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All'ombra del nocciolo
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E-book512 pagine6 ore

All'ombra del nocciolo

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Info su questo ebook

1944: un militare e sua moglie, la figlia di pochi mesi e un ragazzo, loro nipote. La storia di una famiglia sarda che giunge in Toscana all'alba dei terribili avvenimenti che sconvolgeranno quelle terre. Essi cercheranno, loro malgrado, di sfuggire le bombe, i rastrellamenti, le stragi naziste e la fame.Incroceranno le loro vite con quelle della Wehrmacht,delle Waffen-SS, dei Partigiani e dei neri della 92°Buffalo. In questa storia i buoni lo saranno al di là della bandiera che indossano, mentre i cattivi oltre ogni umana aspettativa. Un viaggio che parte da Palmas Suergiu e culmina a Sant’Anna di Stazzema, sterminata sotto la furia nazista, intriso di speranze, disillusioni, pane raffermo e nocciole.
LinguaItaliano
Data di uscita3 lug 2014
ISBN9788891147752
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    Anteprima del libro

    All'ombra del nocciolo - Massimiliano Di Nicolantonio

    fior.

    Palmas Suergiu, lì 21/02/1942

    La bicicletta era una Umberto Dei, marca Oro, a bacchetta, del 1940. La mano, leggera e ossuta, di una stanchezza delicata, faceva girare la catena mentre l’uomo, attentamente, ascoltava il suono degli ingranaggi cercando di capire se avessero bisogno di una piccola aggiunta di grasso.

    Era un vero capolavoro e la mano, precisa, la trattava come fosse una finissima porcellana.

    Ora vado, disse Nicolino prendendola per il manubrio.

    A che ora tornerai? chiese dalla dispensa la moglie, Dondina.

    Non lo so, spero di non fare troppo tardi. rispose lui mentre, con delle mollette, fissava la parte finale dei pantaloni per evitare che questi si incastrassero nella catena.

    Oggi mi porto anche Ignazio! aggiunse in maniera furtiva, cercando di lasciar morire il discorso.

    Lascialo a casa almeno farà un po’ di compagnia al fratello! disse lei osservando lo sguardo sconsolato di Gianfranco.

    Ignazio vuoi venire? bisbigliò Nicolino al ragazzo che lo osservava mentre preparava la bicicletta per andare a lavorare.

    Andiamo, andiamo, gridò il ragazzino andiamo con la bicicletta?

    Certo, metti le mollette ai calzoni e andiamo, voliamo, veloci come Bartali!

    La bicicletta camminava lentamente sulla strada di servizio che costeggiava la ferrovia, una specie di mulattiera bianca e polverosa su cui la natura stava nuovamente prendendo il sopravvento.

    Nicolino era un guardafili del servizio postale, ogni giorno il suo compito era quello di verificare che il tracciato del telegrafo tra Palmas Suergiu e Sant’Antioco fosse efficiente, poi, tornato in ufficio, redigeva un verbale nel quale comunicava lo stato di salute della linea.

    Ignazio, in canna, ammirava il paesaggio campestre steso a perdita d’occhio: grigi campi coltivati e zone boschive disseminate in maniera eterogenea. Piccole strade polverose che si intrecciavano come una tela di ragno, per dividere i vari appezzamenti di terra ancora umidi e freddi dall’inverno che lentamente tornava a chetarsi.

    Dagli acquitrini spiccavano il volo leggeri aironi bianchi che si dirigevano verso le saline di Sant’Antioco: cornice di vetro brillante tra leggeri colpi d’ala.

    Era un plumbeo pomeriggio di febbraio. Un libeccio freddo e pungente soffiava senza voler dare alcun segno di esitazione.

    Ignazio sollevava continuamente il bavero della giacca per coprirsi meglio, in un gesto ripetuto e nervoso.

    Nel silenzio della campagna solo il crepitare della bicicletta con la catena mal tesa segnava il passo della loro lenta andatura.

    Nicolino con la testa per aria controllava minuziosamente la costante onda dei fili, mentre il figlio osservava tutto attorno e la sua mente si perdeva nella natura.

    Dobbiamo andare verso Carbonia, sembrerebbe ci sia un guasto lungo la linea! le parole di Nicolino non trovarono risposta.

    Ti piace passeggiare con il babbo? chiese l’uomo quasi bisbigliando e con il fiato rotto dall’andatura energica.

