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La triangolazione del punto interrogativo
La triangolazione del punto interrogativo
La triangolazione del punto interrogativo
E-book134 pagine1 ora

La triangolazione del punto interrogativo

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Info su questo ebook

La triangolazione del punto esclamativo.

Suo padre s’arrovellava ancora sul nome da dargli quand’è nato. S’arrovella e s’arrovella, però dunque infine esclama: «Ho trovato! Ho trovato! Eureka!». Eureka! – registrato perfino all’anagrafe col punto esclamativo – sta avanti, sta. Perché è un dannatissimo genio, ecco cos’è. Ma non è uno, è tre dannatissimi geniìi.

Perché cambiano le circostanze, cambiano. Cambia il contesto, cambia. E in base a quelle circostanze e a quel contesto Eureka! cresce in diversi modi, cresce con tre diversi colori: giallo, grigio e rosso. 
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2020
ISBN9788835807209
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    La triangolazione del punto interrogativo - Marta Lamalfa

    Aster

    Narrativa per ragazzi

    Marta Lamalfa

    LA TRIANGOLAZIONE DEL PUNTO ESCLAMATIVO

    Un romanzo in tre toni

    La triangolazione del punto esclamativo. Un romanzo in tre toni

    Marta Lamalfa

    © 2017 - Il Seme Bianco

    ISBN 978-88-358-0720-9

    Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia.

    I edizione febbraio 2018

    info@ilsemebianco.it

    www.ilsemebianco.it

    Il Seme Bianco è un marchio distribuito da

    Lit Edizioni Srl

    Sede operativa: via Isonzo 34, 00198 Roma

    A Maurizio,

    Bj dkv fhs fgiit acoddpalfr.

    Indice

    GIALLO

    Prologo

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    GRIGIO

    Prologo

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    ROSSO

    Prologo

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    Ringraziamenti

    Sheldon: Potremmo considerare il gatto di Schrödinger.

    Penny: Schrödinger? È quella che abita al 2A?

    Sheldon: Quella è la signora Grossinger, e non ha un gatto, ma un cane messicano senza peli, fastidiosissimo. Wowowowo!

    Penny: Sheldon!

    Sheldon: Scusa, sei tu che mi hai distratto. Comunque, nel 1935, Erwin Schrödinger, tentando di spiegare l’interpretazione di Copenaghen della fisica quantistica, propose un esperimento in cui un gatto viene messo in una scatola con una fialetta sigillata di veleno, che si romperà in un momento casuale. Adesso, visto che nessuno sa né se né quando il veleno verrà rilasciato, finché la scatola non sarà aperta, il gatto può essere considerato sia vivo sia deceduto.

    Penny: Mi dispiace. Non vedo il punto.

    Sheldon: È ovvio, non lo vedi perché non ci sono arrivato. Dovresti essere una sensitiva, e i sensitivi non esistono.

    Penny: Sheldon, qual è il punto?! Sheldon: Proprio come il gatto di Schrödinger, la tua potenziale relazione con Leonard adesso può essere considerata sia positiva che negativa. È soltanto aprendo la scatola che potrai scoprire com’è.

    Penny: Ok, quindi stai dicendo che dovrei uscire con Leonard...

    Sheldon: No, no, no, no, no. Fammi ricominciare. Nel 1935, Erwin Schrödinger..."

    (The Big Bang Theory, 1x17 – Il fattore mandarino)

    GIALLO

    Prologo

    Ahahahah! Ahahahah! Muahahahahah!

    No, non mi è uscita bene. Riprovo.

    Muàhahahahah! - un accento può cambiare tutto.

    Dicevo:

    Muàhahahahah!

    Ho trovato! Ho trovato! Eureka!! Ma quanto sei bravo, Eureka!? Sei un geniaccio!

    Sì, Eureka! sono io (col punto esclamativo, mi raccomando). Perché quando sono nato non sapevano mica come chiamarmi! Eh, no!

    Quando mio padre mi ha visto per la prima volta, però, ha avuto l’illuminazione.

    «Ho trovato! Ho trovato! Eureka!», ha esclamato.

