Fai pace con te stesso: Il coraggio del cambiamento
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Anteprima del libro
Fai pace con te stesso - Algirdas Toliatas
LA GUERRA È FINITA, SE LO VUOI
Prologo di Francesc Miralles
Esistono frasi che racchiudono in sé il seme di un intero libro, e quella che citerò più avanti in questo prologo fu pronunciata durante un meraviglioso incontro.
Mi sono trovato per la prima volta faccia a faccia con Algirdas Toliatas nel corso di una visita a Vilnius per la promozione dell’edizione lituana dei miei libri. Tra un impegno e l’altro, la mia cara redattrice, Jurgita Ludaviciene, e la scrittrice Lina Ever mi guidavano con passione alla scoperta della città vecchia.
Nel bel mezzo di uno dei firmacopie, quest’uomo sorridente ed energico – una delle celebrità della fiera del libro in corso – si sedette accanto a me. Non avevo mai conosciuto un sacerdote che fosse anche una star mediatica, quindi apprezzai la grande naturalezza e l’entusiasmo dimostrati verso i lettori che lo avvicinavano per un saluto.
Un paio d’anni dopo, visitai nuovamente i paesi baltici in compagnia di un paio di amici, per una breve vacanza.
Sulla via del ritorno verso la capitale della Lituania, dopo una gita a Riga, Lina propose di fare visita ad Algirdas nella sua chiesa, un edificio religioso, abbandonato dopo la Seconda Guerra mondiale e oggi rinato in una chiesa moderna e un centro di progetti sociali.
Dopo aver percorso la buia scalinata che conduce al terzo piano, dove è situata la cappella, fui sorpreso di vedere che il crocifisso dietro l’altare era un semplice dipinto su una parete grezza e segnata da crepe.
Algirdas ci accolse con gioia e ci invitò nella sagrestia, senza prestare attenzione al nostro aspetto. Indossavo la t-shirt di un vecchio film horror, e uno degli amici che mi accompagnavano – dall’animo piuttosto gotico – sfoggiava tatuaggi di stelle a cinque punte e di caproni. Nulla di tutto questo sembrò turbare il sacerdote, che discusse e rise in nostra compagnia per un’ora.
Ad un certo punto della conversazione, chiesi:
«Algirdas, visto che hai così tanti volontari che ti aiutano con le mostre e con gli altri progetti, immagino che la chiesa sarà restaurata».
La sua espressione si fece seria e rispose:
«Non è necessario, Francesc. Questa chiesa è in frantumi così come lo sono le nostre vite».
Colpito da questo pensiero, il mio istinto da sherpa letterario si risvegliò e lo invitai a Barcellona per riflettere su un progetto di libro molto diverso da quelli fino ad allora pubblicati in Lituania: un manuale sulla vita e sulle difficoltà che gli esseri umani devono attraversare per giungere alla felicità.
Trascorremmo alcune giornate fantastiche tra Barcellona e Cadaqués, insieme alla nostra amica Lina, delineando i temi essenziali di Fai pace con te stesso. Il passo successivo, due mesi dopo, fu un incontro a Birštonas, un’antica città termale della Lituania.
Nell’arco di tre giorni, chiusi nella mia stanza, mentre registravamo le conversazioni che avrebbero condotto a questo libro, compresi due pilastri fondamentali della sofferenza umana.
Il primo è stato trattato in modo esaustivo in un libro giapponese che sta riscuotendo un grande successo in tutto il mondo, Il coraggio di non piacere, che riporta i dialoghi tra un professore di filosofia e un giovane uomo infelice, ed esplora l’ipotesi di Alfred Adler – uno dei giganti della psicologia – che tutti i problemi siano riconducibili alle relazioni interpersonali.
Partendo dall’idea che, per evitare la sofferenza, l’essere umano dovrebbe essere solo nell’Universo, il professore e lo studente dibattono sulle soluzioni offerte da Adler per evitare il dolore di sentirsi sottostimati o per non dipendere dall’approvazione degli altri, o indugiare in inutili paragoni, per citare solo alcune delle dinamiche con cui ci avveleniamo la vita.