    Ignazio lo osservava dal basso: seduto sulla canna della bicicletta e con il pensiero aggrovigliato tra i rami gli alberi, distrattamente sorrideva.

    Era un ragazzo vivace; al paese lo conoscevano tutti, non che il paese fosse poi così grande, ma, nel suo caso, Ignazio aveva una predisposizione innata per la socializzazione e spesso capitava che la sua fama lo precedesse.

    Cosa vuoi fare da grande, Ignazino?

    Babbo, non lo so! rispose pensieroso.

    Vuoi fare il notaio? Potresti studiare e fare l’avvocato, oppure il farmacista; ti piacerebbe fare il marinaio? Oppure ti piacerebbe fare il fornaio? Oppure vuoi fare il guardafili telegrafico come tuo babbo?

    Farò il postino! rispose con aria di sfida così potrò girare in bicicletta e poi, quanto non lavorerai più, ti porterò con me sulla mia bicicletta. Io seduto in sella e tu sulla canna.

    Ne sei sicuro? Sarò pesante da portare.

    Sarai vecchio e leggero e io sarò grande e forte come il fabbro.

    Come il fabbro?

    Certo, non lo conosci? chiese il passeggero stropicciandosi il naso con il palmo della mano.

    No, ma magari uno di questi giorni mi ci accompagni.

    Il fabbro sta lungo la via, rispose Ignazio lui è grande e forte e può portare in bicicletta tutti e due senza stancarsi!

    Allora, prometti che porti il babbo a conoscerlo?

    Promesso, disse mentre continuava a pensare oppure potrei fare il ferroviere come il nonno?

    È un lavoro impegnativo: stava sempre in giro per la Sardegna

    A me piace andare in giro, babbo. Così ti porterò per le vie senza fatica quando sarai vecchio! E lo farò senza farti pagare, lo sai?

    L’uomo sorrise e continuò la sua pedalata con in canna quel giovane ragazzo pensieroso senza grandi progetti per il suo futuro.

    Nicolino era un uomo alto di statura, capelli corti e curati, carnagione olivastra che si accompagnava a meraviglia con il folto baffo che svettava importante sotto il naso. Aveva un fisico asciutto, fisicamente forse un po’ provato dal lavoro ma si dava un contegno e non si lamentava mai.

    Va bene Ignazio, da grande farai il postino, sarai grande e grosso come il fabbro e porterai tutti sulla tua bicicletta oppure sul tuo treno! Macchinista Ignazio! e improvvisò il fischio della locomotiva mentre si sollevava sui pedali per aumentare l’andatura.

    Ignazio annuì ma il suo pensiero era perso altrove. Osservava e ascoltava ogni suono. Il vento batteva più forte sulla sua giacchetta.

    Questa tratta è molto importante, sai? Devo garantire che il telegrafo sia sempre efficiente! spiegò l’uomo, "ogni giorno a Sant’Antioco arrivano decine di treni che partono dalla miniera e lì staccano i vagoni, portano il carbone al Continente."

    Quale miniera? chiese Ignazio

    La miniera di Serbariu. Nel ’38 il Duce è venuto in visita per l’inaugurazione ufficiale della città di Carbonia; se ci pensi sei più vecchio di Carbonia!

    Ignazio sorrise e smarrì nuovamente i suoi pensieri per il bosco, cercò di immaginarsi più grande e vecchio della città di Carbonia. Si vedeva come un gigante che cammina per le campagne con in spalla il suo babbo e vaga fino ad arrivare a Carbonia, piccolo puntino microscopico sotto i suoi piedi.

    E poi? chiese Ignazio.

    E poi cosa?

    Che fine fanno i vagoni?

    "Te l’ho detto, il carbone viene imbarcato e portato in Continente. Serve per le fabbriche che lo utilizzano come combustibile o per i treni." continuò a spiegare Nicolino.

    È grande la miniera? Mi ci porti qualche volta?

    Certo che ti ci porto, portiamo anche Gianfranco e la mamma.

    Nicolino prese un po’ il fiato: le salite e le discese con Ignazio e la borsa con gli attrezzi in canna erano una grossa fatica anche per un uomo allenato.

    Avevano ormai percorso parecchi chilometri tra le domande di Nicolino e i lunghi silenzi di Ignazio.

