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La mia felicità, nel suo letto: Perché niente si trova dove andiamo cercando
La mia felicità, nel suo letto: Perché niente si trova dove andiamo cercando
La mia felicità, nel suo letto: Perché niente si trova dove andiamo cercando
E-book276 pagine3 ore

La mia felicità, nel suo letto: Perché niente si trova dove andiamo cercando

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Info su questo ebook

Si è svegliata in una camera d'albergo sconosciuta, senza la minima idea di come abbia fatto ad arrivarci, completamente nuda, in preda a postumi alcolici e con la sola consapevolezza di chi le dorme a fianco.
Sembra impossibile ma così Carola, la protagonista, ha trovato la felicità.
Faccio un passo indietro.
Carola Guicciardi aveva in mano la chiave della felicità, o almeno così credeva.
A soli trent'anni possedeva già tutto quello che desiderava dalla vita, un ottimo lavoro, una famiglia, anche se ridotta, su cui contare, un bellissimo fidanzato che tra non molto sarebbe diventato suo marito ed infine il grande compagno di vita, l'inseparabile amico Andrea.
Tutto ai suoi occhi sembrava perfetto e la strada davanti a se non presentava alcun intoppo o difficoltà, fino al tradimento di Lorenzo, il compagno. Tale rivelazione si trasforma nella scintilla che a poco a poco incenerisce il perfetto mondo di Carola, mandando in fumo ogni sua certezza.
L'Unico appiglio a cui aggrapparsi sembra l'amico Andrea, la sua spalla da sempre. Inizia proprio da lui o con lui la ricerca della felicità, anche se questo Carola non lo sa.

Uno spaccato divertente ed un quadro vivace di una donna in carriera con in agenda pianificati i prossimi cinquant'anni e, come un superalcolico, possa inaspettatamente incendiarle i programmi e cambiare radicalmente la sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2018
ISBN9788827552919
La mia felicità, nel suo letto: Perché niente si trova dove andiamo cercando

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    Anteprima del libro

    La mia felicità, nel suo letto - Elena Morelli

    26.

    La mia felicità, nel suo letto

    Perché niente si trova dove andiamo cercando.

    Elena Morelli

    La mia felicità,

    nel suo letto

    Perché niente si trova dove andiamo cercando

    Ai miei cari

    «La felicità è un gatto che corre dietro alla propria coda.

    Più la insegue e più gli sfugge.

    Ma quando s'impegna in altre cose, la coda gli viene dietro ovunque lui vada.»

    Anonimo .

    1

    E' morta.

    Non riesco a sentirla.

    La mano non si muove.

    Una paralisi al braccio sinistro! Suppongo di avere una paralisi al braccio sinistro.

    La testa. Dio mio, la testa mi scoppia! Pulsa, rimbomba, esploderà!

    Dove mi trovo? Cosa mi è accaduto? Sto male. Perché?

    Sono in preda al panico, con un braccio paralizzato, la memoria assente, per non parlare della vista. Buio totale.

    Ho paura, l'ansia mi assale. Devo calmarmi. Carola respira, respira e rifletti, rifletti e respira, da brava...

    Angoscia, angoscia, angoscia! Questa è l'unica parola che lentamente va materializzandosi a caratteri cubitali nella mia testa. Calma non ne trovo, esaurita, senza possibilità di approvvigionamento.

    Dove sono? Cosa mi è accaduto? Sto malissimo. Perché?

    Domande, domande e ancora domande, a quando le risposte? Necessiterei di soluzioni.

    Un incidente! Ho avuto un incidente.

    Forse…

    No! Sentirei parlare dei medici, un po’ di trambusto, una sirena e non questo silenzio mortale. Usa il cervello, non idiozie, usa la testa.

    Incidente fuori discussione, lo ricorderei.

    Forse…

    Cerco di muovere la mano destra, sono in grado e al tatto percepisco delle lenzuola di seta. Biancheria di seta in ospedale?

    Esclusa degenza ospedaliera.

    Con lenti ed estenuanti movimenti sento il bordo del letto, adesso il vuoto... Ahi! Il comodino.

    Mentre il dolore dalla mano passa al cervello tramite lancinanti scosse elettriche inizio seriamente a preoccuparmi.

    Mai provato un tale dolore, ho qualcosa di grave, di molto grave.

    Carola ti ordino di aprire gli occhi immediatamente!

    Potrebbe sembrare un'operazione banale. Tutto il contrario!

    Il sole, mamma quanto sole, una luce così bianca e abbagliante non l'ho mai vista, brucia da quanto è intensa. Due enormi lacrime mi solcano le guance annebbiando la visuale, adesso sembra tutto così etereo, luminoso, a tratti angelico.

