Meditazione - uno studio pratico con esercizi
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Anteprima del libro
Meditazione - uno studio pratico con esercizi - Adelaide Gardner
INDICE
INTRODUZIONE
ESAME STORICO
Capitolo I - LA MEDITAZIONE E IL SUO SCOPO
ESERCIZIO PRIMARIO
Capitolo II - LO SFONDO ESSENZIALE
ESERCIZI SUGGERITI - PER GRUPPI O PER USO PERSONALE
Capitolo III - I VARI METODI
ESERCIZIO SUGGERITO
Capitolo IV - STADI PROGRESSIVI: LA CONCENTRAZIONE
LA CONCENTRAZIONE
ESERCIZIO SUGGERITO
CAPITOLO V - STADI PROGRESSIVI: MEDITAZIONE, CONTEMPLAZIONE
LA TECNICA DELLA RICERCA INTUITIVA
LA CONTEMPLAZIONE
ESERCIZIO DI MEDITAZIONE
ESERCIZIO DI CONTEMPLAZIONE
CAPITOLO VI - OSTACOLI E AIUTI
LA RESISTENZA DEI CORPI
AMBIENTAZIONE
AIUTI TECNICI
PERICOLI E RIMEDI
ESERCIZI SUGGERITI
CAPITOLO VII - MEDITAZIONE DI GRUPPO
ESERCIZIO SUGGERITO
CAPITOLO VIII - AIUTARE GLI ALTRI COL PENSIERO
GRUPPI GUARITORI
UN ESERCIZIO CURATIVO AD USO PERSONALE
CAPITOLO IX - MEDITAZIONI
SUGGERIMENTI PER L’USO
SEMPLICI MODALITÀ DI CONCENTRAZIONE AD USO INDIVIDUALE
UN ATTO DI CONSACRAZIONE PER USO INDIVIDUALE O DI GRUPPO
CONSACRAZIONE DEI SENSI - PER USO INDIVIDUALE O DI GRUPPO
MEDITAZIONE DI GRUPPO
MEDITAZIONE DI GRUPPO SULL’AMORE
MEDITAZIONE SULLA VITA-UNA IN QUANTO LUCE BASATA SU MASSIME ERMETICHE
MEDITAZIONE SULLA VITA INTERIORE BASATA SU LETTURE DAL TAO TEH KING
MEDITAZIONE SULLA PACE PER USO DI GRUPPO
CONCLUSIONE
MEDITAZIONE: UNO STUDIO PRATICO CON ESERCIZI
Adelaide Gardner
Prima edizione digitale 2019 a cura di Gianluca Ruffini
INTRODUZIONE
...se il manas deve adempiere il suo preciso compito di controllare i sensi, deve riverberare esso stesso il modello ideale messo in serbo nei cieli della Buddhi. Soltanto quando quel modello si riflette nel proprio specchio, esso ha il parametro mediante il quale giudicare... né dovremmo pensare che il possesso di un tale divino parametro mediante il quale giudicare il raggiungimento, sia molto al disopra di noi: qualcosa a cui potremmo aspirare in un nebuloso futuro. Il Modello è dentro di noi: qui e ora.
SHRI KRISHNA PREM
In verità il Supremo non si nasconde a noi, perché Egli non può nascondersi a Se stesso e credere che Egli possa nascondersi a noi che siamo Lui stesso, è la più sottile tra tutte le maya: una ingannevole illusione. Egli è il nostro Io più intimo e il vero e proprio cuore del nostro essere.
ANNIE BESANT
ESAME STORICO
Teoricamente la pratica della meditazione si prefigge di ritirare la coscienza personale dalle sue persistenti preoccupazioni di ordine mondano, per addestrarla ad interessarsi a soggetti che portano alla comprensione delle verità spirituali. Esaminando questa semplice enunciazione, si vede che presuppone l’esistenza nell’essere umano di vari livelli di pensiero ed anche la capacità dell’uomo di scegliere il livello al quale vuole dirigere la sua attenzione.
Prima di poter capire la tecnica della meditazione bisogna perciò applicarsi ad uno studio della natura e delle capacità dell’uomo. È un dato di fatto che, sin dai tempi più remoti, l’istruzione relativa alla meditazione è stata sempre preceduta e accompagnata dallo studio di quella scienza che oggi noi chiamiamo la psicologia. Ben pochi si rendono conto di quanto siano antichi codesti studi associati. Il rapido esame che segue di alcuni aspetti del pensiero indiano e di quello primitivo europeo, ha lo scopo di fornire allo studioso una prospettiva dalla quale poter vedere più chiaramente lo studio particolareggiato successivo. L’esame è ovviamente selettivo e traccia la storia di un solo filone di insegnamenti psicologici e dell’uso di un limitato gruppo di pratiche. Le affinità delle esperienze condivise da mistici di tutti i tempi e di tutte le religioni, sono state osservate e commentate da dotti eminenti e per i particolari di tale testimonianza gli studiosi potranno consultare le loro opere (1). Qui noi cerchiamo soltanto di offrire un abbozzo della continuità della tradizione indoeuropea, dalla più remota antichità indiana fino ai nostri giorni, relativamente agli svariati livelli nei quali si esprime la coscienza umana, ed anche riguardo alcune pratiche tradizionali per mezzo delle quali gli aspetti più spirituali della natura umana possono essere risvegliati. Tra codeste una posizione-chiave spetta alla meditazione nelle sue varie forme. Generalmente si ritiene che il pensiero filosofico indiano sia passato attraverso un primordiale periodo formativo all’epoca delle prime migrazioni ariane in India. Gli storici moderni le datano variamente, a partire dal 6000 avanti Cristo; gli studiosi della tradizione occulta le fanno rimontare a molto prima.
