagramma nella scena dell’opera, e quale ne può essere l’economia simbolica: in genere copre un segreto istruttorio, l’artista parla di qualcosa che non deve dare nell’occhio, indubbiamente per ragioni di censura. Il segreto qui affiora clandestinamente sotto la soglia del testo, perché la presenza immaginaria del personaggio femminile traspare riflessa dalla superficie del testo. L’espediente permette il contatto sensuale senza che questo prenda troppo la vista, un po’ come avviene nei sogni quando l’oggetto del desiderio viene travestito. Non sempre l’autore ha la volontà di svelare certi interessi: Luigi Meneghello scrive Libera nos a Malo e solo all’interno, nel finale (quando il coro dei fedeli nel padrenostro dovrebbe rispondere ‘a malo amen’ e risponde invece, in dialetto, amaluamen) spiega in forma di anagramma che Malo è luame, dove luame è merda, letame.

    Anagramma 2

    Mappa: reversibilità e turbolenza istruttoria - la nuova serie teologica, la trinità attuale: cosa/caso/caos - la serie anagrammatica asoc/osac/soac in forma di trash - il poema è il testo che dà per resto zero .

    L’anagramma è la forma rovesciata di una parola, nell’arte è la forma della cosa rovesciata nell’opera o viceversa. La sua figura agisce secondo un principio di reversibilità codice/simbolo che porta anche più turbolenza nell’ordine della forma. E’ l’arte moderna che libera poi questa esperienza e la sua tecnica, portando a rischio il linguaggio dell’opera e facendo dell’opera l’anagramma assoluto, sconfinato nel ‘caos’, confinato nel ‘caso’, rovesciando dentro una ‘cosa’ la forma dell’opera. Quante volte infatti oggigiorno l’opera assume e riassume l’estetica di una cosa, che, inanellando tutte le variabili del caso e secondo l’infinita turbolenza del caos, diventa per mimesi ora ‘asoc’ ora ‘soac’ ora ‘osac’, per dire la metamorfosi, e puntualmente portando l’opera in un’oltranza che ne annulli il riconoscimento. Non sempre l’anagramma, infatti, si dà la pena di trovarsi un senso nel proprio codice e un segno nel proprio simbolo, e anzi la sua peripezia più folle si lascia andare là dove i passaggi di forma/contenuto si neutralizzano a turno, liberandosi infine in uno stato di imponderabilità assoluta, prossima allo zero.

    Analisi

    Mappa: movimento dal basso verso l’alto - pratica moderna sconosciuta agli antichi, in opposizione alla riflessione dei romantici - il bosco come metafora e gli holzwege come figure dell’analisi - il bosco dell’arte e i sentieri interrotti - natura morta con tre musicisti.