    La miniera di Serbariu è gigantesca, rifiatò ancora hanno realizzato due pozzi che scendono sotto terra, e continuano a farlo per decine di metri, ci lavorano migliaia di persone che ogni giorno e ogni notte salgono e scendono, su e giù, lungo i pozzi a portare fuori il carbone.

    La bicicletta rallentò, un filo era danneggiato. Lasciò la bicicletta in una radura pianeggiante, lontana dal danno sulla linea telegrafica che, purtroppo, si era verificato lungo una leggera discesa.

    Forse il vento dei giorni precedenti o forse qualche sabotaggio, qualsiasi fosse la causa, di fatto, alcuni fili erano tagliati ed ora era compito suo ripararli.

    Ignazio io devo riparare la linea, lascio qui la bicicletta, vai a giocare, magari trovi qualche serpente o qualche altro animale. Mi raccomando: non ti allontanare troppo altrimenti poi ti perdi e chi la sente tua madre. Nicolino diede una strigliata ai capelli del figlio, mi raccomando: non ti allontanare altrimenti per punizione non ti farò andare più dal fabbro! e rise d’uno scuotersi d’ossa, delicatamente sotto i baffi sudati.

    Ignazio lasciò il babbo e la bicicletta e andò a camminare lungo i sentieri. Il profumo dell’inverno, il vento battente sul volto del ragazzo, l’aria fresca della campagna mista all’odore salmastro lontano delle saline. Tutto si miscelava e si sprigionava violento ad ogni folata. Il freddo, sempre quel dannatissimo freddo che entrava nei vestiti e il vento, che gli carezzava i capelli e non lo lasciava smettere di tremare.

    Camminava per la campagna. Non c’era neanche un flebile raggio di sole per poter scaldare la pelle.

    Un convoglio carico passò velocemente, spazzando nella sua veloce corsa le foglie secche depositate lungo i binari. Il ragazzo osservava, respirava e ascoltava tutto.

    Un lungo fischio, forse un saluto, gli fece intendere che era stato visto dal macchinista. Una mano infatti sbucò fuori e fece cenno di saluto. Il ragazzo contraccambiò.

    Chissà, pensò se ha potuto vedere il mio saluto.

    Scalciò qualche sasso e riprese a camminare.

    Nel suo lungo vagare tornò alla bicicletta del padre che, ancora, stava lavorando per riparare i fili danneggiati.

    Ignazio pensava a come riscaldarsi; probabilmente il modo più semplice sarebbe stato quello di salire in sella alla bicicletta e pedalare velocemente fintanto che il caldo non lo avesse fatto sudare. Il bavero alzato non era certo di grande sollievo e nulla sarebbe potuto accadere nel prendere in prestito la bicicletta. Regolò il sellino per la sua altezza, poi, senza pensarci troppo, montò sopra pedalando con vigore lungo la salita che lo riportava verso casa, poi, percorso un bel pezzo di mulattiera, con una rapida inversione piombò a tutta velocità lungo la leggera discesa che lo portava verso il babbo.

    Lo fece più e più volte e ogni tentativo era più divertente della volta precedente, più sicuro e disinvolto. Il freddo era dimenticato, il caldo ormai lo avvolgeva e il bavero adesso era persino abbassato e scomposto a causa del vento che lo scompigliava tutto.

    Tornò dove lo attendeva il padre. La sera lentamente calava e il vento si faceva più teso.

    Strani rumori iniziarono a saltare fuori tra gli arbusti.

    Le ombre si allungarono e il movimento convulso degli alberi creava forme scure spaventose anche per un ragazzo coraggioso come Ignazio.

    Qualcosa sbucò fuori dai cespugli emettendo un grido acuto e violento. Ignazio fu assalito dal terrore. Gridò con tutto il fiato che aveva in gola ma Nicolino non poteva sentirlo.

    Prese la bicicletta per il manubrio e senza montarci sopra la trascinò in direzione della strada di casa.

    Le ombre sempre più lunghe davano l’impressione di voler avvolgere tutto. Ignazio terrorizzato allungò il passo.

    Cadde una volta, cercò di rialzarsi ma cadde una seconda volta lungo una leggera scarpata che fiancheggiava la strada di servizio. Rotolarono assieme Ignazio e la bicicletta in un groviglio di gambe e ruote.

    Nicolino, che aveva appena finito, corse in direzione delle grida.

    Cosa hai combinato Ignazio! urlò mentre lo aiutava a sollevarsi da terra.

    Io volevo solo riscaldarmi, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, davvero, mi dispiace!

