La danza di Davide
Di Olivia Flaim
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Anteprima del libro
La danza di Davide - Olivia Flaim
OLIVIA FLAIM
La danza di Davide
Immagine di copertina:
La danza di Davide di Luigi Scapini
©2012 Copyright by Venexia
Viale dei Primati Sportivi 88
00144 Roma
www.venexia.it
e david saltava danzato nel ventre
da tutta la forza della creazione
e david girava sulla porta del tempo
iodhevavhe
vestito del respiro dei nomi
Introduzione
Mi sono ammalata di Salmi ormai una decina di anni fa. Lo confesso, non posso più farne a meno! Amici e parenti sono tutti coinvolti in questa mia psico-dipendenza da Salmi. Il loro linguaggio e la loro inquietante bellezza accompagnano i miei risvegli e le mie notti. Cerco dietro il velo delle loro parole comprensioni e amori sempre nuovi. Spesso ho provato a indagarli in modo tradizionale: chi li ha composti, quando, che storia hanno… Inevitabilmente ho perso il filo e la memoria. Sono invece rimasta avvinta dalla richiesta di senso che certi Salmi mi hanno imposto. Alcuni sono semplici da accogliere, la loro poesia incanta il cuore e lo rilassa, altri fanno innamorare. Altri ancora inquietano e stupiscono, e pregandoli si fanno interrogare.
Così di domanda in domanda, fra un verso e l’altro, confrontando traduzioni di epoche e stili differenti, ho cominciato a indagarli attraverso la lente del misticismo delle lettere ebraiche. E qui qualche cosa è radicalmente cambiato, perché improvvisamente il senso letterario e grammaticale dei versi e delle parole è scomparso. Si è aperta una nuova e diversa sensibilità su concetti e termini il cui senso nella nostra cultura è talmente precostituito da essere raramente messo in discussione.
Spesso è stato il fastidio a guidarmi nella ricerca, il disagio che certe espressioni e pensieri mi hanno portato è stato un invito all’indagine. Dapprima più che le parole d’amore e di bellezza, ho sostato su quelle del dolore, della sventura, della carestia e della supplica. Sono stata condotta in uno spazio solitamente inaccessibile: quello dei sentimenti violenti, della rabbia e della vendetta. E così ho scoperto che la cadenza dei versi e le loro espressioni costringono ad andare là dove solitamente non si va per buona educazione e per mancanza di coraggio. Attraverso le parole di certe preghiere è data l’opportunità di dire tutto ciò che difficilmente perfino si desidera.
Se si praticano i Salmi secondo ritmi definiti, la loro lettura accade fuori dal contesto emotivo vissuto da chi prega. Così si è semplicemente incontrati da loro: il canto, il lamento o la rabbia che raccontano dribblano ciò che siamo e sentiamo. E si viene costretti a una sorta di sdoppiamento.
Ma è proprio in questo gioco di scarto che si cela una delle grandi opportunità che la lettura e la pratica dei Salmi offrono: quella di non potersi più credere fino in fondo. Alcuni versi ora salgono alla bocca come il vento a riempire la vela, ora precipitano come macigni sul cuore. In un momento lieto sentirsi dire: Irroro di lacrime il mio giaciglio
è disorientante. Eppure queste stesse parole in un’altra occasione sono state dette con sentimento di verità.
È sempre lo stesso cielo che ora spaventa, ora rasserena, e la sua neutralità, come quella delle parole dei Salmi, costringe a mollare la presa da ciò che crediamo vero di noi stessi. Veniamo lanciati così, a nostra insaputa, dentro parole che di noi fanno qualche cosa.
E così, sotto un cielo di parole, si insinua un dubbio fecondo, una nuova capacità di vedere e di sentire. Ci si trova, in qualche lento modo, trasportati dentro un nuovo panorama nel quale la qualità del pensiero, del sentimento e delle relazioni sarà cambiata.
A me è capitato così.
Nota dell’autrice
Ho desiderato inserire vicino al testo italiano quello ebraico, non perché si aprano questioni linguistiche, filologiche o esegetiche. Semplicemente mi piace che i segni si guardino e che il diverso orientamento della lettura, l’ebraico si legge da destra a sinistra, apra una danza semantica in cui sento che i cristalli dei significati si acquietano.
Danza che diventa vortice quando la raffica di lettere che nella Torah si succedono senza punti ne spazi ne vocali, nel corso del tempo si trasformano. Così come l’inchiostro di oggi non è più un prezioso distillato alchemico ma spesso solo colore virtuale sullo schermo, anche le lettere/simbolo che scrivono i primi cinque libri della Bibbia, la Torah ebraica, sembrano volere nascondere la loro mistica forma originale ri-velandosi, nuovamente nascondendosi, per farsi oggetto di amorosa ricerca. Infatti i sistemi più moderni di divulgazione, quali gli e-book, ancora non supportano l’uso del font che più somiglia al simbolo originale. Ecco quindi che le lettere ebraiche di cui si fa uso nel corso del testo, corrispondono alla forma più moderna dell’ebraico telematico.
Aleph e poi ancora א così come iod e infine י
Solo nelle tavole iniziali del libro si è cercato di rispettarne il carattere.