    E’ l’arte moderna che introduce l’analisi nella scena dell’opera e la libera nei mezzi e nei fini. ‘Ana’ indica movimento dal basso in alto, ‘lisi’ viene da ‘lüo’ che vuol dire sciolgo, la parola è costruita su due pezzi greci (ana + lusiz). Segnala che si va dal basso verso l’alto, decostruendo la struttura da sotto, dipanando l’intrico. E’ così che, quando si fa un’analisi, si sale per entrare o si va dentro per uscirne: la sensazione è poi di portar fuori qualcosa verso l’alto, verso la luce. Da questo punto di vista, e in posizione di arrivo, stando in alto, si sviluppa poi la sensazione contraria, che è quella di essere scesi, oppure, dato che analizzando si va dentro, quella di aver vissuto l’analisi come un movimento equivalente al penetrare. Assomiglia, allora, ma non è vero, alla ri-flessione dei romantici, che è, questa sì, un movimento, come dice la parola, piegato più volte, ripetuto verso il dentro e il sotto. L’analisi invece è diversa per due ragioni: a) è oggettiva, il suo contenuto è un oggetto; b) è strumentale, la sua pratica è una tecnica. Così anche quando l’oggetto in campo diventa un oggetto interno, nell’inconscio o nella psiche, invece di chiamarsi riflessione si chiama analisi, psicanalisi appunto. Ha ragione Fornari quando osserva che «Freud, riferendosi all’inconscio, afferma che esiste nell’uomo un sapere del quale l’uomo non sa nulla e postula che questo sapere nascosto influenzi il nostro sapere palese a sua insaputa». Per dire che sempre l’analisi è portata su qualcosa che si nasconde, sempre che, ciò che si nasconde, operi su ciò che sta fuori e all’aperto, come nel bosco gli ‘holzwege’, i sentieri interrotti, che segnano il bosco e interrompendosi sviano. Confondono il cammino, imbrogliano l’uscita. «Holz è un’antica parola per dire bosco. Nel bosco (holz) ci sono sentieri (wege) che, sovente ricoperti di erbe, si interrompono improvvisamente nel fitto. Si chiamano ‘holzwege’. Ognuno di essi procede per suo conto, ma nel medesimo bosco. L’uno sembra sovente l’altro: ma sembra soltanto. Legnaioli e guardiaboschi li conoscono bene. Essi sanno che cosa significa trovarsi su un sentiero che, interrompendosi, svia (auf einem holzwege zu sein)» (Heidegger). Nell’analisi il bosco è l’intrico, la scena del bosco con i sentieri che sviano, così com’è nella scena dell’arte: c’è un caso nell’arte che fa anche sorridere, e lo ricorda Picasso: «Pochi giorni fa Gertrude Stein mi dichiarava tutta contenta di aver finalmente capito cosa rappresenta un mio quadro: sono, diceva, tre musicisti. E’, invece, una natura morta». Succederà la stessa cosa a Gertrude Stein, al suo ritratto: siccome nessuno trovava in quella maschera una qualche somiglianza con lei, Picasso se la cava, asserendo: «Ma cosa importa poi? Un giorno o l’altro gli somiglierà». Nell’arte, come nel bosco, i sentieri spesso sono interrotti, e, se chi se ne occupa non è del mestiere, né legnaiuolo né guardiaboschi, l’impresa fallisce. Picasso poi se la prende con chi di fronte all’arte moderna vuole sempre capire; lui non lo sa, ma si pone il problema del perché della critica, la sua modernità, la cura dell’analisi, quando osserva: «Tutti vogliono capire la pittura. Perché non cercano di capire il canto degli uccelli? Perché amiamo una notte, un fiore, tutto quanto circonda l’uomo senza cercare di capire?». La risposta è: perché la notte, il fiore, tutto quanto ci circonda è evidente e naturale, mentre l’arte, specie quella moderna, è enigmatica e artificiale, e influenza a sua insaputa il nostro sapere. Capire è contro il disagio di un sapere nascosto che influenza il nostro sapere palese, e l’arte è un sapere nascosto.

    Analogia

    Mappa: la doppia omologazione dell’oggetto e del soggetto - codice e complessità degli investimenti di presa - medialità e pressione simbolica - dalla qualità alla quantità - equivalenze, forme e misure della vita.