    Adesso come faccio ad andare a lavoro? E come torniamo a casa ora? Dobbiamo spingerla fino al paese!

    Mi dispiace, volevo solo riscaldarmi. Ho fatto un paio di giri e sono tornato ad aspettarti ma poi il buio, quelle grida, sentivo dei versi che uscivano dagli alberi. Ho avuto paura e tu non mi sentivi!

    Non mi interessa: visto che non sei in grado di venire con me, la prossima volta rimarrai a casa, mi porterò tuo fratello, probabilmente fa meno danni!

    Nicolino cercò di sistemare la bicicletta. La catena era fuori dalla guarnitura, la camera d’aria della ruota anteriore fuori dal cerchione, la pompetta per gonfiare le ruote irrimediabilmente persa in quella penombra che avanzava.

    La strada verso casa fu lunga e silenziosa. I passi melmosi erano accompagnati dallo stridio della bicicletta che per necessità venne trascinata dal babbo mentre Ignazio fu tacitamente caricato con la borsa da lavoro di Nicolino.

    Ignazio avrebbe voluto parlare con il babbo ma il suo senso di colpa lo tratteneva. Restava in disparte, silenzioso, speranzoso che il suo semplice silenzio lo avrebbe reso del tutto invisibile agli occhi del babbo.

    Ignazio! gridò felice Gianfranco, andando incontro al fratello.

    Ignazio tirò dritto verso casa mentre Gianfranco, il fratello minore, proseguì la sua corsa verso il babbo che lentamente trascinava la bicicletta danneggiata.

    Che cosa è successo? chiese al babbo.

    Nulla di grave figliolo, Ignazio è caduto con la bicicletta, poteva lasciarci la testa. sospirò poggiando una mano sulla spalla del piccolo.

    Gianfranco spalancò la bocca come a voler sottolineare il fatto di aver sentito qualcosa di peccaminoso che non avrebbe dovuto sentire. Pensava a quali terribili punizioni avrebbe subito il fratello per aver sfiorato la bicicletta del babbo.

    Ignazio intanto, depositato il borsone sull’uscio di casa, si diresse verso la camera da letto incrociando Dondina che lo acciuffò per un braccio e gli tolse velocemente i vestiti sporchi.

    E adesso cosa ti metto? Ma è possibile che io debba continuamente pulire la vostra roba dal fango? Non siete capaci di giocare come gli altri bambini? la donna inveiva bonariamente.

    Non volevo rompere la bicicletta del babbo, avevo freddo e poi quei versi nell’ombra. sospirò.

    "Hai rotto la bicicletta di tuo babbo? E adesso come farà? Malu, mettiti questa roba pulita e non ti azzardare a sporcare anche questi altrimenti rimani in mutande e mentre gli porgeva i vestiti continuò Nicolino, Gianfranco venite a cena, la minestra è pronta."

    A tavola continuò a regnare il silenzio che aveva accompagnato i due lungo la mulattiera. Il pane veniva spezzato, il cucchiaio sfiorava il fondo e il suono dei ragazzi che bevevano la minestra riempiva la stanza.

    È arrivato un telegramma di Ada!

    Cosa dice?

    Dice che si sposa il 20 aprile.

    Di quest’anno? chiese Nicolino.

    Sì, confermò è la guerra Nicolino. Quello è marinaio. Hanno fretta! e furono le ultime parole per quella sera.

    Palmas Suergiu, lì 02/03/1942

    Ignazino, chiamava Nicolino Ignazio che fai?

    Nulla, davo da mangiare alle galline.

    Ti piacerebbe venire a pescare?

    Ignazio fece un salto di gioia. Corse dalla madre e la informò che sarebbe andato con il padre.

    Nicolino, state attenti però! Se tornate sporchi o graffiati vi giuro che ve ne andrete a dormire senza cena!

    Dondina, ma di cosa ti preoccupi? Andiamo a fare due tiri di canna al mare. Roba da uomini.

    E certo, gli uomini a divertirsi. Dove andate?

    Non saprei, pensavo a Porto Pino. In bicicletta saranno venti chilometri. Non è poi così distante.

    Dondina incrociò le mani in segno di preghiera e tornò alle sue faccende domestiche. Gianfranco in un angolo continuava a giocare, triste. Non sopportava d’essere messo da parte dal fratello e dal padre. Avrebbe voluto partecipare anche lui a quei momenti di intimità familiare ma evidentemente, e lui non se ne dava ragione, era ancora troppo piccolo per poter partecipare ai giochi sebbene, nonostante i suoi quattro anni, ritenesse che quel comportamento non fosse giusto.

