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Yoga
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E-book368 pagine5 ore

Yoga

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Info su questo ebook

Lo yoga è qualcosa che va fatto; i suoi benefici invece non sono qualcosa da fare, ma qualcosa da prendere. I suoi maestri seguono il sistema del giardiniere, che fornisce alla pianta terreno, acqua e luce solare, ma le lascia il suo potere vitale; non quello dei costruttori e degli scultori, che aggiungono o tolgono materiale. I nostri scienziati moderni sanno che l’era della selezione naturale è terminata e che gli uomini debbono ricercare in se stessi, non nel loro materiale, la direzione e l’impulso necessario per il loro futuro progresso.

Indice dei Contenuti

Introduzione



1. Il perché e il come dello yoga

2. L’obiettivo dello yoga

3. L’etica e la moralità dello yoga

4. Yoga e intelletto

5. Le pratiche respiratorie dello yoga

6. Le posizioni dello yoga

7. Controllo dei sensi, purificazioni ed altre pratiche del genere

8. Il latente potere corporale dello yoga

9. Il viaggio e l’obiettivo del potere latente

10. Yoga e vitalità

11. L’uso dei suoni nella pratica yoga

12. Lo yoga del Bhagavad Gita

13. La filosofia basilare dello yoga

Dizionarietto delle parole sanscrite usate in questo libro

Appendice

Bibliografia
LinguaItaliano
Data di uscita9 giu 2015
ISBN9786050386394
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    Anteprima del libro