Durante le migrazioni vennero a costituirsi alcuni antichi inni, presumibilmente cantati come mantram, o canti dall’effetto magico. Più tardi questi vennero commentati dalla casta sacerdotale e, ancor più tardi, i loro insegnamenti più reconditi vennero interpretati e postillati dai filosofi dell’epoca. L’ultima fase promosse la serie degli scritti sacri noti come le Upanishad che sono tuttora il nucleo centrale della filosofia indiana. A quei tempi tutte le composizioni venivano cantate e trasmesse oralmente dall’insegnante all’allievo. In tal modo sono poi passate nella letteratura sanscrita scritta, che è il più grande tesoro dell’India [2]. Nelle Upanishad si possono trovare gli insegnamenti essenziali per la meditazione praticati attraverso i tempi da molti popoli indo-europei. Nella Taittiriya Upanishad, ritenuta una delle più antiche, troviamo quanto segue: Ciò che è quel posto luminoso dentro al cuore: in Ciò quest’uomo risiede, il connaturato all’animo, il trascendente la morte, il congenitamente splendente
. Segue un versetto oscuro, che ora può interpretarsi come un suggerimento che la glandola pituitaria è il sentiero natale di Indra
, ossia il punto di congiunzione tra l’uomo interiore e la sua percezione fisica, e poi: Egli raggiunge la sovranità dell’Io, egli conquista la padronanza della mente, domina il linguaggio, domina la visione, signore dell’udito, signore della comprensione. Allora egli diventa Brahm, il corpo del quale è lo spazio luminoso, il cui essere è verità, il giardino della vita, nel quale l’animo trova la beatitudine, ricolmo di pace, trascendente la morte. Così adora dunque, o Tu che per l’arte antica ne sei divenuto degno
[3]
Da questo sembrerebbe che l’arte dell’auto-disciplina fosse già sviluppata ed antica allorché la razza ariana giunse in India. Il pensiero indù si compiace nella considerazione di concetti astratti e il periodo che seguì alle migrazioni fu uno nel quale sembra sia stata fiorente la speculazione filosofica. Il canone d’istruzione indù per la ricerca dell’illuminazione, come è tuttora chiamato, era largamente sviluppato già nell’800 prima di Cristo, all’incirca all’epoca del Buddha. Anzi, era persino troppo classificato, troppo poco vissuto, ed era stato sopraffatto da un sistema di pratiche ascetiche che oscuravano più di quanto rivelassero lo scopo della meditazione. Il Principe Ricercatore sollecitò istruzione nelle università boschive
degli asceti, però seguì una sua propria strada in avanti, scoprendo ciò che cercava non nelle pratiche abitudinarie e nelle austerità, bensì in una illuminata visione della natura umana. Ciò lo portò a capire che la radice della sofferenza è l’umana ignoranza, specialmente la mancata consapevolezza dello scopo dell’incarnazione umana nella forma fisica. Per vincere una condizione di non-illuminazione così profondamente radicata, egli ideò una formula chiamata il Nobile Ottuplice Sentiero. I passi che comporta sono progressivi in un senso, sebbene in definitiva siano tutti egualmente necessari per raggiungere l’illuminazione. I primi due trattano della giusta conoscenza; i tre seguenti della giusta azione; e i tre ultimi: giusto sforzo, giusta concentrazione e giusta meditazione, possono riassumersi come il giusto sviluppo dell’animo. Appare quindi evidente che la meditazione usando questo termine per riassumere gli ultimi tre stadi sul Sentiero, non è soltanto una parte integrante del Buddismo, ma il vero e proprio culmine di tutte le altre sue dottrine, leggi e pratiche
[4]. I metodi buddisti di meditazione sono diretti a vincere quella primaria ignoranza concernente lo scopo dell’esistenza che il Buddha sosteneva essere la causa dell’azione errata, della conseguente sofferenza, e delle ripetute rinascite. La felicità, il superamento di ogni sofferenza, è possibile. Il mezzo è l’ottuplice sentiero. La meditazione come insegnamento conclusivo del sentiero è stata elaborata dai monaci buddisti e dai loro maestri sino a farne una stimolante esperienza speculativa. La sua formulazione fu indubbiamente influenzata da vari riformatori indù, ma rimane pur sempre permeata e irradiata dalla nobile tolleranza e dalla carità del concetto buddista della vita [5]. Passiamo ora, anche troppo in fretta, alla classica visione indù dell’uomo e della pratica della meditazione, come enunciata dai grandi maestri Patanjali e