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Nevicò presto quell'inverno
Nevicò presto quell'inverno
Nevicò presto quell'inverno
E-book82 pagine58 minuti

Nevicò presto quell'inverno

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Info su questo ebook

Autunno 1944, c’è la guerra ed Erika, una ragazzina di 11 anni, è costretta a fare la valigia e ad andare in montagna a casa del nonno, per essere più al sicuro. La casa di montagna è bella e accogliente, ma c’è qualcosa di strano, che Erika scoprirà e che la renderà, non senza pericolo, complice di un’azione umanitaria.

Il romanzo è adatto ai lettori da 8 a 12 anni che affrontano lo studio della seconda guerra mondiale.
LinguaItaliano
Data di uscita23 apr 2020
ISBN9788831667838
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    Anteprima del libro

    Nevicò presto quell'inverno - Nuccia Resegotti

    633/1941.

    PRESENTAZIONE

    Quan­do le per­so­ne che og­gi so­no non­ni e non­ne era­no dei ra­gaz­zi­ni e del­le ra­gaz­zi­ne, ac­ca­de­va­no sto­rie co­me que­sta. C’era la guer­ra, quel­la che fu chia­ma­ta la Se­con­da Guer­ra Mon­dia­le. In­co­min­ciò nel 1940 e l’Ita­lia en­trò nel con­flit­to co­me al­lea­ta del­la Ger­ma­nia. En­tram­bi i pae­si era­no go­ver­na­ti da un re­gi­me dit­ta­to­ria­le: in Ger­ma­nia c’era­no i na­zi­sti al co­man­do di Hi­tler e in Ita­lia i fa­sci­sti al co­man­do di Mus­so­li­ni che ave­va pre­so il no­me di Du­ce, cioè con­dot­tie­ro, dal la­ti­no Dux. Per im­por­re l’idea na­zi­sta nel mon­do Hi­tler in­va­se le li­be­re na­zio­ni eu­ro­pee e sca­te­nò la per­se­cu­zio­ne con­tro le po­po­la­zio­ni di raz­za non aria­na, so­prat­tut­to con­tro gli ebrei.

    Do­po tre an­ni di guer­ra, nel 1943 in Ita­lia ci si ri­bel­lò al fa­sci­smo e il pae­se fu di­vi­so da una lot­ta ci­vi­le. Co­lo­ro che re­sta­ro­no fa­sci­sti ri­ma­se­ro fe­de­li all’al­lea­to te­de­sco, gli al­tri si chia­ma­ro­no par­ti­gia­ni e fe­ce­ro par­te di un mo­vi­men­to det­to la Re­si­sten­za. I par­ti­gia­ni si al­lea­ro­no con gli in­gle­si e gli ame­ri­ca­ni, le co­sid­det­te For­ze Al­lea­te. Nei pri­mi tem­pi si na­scon­de­va­no so­prat­tut­to in mon­ta­gna e scen­de­va­no in pia­nu­ra a com­pie­re azio­ni di guer­ra.

    La guer­ra ter­mi­nò il 25 apri­le 1945 quan­do Mus­so­li­ni fu cat­tu­ra­to dai par­ti­gia­ni. Nel pri­mo pe­rio­do di pa­ce, co­me sem­pre ac­ca­de, ci fu­ro­no co­lo­ro che cer­ca­ro­no ven­det­te o ri­val­se per­so­na­li. Pre­sto pe­rò il pae­se cer­cò in tut­ti i mo­di di ri­sol­le­var­si mo­ral­men­te ed eco­no­mi­ca­men­te dal­le dif­fi­col­tà pas­sa­te. In­co­min­ciò quel­la che fu chia­ma­ta la Ri­co­stru­zio­ne.