    a) E’ il principio di analogia che fa la spola tra l’opera e la vita, ne mostra l’eguaglianza, per cui l’arte è vita, e, più recentemente, addirittura, la vita è arte; è l’analogia che permette il calcolo economico della differenza tra risultato e investimento, e stabilisce pure un certo regime di equivalenze tra le due serie, fondando il principio di legittimità di ogni atto simbolico sulla tecnica della partita doppia, arte-vita e viceversa. Equivalenze di forme e di contenuti, ed è con l’arte che poi la vita diventa un inventario di valori nuovi e diversi, valori-altri: pose che sembrano cose e viceversa. Un contenuto è come un oggetto, ma la sua forma è già la posa che lo copia più l’investimento di un io che se ne affeziona, lo desidera, o lo teme. L’analogia non è mai neutrale, operando ora di selezione ora di rimozione, ora di regressione ora di sublimazione, ne regola di volta in volta il volume del significato. E’ l’opera d’arte che è analogica sia quando porta in scena ciò che va ricordato e rimesso in campo, sia quando poi lo protesta e lo riforma. E’ la partita doppia: una parola è una cosa psichica (Mate Blanco). b) Non è la partita doppia. Per esempio, quando l’azione intercetta e moltiplica la cosalità in corso, liberandola, per analogia con la virtualità leggendaria dell’opera d’arte: l’artista prende un pezzo di caos e lo incornicia (Deleuze), o anche quando è dentro il caos dell’informalità della cosa, perché solo fondandosi su ciò che non è forma che la forma è tale (Pasolini). La soggettività ha modo di scaricarsi così dell’eccesso della materialità vagante; grazie a una funzione attivata tutta sui media, e a vantaggio del soggetto di massa che ormai chiede solo due cose all’arte: di essere a portata di mano, e di liberarsi del proprio peso specifico. Come potrebbe avere l’efficacia che ha, se l’arte si ponesse solo i suoi propri problemi, quelli della forma, e non si ponesse, come fa, i problemi contrari: «è la conversione empirista: noi abbiamo perso il mondo, e questo è peggio dell’aver perso una fidanzata, un figlio o un dio. Sì il problema è cambiato» (Deleuze). c) Come quest’altra analogia, tutta di processo, prassi e simulazioni che si scambiano, si trascodificano: é Nietzsche, il più attualista dei filosofi, che porta la filosofia fuori dal problema della forma; la stessa filosofia con Nietzsche è divenuta anagogica, pratica e immediata, passando dal sapere dell’essere all’essere del sapere, al suo divenire. Che cos’è l’aforisma se non un prelievo, immerso nella quantità. Così, sul calco dei tempi, il pensiero trova la sua possibilità anche tecnica di una qualche contabilità, un tanto di pensiero/un quanto di vita. Già Hegel aveva avvertito: perfino l’assoluto è un quanto! E da una fenomenologia all’altra, da Hegel a Nietzsche, si realizza alla fine il passaggio dalla qualità alla quantità. I pensieri, tagli e ritagli, si danno allora in forma di misure, di valori, di conti. Un inventario: cartellino e numero, uno per uno, come fa Nietzsche che titola e conta i suoi aforismi, li numera, in un’azione di libri e di propaganda per la vita, una campagna dopo l’altra, un libro dietro l’altro. La filosofia era difficile, inagibile, con Nietzsche si fa trovare in loco: questo, quest’altro, quest’altro ancora, eccetera. Una strada presto interrotta, se lo stesso Wittgenstein, perdendo il filo dell’analogia, ha rimesso ancora tutto insieme, qualità e quantità, cercando, chissà dove, la correttezza di ciò che si può dire e di ciò che non si può dire, tra quanto è sulla punta della lingua e quanto muove il nodo in gola. A meno che non si dica che non la filosofia o l’arte, ma le scienze sociali, l’antropologia, la sociologia, la psicologia, sono le vere forme dell’eguaglianza attuale, la loro spianata contabilità.

    Anestesia

    Mappa: riparabilità simbolica del reale e estetica della scena visionaria - la questione dell’oltranza artistica - estetica dell’anestesia e estetica della sinestesia - pronto intervento, filodiffusione e rischio dell’imponderabilità dell’arte.