    La cassetta è già legata sulla bicicletta, le canne da pesca anche. Andiamo Ignazio o si farà tardi.

    Il ragazzo corse ad abbracciare la mamma, passò velocemente a scarmigliare i capelli del fratello che per tutta risposta lo allontanò stizzito.

    La bicicletta filava. Domenica mattina. Il tempo calmo e l’aria fresca accompagnavano i due pescatori verso il mare.

    Nicolino l’aveva sistemata. Aveva aggiustato la camera d’aria, fatto tirare un po’ i raggi e recuperato una pompetta per l’aria da un amico al paese.

    Ignazio sempre in silenzio, sempre assorto nei suoi pensieri, respirava l’aria fresca della mattina temendo di riprendere il discorso lasciato in sospeso.

    Babbo, interruppe il silenzio il ragazzo sai che mi manca Marietta?

    Marietta? Ancora a quella ragazza stai pensando? Sono passati parecchi anni… don Giovanni!

    Ignazio rise di cuore. Pensava a Marietta e alle sue belle gambe. Pensava a come si muoveva, come danzava nelle notti d’estate in piedi sopra il suo letto.

    Era bella Marietta vero?

    Sì, era una bella ragazzina!

    Ballava benissimo!

    Ballava? Non l’ho mai vista ballare. Vedevo che non ti staccavi più da lei. Le passavi tutta la giornata appresso ma la disturbavi. Lei era lì per darci una mano in casa, mica per stare dietro ad un ragazzino di sette anni. Era la nostra domestica non una bambinaia.

    Qualche anno addietro la famiglia di Ignazio, prima di essere trasferita a Palmas Suergiu nella microscopica frazione di Is Loccis, era stata mandata, per i soliti motivi di lavoro di Nicolino, a Giba, un paesino a quindici chilometri di distanza dall’attuale residenza. Gli era stata assegnata una casa e dopo qualche giorno decisero di prendere una ragazza giovanissima per sbrigare le faccende domestiche e fare compagnia ad Ignazio.

    Le giornate del bambino in compagnia di Marietta scorrevano veloci.

    Marietta cercava di sbrigare tutte le faccende domestiche velocemente per poter dedicare più tempo ad Ignazio. Non era facile. Dondina cercava di tenerla occupata il più possibile per non farle perdere troppo tempo dietro al suo figliolo.

    Spesso capitava che la giovane rimanesse a dormire a casa di Ignazio e per questo, a fine serata prima di cenare, uscivano per i campi che circondavano il paese e si immergevano nel loro mondo di fantasia.

    Marietta era giovane, gentile, la carnagione olivastra come si addice ad una bellezza sarda, capelli ricci lunghi, un po’ crespi di un colore nero come il nero dei merli. Era di umili origini ma di grande carattere e tempra robusta. Il sorriso le copriva sempre il viso. Un sorriso un tempo rassegnato, che aveva lasciato spazio all’allegria e la spensieratezza dei suoi pochi anni dal momento in cui era entrata come domestica in quella casa.

    Marietta giocava con Ignazio. Aveva intuito la passione innocente che provava nei suoi confronti e si divertiva a sfotterlo e lusingarlo ma lo faceva con il cuore. Un cuore giovane e ingenuo, una passione reciproca tra ragazzi quasi coetanei.

    Certo era che Marietta nonostante la giovane età fosse maturata rapidamente. Una famiglia da aiutare economicamente già alla sua età era tuttavia cosa comune in Sardegna. Una Sardegna già afflitta dalla povertà anche senza la stretta collaborazione della guerra.

    Marietta ballava e ballava gentilmente. Lo faceva per sé e se osservata lo faceva, discreta, per il suo pubblico. Adorava ballare e roteare su se stessa lasciando che i vestiti da domestica si aprissero a campana come le grandi ballerine di danza classica.

    Ignazio la sera la chiamava, sottovoce, bisbigliando, lei sgusciava da sotto le sue coperte, scivolava via dal letto della stanza che le era stata messa a disposizione e silenziosamente andava a trovare il bambino che tanto la ammirava.

    Ti prego Marietta, mi fai vedere come balli?

    Ancora? A quest’ora dovremmo dormire. Io domani ho da aiutare la signora.

