L’amore luce nel buio
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Info su questo ebook
Eppure, non è stato sempre così. Dall’adolescenza alla prima età adulta ho vissuto una vita molto difficile, caratterizzata da restrizioni e dinieghi in famiglia e che si è evoluta poi in un’esistenza d’inferno, tempestata da maltrattamenti e violenze da parte di quegli uomini che pensavo sarebbero stati i capisaldi della mia vita.
La sofferenza è stata tanta e molte volte ho pensato di vivere gli ultimi momenti della mia vita. Tutto questo è cambiato quando il destino mi ha fatto incontrare Alex, l’uomo che ha illuminato la mia vita, sino ad allora buia e triste e che mi ha dato la forza per potermi riscattare dalle tante umiliazioni subìte donandomi finalmente quella felicità e quell’amore che non avevo mai conosciuto prima.
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Anteprima del libro
L’amore luce nel buio - Matilde Contardo
INTRODUZIONE
Dopo tanti anni di riflessione e confronti tra me e Alex, ho iniziato a ripercorrere il mio passato con uno stato d’animo più sereno e con occhi diversi. Un trascorso di umiliazione, paura e sofferenza che mi ha fatto toccare il fondo, ma dal quale, fortunatamente, sono riuscita a rialzarmi e, infine, a riemergere per andare avanti.
La vita è fatta di scelte, di diramazioni inaspettate e spesso di cambiamenti improvvisi: ho sperimentato in prima persona cosa significhi prendere una direzione piuttosto che un'altra, nel bene e nel male, ed è proprio grazie alla mia esperienza che spero di poter aiutare anche altri a trovare la propria strada.
Credo che le ferite che ci portiamo dentro siano un modo per ricordarci cosa abbiamo fatto e cosa avremmo potuto fare.
So che molte persone, soprattutto donne, hanno vissuto e stanno vivendo ciò che è accaduto a me; situazioni di violenza domestica - fisica e psicologica - aspetti dolorosi e traumatici che lasciano solchi profondi e che cambiano irrimediabilmente la propria personalità.
Da quel pozzo oscuro, però, è possibile riemergere e la mia vita ne è la testimonianza.
Io ne sono la testimone.
Oggi, dopo essere uscita dall'incubo, posso guardarmi indietro e affermare che nel corso della mia vita si sono presentate svolte che avrei dovuto scegliere e altre che mi hanno ricacciato nell'ombra.
Eppure, oggi sono qui.
Ho riflettuto a lungo, ho ripercorso la mia esistenza e i ricordi che mi hanno segnata profondamente, prima di realizzare che tutto ciò che mi è successo vale la pena di essere raccontato.
Se a quel tempo qualcuno mi avesse aiutata a capire meglio i fatti che mi si presentavano davanti e supportata a fronteggiare gli eventi rovinosi che mi travolgevano, e che da sola non ero in grado di affrontare, sicuramente avrebbe permesso a me e ai miei figli di risparmiarci le tante sofferenze patite.
Più di una volta ho pensato che la mia vita sarebbe finita in uno di quegli innumerevoli momenti. Invece la sorte mi è stata benevola; sorte che per altre donne purtroppo si è rivelata essere crudele e nefasta. Per questo motivo voglio dare un senso a tutte queste mie tribolazioni, sperando di poter aiutare chi come me si è trovata o si troverà in questo baratro, ignara e incapace di reagire e lottare per trovare la via d’uscita verso il proprio riscatto.
Se anche una sola di loro leggendo la mia storia riuscirà a trovare la forza, la motivazione e l’ispirazione per affrontare e superare le proprie difficoltà, allora sarò felice di averla potuta aiutare e gioiosa che il racconto della mia vita sia stato utile.
LA MIA STORIA
Sono nata negli anni ‘70 in un paesino del sud Italia, di seimila abitanti più o meno, a circa quindici chilometri dal mare, dal quale la sera si alza una piacevole brezza. Vista l’emigrazione di giovani, dall’inizio del nuovo millennio i residenti sono purtroppo diminuiti drasticamente.
Le attività economiche prevalenti sono legate all’agricoltura, in particolare alla coltivazione della vite e dell’olivo. Le produzioni di vino e olio sono abbondanti e i prodotti sono di qualità elevata. Il paese si snoda con le sue viuzze e i suoi vicoli fino al punto più alto, dove svettano le rovine di un castello medioevale che, con chiese e palazzi nobiliari, arricchisce il paesaggio.
Quanto ai miei genitori, le loro radici affondano in un contesto prettamente rurale. Modesto, lo si potrebbe definire.
Mamma Maria, in particolare, proveniva da una realtà contadina un po’ precaria, lontana dal paese. Per molti anni seguì le orme della madre; e oltre a lavorare in campagna si prese cura dei miei bisnonni. Fin da piccola imparò a cucire e a ricamare dalle suore, attività che poi mi tramandò.
Papà Giuseppe invece era, ed è tutt'ora, un artigiano, sebbene provenisse a sua volta da una realtà contadina. Nei primi anni ’60, ancora ventenne, emigrò in Germania per trovare fortuna, come tanti altri italiani a quell’epoca. Lì rimase circa due anni lavorando in una fabbrica, con l’obiettivo di accumulare un po’ di soldi e tornare a casa per aprire la sua tanto agognata attività. Con la sua parsimonia, una volta terminata questa esperienza e con il denaro che era riuscito a mettere da parte, potette non solo realizzare il sogno di aprire finalmente il suo laboratorio di falegnameria, ma anche di costruire mattone su mattone la casa dove poi siamo nati e cresciuti noi figli.