Gli altri non agiranno mai secondo le nostre aspettative, né riconosceranno il nostro valore come vorremmo, perché nessuno può essere ciò che siamo o prendere il nostro posto. Ogni persona è un pianeta a sé con una propria storia, ha un’intelligenza e una sensibilità peculiari che non coincidono necessariamente con le nostre. Ogni essere umano avanza in questo mondo con il proprio carico di paure, aspettative e limiti.
Per tutte queste ragioni, permettere che la nostra felicità dipenda da ciò che gli altri fanno per noi è un suicidio sotto ogni aspetto. Tuttavia, c’è qualcosa di positivo che ognuno può fare per gli altri e per la propria felicità.
Per citare Alfred Adler: «Se voi cambiate, le persone intorno a voi cambieranno».
E questo ci conduce al secondo pilastro della sofferenza, che io ritengo sia all’origine del primo: la guerra contro se stessi, che conduce al conflitto con gli altri. Senza dubbio, non possiamo piegare gli altri ai nostri desideri, ma possiamo cambiare il modo in cui ci relazioniamo con il mondo, evitandoci inutili sofferenze.
Le persone che vivono in lotta con se stesse perché non hanno stima di sé, non si conoscono o non si accettano, trasferiscono questo conflitto interiore sul proprio ambiente, convincendosi che gli attacchi, le incomprensioni, le delusioni e persino i tradimenti siano tutti opera degli altri.
Poiché è assurdo pensare che il mondo intero si sia accordato per trattarci male, perché non volgere altrove quel dito accusatore? Dopo tutto, gli altri sono il nostro specchio e, come sostiene Baltasar Gracian, «chi critica, confessa».
L’influenza che possiamo esercitare sugli altri è ben poca cosa, ma su noi stessi abbiamo ogni potere. Pertanto, invece di tenere il conto delle offese ricevute, posso chiedermi: «In cosa ho tradito me stesso? Quando ho deluso me stesso e come posso cambiare? Che cosa non comprendo di me? Cosa potrei fare per vivere meglio?».
Il Mahatma Gandhi sosteneva che «la felicità è quando ciò che pensi, ciò che dici e ciò che fai, sono in armonia».
Osservando quante persone deludono se stesse e non seguono i propri principi e priorità, non trovo strano che ricerchino il nemico all’esterno, poiché è più facile battersi contro il mondo esterno che volgere lo sguardo dentro di sé e chiedersi: «Ma… cosa sto facendo della mia vita?».
A causa di tali dissonanze, molte persone sono in guerra con se stesse senza neanche saperlo – forse, per certi aspetti, lo siamo tutti. E quando scoprono di potersi amare per ciò che sono, reggendosi sulle proprie gambe e accettando le proprie imperfezioni per crescere nell’allegria e nell’amore, tutto cambia all’improvviso, come sosteneva Adler.
Il mondo cessa di apparire come un campo di battaglia e si trasforma in una terra fertile dove germoglia il meglio di ciascun essere umano.
Nel Natale del 1971, con l’umanità divisa in due blocchi che si minacciavano a vicenda brandendo armi nucleari, John Lennon e Yoko Ono sorpresero il mondo con una canzone di auguri che recitava: LA GUERRA È FINITA! Se lo vuoi.
Negli undici capitoli che seguiranno, ciascuno incentrato su un aspetto indiscutibile dell’esistenza umana, Algirdas Toliatas ci mostrerà che tale aspirazione è una realtà, donandoci la chiave per vivere con gentilezza il rapporto con noi stessi e con gli altri: una scelta che ci condurrà al benessere e a un mondo più amorevole e bello.
Grazie per essere qui!
Francesc Miralles
Primo fatto innegabile:
LA VITA È FATTA DI PROBLEMI
L’avventura di vivere non è un compito semplice
, ma è proprio questo a renderla così eccitante. Riesci a immaginare un film in cui non accade nulla di rilevante, dove il protagonista non deve affrontare alcuna difficoltà, prova o sfida? Potrebbe interessarti una storia del genere?