    Se l’estasi (ecstasis) è la condizione per cui il soggetto esce (ex) dalla posizione bloccata nel reale (stasi), allora l’estasi è lo stato nel quale il soggetto, portato fuori dal reale ostile (il male, il suo dominio), lo vive come in anestesia, in uno stato speciale che è reso possibile grazie ad una forte iniezione di estetica, tale da creare l’uscita dei sensi. L’oltranza dell’arte, l’uscita dai sensi del reale, l’ingresso in altri, sta in questo e si realizza così: l’artista prende un campione di realtà e lo sottopone all’operazione dell’arte, isolando l’oggetto che artisticamente operato perde la sua vitalità, il suo realismo attivo, la sua carica di cosa, e prende, invece, un’altra aria: quell’aura che a tutt’oggi sull’oggetto d’arte sale e sogna, e, sognando, ne traveste, sposta e condensa la vista in una scena al limite dei sensi e alla deriva, dove uno si perde e comincia a fantasticare. E’ la virtù dell’arte, la sua stessa impressione di virtualità, che consiste nel produrre due noti benefici sullo stato d’animo: portare fuori dal reale; portare tutto in un’altra visione. La sola anestesia non basta, ecco allora l’iniezione, l’input di quell’estetizzazione emotiva e visionaria che non solo neutralizza il realismo del contenuto, il suo negativo, ma lo doppia in una trasfigurata estetizzazione di altre e più diffuse sensazioni, percezioni, immaginarie associazioni, ricche e ardenti, più misteriose. Anche se, recentemente, avendo a che fare con un’emergenza di situazioni statisticamente incontrollabili, l’arte ha forse dovuto inventarsi anche un ruolo di pronto intervento sul corpo reale delle cose, per darne una denuncia allarmata e per mostrarne la riparabilità fisica e simbolica. E’ il modo più recente dell’arte di darsi al rischio di tutte le prove, e, forse, lentamente, di esaurirsi in tutta la sua leggendaria portata ricreativa e simbolica; un rischio che consuma quello che è stato nel passato il mistero dell’arte, la sua impressione divina. Chi avesse visto finora l’intero campo delle sue applicazioni e il gioco delle sue più recenti invenzioni, comincia a temerne il pericolo dell’imponderabile. E’ a questo punto che l’arte potrebbe non incantare più, non più stupire, ripiegando piuttosto tra invenzione e spettacolo, limitandosi, come fa, a dare emergenza a talune circostanze di un’estetica piccola. L’arte ha già forse perduto la sua virtù nascosta, la sua vaga teologia d’al di là.

    Anima

    Mappa: dentro il linguaggio, fuori del linguaggio - l’ah! e oh! di Hegel - il nihil caldo e freddo dell’attualità - il surriscaldamento caotico - la domanda di Jean Baudrillard: è ancora possibile la trasparenza?

    Per gli antichi non era nel linguaggio, ma fuori: aria o aura, ispirazione o pneuma. Per i moderni è nel linguaggio, una o più emergenze, nella fenomenologia delle figure della coscienza, il loro doppio tra significante e significato, un prodotto della sua performance, l’espressività, un effetto speciale, poiché lo spirito è artista (Hegel). Nella tecnologia dell’arte, in una sua teologia dei valori, è come l’effetto a boomerang di un movimento che ritorna e riparte, che va e viene, che è dentro e fuori, ma fuori di essa è una sembianza della natura, che lasciandosi vedere, meraviglia e provoca un’emissione di stupore, come fa Hegel in questa suggestiva presentazione dell’anima che è già una sua imitazione estroversa, giocosa e lirica: «Già al di fuori dell’arte, il suono come interiezione, come grido di dolore, come sospiro, come riso è l’espressione immediata più viva degli stati d’animo e dei sentimenti, l’ah! e oh! dell’animo. In ciò sta un’autoproduzione e un’oggettività dell’anima in quanto anima, un’espressione che sta nel mezzo tra l’immersione cosciente e il ritorno in sè a determinati pensieri interiori, e un produrre che non è pratico, ma teoretico, come anche l’uccello nel suo canto ha questo piacere e questa produzione di se stesso». Hegel non ne immaginava tutta la filodiffusione successiva, la sua moltiplicazione tecnica e multimediale, la sua stereofonia non da uccello. Non ne vedeva la metastasi attuale, e la ‘disgregatezza’ di cui già parlava non arrivava a tanto. Oggi l’anima è questa furia caotica delle cose e delle pose che imperversa ventiquattrore su ventiquattro sullo schermo stesso della giornata, la sua irreversibile violenza di autoannientamento, e non c’è nulla di più fatale ormai dietro e dentro a questa sua figura di sistema finale a forma di nihil, attrattore strano dei tempi, col

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