    «E che razza di nome è Eureka!? Più brutto non lo potevi trovare», ha risposto mia nonna. Mio padre non andava molto d’accordo con la suocera, si capisce. Allora ha lasciato Eureka!, a farle un dispetto. E così non ci ha mai voluto dire il nome perfetto. Non mi ha mai voluto dire come mi chiamo.

    E sono rimasto senza nome.

    Ma al diavolo le presentazioni.

    Perché sono un dannatissimo genio senza nome, e vi basta sapere questo.

    Metto il liquido rosa nel passato di foglie, poi unisco tutto nella boccetta verde e SBAM! Ecco l’esplosione che aspettavo.

    Ahahahah! Ahahahah! Muàhahahah! (questa volta è uscita perfetta).

    Bevo! Bevo! La devo bere subito!

    No, prima la foto!

    Controllo i capelli allo specchio. Li spettino ancora un po’. Sistemo il papillon, il mio papillon a forma di baffo.

    Scatto automatico, boccetta pronta, lingua di fuori. Clic.

    Ora bevo! Dannazione, sto morendo di fame! Devo bere subito!

    Andato.

    Vado a prendere il sole.

    I

    Eureka! stava in giardino. Semplicemente stava. Stava come sta un filo d’erba. Così, senza aspettarsi nulla. Senza fare nulla.

    Eureka! stava in giardino quando Arturo andò a trovarlo.

    «Ciao, Eureka!».

    «Non mi dire».

    «Cosa?».

    «Anche tu hai avuto la mia stessa idea?».

    «Quale idea?».

    «Ecco, lo sapevo».

    «Cosa?».

    «Che qualcuno mi avrebbe fregato anche questa. In questo mondo non si può avere un’idea brillante che ci deve sempre essere qualcuno che l’ha avuta prima di te. È dura la vita di noi geniacci».

    «Veramente non so di cosa parli».

    «Veramente?».

    «Veramente!».

    «Vieni, vieni!».

    Arturo lo seguì dentro casa. C’era entrato così tante volte che spesso dimenticava quanta roba bizzarra ci fosse là dentro.

    «Vieni, vieni!», ripeté Eureka!

    Si era distratto un attimo guardando il criceto-robot che muoveva la ruota all’interno della gabbietta per produrre l’energia elettrica necessaria ad alimentare se stesso («non ho tempo per ricordarmi di dare da mangiare a un animale», aveva detto).

    Seguì Eureka! nello scantinato. Era là che creava.

    «Lo vedi questo? Lo vedi questo? Guarda che invenzione brillante! Ma come mi vengono? Ma come mi vengono?».

    Fissò un attimo lo strano oggetto: era una pietra circolare con dodici segni che aveva al centro un bastoncino di legno conficcato perpendicolarmente.

    «Cosa sarebbe, Eureka!?».

    «Hai ragione, qua non si capisce!».

    Attraversarono di nuovo la casa per tornare in giardino. Eureka! portò con sé la pietra.

    Arrivati all’aperto, la posò per terra e, con soddisfazione, annunciò:

    «Questo è un orologio solare. Non ha bisogno di batterie, capisci?».

    Arturo rimase un attimo perplesso, poi esclamò:

    «Ah! Ma è una meridiana!».

    «Ecco, vedi? Tutti, proprio tutti cercano di fregarmi le idee. È questo che ti volevo dimostrare, caro Arturo: non mi lasciano inventare nulla! Hanno già fatto tutto! Capisci il problema di noi scienziati di questi tempi? Non fai in tempo ad avere un’idea che già qualcuno te l’ha soffiata! Questa cosa della mefidiana proprio non ci voleva...».

    «Meridiana, Eureka!».

    «Eh, e io mefidiana ho detto! Mefidiana... che razza di nome è? Neanche si capisce cosa sia! Quale idiota gli ha dato questo nome, dico io? Se ti dico orologio solare, invece, capisci subito a cosa serve! Io sto avanti, sto! Caro Arturo, io sto avanti! Però c’è sempre qualcuno che mi sta attaccato, sempre dietro dietro, e mi ruba le idee dal taschino. Ma tutto

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