Antibiotici naturali: Alternative efficaci per combattere le infezioni batteriche resistenti ai farmaci.
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Recensioni su Antibiotici naturali
17 valutazioni2 recensioni
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5This is a very high level book of herbalism. Good stuff but not for the beginner.
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Excellent book that examines the over-use of antibiotics not only in healthcare but also in agriculture and how both of these abuses have created drug-resistant bacteria. He also gives an assessment of what pharmaceutical companies are doing to combat drug-resistant bacteria (here's a hint: precious little), and the flawed, reductionist approach that drug companies and conventional medicine take in relation to dealing with pathogens, and that's just the first 36 pages. From there, Mr. Buhner examines several categories of herbs and their role in fighting these drug resistant microbes, providing formulas for specific bacterial infections and monographs for the main herbs used in the book that gives a detailed profile of the compounds they contain, history of their use, how they are most effectively used and prepared and much more. There is also an extensive section on how to make herbal medicines and a formulary for various compound herbal preparations. This book is a must read if you want to be prepared for infections that standard medical practice cannot cure. All of Mr. Buhner's books are thoughtful, extremely well researched and take a sane, and often humorous, approach to health and the planet we are a part of.
Anteprima del libro
Antibiotici naturali - Stephen Harrod Buhner
utile.
1
La fine degli antibiotici?
Gli ospedali hanno un odore molto particolare, un misto di malattia, disinfettante, paura e speranza. Pochi fra quelli che sono stati in un ospedale possono dimenticare quell’odore e le sensazioni che si provano in quei momenti. Sotto le tracce lasciate dagli odori e dalle emozioni, però, c’è una certezza: che in quel luogo, nell’ospedale, c’è un esercito di uomini e di donne al lavoro pronti a combattere per la nostra vita, a impegnarsi per trattenerci al di qua dell’abisso della morte. Ci hanno insegnato (e noi lo abbiamo imparato e lo sappiamo tutti) che questo esercito vincerà la guerra contro le malattie e che gli antibiotici hanno sancito la fine della maggior parte delle affezioni batteriche. È un pensiero confortante. Purtroppo, si tratta di una convinzione cosa che non potrebbe essere più lontana dal vero.
Come ci racconta Sharon Begley, di Newsweek
, verso la fine del 1993 la dottoressa Cynthia Gilbert, specialista in malattie infettive, entrò nella stanza di un malato cronico di reni; aveva la maschera che da secoli i medici indossano per comunicare ai pazienti le condanne.
L’uomo non si fece ingannare, capì al volo e disse: Lei viene a dirmi che sto per morire
.
La dottoressa rimase un attimo in silenzio, poi ammise laconicamente: Non possiamo fare più niente
.
Rimasero entrambi in silenzio: l’uno a meditare sull’imminente fine della sua vita; l’altra sul fallimento dei suoi sforzi e sul senso di sconfitta che ne seguiva.
Con un sospiro profondo e un leggero tremolio nella voce, la dottoressa Gilbert disse: Mi dispiace
.
Il paziente non disse nulla; non c’erano parole per quello che vedeva davanti a sé. La dottoressa annuì più volte, come per recuperare il proprio equilibrio; poi si girò e se ne andò da dove era venuta, attraverso la lunga sala che odorava di malattia, di disinfettante, di paura, di speranza e di domande alle quali non c’era risposta.
Il suo paziente sarebbe morto a causa di un’affezione che solo fino a pochi anni prima era facilmente curabile: un’infezione batterica da enterococco. Ora, invece, questo particolare batterio era divenuto resistente agli antibiotici. Per nove mesi lei aveva provato ogni possibile antibiotico del suo repertorio. Il paziente, indebolito dalla malattia, non era stato in grado di vincere i batteri, divenuti inattaccabili dai farmaci. Alcuni giorni dopo l’episodio, l’uomo morì in seguito a una vasta infezione del sistema cardiovascolare.
Questo quadro, inconcepibile fino agli anni Ottanta, sta divenendo sempre più comune. Ogni anno circa tre milioni di persone vengono ricoverate in ospedale per infezioni resistenti difficili da trattare e altri due milioni (circa il cinque percento dei pazienti ospedalizzati) si infettano a causa di semplici procedure di cura. Un numero sempre maggiore di pazienti finisce per soccombere alle malattie, mentre la virulenza e la resistenza dei batteri aumenta. Infatti, come osserva Marc Lappé, patologo dell’Istituto di Medicina dell’Università dell’Illinois: Secondo stime prudenti, questo tipo di infezioni è responsabile di almeno centomila decessi l’anno e il tasso di mortalità è in ascesa
. Il tasso di mortalità è in ascesa, perché sta crescendo il numero dei contagi causati da batteri resistenti, soprattutto nei luoghi in cui gli ammalati (giovani, vecchi, poveri) vivono a stretto contatto, come i ricoveri per persone senza casa, gli ospedali, le prigioni, i centri di assistenza infantile e certe zone urbane. Una delle vittime più note di questo tipo di situazioni è certamente Jim Henson, il padre di Kermit, la famosa rana dei Muppet, morto nel 1990.¹
Di fronte alla massiccia proliferazione di batteri resistenti, il dottor Stuart Levy, un’autorità mondiale in questo campo, dichiara: Questa situazione apre l’incredibile scenario di un’era in cui gli antibiotici, come strumenti terapeutici, saranno solo un elemento di interesse storico
. Marc Lappé è ancora più drastico: Il periodo che una volta, eufemisticamente, veniva chiamato ‘l’Era dei farmaci miracolosi’ è finito
. L’umanità, ora, deve affrontare la minaccia di epidemie molto più potenti e difficili da trattare di quelle conosciute in passato.