    Yoga - Ernest Hood

    Yoga

    Ernest Wood

    Sansoni Editori Prima edizione digitale 2015 a cura di David De Angelis

    INDICE

    Introduzione

    1. Il perché e il come dello yoga

    2. L’obiettivo dello yoga

    3. L’etica e la moralità dello yoga

    4. Yoga e intelletto

    5. Le pratiche respiratorie dello yoga

    6. Le posizioni dello yoga

    7. Controllo dei sensi, purificazioni ed altre pratiche del genere

    8. Il latente potere corporale dello yoga

    9. Il viaggio e l’obiettivo del potere latente

    10. Yoga e vitalità

    11. L’uso dei suoni nella pratica yoga

    12. Lo yoga del Bhagavad Gita

    13. La filosofia basilare dello yoga

    Dizionarietto delle parole sanscrite usate in questo libro

    Appendice

    Bibliografia

    INTRODUZIONE

    In questa presentazione del pensiero e della pratica foga mi sono sforzato di mantenere completamente inalterate le fonti di letteratura classica riguardanti l’argomento. Il lettore, di conseguenza, si imbatterà qua e là in una serie di parole sanscrite, termini originali esprimenti valori specifici e tecnici. Queste parole, ad ogni buon conto, sono state citate tra parentesi sicché il lettore con interesse di carattere semplicemente generale può benissimo ignorarle senza che per questo sia menomamente compromessa la sua completa comprensione del soggetto. La loro presenza tra parentesi servirà ad indicare allo studioso di sanscrito e allo specialista, in ogni singolo caso, l’esatto riferimento della versione italiana. Per il lettore che desideri comprendere queste parole, come base di un vocabolario yoga per successivi studi classici, abbiamo compilato un dizionarietto, posto al termine del presente volume, che egli potrà agevolmente consultare finché i termini non gli siano divenuti familiari. Vorrei che fosse chiaro il motivo per cui ho conservato inalterate le fonti classiche. Nell’antichità esistevano in India strati sociali che provvedevano ai bisogni di uomini e famiglie dedicatisi alla religione e alla filosofia che, in tal modo, potevano consacrarsi al loro studio e alla loro pratica senza quelle distrazioni che sono inevitabili nella vita attuale. Tali gruppi si davano a questo studio in maniera decisamente scientifica e realistica, con applicazioni pratiche e considerazioni pragmatiche dei risultati. In tal modo, lo yoga si sviluppò come religione applicata, e al tempo stesso come scienza di psicologia introspettiva - introspettiva non significando astensione dall’esperienza pratica, ma ispezione diretta dei contenuti della mente, senza tuttavia trascurare l’applicazione al corpo e all’ambiente della scienza acquisita in questo modo. Ho cercato di coprire praticamente l’intero arco della letteratura classica sull’argomento. E una letteratura tutt’altro che morta; consiste essenzialmente in una raccolta di testi, tenuti in grande considerazione e correntemente usati dagli attuali yogi in India: sia da coloro che dedicano tutto il loro tempo al soggetto, come da quel numero straordinariamente elevato di persone, appartenenti a tutte le condizioni sociali, che gli dedica in maniera particolare una piccola parte del proprio tempo ogni giorno, permettendo che i motivi e le acquisizioni dello yoga permeino tutto il resto del loro tempo. Perciò, pur presentando la materia nella maniera classica, ho anche intessuto in essa consciamente e inconsciamente la mia consuetudine di qualche decennio con elementi che praticano veramente lo yoga, da essi considerato come la parte più importante della loro vita, sia nella pratica personale che nelle applicazioni sociali. Ho inoltre correlato l’argomento con la conoscenza psicologica moderna. Dovendo riunire in questo libro il contenuto di tanti testi classici, ho pensato che la cosa migliore fosse di raggruppare i materiali in base alla loro utilità pratica, come si osserverà dando una scorsa ai titoli dei capitoli. Ho ritenuto che ciò fosse preferibile al sistema di presentare riassunti e divulgazioni di particolari testi in capitoli separati, cosa che avrebbe imposto al lettore la fatica di numerosi ritorni a brani precedenti per l’acquisizione di idee chiare e mature su determinati argomenti. Nella trattazione della materia mi sono sforzato di prendere in giusta ed equilibrata considerazione ogni sua parte. Il lettore troverà quindi, mi auguro, una trattazione adeguata degli obiettivi più elevati, il destarsi della mente più alta, l’autorealizzazione dello spirito umano, la scoperta di Dio, come la salute fisica e mentale, e i benefici che lo yoga apporta nella vita quotidiana, con il tempo e con la maturazione, sia alla mente e al cuore che alle circostanze. Il tutto mostra che la legge del bene è altrettanto fruttifera di risultati materiali che di arricchimento e rafforzamento della vita interiore. Spero di aver dimostrato che lo yoga è in ogni senso un sistema di vita integrale, comprendente tutto l’uomo, materiale, mentale, etico, spirituale, mediante cui ciascun livello del nostro essere serve tutti gli altri e il risultato è salute perfetta e felicità. E’ stato chiesto se nello yoga c’è qualcosa per chiunque. La risposta è . Un’opera classica sull’argomento, scritta più di mille anni fa, afferma: E’ per i bambini, per gli adulti e per gli anziani, per i sani e per i malati, per i poveri e per i ricchi. Esiste, però, un’unica condizione: l’individuo deve svolgere l’opera da solo. La vita, dopo tutto, poggia soltanto sull’individuo. Come dice Emerson in uno dei suoi poemi:

    The cordial quality of pear or plum

    Rises as gladly in the single tree

    As in whole orchards resonant with bees [1]

    Lo yoga è qualcosa che va fatto; i suoi benefici invece non sono qualcosa da fare, ma qualcosa da prendere. I suoi maestri seguono il sistema del giardiniere, che fornisce alla pianta terreno, acqua e luce solare, ma le lascia il suo potere vitale; non quello dei costruttori e degli scultori, che aggiungono o tolgono materiale. I nostri scienziati moderni sanno che l’era della selezione naturale è terminata e che gli uomini debbono ricercare in se stessi, non nel loro materiale, la direzione e l’impulso necessario per il loro futuro progresso.

    ERNEST WOOD

    [1] La qualità stimolante della pera e della susina si sviluppa altrettanto felicemente in un solo albero che in interi frutteti ronzanti di api.