    Dio sono morta!

    Ho letto qualche libro che parlava di vita dopo la morte e, nel complesso, ciò che vedo corrisponde appieno alla descrizione.

    Sono morta e questo è l'aldilà.

    No, no, no, no! Io non volevo morire a soli trent'anni con ancora una vita davanti, un mucchio di cose da fare e un miliardo di soddisfazioni da togliermi.

    Respira Carola, anche da morta respira.

    Morta. Morta. Morta.

    Ma cosa vado pensando? Razionalità, razionalità prima di tutto. Come posso essere morta? Ricorderei di essere crepata ad un certo punto, in qualche momento. Credo.

    Nessuna risposta dal fronte sinistro, mano e braccio completamente fuori uso, mentre la testa ed i bulbi oculari sono in procinto di scoppiare. Cosa mi sta succedendo? Provo paura, ansia ed apprensione, un turbinio di sensazioni che, in condizioni normali, sarebbero sufficienti a far dimenticare anche il proprio nome.

    Rifletti. Pensa. Ragiona.

    Un accenno di movimento. La spalla sinistra dà segni di speranza. Forse. Ma è bloccata sotto qualcosa.

    Ruoto la testa, piano, lentamente, un solo millimetro al minuto o forse meno. Il dolore è terribilmente penetrante.

    Qualcosa mi ha sfiorato il naso, sono peli, capelli. Di chi? Di cosa? Dio mio cosa è accaduto? Ho una bestia di fianco!

    Cos'è e soprattutto com'è finita qui?

    Se non sono già morta, adesso un infarto non me lo leva nessuno.

    Porto la mano destra alla fronte per schermare la luce. In queste condizioni è quasi impossibile riuscire a distinguere qualcosa, ma riesco ad intravedere un ciuffo di capelli nero.

    Fortunatamente è solo una testa!

    Sospiro di sollievo... Ho una testa sull'avambraccio sinistro. Non una paralisi, ma un cranio terribilmente pesante appollaiato tra spalla e gomito, pensavo peggio.

    Con molta lentezza capto e comprendo le parole.

    Un cranio terribilmente pesante appollaiato tra spalla e gomito .

    Una testa sul mio braccio... Una testa sul mio braccio!!!

    Spalanco gli occhi ansimante, più terrorizzata che dolente e, nell'intento di divincolarmi, vengo investita dalla realtà dei fatti, che, inesorabile, mi travolge come un treno spedito a tutta velocità.

    Presa in pieno.

    Mi trovo in un letto, credo di albergo, non riconosco la mobilia. Dopo qualche minuto con gli occhi assuefatti alla luce del sole accerto di essere completamente nuda e, per concludere, la testolina delicatamente adagiata sul mio braccio è di Andrea.

    Il cuore segna mille battiti al minuto, il sangue ribolle velocemente nelle vene e, in questo momento, l'ansia ha lasciato posto allo sgomento.

    In qualche modo cerco di togliere la testa di Andrea. Dorme e dovrà continuare a farlo finché non riuscirò a capire cosa diavolo sia accaduto.

    Beh, siamo entrambi nudi in un letto d'albergo, almeno una parte della storia è palese... Dovrò capire come diamine sia potuto accadere.

    Lo sistemo sul cuscino e un sorriso beato gli si stampa sul volto, cosa avrà da ridere?! Siamo nel bel mezzo di una tragedia e lui se la ride.

    Adesso che il bell'addormentato è sistemato, siedo sull'angolo opposto del letto cercando di fare il punto della situazione. Non è facile, la stanza gira come una trottola e tra non molto darò di stomaco, cingo forte la testa fra le mani nell'intento di interrompere il martello pneumatico che lavora dentro il cervello senza sosta.

    Carola concentrati.

    Punto primo, ieri sera mi sono ubriacata. L'odore acre di alcool nell'aria lo conferma.

    Idiota! Sapevo che era sbagliato! Se non fossi certa di svegliarti ti prenderei a pugni Andrea!

    Dopo l'inutile sfogo torno ai miei pensieri.

    Dovrei teoricamente capire come ho fatto ad arrivare qua dentro, ieri sera o stanotte oppure stamani... Dannazione! Non ho neppure idea di che ore siano!

    Guardo Andrea in preda al panico.

    «Come abbiamo potuto farlo? Sei il mio migliore amico, noi... Noi non avremmo dovuto. E' stato un errore!»