Molte persone cominciano a chiedersi come tutto ciò sia potuto accadere; solo alcuni anni fa, infatti, lo scenario si presentava radicalmente diverso.
Alla fine degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, il mio prozio Leroy Burney, all’epoca Chirurgo Generale degli Stati Uniti e mio nonno David Cox, presidente dell’Associazione medica del Kentucky, d’accordo con molti altri medici dei Paesi industrializzati, affermavano che era finalmente cominciata l’era degli antibiotici e con essa la fine di tutte le malattie infettive.
Emblematica, in questo senso, è l’affermazione fatta nel 1962 dal medico australiano Sir F. Macfarlane Burnet, premio Nobel, il quale osservò che verso la fine del ventesimo secolo avremmo considerato l’eliminazione delle malattie infettive come un fattore significativo della vita sociale
. Realizzare ulteriori studi e pubblicazioni sull’argomento
, affermò ancora Burnet, è quasi come scrivere su qualcosa che è già entrato nella storia
. Sette anni più tardi, William Stewart, uno dei successori del mio prozio, a sua volta Chirurgo Generale degli Stati Uniti, affermò davanti al Congresso che era finalmente arrivato il tempo di chiudere il libro delle malattie infettive
. Nessuno di questi uomini poteva essere più lontano dal vero.
Con l’uso sfrenato degli antibiotici abbiamo rivoluzionato l’evoluzione del mondo microbiologico, allontanando ogni speranza di poterlo gestire in modo sicuro…
La resistenza agli antibiotici ha dato vita a così tanti nuovi tipi di batteri, che il solo risultato ottenuto è stato quello di riuscire a sconvolgere l’equilibrio della Natura.
— MARC LAPPÉ, PH.D.,
AUTORE DI WHEN ANTIBIOTICS FAIL
La fine dei farmaci miracolosi
Sebbene sia stata scoperta nel 1928, la penicillina è stata messa in commercio solo durante la Seconda guerra mondiale e soltanto nel dopoguerra è diventata di uso comune. A quei tempi l’entusiasmo era alle stelle; sembrava che la scienza potesse tutto. Ogni giorno venivano scoperti nuovi antibiotici; il campionario medico sembrava inesauribile. Nell’euforia del momento, nessuno prestò attenzione alle poche voci che sollevavano dubbi. Curiosamente, tra queste c’era proprio quella di Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina. Già nel 1929, nel British Journal of Experimental Pathology
, egli aveva fatto notare come numerosi batteri fossero divenuti resistenti alla sostanza medicinale da lui scoperta e nel 1945, in un’intervista rilasciata al New York Times
, mise in guardia contro un uso improprio della penicillina, che avrebbe portato allo sviluppo di batteri resistenti. Le affermazioni di Fleming erano, semplicemente, troppo vere. Al tempo dell’intervista solo il 14% dei batteri di Staphylococcus aureus erano resistenti alla penicillina. Nel 1950 già il 59% di essi era divenuto resistente e nel 1995 quella cifra era balzata al 95%. Inizialmente diffusi solo fra i pazienti degli ospedali (primo terreno di coltura del batterio), ceppi resistenti del batterio sono ormai comuni in tutta la popolazione mondiale. Anche se molti fattori sono in grado di influenzare la crescita dei batteri resistenti, i più importanti tra questi sono quelli ecologici.
Durante la sua intera storia su questo pianeta, la specie umana ha vissuto in una condizione di equilibrio ecologico con molte altre forme di vita, tra cui i batteri stessi. Le epidemie sono scoppiate solo di tanto in tanto fra la popolazione umana, generalmente come conseguenza di particolari situazioni di sovrappopolazione o di pessime condizioni igieniche. Tuttavia, queste epidemie, come la terribile peste bubbonica che decimò le popolazioni d’Europa, sono state, tutto sommato, abbastanza rare.
Alla fine del Secondo conflitto mondiale, con l’avvento degli antibiotici, questo rapporto è stato alterato in modo significativo. Per la prima volta nella storia umana, il mondo dei microbi è stato energicamente aggredito su larga scala. Nell’esaltante euforia della scoperta, l’antica hybris dell’uomo ha rialzato la testa e la scienza ha dichiarato guerra ai batteri. Come tutte le guerre, anche questa promette migliaia, se non milioni, di vittime civili estranee al conflitto.