    1. IL PERCHÉ E IL COME DELLO YOGA

    Perché tanti Indù si danno allo yoga? La ragione principale è che fin dall’infanzia ne hanno sentito parlare, avendo ascoltato tante volte storie leggendarie di grandi saggi, santi ed eroi del passato che avevano dimostrato serenità, capacità e forza, tutte acquisite mediante lo yoga, individui assolutamente superiori al destino delle masse di gente tra le quali essi erano nati. Ad alcuni può essere capitato di aver ascoltato qualcuna delle numerose conferenze sull’argomento o di aver letto qualche libro che lo tratta. Quasi tutti, però, sono venuti a conoscenza del famoso insegnamento yoga di Patanjali, contenuto nei suoi Yoga Sutras, scritti più di 300 anni prima di Cristo. Questi sutras (aforismi) yoga affermano all’inizio che l’infelicità degli uomini deriva dall’accettazione da parte dell’uomo di uno stato di schiavitù dovuto a basse condizioni della propria mente. I sutras non si limitano, però, a questa affermazione ma mostrano come gli uomini possono superare tali condizioni e col tempo divenire come i saggi, i santi e gli eroi dei loro sogni, ed inoltre, che possono anche trasferirsi in mondi spirituali, non meno reali di questo, in cui saranno veri maestri di vita, o in breve, che possono conquistare il diritto di cittadinanza nel Regno di Dio. Il loro credo non pone il futuro e il presente in mutuo contrasto. A loro vedere, lo stesso sistema di vita che conduce a quello che noi potremmo chiamare il Regno, la parola, però, è Indipendenza (kaivalya), porta anche alla più grande felicità e a migliori condizioni di esistenza sulla terra. Salute, bellezza, pace, prosperità, ed ogni ragionevole felicità, derivano dalla stessa etica, disciplina mentale e tipo di sforzo, che porta ad un futuro libero dalle restrizioni di una vita terrena. O, se il candidato alla felicità mediante lo yoga lo preferisce, egli può posporre questi obiettivi ultimi e pensare soltanto ad una serie di vite future sulla terra, con una cospicua diminuzione dei loro aspetti sgradevoli ed un aumento di quelli piacevoli, seguendo gli stessi efficaci e gradevoli sistemi. Il candidato può procedere passo passo, tenendo gli occhi a terra e facendo una cosa dopo l’altra, o può scegliere un ideale o una persona ideale, o mahatma, come suo obiettivo, o rivolgersi ad un maestro o guru come guida verso di esso. Le leggende sono piene di nobili esempi e, anche in tempi storici, i guru sono stati numerosi. Il guru è uno che ha sperimentato la libertà divina nella propria coscienza e conosce i mezzi mediante i quali essa può essere raggiunta. In alcuni scritti occidentali questo stato di libertà o indipendenza è stato chiamato coscienza cosmica. Se vogliamo adattar ciò alla concezione yoghica, non dobbiamo servirci della parola cosmica nel suo significato di comprensiva di tutto, ma semplicemente, se si può dire semplicemente, di percezione diretta ed esperienza della coscienza divina che è libera dai turbamenti già citati ed è anche essenzialmente piena di gioia. Forse la prima cosa che il candidato apprenderà è che il suo futuro non dipende da casuali circostanze materiali. Queste, però, devono essere sufficienti. Ciò potrebbe essere espresso, e in alcuni libri viene espresso, nei seguenti termini: Sii felice di essere un uomo, ed ora non essere tanto sciocco da perdere l’occasione che ciò ti offre. È a questo fine che lo yogi provvede ai bisogni e al benessere del proprio corpo. Il suicidio non approderebbe a nulla. E la trascuratezza del corpo non sarebbe salutare. La ragionevole via di mezzo è ancora la migliore. Il candidato apprenderà che l’eccellenza del corpo, sotto forma di straordinaria forza muscolare o di grandi capacità atletiche, non è di alcun aiuto. Per quanto riguarda la forza fisica, potremmo dire che la massima è: Abbastanza è sufficiente, ma anche che, indubbiamente: Abbastanza è necessario. Il novizio o lo studioso di yoga potrebbero supporre che, anche se un corpo molto vigoroso non è necessario per lo yoga, lo