Lo stesso accade nelle nostre vite. Talvolta, potremmo desiderare che «nulla accada», e che la nostra esistenza somigli alla traversata di un placido lago sotto un cielo splendente, ma un tale destino sarebbe più crudele di una terribile tempesta. Non avrebbe alcuna attrattiva. Una vita senza avversità ci impedirebbe di mettere alla prova la nostra creatività, la nostra capacità di adattarci e di superare gli intoppi. In sostanza, ostacolerebbe ciò che ci rende umani.
Inoltre, è un fatto innegabile che qualcosa accade sempre.
Durante il cammino verso l’età adulta, affrontiamo ogni genere di sfide. La nostra salute o le persone che amiamo sono soggette a continui alti e bassi, soffriamo per la carenza di denaro, litighiamo con gli amici, con i colleghi o i superiori, con noi stessi…
Accettando l’idea che la vita è fatta di problemi, avremo la possibilità di comprenderli senza privarci della pace mentale e della felicità che ci appartengono.
Siamo in frantumi, ma più vivi che mai
Alcuni anni fa, quando la mia comunità era in crescita, decisi di cercarle una nuova casa e mi trasferii in una chiesa abbandonata di Vilnius.
Aprendo le porte di questo edificio, che era praticamente in rovina, vidi le pareti sbrecciate, segno di una decadenza di settant’anni… ma per me era ancora una chiesa con tutte le sue possibilità intatte.
Un proverbio ebraico insegna che solo un cuore infranto può guarire un altro cuore infranto, poiché coglie i dettagli insiti nella sofferenza e può sconfiggerla. Ciascuna ferita, ogni crisi che attraversiamo ci rende più saggi e più consapevoli, ampliando la nostra visione della vita.
I momenti difficili ci donano una migliore comprensione di noi stessi e mettono in luce i nostri punti di forza. Allo stesso tempo, ci avvicinano agli altri, poiché ci consentono di capire meglio le loro emozioni e la loro tristezza.
Evitando di vittimizzare noi stessi, quando lo tsunami sarà passato, potremo scoprirci più aperti alle esperienze. Più vivi che mai.
Il commutatore della felicità
Tutti noi conosciamo persone che si situano agli estremi dello spettro umano: alcuni si sentono infelici per un nonnulla, anche a causa della sofferenza altrui; e poi ci sono quelli a cui basta poco per sentirsi, e quindi far sentire anche gli altri, felici.
Pertanto, in questo capitolo prenderemo in esame il tipo di problemi di cui è composta la vita, basandoci sul principio che molti di questi problemi sono creati da noi, poiché invece di apprezzare ciò che abbiamo, subordiniamo la felicità al raggiungimento di determinati obiettivi:
• Guadagnare di più.
• Possedere la macchina o la casa dei nostri sogni.
• Perdere peso o sfoggiare il corpo ideale.
• Raggiungere traguardi professionali che ci rendono orgogliosi delle nostre conquiste.
• Incontrare l’anima gemella.
Questi sono solo alcuni esempi tipici. Il dato più sorprendente è che la maggior parte delle persone, quando centra tali obiettivi, prova ancora un senso di vuoto e prova subito l’impulso di cercarne di nuovi.
E andiamo avanti così, all’infinito, finché non comprendiamo di non avere nulla da dimostrare.
L’infelicità, al pari la felicità, è dentro di noi. Immagina una specie di commutatore: nella prima posizione proietta la luce verso l’esterno, illuminando le cose che devi ottenere per essere qualcosa o qualcuno; la seconda posizione, invece, devia la luce all’interno, rendendo visibile ciò che già possiedi e tutto quello che potresti donare al mondo.
Noi andremo alla ricerca della seconda posizione.
Chi rendi felice?
Alcuni anni fa, fui molto colpito dal documentario Searching for Sugar Man. Per i lettori che non hanno avuto modo di vederlo, quest’opera ripercorre la storia di Sixto Rodriguez, un musicista di Detroit che aveva registrato due dischi, nel 1970 e nel 1971, per poi cadere in un rapido