Mio padre e mia madre si conobbero casualmente un pomeriggio, a un circo itinerante che aveva fatto tappa nei pressi del paese. Fu una sorta di amore a prima vista e, sebbene ci fosse un divario d’età abbastanza ampio, i rispettivi genitori diedero la loro benedizione al fidanzamento. Ma dopo uno screzio tra papà e mio nonno materno, purtroppo, il fidanzamento si interruppe.
La testardaggine di mia madre, però, e l’amore che ormai la legava a mio padre erano diventati così forti che scappò di casa, nonostante avesse solamente quindici anni.
Una coppia tradizionale, se vogliamo, ma ben affiatata, con ruoli definiti che vedevano e vedono papà occuparsi della falegnameria mentre mamma della casa e della quotidianità familiare. Io e miei fratelli siamo cresciuti in questo contesto gerarchico e in una contrada ai margini di un piccolo paese di provincia, tra le mura di una grande casa su più piani: nel seminterrato il laboratorio di mio padre, al pianterreno il negozio e al primo piano la nostra abitazione.
Io sono la prima di tre figli: il secondogenito è mio fratello Marco, poco meno di un anno più piccolo; la terzogenita è Lorena, di tre anni e mezzo più giovane di me.
Ogni qual volta che mi fermo a ripensare alla mia infanzia e chiudo gli occhi, anche per pochi secondi, la prima immagine che affiora in me è il volto gentile della mia nonna materna Vincenza, immersa nella campagna più profonda, tra le colline e i filari di ulivi.
Gli odori della terra sono sempre vividi nella mia mente e mi riportano ad anni molto travagliati, resi però meno difficili dalla sua presenza.
Amavo stare tanto tempo con lei, perfino due o tre giorni consecutivi, anche se questo significava alzarmi all’alba e percorrere oltre mezz’ora di strada a piedi per raggiungere un’altra casetta, con vicino la stalla dove teneva una ventina di mucche. Ognuna di queste aveva anche un proprio nome. Di alcune ricordo ancora come le chiamavamo: Panno Rosso, Martorina, Oliva e Portuaccia.
Durante il giorno, a volte restavamo sedute sotto un albero a controllare che non pascolassero nei terreni dei vicini, mentre solitamente coltivavamo l’orto: zappando, piantando e innaffiando.
Dopodiché, al tramonto, ci incamminavamo verso casa percorrendo la stessa strada fatta al mattino. Quando eravamo fortunate, tornavamo con qualcuno dei suoi figli che ci accompagnava in macchina.
Era un ambiente rustico, molto povero, ma ero con mia nonna e questo mi rendeva felice.
Tutte le volte che potevo fuggivo da lei per vivere quella serenità che non riuscivo ad avere in famiglia. Nonna era una persona spigliata e gentile. Sapeva ascoltare i miei problemi e nutriva per me un amore sincero e incondizionato. Lei mi voleva molto bene e io gliene volevo altrettanto.
Forse per lei ero la nipote del cuore proprio perché ero la prima e quella che più amava stare con lei.
Da lei ricevevo sempre molte attenzioni e molto amore, che nel corso della mia vita non ho avuto per tanto, troppo tempo.
Di amiche non ne avevo, a parte una ragazza più grande di me di otto anni, Concetta, che abitava nella casa di fronte alla nostra. Quando i miei genitori uscivano e noi eravamo ancora piccole, mi era permesso di stare a casa sua sotto l’occhio attento dei suoi genitori. L’unico momento, invece, in cui potevo vederla al di fuori di quel contesto era quando andavo a prendere l’acqua da una fontana lì vicino, ma sempre con i minuti contati.
A volte Concetta mi chiedeva di andare al mare assieme, ma mi veniva sempre proibito. Il mare, sino a quando sono stata a casa, l’ho visto pochissime volte, sempre in presenza di mia mamma e solamente quando riuscivamo a trovare un passaggio in auto con qualcuno di sua conoscenza.
Con mio padre, forse, solamente una volta, poiché lui era sempre troppo dedito al suo lavoro.
A differenza di ciò che poteva apparire, mia mamma non era una semplice casalinga, ma la mente che gestiva le attività e i rapporti in famiglia. Una vera e propria tessitrice di trame, dalle idee a volte stravaganti, molto gelosa e possessiva.
Fin dalla mia adolescenza, infatti, ci educò con estremo rigore, costantemente legata alle tradizioni e alle convinzioni del passato: nell'immaginario da lei creato, mio padre non era il capo famiglia, ma il padrone.
Le sue parole, il suo modo di porsi nei nostri confronti, facevano sì che mio papà venisse dipinto come un despota all'interno di quattro mura, ammantato da un'aura di solennità che ci impediva di dubitare, recriminare o criticare quanto decideva.
Quando volevamo fare qualcosa che poi ci veniva impedito, era perché papà non lo permetteva. Almeno, questo è quello che mia mamma ha voluto sempre farci credere.
In questo modo, tramite questa sua interpretazione dei rapporti famigliari, lei ne risultava sempre in contrapposizione.
Agli occhi di noi figli appariva una figura benevola, quella che ci concedeva
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