sia invece una mente potente (la mente viene definita come la totalità delle funzioni del pensare, del sentire e del volere). Lo studente si accorgerà presto che nemmeno questo è vero. Ancora una volta Abbastanza è sufficiente e ancora una volta Abbastanza è necessario. Non occorre grande capacità mentale, o speciale talento mentale, o genio. Stupidità, confusione e dissolutezza, possono però allontanare o distruggere l’ abbastanza. Che dire di coloro che non aspirano allo yoga? In India, un paese in cui l’idea dello yoga è familiare anche ai meno istruiti, e in cui è quasi impossibile trovare qualcuno che non abbia mai visto uno yogi, qual è la condizione della persona media che non ricerca lo yoga? Questi numerosi individui sono, assai sorprendentemente, liberi da qualsiasi ansia o auto-rimprovero in questo campo. Essi se la prendono con grande calma. Dicono: Non sono ancora pronto per lo yoga; in realtà, adesso non lo desidero. Non capita mai loro di pensare: Dovrei desiderarlo. Non avvertono alcun motivo di insoddisfazione o di auto rimprovero. Si prendono per come si vedono e dicono: A me piacciono le gioie della tavola e le conversazioni sul sesso(per quanto lievi, nella maggioranza dei casi, possono essere queste soddisfazioni in India). Certo, essi hanno l’idea che un giorno diverranno perfetti. Ma non per il momento; perciò non c’è nelle loro menti alcuno di questi conflitti interni tra ideale e reale creatori di tanta angoscia nelle menti occidentali. Perciò a volte è assolutamente necessario ammonire il novizio occidentale di non farsi dello yoga un oggetto di ardente desiderio. Nessuna teoria basata sull’ ora o mai li turba, in quanto la convinzione acquisita nell’infanzia (per loro altrettanto naturale della madre lingua e dei costumi del villaggio) è che l’infinito futuro offrirà loro l’occasione di cui hanno bisogno non appena saranno pronti. Non perdono nulla nel rimandare. Non sono presi dall’ansia per tutto ciò. Ci sono le vite future. Gli aspiranti allo yoga sono chiaramente classificati in tre categorie: gli aspiranti, o coloro che desiderano montare; quelli che hanno adottato qualcuno dei punti di vista e pratiche dello yoga; e i saliti o montati(yogarudhas). La parola usata per i montati(arudha) è la stessa usata per descrivere una persona montata su un cavallo. Tali persone sono ben salde nella scienza e nelle capacità yoga e possono continuare la loro pratica yoga in mezzo a numerose distrazioni che sconvolgerebbero il novizio. I principianti sono coloro in cui il desiderio di montare si è manifestato in qualche modo. È come il risveglio del mistico cristiano, un risveglio al valore, non soltanto alla comprensione, ma al godimento della vita yoghica. L’Indiano, acuto ed equilibrato anche se semplice, non ne vorrebbe sapere se non ci fosse il fattore del godimento. Se l’idea fosse che il godimento verrà solamente alla fine del cammino yoga, e non durante il percorso, il candidato dovrebbe aspettarsi tempi duri. Egli, intraprendendo qualcosa che non gli è congeniale, non ne afferrerebbe il valore e continuerebbe a cadere. Ma se, mentre egli procede, ogni parte della sua pratica si trasforma in piacere, il progresso non potrà mancare. Felicità e progresso vanno a braccetto con la felicità che conduce. Il dolore ha il suo valore come indicatore di errore di percorso e indica la via del ritorno alla felicità. All’improvviso, o gradualmente a seconda dei casi, l’aspirante si desta a ciò che ha visto ma che prima non ha apprezzato; e questo risveglio, quando si verifica, sarà naturale, come nell’adolescenza, quando giunge, è naturale per il giovane e per la giovinetta scoprire un nuovo valore nell’associazione col compagno di giochi dell’infanzia. Questo risveglio viene posto al principio del cammino yoghico dai filosofi indiani quando parlano di viveka, di solito tradotta con discriminazione, o discernimento, come propria del primo passo sul sentiero yoghico. Questa è di solito chiamata la scoperta dell’uomo interiore, perché