    ANCH’IO HO QUALCOSA DA PRESENTARE

    Il mio no­me è Am­bro­gio e so­no un oro­lo­gio. So­no un pez­zo di mo­bi­lia no­bi­le, cioè ho im­pa­ra­to a co­mu­ni­ca­re con al­tri og­get­ti co­me me e … qual­che vol­ta, in par­te, in un cer­to mo­do … a tra­smet­te­re qual­co­sa agli uma­ni più vi­ci­ni. In que­sta sa­let­ta al pri­mo pia­no del­la ca­sa, do­ve mi han­no col­lo­ca­to mol­to tem­po fa, sia­mo in tre do­ta­ti di que­sta ca­rat­te­ri­sti­ca. Io, Am­bro­gio l’oro­lo­gio, poi Zi­ta, la cre­den­za di bion­do le­gno di ci­lie­gio, che ha la par­te su­pe­rio­re chiu­sa con ve­tri ri­co­per­to da ele­gan­ti ten­di­ne gial­le, e Pu­ti­far­re, lo sti­po che di­ven­ta scrit­to­io quan­do il suo pia­no a ri­bal­ta è ab­bas­sa­to. Io so­no un oro­lo­gio a tor­re, un pen­do­lo con­te­nu­to den­tro una lun­ga e stret­ta cas­sa di le­gno che ap­pog­gia sul pa­vi­men­to. Sul da­van­ti la cas­sa è chiu­sa da un ve­tro at­tra­ver­so cui, ai bei tem­pi, si ve­de­va oscil­la­re la mia gam­ba di ot­to­ne. In al­to ho il qua­dran­te con le lan­cet­te, ades­so im­mo­bi­li. Se vo­glio, con sfor­zo, rie­sco a far suo­na­re il ca­ril­lon an­che sen­za la ma­no dell’uo­mo, ma la cre­den­za Zi­ta e lo sti­po Pu­ti­far­re di­co­no che so­no di­ven­ta­to un oro­lo­gio mo­gio: il suo­no non è più ar­gen­ti­no com’era un tem­po. Per­ché? Nel fon­do del­la mia tor­re, sot­to la gam­ba di ot­to­ne, è sta­to co­strui­to uno scom­par­to se­gre­to. Que­sto ha al­te­ra­to la so­no­ri­tà del­la mia cas­sa. Lo scom­par­to è pie­no di car­te e tra di es­se c’è un qua­der­no mol­to spes­so. Ha la co­per­ti­na di stof­fa, pic­co­li gi­gli blu sul fon­do co­lor pan­na, le pa­gi­ne dal ta­glio do­ra­to.

    Su que­sta pa­gi­ne Eri­ka ha scrit­to la sto­ria nar­ra­ta in que­sto li­bro.

    Ho qual­co­sa da ag­giun­ger­ci io? Sì, tut­to quel­lo che in que­sto dia­rio non c’è. Tut­to quel­lo che noi tre pez­zi di le­gno, no­bi­li­ta­ti dal fat­to di aver im­pa­ra­to a co­mu­ni­ca­re, ab­bia­mo vi­sto e udi­to pur re­stan­do fer­mi in que­sta stan­za.

    1.

    DAL DIARIO DI ERIKA

    14 no­vem­bre 1944

    Stia­mo aspet­tan­do non­no Ma­rio da un mo­men­to all’al­tro. Mam­ma mi sta pre­pa­ran­do la va­li­gia che non de­ve es­se­re trop­po pe­san­te per­ché non sa­rà un viag­gio co­mo­do. Il non­no ha an­co­ra l’au­to­mo­bi­le da qual­che par­te in To­ri­no, ma la po­ca ben­zi­na che c’è in gi­ro + ri­ser­va­ta agli usi mi­li­ta­ri. Lui ver­rà a pren­der­mi col tre­no e col tre­no mi por­te­rà a ca­sa sua, in Val­se­sia.

    È sta­ta una de­ci­sio­ne im­prov­vi­sa. L’al­tro gior­no mio fra­tel­lo Giu­lia­no, che ha qua­si se­di­ci an­ni, è sta­to fer­ma­to per via da due mi­li­ta­ri del­la De­ci­ma Mas¹ che ha un di­stac­ca­men­to qui a Ivrea. Era­no dei ra­gaz­zi co­me lui ma, for­se per­ché in di­vi­sa e ar­ma­ti, si com­por­ta­va­no in mo­do ar­ro­gan­te e an­ti­pa­ti­co.

    Dove vai?

    A scuola.

    Non è tempo di scuola, questo. Quanti anni hai?

    Quattordici- ha risposto Giuliano, ben istruito da mamma per casi come questo.

    Non è vero! Ne hai sedici e devi arruolarti come noi.

    Non ti vergogni di andare a scuola quando la patria ha bisogno?

    Devi prendere il posto di tuo padre.

    Pa­pà è pri­gio­nie­ro in Ger­ma­nia. È sta­to pre­so con il suo bat­ta­glio­ne in Fran­cia, po­co do­po l’8 set­tem­bre dell’an­no scor­so, quan­do i te­de­schi da no­stri al­lea­ti so­no di­ven­ta­ti no­stri ne­mi­ci. Tre an­ni fa, quan­do è co­min­cia­ta la guer­ra, i no­stri ne­mi­ci era­no gli An­glo-Ame­ri­ca­ni. Ades­so con i te­de­schi ci stan­no sol­tan­to i fa­sci­sti e pa­pà non ha vo­lu­to en­tra­re nei lo­ro re­par­ti, co­sì è sta­to man­da­to in un cam­po di con­cen­tra­men­to.

    Quan­do so­no co­min­cia­ti i bom­bar­da­men­ti su To­ri­no, mam­ma, Giu­lia­no

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