    Improvvisamente la stanza inizia a ruotare ed il mio stomaco, già duramente provato, strabocca. Solo il tempo di arrivare al lavandino e, dopo aver vomitato anche le interiora, osservo sgomenta lo specchio di fronte.

    Sono irriconoscibile: i lunghi capelli castani aggomitolati in una specie di coda, gli occhi verdi impiastricciati dal trucco, il colorito della faccia tutt'altro che rassicurante e la carnagione ambrata ha lasciato il posto ad un verdastro malsano.

    Somiglio alla bambina del film L'esorcista con la differenza che lei, almeno, indossava una camicia da notte, io sono completamente nuda.

    Esco dal bagno barcollando, con la testa non ancora pienamente sulle spalle, ma con il disperato bisogno di due cose: una pastiglia con le capacità da bomba nucleare per alleviare il dolore alla testa ed un piano di fuga.

    Quale?

    Nel frattempo, mentre le meningi ricominciano a girare, Andrea ha deciso di farmi prendere un colpo muovendosi senza pace nel letto. Da sdraiato sul lato destro si sposta nervosamente su quello opposto più e più volte con stampata sul volto la stessa espressione soddisfatta, gli mollerei uno schiaffo! Vederlo così sereno e beato mentre io sbrigo tutto il lavoro sporco mi irrita da morire.

    Immobile e completamente nuda di fianco alla porta del bagno trattengo il respiro sperando nel dono dell'invisibilità.

    «Non ti svegliare, ti prego, non adesso».

    Ascolto il rumore della biancheria di seta contro la sua pelle, il fruscio non smette, fremo attendendo il silenzio, sono gli istanti più lunghi della mia vita. Credo di essere paonazza in volto mentre la testa pulsa spaventosamente, ma non posso assolutamente respirare.

    Il trambusto si placa, inondo d'aria i polmoni, altri dieci secondi e sarei affogata. Socchiudo gli occhi per ispezionare il dormiente.

    «Cazzo!» Con le mani copro immediatamente la bocca, ma l'espressione spiega l'immagine.

    Mentre ero in apnea e con gli occhi chiusi Andrea ha issato il tendone da circo.

    Sono consapevole che l'espressione corretta sarebbe erezione mattutina. Lì sotto, però, potrebbe tranquillamente esibirsi una compagnia circense, con elefanti e belve feroci al seguito.

    Abbasso lo sguardo imbarazzata, mi sento a disagio mentre una vampata di calore mi attraversa.

    Devo trovare i miei vestiti, voglio andarmene da qui!

    Vago silenziosamente nella stanza. Ecco un sandalo, no due, li afferro, spunta qualcosa di blu da sotto il letto, le sue mutande. Dove caspita saranno nascoste le mie? Da sopra la poltrona agguanto il vestito turchese tutto gualcito, sotto lo scrittoio la borsa, ma delle mutande neppure l'ombra. In quale dannatissimo posto le avrò cacciate? Cercando come un segugio finalmente le vedo, spuntano dalla schiena di Andrea, sono sotto di lui.

    Un po’ di fortuna mai! Non pretendo che mi cadano dal cielo, ma neppure uno stillicidio del genere.

    Sospiro profondamente rimboccandomi le maniche che non ho e, costernata, mi accingo ad eliminare ogni traccia di me da questa stanza, devo ripulire la scena del crimine, potrei essere incolpata di scopata dolosa con migliore amico.

    Gravissimo!

    Poggio i sandali e la borsa a terra, indosso il vestito quasi irriconoscibile e, dirigendomi verso il lato del letto opposto mi preparo per l'operazione recupero mutande.

    Mi avvicino lentamente ad Andrea, a così poca distanza percepisco il suo profumo, l'ho sentito tante volte, ma adesso è diverso. Mentre miliardi di brividi pervadono il mio corpo ho un sussulto così intenso da dovermi sorreggere.

    Da quando ci conosciamo abbiamo sempre sostenuto che la nostra amicizia fosse esente da ogni attrazione sessuale, invece mi sono svegliata nuda, in una stanza d'albergo, con Andrea appollaiato sopra di me. Adesso, contrariamente alle mie convinzioni, ho torbidi pensieri che aleggiano nella testa.

    La mano sinistra, ormai fuori controllo, si avvicina al telo bianco, osservo la scena dal di fuori, come se quell'arto libidinoso non fosse mio.

    «Signori della corte questa mano non appartiene al mio corpo e, se per ipotesi dovesse farne parte, in questo momento mi ritengo incapace di intendere e di volere, l'alcool altera le facoltà cognitive.

    Verdetto della corte: Colpevole!»