chiunque fa tale scoperta identifica se stesso con l’interiore piuttosto che con l’esteriore. Tutti naturalmente si identificano con chi pensa e non con l’oggetto del pensiero. Sarebbe strano, non vi pare, se qualcuno vedendo un cammello pensasse di essere un cammello visto da qualcun altro? Patanjali inizia il suo argomento osservando che il controllo degli impulsi vaganti nella mente è il primo passo necessario. La mente si è sviluppata per servire il corpo: per contribuire a soddisfare i desideri, poi per decidere quali desideri aiutare o servire, successivamente per lavorare al miglioramento dei desideri, e da ultimo per rispondere al fine interiore della vita e tradurlo sempre più in effetto. In quest’ultimo caso essa apprende una nuova obbedienza, ben definita da Stai tranquillo e sappi che io sono Dio. Quando non c’è questa obbedienza, la mente, fornendo un numero sempre crescente di risposte alle richieste contrastanti dei piaceri corporali e dell’orgoglio, diviene pericolosa a se stessa. Oggi, in cui è arcinoto che i nostri paesi civili sono impestati da casi di disordini psicosomatici, il seguace dello yoga avrebbe ogni diritto di dire: Ve l’avevo detto. È pericoloso avere una mente nelle condizioni in cui vengono tenute quasi tutte le menti. Vi dico che dovreste provvedere in qualche modo prima che comincino i grossi guai. Inoltre, quella stessa mente che vi deprime, vi può anche sollevare. Essa non è voi stessi, ma un sottile meccanismo che deve obbedire o alla vostra volontà o ai comandi dei piaceri corporali e dell’orgoglio. Cosa dovremmo fare dunque?, chiedono con voce tremante coloro che, piuttosto terrorizzati, si pongono il problema. Patanjali risponde: Dovrai controllare il flusso delle idee nella tua mente. Se lo vorrai, potrai essere il tuo vero uomo, altrimenti sarai l’infelice vittima delle circostanze. Poi Patanjali offre il suo primo insegnamento di psicologia quasi psichiatrica. Dice: Le idee, dolorose e piacevoli, sono di cinque tipi. Conoscenza esatta, conoscenza errata, fantasia, sonno e ricordi [1] Ciò ha enorme interesse. Significa che ogni idea sorgente nella mente viene normalmente incasellata, in maniera affatto automatica, in una di queste cinque categorie. Questa è la prima operazione che, quasi inosservata, essa compie: un’azione salutare. Ma osservate le implicazioni immediate di tale proposizione: se dovesse accadere che un’idea è etichettata in maniera errata, se un sogno o una fantasia vengono scambiati per realtà, se un ricordo è preso come un fatto reale allora si ha l’aberrazione e, se si continua, l’insanità. Una definizione davvero semplice della causa di tutti i nostri mali. Ecco la radice dei nostri guai; prima di tutto, prendere la conoscenza errata per conoscenza esatta, considerando i caduchi, impuri, dolorosi ed estranei elementi costitutivi del corpo e della mente come il Sé, che in realtà è eterno, puro e felice [2] . Questo errore è la prima delle cinque Fonti di Afflizione, cui fa immediatamente seguito l’avidità, che è egoistica, ricercatrice di piacere, evocatrice di dolore [3] . Occorre esaminare ciascuna di queste cinque fonti e tutta la loro progenie e vederle come sono. Il candidato dovrà esercitare il pensiero e non permettere che le emozioni derivanti dalla precedente ignoranza delle cose controllino il flusso dei suoi pensieri. Egli non deve permettere che abitudini e pregiudizi precedenti, o l’eccitamento presente, governino la sua mente [4] . Sebbene anche il novizio sia convinto che le circostanze non possono né favorire né ostacolare i suoi sforzi (dato l’ abbastanza già citato) egli è anche conscio che, nel suo stato di immaturità mentale, è costantemente tentato di rivalicare la linea che lo separa da quelli che non sono pronti e che non desiderano lo yoga perché vogliono i piaceri di cui abbiamo già parlato. Questi principianti sono in transito tra i due stati e vengono tirati in due direzioni. Essi possono provare eccitazione sessuale quando vedono una bella donna