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Il profumo di un caffè
Il profumo di un caffè
Il profumo di un caffè
E-book68 pagine1 ora

Il profumo di un caffè

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Info su questo ebook

Una silloge da leggersi in relax, anima aperta e mente limpida. Preferibilmente con una bevanda calda tra le mani il cui aroma si fonda e si confonda con quello delle cinque persone che in altrettante storie raccontano i momenti decisivi delle loro vite.
Si comincia con un caffè lungo bollente in tazza grande: Sveva intraprendente e ribelle fotografa free lance è alla vigilia delle nozze ma è davvero lui l’amore della sua vita? Si possono amare due persone contemporaneamente, seppure in modo diverso?
Caffè fatto con la moka e un cubetto di cioccolato al latte: Mya laureata in Lettere Antiche lavora come segretaria e dopo un appuntamento con un ex compagno di scuola decide di…
Caffè amaro: Vivian sta affrontando la sua ultima battaglia nel reparto di oncologia, accanto a lei il marito che non si rassegna a perderla.
Caffè espresso all’italiana: Gilberto narra la sua esperienza personale e apre il suo cuore a un paziente per dimostrargli che mai bisogna temere la nostra natura.
Caffè al ginseng con due zollette di zucchero: Dalia in una lettera a un’amica parla di come diventando anziani si acquisti autorevolezza e credibilità agli occhi degli altri, ma viene anche il momento in cui occorre prendere una decisione drastica.
Il profumo di un caffè è una alchemica raccolta di narrazioni eterogenee in cui i veri protagonisti sono quelle epifanie che ti cambiano la vita, perché dopotutto le decisioni più folli si prendono d’istinto, in un minuto, giusto il tempo di un caffè.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2019
ISBN9788832924282
Il profumo di un caffè

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    Anteprima del libro

    Il profumo di un caffè - Giaele Lovato

    viverlo.

    Sveva

    Quel filo bianco per cucire il futuro

    Mi chiamo Sveva, ho trentaquattro anni e domani mi sposo.

    Scrivo questo mio pensiero in un vecchio, anonimo e sgualcito block-notes, perché il bisogno di mettere nero su bianco la mia scelta non merita certo uno di quei ricercati pezzi di carta da centosettanta grammi color avorio.

    Questa sera sto cercando di fermare il tempo, o almeno ci spero, anche se l’orologio della sala ha quel ticchettio sempre costante che mi riporta alla realtà; nel suo suono fermo e metallico lo sento bisbigliare eh no cara, io non mi fermo. Mai.

    Sono nella casa dei miei genitori, è l’una del mattino, e in questo silenzio avvolgente che solo la campagna può donare mi sento la testa ridondante di pensieri che urlano e gridano per farsi sentire sempre di più, per entrare nella mia coscienza che non li vuole né sentire e né ascoltare.

    Penso a Lui più che mai. Alla mia scelta, al giorno in cui ho detto sì, facciamolo, alle nostre uscite, le chiacchiere, i racconti, i momenti di vita. No, non sto parlando del mio futuro marito.

    Ho un’amante, anche se questa definizione la trovo spiacevole e riduttiva. Lui non è l’uomo che mi porto a letto solo perché non sono sessualmente soddisfatta tra le mura di casa, no. Lui è l’uomo che so essere la mia anima gemella, il mio contrappunto; ma è tanto fragile quanto necessaria questa inadatta e insperata relazione, con un equilibrio così piacevolmente precario da farmi sentire drogata di Lui, assetata di Lui, implacabilmente melanconica senza Lui.

    Già, penserai che sono una bella stronza, e forse hai ragione. Seduta qui, sulla scrivania dove una volta facevo i compiti nella mia camera d’infanzia, rimasta sempre tale, osservo impietrita quel meraviglioso lavoro di seta bianca e pizzo che fusi insieme da mani sapienti sono diventati il mio abito da sposa. Lo guardo con lo stesso timore e reverenza che nutrivo per questo vestito da piccola, quando giocavo con le bambole ai matrimoni ma in un angolo del mio cuore, della mia natura, lo detestavo, lo ripudiavo. Ho sempre sognato la libertà, una macchina fotografica, pochi abiti dentro a un borsone, capelli raccolti in una coda di cavallo approssimativa, pronta a saltare da un treno all’altro sempre alla ricerca dello scatto memorabile, del momento catartico, di quei novantesimi di secondo perfetti da poter immortalare per sempre. Volevo collezionare un’infinità di diapositive di vita, per paura che la labilità della memoria col tempo potesse sfumare certe emozioni, certi panorami, certi volti. E l’ho fatto. Con tutto il cuore e con tutta la passione l’ho fatto per dieci anni, ed è lì dove ho conosciuto me stessa, Claudio e Lui.

    Claudio l’ho conosciuto a Stoccolma. Classica situazione di una cena a casa di amici, con amici di amici, dove chi in inglese, chi in italiano e chi in svedese si conversava e ci si conosceva. Claudio mi ha aperto la porta di casa, abbagliando l’atrio con il suo fascino medioevale da uomo tutto d’un pezzo. Emanava sicurezza, trasudava testosterone, e dopo un minuto ero già in estasi. Mi aveva accolta con il suo Hello! marcato da tipico italiano, sistemandosi gli occhiali da vista mentre mi disarmava con il suo sorriso semplice e perfetto, e senza pensarci due volte mi sono presentata parlando la nostra lingua. Potevano esserci cento e mille altre persone dentro quei settanta metri di appartamento, ma io avevo occhi solo per lui e lui solo per me. Dopo neanche un’ora eravamo già per strada, passeggiando per Gata Karlavägen guardando le vetrine illuminate, ammirando una città solitaria, bella e indipendente mentre parlavamo di noi. Claudio, chirurgo ortopedico, cullava l’idea che ogni cosa si potesse aggiustare.

    "Non esiste osso rotto o arto mancante che costringa una persona all’immobilità, " diceva, "esistono solo persone che vogliono restare immobili. "

    Dopo tanti anni la pensa ancora così. Ho sempre amato questo suo lato ingenuo, questo suo vivere in una realtà dove nonostante tutto il lieto fine può sempre arrivare. In Claudio avevo trovato il mio mondo, la mia persona, il mio motivo per prendere un aereo per l’Italia anziché per il Laos o per Tokyo. In lui c’era tutto il mio bisogno di stabilità, di equilibrio, di regole, orari da rispettare e telefonate da non mancare. In me lui vedeva l’avventura, i viaggi che non aveva coraggio di fare, la libertà che non riusciva ad avere, l’indipendenza lavorativa che ti permette di lavorare con la bellezza e non col dolore. Insieme eravamo perfetti, e lo siamo stati. Dio, se lo siamo stati. Noi due così opposti, così diversi ma così piacevolmente vogliosi di scoprire i nostri limiti. Abbiamo passato mesi di pura felicità, dove il nostro rapporto si poteva ridurre a una sola parola: attesa. Attesa della telefonata a orari improponibili per l’uno o per l’altro a seconda del fuso orario, attesa dei ritardi dei mezzi, attesa del termine delle sue visite; ma quando stavamo insieme il mondo poteva anche scomparire.

    Poi un giorno la proposta, "viviamo assieme, " mi dice, come se

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