    Il cuore credo stia per uscire dal petto, ad ogni rintocco deglutisco per impedirgli la fuga. La seta fredda è appena entrata in contatto con le dita... Un sussulto.

    Se dovesse svegliarsi sarei rovinata, ma l'eventualità non sembra preoccupare minimamente il mio corpo. Questo è sdoppiamento della personalità: dottor Jacky and Mr Hide.

    Nel frattempo, mentre i più ambigui pensieri aleggiano nell'aria, il lenzuolo in seta è delicatamente scivolato via lasciando in bella vista l'imponente membro.

    «O mio Dio!»

    Serro la bocca con le mani, devo mettermi a tacere. Silenzio Carola, potresti svegliarlo.

    L'ultima volta che ho potuto vederlo completamente nudo era leggermente diverso.

    Avevo sei anni, lui dieci e, chiusi dentro la cabina del bagno Apuana, ci togliemmo i costumi per osservare com'erano le grazie altrui. Siamo davvero cambiati da allora e, dopo stanotte, penso cambieranno molte altre cose, purtroppo. Sorrido pensando allo stuolo di donne al suo seguito, con questo mezzo è comprensibile.

    Come un flash l'immagine di noi due stretti in quello stesso letto, avviluppati in una morsa di passione, scrollo la testa per riprendere piena facoltà di me stessa e dimenticare l'immagine torbida di noi.

    Afferro gli slip, li indosso frettolosamente, acciuffo borsa e sandali e, con un balzo da vera gazzella, corro verso la porta.

    Volto lo sguardo verso Andrea che continua a dormire sereno, beato lui.

    Ci conosciamo da più di venticinque anni, non ci sono stati fidanzati, impegni di lavoro o distanza che hanno impedito la crescita della nostra amicizia. A fasi alterne siamo stati fondamentali l'uno per l'altra, due fratelli che si sono scelti fra milioni di persone. Con qualche bevuta e una scopata abbiamo spazzato via tutto.

    «Nei prossimi tre giorni ti accadrà qualcosa di esagerato, inaspettato, imprevisto ed inimmaginabile».

    Come un enorme gong risuonano le parole di mia madre.

    «Le stelle non mentono mai».

    Ti prego taci mamma, vattene, manchi solo tu a girare il coltello nella piaga, altro che stelle, era una iattura vera e propria.

    Un fruscio zittisce la voce di mia madre.

    Andrea si sta nuovamente agitando nel letto.

    Devo uscire seduta stante.

    Controllo di non aver lasciato niente, do un'occhiata alla camera, credo di no, afferro la maniglia ed esco. Chiudo delicatamente cercando di fare meno rumore possibile.

    Clack. Il tocco sordo della serratura.

    Finalmente nel corridoio, lontana dal luogo del misfatto.

    Volto le spalle alla porta, facendo forza su di essa per trattenere all'interno tutti i problemi e le complicazioni che ne seguiranno, come se servisse a qualcosa. Nel medesimo istante una lacrima solca la guancia destra, mi sforzo di credere sia tensione, che sciocca!

    Mi lascio scivolare ai piedi della porta, sconsola, dolorante e debole. È giusto così, me lo merito! Con le braccia cingo le gambe e chino il volto sulle ginocchia, vorrei poter tornare indietro, non chiedo molto, solo una macchina del tempo.

    Esisterà in tutto il mondo un inventore che abbia progettato una macchina del genere, anche non collaudata, mi proporrei come cavia da laboratorio.

    Quotidianamente inventano qualcosa di stupido come il cono gelato a batteria auto rotante. Perché queste menti superiori, invece di produrre spazzatura per il consumismo, non concepiscono qualcosa di utile per spostarsi nel tempo?

    Signori e Signore, ecco a voi l'apparecchio che cambierà la vostra vita. Problemi non risolti vent'anni fa o solo poche ore addietro? Vi presento la Times 2000 professional, l'eccezionale dispositivo per viaggiare comodamente nel tempo, a casa vostra con soli bla, bla, bla euro.

    Fanculo il prezzo.

    Il cigolio di un carrello mi riporta con i piedi per terra, la Times 2000 professional è solo un'illusione, purtroppo.

    La signora delle pulizie si sta avvicinando ed è anche piuttosto perplessa nel vedermi accovacciata per terra in pessimo stato.

    «Tutto bene signorina? Posso esserle d'aiuto?»

    Alzo gli occhi, non devo essere un bello spettacolo.

    «Ha una macchina del tempo?»

    Il suo sguardo è dubbioso. «Mi scusi, non ho capito di cosa ha bisogno».