e non resistere a quel secondo o terzo piatto, o a quel bicchiere di vino, anche se sanno che ciò ottunderà le loro meditazioni e la loro discriminazione. Per il momento desiderano i piaceri dei sensi (vale a dire del mondo) più di quanto non desiderino auto-perfezionamento o Dio. In tali occasioni i godimenti del cammino yoghico possono essere oscurati da un eccesso dei godimenti meno elevati del corpo. In tali circostanze nessuno può dar loro torto se ricorrono alla disciplina, in primo luogo evitando le visioni tentatrici e poi rivolgendo deliberatamente il pensiero al loro scopo, a volte persino con l’aiuto della sussurrata ripetizione dei nomi di Dio, o del nome del loro prescelto uomo ideale, o guru (maestro), nel caso in cui ne conoscano uno o ne sappiano abbastanza su qualcuno. Essi si rendono ben conto che non esiste la cosiddetta naturalezza in queste faccende per quanto riguarda l’umanità. La mente umana è stata troppo a lungo com’è oggi per lasciare agli esseri umani qualsiasi istinto naturale nel campo dei sensi, come ha la maggioranza degli animali. Il faro potente, intenso e concentrato, dell’immaginazione umana si accende non appena i sensi portano alla mente l’immagine di un oggetto provocatore di piacere. All’istante, essa mette in azione quella mente per ottenere l’oggetto, o se non ci riesce, per indulgere con l’immaginazione nella sensazione. Ciò non può assolutamente essere considerato naturale, anche se può essere il risultato di impulsi ereditari. Negli animali più semplici, gli appetiti fisici sono essenzialmente commisurati ad attività e funzioni salutari, come nel caso di un enorme e bel leone visto allo zoo. Esso sta là con un enorme pezzo di carne cruda tra le zampe, senza curarsi di quel cibo appetitoso, ad osservare assonnatamente i visitatori. Quel leone ha ricevuto il pasto da un guardiano pochi minuti prima, ma precedentemente si era aggirato nella gabbia e aveva ruggito voracemente, quando aveva udito il rumore dell’uomo che si avvicinava, avendo fiutato probabilmente la carne. Ora però, avendo soddisfatto il suo appetito naturale con forse metà della razione, non gli interessa più l’altra metà della carne finché i suoi bisogni (non il ricordo del piacere di mangiare) non ecciteranno di nuovo il suo appetito naturale. A questo punto vale la pena notare la differenza tra il processo di riconoscimento e quello di ricordo poiché ciò aiuterà a renderci conto che il controllo della mente, che è una caratteristica essenziale e centrale della pratica yoga, è necessario alla salute, sia fisica che mentale, e al raggiungimento di ciò che può trovarsi al di là. La psicologia della situazione, che ha una funzione importante nella pratica yoga, è che il riconoscimento è uno sviluppo più primitivo del ricordo. I piaceri e i dolori fisici precedono l’azione mentale. Poi viene la percezione dell’oggetto che dà dolore o piacere, indi il riconoscimento, successivamente il ricordo in cui l’immagine dell’oggetto può manifestarsi anche nella sua assenza, infine la pianificazione. È questo corso di ricordi e di pianificazioni che il futuro yogi ritiene necessario controllare. La forte memoria dell’uomo suscita pensieri e immagini anche nell’assenza completa di un oggetto stimolante. Il novizio di yoga deve proprio osservare introspettivamente cosa egli pensa nei suoi momenti di passività o di riposo, quando non è sottoposto ad alcuna sollecitazione né fisica né mentale. Ciò che egli vi trova potrebbe avere questo carattere innaturale, nel qual caso sarebbe assai necessaria una certa disciplina mentale. A questo proposito il maestro Patanjali dice: Quando si è turbati da cattivi pensieri bisogna riflettere contro di essi. Questa riflessione di contrasto è: Il cattivo pensiero di violenza, falsità, furto, incontinenza, voracità, sia esso diretto, provocato o approvato, sia esso preceduto da avidità, ira o infatuazione, sia esso lieve, medio o forte, è causa di infinita pena ed errore" [5] . Questa è disciplina mentale. Poi:

    Da un abituale atteggiamento di amicizia, simpatia, contentezza e indifferenza rispettivamente verso coloro che sono felici, sofferenti, buoni e cattivi, viene purezza di mente [6] Spessissimo l’obiettivo dello yogi viene descritto nella letteratura yoga come liberazione. La parola è "moksha, e il termine libertà" la tradurrebbe meglio. Ciò non significa che lo yogi miri alla fuga. La fuga da tutto sarebbe incoscienza, cosa che egli non si aspetta. La fuga dalle cose sgradevoli lo lascerebbe al punto in cui si trovava prima nei riguardi delle cose piacevoli e non più vicino alla perfezione o all’esperienza divina. Per lo yogi, Dio è rappresentato come l’essere che è libero o, come affermano gli Yoga Sutras, insensibile a turbamenti, fatiche ed effetti [7] In realtà, quando allo yogi viene offerta la scelta di praticare la devozione a Dio come uno dei mezzi per raggiungere le altitudini della contemplazione, l’idea è che nel pensare al divino egli si fa un quadro di un essere essenzialmente libero, e in tal modo pregusta quello che diverrà egli stesso: libero. Non che Dio sia pensato come avente la libertà, o come suo possessore, ma come essere incrollabilmente libero. Poco a poco, o forse con un’improvvisa intro-visione, lo yogi che fa ciò e che nelle sue meditazioni, che sono razionali, ha eliminato dalla sua idea o quadro di se stesso tutto ciò che è inconsistente con quella libertà, si accorgerà che egli stesso è libero, e in quel senso egli è solo (kevala). Negli Yoga Sutras il termine libertà (moksha) non viene usato per questo grande risultato, o grande esperienza, o grande scoperta; è usata la parola solitudine o isolamento (kaivalya), che è interpretata col significato di indipendenza, quando si riferisce a Dio, e di conseguenza deve avere lo stesso significato quando è riferita al perfetto yogi. I dizionari danno anche unità come significato di questa parola, e la sua relazione coti la parola uno(eka) conferma questa versione. Il significato di unità verrà discusso in un capitolo successivo, ma qui possiamo perlomeno osservare che esso implica assoluta mancanza di antagonismo verso il mondo, e assoluta mancanza di conflitto nella mente dello yogi. Un Dio quale quello da noi definito non può essere pensato come qualcuno che ha la libertà, in quanto quel qualcuno dovrebbe avere una natura simile a quella delle cose ed esseri che non sono liberi. In tal caso non ci può essere possessore e posseduto: i due devono essere uno solo. Uno yogi siffatto è anch’esso libero perché vede che tutte le cose che lo hanno turbato o gli sono piaciute sono lì con la sua piena approvazione, perché egli comprende il loro valore e il loro uso per la rimozione dell’errore che ha continuato a commettere durante tutta la vita, permettendosi di divenire loro schiavo. Esse fanno parte del suo cammino yoghico. Egli non è diverso dal vero stoico il quale potrebbe affermare non essere accaduta alcuna cosa contraria alla sua volontà. È in linea anche col cristiano illuminato quando sostiene che non cade un passero al suolo senza quel padre. Per lui tutto ciò che è, è quanto ci sia di meglio al momento. E tuttavia egli è l’ultima persona a lasciare le cose come stanno. Abbiamo considerato le circostanze. Tra queste dobbiamo includere lo stesso corpo. Per lo yogi il corpo è uno strumento . È un mezzo per il contatto della sua mente col mondo. Durante il suo noviziato è assai probabile che per lui i piaceri della mente abbiano già un valore assai superiore ai piaceri del corpo. Dato che le persone non hanno di solito un’uguale attività nel pensare, sentire e volere, sono sorte scuole di insegnamento yoga che si interessano agli speciali tipi di mente in cui una di queste tre può predominare. Scuole tipiche sono la Vedanta, che considera la conoscenza come la sua parte principale, il suo obiettivo e il suo metodo; il Bhagavad Gita con la sua dottrina di bontà e devozione per il benessere del mondo, e gli Yoga Sutras di Patanjali in cui la volontà viene usata per governare sia la mente che il corpo. Tutte queste tre tipiche scuole di yoga mirano a condurre allo stesso obiettivo, ma lungo sentieri diversi. Tutte hanno inizio alla periferia dell’esperienza quotidiana e terminano nella stessa esperienza di unità e libertà. Nel suo procedere lo studente si accorge che anche la mente diviene uno strumento, lo strumento interno, e i piaceri della mente si fanno sempre meno importanti, mentre appaiono sempre più chiari gli obiettivi spirituali. Allora, come prima c’era la constatazione che corpo e circostanze non possono esserci di aiuto nel cammino yoghico, così ora ci si accorge che la mente non può aiutarci. Allora è il caso di ricordare la formula: Abbastanza è necessario. La morte della mente non è di aiuto come non lo è la morte del corpo. L’aspirante deve essere conscio. Lo spirito parla però alla mente e dice: Con la tua mente in me, verrai al mio stato al di là [8] C’è in ciò l’insinuazione che la mente combina un trucco? L’apparenza di ciò è completamente ingannevole. L’idea è che tutte le cose del corpo e dei sensi, e tutti gli stati ed attività della mente, sono semplici fenomeni, giocattoli temporanei, esattamente come una bambina che gioca con una bambola non riceve nulla dalla bambola, e tuttavia sviluppa la propria capacità mediante ciò che fa nel corso dei giochi.

    [1] Yoga Sutras, i, 6.

    [2] Yoga Sutras, ii, 5

    [3] Yoga Sutras, ii, 3

    [4] Yoga Sutras, i, 12

    [5] Yoga Sutras, ii, 33-4

    [6] Yoga Sutras, i, 33.

    [7] Yoga Sutras, i, 24.

    [8] Bhagavad.

    2. L’OBIETTIVO DELLO YOGA

    Moltissimi in occidente hanno sentito parlare, o letto, del nirvana. In realtà questa è divenuta una parola comune

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