Poteva anche bastarci la nostra avversione, così violenta, verso ogni aspetto del mondo animato. Sulla base degli errori commessi nei confronti degli animali superiori, avremmo dovuto acquisire una saggezza evolutiva tale da essere in grado di prevedere certe conseguenze.
— MARC LAPPÉ, PH.D.
Evoluzione dell’impiego degli antibiotici
Anche se questo non è molto noto, per curare le malattie i nostri antenati utilizzavano sia la penicillina sia la tetraciclina allo stato naturale, sotto forma di muffe del pane o di funghi del suolo, applicandole direttamente sulle ferite oppure ingerendole. Come ci rivela il dottor Stuart Levy nel suo volume The Antibiotic Paradox, significative quantità di tetraciclina sono state ritrovate nelle mummie nubiane risalenti a qualche migliaio di anni fa. Anche se molti degli antibiotici che noi usiamo provengono da organismi esistenti in natura, essi vengono però raffinati fino a essere ridotti a un’unica sostanza, una pallottola d’argento
, che invece non esiste affatto in natura; e le quantità prodotte sono assolutamente immense.
Nel dicembre del 1942, quando ci fu il famoso incendio del ristorante Coconut Grove,² venne usata quasi tutta la scorta disponibile di penicillina (pari a circa 32 litri), per curare i sopravvissuti.
Nel 1949 venivano prodotte già oltre settanta tonnellate di penicillina ogni anno e si cominciò a produrre la streptomicina. Nel 1992, solo negli Stati Uniti, si era arrivati all’incredibile quantità di diciottomila centoquarantaquattro tonnellate di antibiotici prodotti in un anno. Questi nuovi prodotti sono per la maggior parte sintetici e non esistono in natura. Stuart Levy afferma: Questo tipo di antibiotici rimane attivo nell’ambiente, a meno che non venga distrutto dalle alte temperature o da altri fattori fisici, come i raggi ultravioletti, ad esempio; essi continuano a uccidere i batteri sensibili con cui entrano in contatto
. Per dirla in modo più semplice, stiamo introducendo nell’ambiente quantità sempre maggiori di sostanze antibatteriche, senza preoccuparci delle conseguenze. Pochi si rendono conto dell’enorme quantità di antibiotici usati ogni anno e pochissimi si preoccupano delle conseguenze che ciò avrà sull’ambiente (e non solo sull’uomo). Per esempio, i funghi del suolo, nel produrre tetraciclina per proteggersi dall’aggressione dei batteri esercitano un ruolo importante per la salute del terreno. Il fatto che numerosi batteri siano diventati resistenti alla tetraciclina è un fattore di allarme per il loro potenziale impatto sulla nostra salute. Ma chi si preoccupa della salute dei funghi del suolo, da cui deriva la tetraciclina? E che dire delle muffe che producono penicillina per proteggersi dai batteri aggressivi? E ancora, che dire di tutti gli altri membri del nostro ecosistema, che ci hanno insegnato a produrre gli antibiotici che usiamo? Che ne è di loro? Quanto è compromessa la salute del nostro intero ecosistema, se l’equilibrio tra i batteri da una parte e gli altri organismi dall’altra viene sbilanciato?
Molti scienziati cominciano a comprendere che qualsiasi tentativo di distruggere tutti gli organismi patogeni che abitano questo pianeta con noi è condannato all’insuccesso già in partenza. C’è una ragione per ogni cosa all’interno dell’ecosistema. Come osserva Marc Lappé, nella corsa alla distruzione delle malattie in campo farmaceutico ha preso piede un assurdo gioco moralistico: ci siamo trasformati in soldati che combattono contro gli implacabili nemici microscopici assieme ai quali di fatto ci siamo evoluti. Solo recentemente alcuni scienziati hanno indicato come la sopravvivenza dei batteri costituisca il fondamento della nostra stessa sopravvivenza
. Non possiamo scegliere quali batteri cotrastare ed eliminare. Ognuno di essi è una parte inestricabile di un ecosistema in perfetto equilibrio.
Continua Lappé: La lezione che deriva tanto dall’esperienza dell’agricoltura quanto da quella della medicina è chiarissima nella sua coerenza: gli aspetti evolutivi dei sistemi biologici possono essere ignorati solo a rischio e pericolo di una catastrofe ecologica
. Stuart Levy concorda: L’uso degli antibiotici ha stimolato mutazioni evolutive senza precedenti nella storia delle ricerche biologiche
.
I batteri, che procedevano a passo regolare lungo il cammino dell’evoluzione assieme al resto delle creature viventi, ora stanno subendo mutazioni a un ritmo sempre più elevato ed evolvono in modi che prima gli scienziati non avrebbero creduto possibili. Infatti stanno sviluppando resistenza a un’incredibile quantità di sostanze antibiotiche che noi introduciamo nell’ecosistema e lo fanno con modalità che rivelano la loro elevata intelligenza e adattabilità.
Come i batteri sviluppano la loro resistenza
Noi nasciamo incontaminati; alla nascita, infatti, non ci sono batteri sul nostro corpo né all’interno di esso. Subito