Per lasciare comunque scia della loro spirituale bellezza, ho evidenziato le parole di cui nel racconto dei salmi ho fatto cenno usando i colori che lì per lì sono usciti dai tasti, senza nessun riferimento cromatico allo splendore delle luci occulte visibili solo a palpebre abbassate che, come specchi lucenti, si accendono quando l’occhio umano fa silenzio.
I Salmi
I Salmi sono le preghiere più antiche della tradizione religiosa di tutto il mondo occidentale.
L’antico libro dei canti del Tempio di Gerusalemme, il Salterio (dallo strumento a corde pizzicate o percosse), è uno dei cinque testi sapienziali dell’Antico Testamento e in esso è contenuta una variegata e complessa raccolta di centocinquanta liriche che sono i Salmi. Questo termine deriva dal greco psalmói e dal latino psalmi, che traduce l’ebraico tehillim, la cui radice, hll ללה, dice lode, cantico, inno. I Salmi sono infatti poemi musicali destinati ad accompagnare le occasioni solenni della vita nazionale e cultuale come anche quelle private. La memorizzazione e la ripetizione dei Salmi, l’assimilazione e l’immedesimazione immaginativa di sentenze poetiche o filosofiche o aforismi costituivano uno dei patrimoni di quelle che oggi si chiamano pratiche filosofiche, ovvero degli esercizi che antiche confraternite, scuole misteriche e infine poi le scuole greche offrivano ai propri fratelli, adepti e allievi al fine di promuovere il loro sviluppo spirituale, inteso questo come espressione completa della persona, comprendente quindi sia gli aspetti emotivi che intellettuali, unitamente a quelli più sottili e immateriali.
Ciò che oggi è ascetismo, ovvero mistico superamento del mondo, allora era askesis ovvero esercizio, pratica del corpo e della mente autenticamente capace di far uscire dalla sterile ripetizione del comportamento e del pensiero.
La preghiera nasce come ripetizione metodica e rituale di un testo memorizzato, ripetizione che diventava infine parte del modo comune dell’espressione e della comunicazione: uno schema verbale sul quale le emozioni si intessevano e al quale attingevano espressività, che solo in epoca successiva si è connotato come religioso. In questo senso la preghiera, intesa come forma del dialogo con ciò che è considerato divino o sacro, è pratica spirituale e filosofica prima ancora che religiosa.
I Salmi sono testi molto compositi nelle loro espressioni, narrazioni degli eventi più significativi dell’esistenza e declamazioni di ogni tipo di sentimento. Vi sono fra di essi alcuni che a stento sono riconosciuti come preghiera, se la si intende unicamente come espressione di devozione, volontà di bene e amorevolezza. Essi infatti usano anche l’invettiva e l’improperio, dando così voce a sentimenti d’ira, turbamento e vendetta il che non sembra privo di valore nella vita, visto che essi come anche il lamento e la richiesta di giustizia permettono l’espressione autentica e completa della tavolozza emotiva della persona, senza sottrarre al rapporto con il divino e con la propria intimità più profonda nessuna delle declinazioni nelle quali l’uomo avverte se stesso. In questo senso la preghiera celebrativa, come anche il canto di lode, rappresenta solo uno dei possibili momenti del sentimento personale.
La ricerca spirituale e il pensiero filosofico anticamente non si confinavano nella sola costruzione teorica, razionale e intellettuale del vivere, bensì appunto offrivano strumenti pratici per la trasformazione e l’elaborazione dell’esperienza e l’ampliamento della coscienza.
Uno di questi strumenti era la pratica del dialogo nelle sue diverse forme della retorica e della dialettica, come anche quella dell’esegesi di testi e aforismi prescelti per la meditazione. Essa era quindi considerata quale pratica di trasformazione.
È una sapienza molto arcaica quella che ci dice che le parole curano, e che attraverso il loro scambio, la loro scrittura e l’invenzione letteraria il pensiero si trasforma e, con esso, si affacciano nuovi modi di vivere, di agire e di avere relazioni. Nella nostra cultura la matrice della cura con la parola risale alle originarie scuole di filosofia greca: veri e propri ambulatori, facevano camminare il corpo insieme al pensiero praticando il dialogo sia nella forma della dialettica, con domande e risposte, sia nella forma della retorica, con un dialogo continuo, sottoponendo ed esercitando continuamente i dialoganti all’esperienza della maieutica, ovvero l’arte di far nascere. Esito di questo esercizio era, ed è a tutt’oggi, quello di produrre uno spostamento nel modo di sentire la vita ricevendola sulla pelle come una puntura di zanzara o una leggera carezza, sapendola poi anche rinnovare, trasformare. E la trasformazione è come un ponte continuamente gettato fra ciò che è stato e ciò che potrà essere nell’esistenza di coloro che fanno della propria esperienza personale un continuo specchio entro il quale riflettersi. Ri-flessione, pensiero posato, come ali di farfalla, sul sentire, un flettersi e guardarsi, con occhi sempre curiosi e attenti, che aiutino lo sviluppo della capacità di muovere nuovi passi, uscendo dagli schemi ripetitivi e coatti che dominano i comportamenti.
Questo percorso di