    Sì, te ne prego. Fammi vedere come balli.

    Ma non c’è nemmeno musica?

    Pensala nella tua testa e danza. Fammi vedere come balli! Tu balli sempre senza musica.

    Sveglieremo i signori e mi farai passare i guai!

    Qualche scricchiolio spegneva puntualmente la conversazione.

    Marietta tremante di terrore già si figurava di venir cacciata dalla casa o che le venisse vietato di frequentare in alcun modo il ragazzo.

    Lui invece si infilava sotto le coperte e fingeva di dormire.

    Cosa stai facendo sciocco!

    Non darmi dello sciocco!

    Moccioso!

    Piantala, non sono neanche un moccioso!

    Sì che lo sei!

    No, non lo sono. Sono poco più piccolo di te.

    E allora dimmi, cosa stai facendo?

    Ho avuto paura che stesse entrando il babbo e allora ho finto di dormire!

    E perché mai?

    Perché se entra il babbo, vedendomi addormentato, penserà che tu ti sia alzata per controllare come stavo dormendo, no?

    Marietta sorrise divertita. Fece un inchino con la sua vestaglia da notte e si girò per uscire dalla stanza. Si portò un dito al naso e fece cenno di fare silenzio.

    Dove vai?

    Torno a dormire! Ballerò domani per te!

    No, devi assolutamente ballare altrimenti mi metto a strillare.

    Sciocco, se ti metti a strillare ci sentiranno.

    E che importa se tanto non posso vederti ballare?

    Va bene, disse lei pensierosa ma fai silenzio!

    Se vuoi faccio io la musica con la voce.

    Ma sai fare la musica classica con la voce?

    Certamente, ma se faccio la musica, ora che ci penso, mi distraggo!

    E allora stai zitto, la musica la faccio io. Tu fai solo il pubblico, pagante, mi raccomando. È una faticaccia ballare gratis per te.

    Marietta salì in piedi sul letto di Ignazio, lui ritrasse le gambe per farle spazio. Lei, leggera, si mise in punta di piedi.

    Lui seduto sul materasso la osservava dal basso. Lei delicata, con quella vestaglia da notte leggera che ondeggiava al ritmo dei suoi lievi movimenti.

    Signori e Signore, questa sera, solo per questa sera, la famosissima Marietta danzerà per voi un pezzo mai visto prima. Signori e Signore, ecco a voi Marietta… Ignazio rise, lei aggiunse bisbigliando con la mano posta accanto alla bocca a questo punto dovrebbero partire gli applausi, gli uomini si alzerebbero in piedi e poggiandosi il cappello sul petto mi renderebbero omaggio con degli inchini. Qualcuno mi lancerebbe un fiore puntato all’occhiello. Qualcun altro mi lancerebbe il fazzoletto bianco con le iniziali ricamate, qualcun altro griderebbe il mio nome.

    Sarà uno spettacolo meraviglioso, ma dopo tutti questi applausi cosa faresti?

    Zitto sciocco, non puoi interrompere lo spettacolo. Allora, guarderei se tra il pubblico sia presente una persona speciale. Ogni ballerina che si rispetti ha un cavaliere speciale che dalla platea la osserva.

    Quindi hai un cavaliere speciale tra il pubblico?

    Certo sciocco, sei tu, no?

    Dici davvero? diventò rosso dall’imbarazzo.

    Certo. Ora stai in silenzio perché lo spettacolo deve cominciare altrimenti mi togli la concentrazione e non riesco a danzare. Per noi danzatrici professioniste è importante la concentrazione.

    Si mise in posizione. Osservò Ignazio dall’alto e sorrise serena.

    Marietta cominciò a ballare sul letto, poi leggermente si lasciò scivolare sul pavimento e proseguì la sua danza senza far risuonare il rumore dei suoi passi. Certi giorni riuscivano a stare assieme la notte anche per diverse ore.

    Ignazio restava incantato ad osservarla. Non c’era malizia nei suoi occhi. C’era gioia, ammirazione. C’era una passione innocente per quella giovane domestica cinque anni più grande di lui.