    Scoppio a piangere in maniera incontrollata, mi vergogno così tanto, ma non riesco a smettere.

    «Non può fare niente, è tutta colpa di quello stronzo di Lorenzo. Maledetto il giorno in cui l'ho incontrato. E' colpa anche di mia madre, sì, anche sua, è un'astrologa o qualcosa di simile, ma solo Dio sa la verità. Come potevo non lamentare turbe psichiche con una madre come lei?»

    Poverina, se fossi in lei scapperei a gambe levate, forse, lavorando qui ne avrà viste di peggio. No, impossibile. «E' colpa di mia nonna, anche sua, sì, è dissennata ed irresponsabile... E... Ed è colpa anche sua». Indico la porta come se la malcapitata potesse sapere chi si cela dietro quelle mura. «Mi ha detto che sono troppo seria, come se questo fosse un difetto - copro la faccia per la vergogna - ed io ho bevuto, ho bevuto così tanto da perdere la cognizione di me e, non contenta, mi sono data alla pazza gioia combinando un casino. No, un casino lo fanno i bambini che mettono sotto sopra la loro cameretta, io ho fatto molto peggio». Ingoio con difficoltà, singhiozzando. «Volevo solo essere felice... E invece ecco il risultato». Sbatto ripetutamente la nuca nella parete su cui poggio.

    Sto raccontando i fatti miei ad una sconosciuta capitata qui per caso. Sono allo sbando.

    La sventurata si avvicina, ha veramente coraggio. «Se ha bisogno di un medico lo chiamo. La vedo turbata».

    Non voglio neppure guardarla in volto tanta è la vergogna. «Per favore, finga di non avermi vista, la prego vada. Vorrei rimanere sola senza pensare a niente, spiaccicata su questo pavimento, piangente e disperata, in guerra con me stessa. Quando avrò finito di frignare andrò incontro al mio destino».

    La donna, non contenta, inginocchiandosi di fronte a me continua: «Quando dentro di noi capiamo di aver sbagliato, siamo già un passo avanti».

    Con due occhi rossi come solo un cinghiale potrebbe avere la fisso, poi scuoto la testa in segno di negazione. Lei non sa cos'è accaduto là dentro.

    Mi sorride, devo proprio farle compassione. «Signorina...».

    «Carola, mi chiamo Carola».

    Le ho detto il mio nome?

    «Bianca, piacere. Non si disperi, non tutto il male viene per nuocere, in questo momento non può capire, ma con il tempo vedrà! Adesso beva un po' d'acqua». Prende dal carrello una bottiglia in plastica e me la porge.

    «Almeno un sorso, e stia pure seduta a riflettere tutto il tempo che crede, io non la disturberò più, inoltre non riordinerò la stanza 181 finché lei sarà seduta qui». Prende una confezione di fazzoletti per appoggiarla di fianco alla porta, poi afferra saldamente la maniglia del carrello e, incamminandosi, prosegue: «Non so cosa le sia accaduto o cosa abbia fatto di così orrendo, per esperienza personale le confesso che, se all'interno di quella stanza non c'è un cadavere, mi creda, per tutto il resto troverà un rimedio, ma non scappi dai problemi, rischierà solo di aggravarli». Fa una pausa, poi ride tanto da far sobbalzare le possenti spalle. «Se poi dovessi veramente trovare un cadavere sul letto avrebbe vitto ed alloggio gratis per una ventina d'anni!»

    Ho un lieve sorriso sulle labbra, per un attimo non ho pensato al fattaccio. Che personaggio curioso.

    Adesso è sparita e, con lei, anche la precaria allegria che era riuscita a creare. Faccio come mi è stato richiesto: bevo e cerco in qualche modo di ripulirmi la faccia con i fazzoletti.

    Estraggo dalla borsa il cellulare, lo avvio nel tentativo di ricongiungermi con il mondo esterno e, guardando la prima immagine comparsa sul display, sento una lancinante fitta al cuore.

    Siamo io ed Andrea assieme a Cecilia, la sua Boulldog, il giorno in cui l'ho accompagnato a prenderla. Abbiamo girato a vuoto ore prima di trovare il paesino sperduto in cui si trovava. Prima di venire via ci siamo fatti fare una foto per immortalare quel momento. Dopo, la pestifera, ci ha riempiti di pipì.

    Sento sopraggiungere le lacrime, come un fiume in piena mi appannano la vista. Non devo piangere. Finalmente la foto di noi tre se ne va lasciando il posto a nonna Miria. Ha una sigaretta con bocchino che tiene saldamente tra due sole dita, una cuffietta nera in

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