    Erano momenti interminabili. Delle volte Marietta, finito lo spettacolo dedicato al suo giovane ammiratore, tirava fuori dalle tasche della vestaglia delle zollette di zucchero rubate dalla dispensa e poi, offerte ad Ignazio, passavano qualche minuto silenziosi a gustarsele. Alla fine capitava di sentire rumori provenienti dalla dispensa e l’incanto si interrompeva. Marietta fuggiva nella sua stanza mentre Ignazio, come un riccio disturbato mentre cammina per i prati, si appallottolava e si proteggeva sotto le coperte sperando che i genitori lo credessero addormentato.

    Ignazio ma a cosa pensi?

    Nulla babbo.

    Chiudi la bocca che ti entrano le mosche!

    Come?

    Stai in silenzio da dieci minuti, hai la bocca spalancata, dicevo, chiudi la bocca altrimenti ti entreranno gli insetti.

    Ignazio sorrise. Si tenne stretto alla bicicletta e continuò ad osservare la strada e a lasciarsi carezzare dalla brezza di quel mattino.

    Vorrei tanto incontrare Marietta.

    Marietta? Chissà che fine ha fatto. Potrei chiedere a qualche collega in paese a Giba, se vuoi.

    Sarebbe meraviglioso, babbo

    Vediamo cosa riesco a fare.

    Le farei conoscere Gianfranco. Magari potrebbe venire a casa a fare da bambinaia per Gianfranco. Io sono grande ormai!

    Gianfranco non la degnerebbe nemmeno di uno sguardo, te lo dico io, quello è un uomo duro. Una camicia nera con i fiocchi.

    La strada che li separava dalla spiaggia era ancora lunga. Nicolino abituato a pedalare ogni giorno scivolava con disinvoltura sulle strade di campagna.

    Ignazio, un po’ meno abituato a stare in canna, continuava a spostarsi sul tubo cercando di trovare la posizione giusta.

    Babbo, ma questa guerra quanto ci vorrà a finire?

    E cosa ne posso sapere io figliolo! Il Duce ha previsto che spezzeremo le reni al nemico tra non molto. In Russia già abbondano le notizie di vittorie schiaccianti nei confronti dei bolscevichi e in Africa ci stiamo aprendo varchi sempre più ampi tra le difese del nemico.

    A me questa guerra però mi sta un po’ seccando.

    Non devi dire questo, Ignazino. Un patriota non è stanco fino a quando la sua terra non ha portato a casa la vittoria

    Sì, lo so. Me lo dicono anche a scuola ma fino a quando non portano a casa la vittoria non possono tornare nemmeno i babbi dei miei compagni. Ho dei compagni che hanno il babbo lontano. Loro stanno cercando di portare la vittoria a casa. I miei compagni sono tristi ma la maestra cerca di farli sorridere raccontando loro che grazie al loro sacrificio, a tutto questo tempo distanti da casa, domani l’Italia sarà una patria migliore ma soprattutto il resto del mondo sarà un posto migliore.

    Il babbo sorrise compiaciuto.

    La maestra ha portato una radio a scuola. Ha fatto ascoltare il radiogiornale e hanno fatto sentire le parole del Duce che diceva belle cose sui soldati. I miei compagni erano orgogliosi e prendevano in giro quelli che non hanno il babbo in guerra.

    La tua maestra ha ben fatto a farvi sentire quelle parole.

    Sì, però ogni bambino vorrebbe stare con il proprio babbo e la propria mamma.

    Ma se quegli uomini non fossero andati a fare la guerra, a difenderci dal nemico, magari oggi quei nemici sarebbero venuti a casa nostra e ci avrebbero portato via tutto.

    Sì, lo so, lo dice anche la maestra. Dice che dobbiamo essere orgogliosi che i nostri cari partano per difendere la nostra Sacra Patria. E che ognuno di noi è obbligato a rispondere alla chiamata alle armi. Nicolino pedalava velocemente. Oramai erano prossimi ad arrivare alla spiaggia. Ignazio pensava e osservava dal basso il baffo al vento del padre. Si scurì in volto poi, quasi vergognandosi per la domanda che stava per porre al padre disse Babbo, ma tu sei più felice di stare qui con me o vorresti andare a difendere la sacra patria?"

    Io sono felice di stare con te, figliolo.

    Se ti dovessero chiamare, mi mancheresti tanto lo sai?

    Se mi dovessero chiamare, mi mancheresti tanto anche tu.

    Sì, però questa guerra mi ha comunque stufato!

    Ignazio, disse l’uomo bisbigliando e con un sorriso ironico che sbucava da baffi, tutto sommato anche a me, ma adesso siamo arrivati e pensiamo a pescare.

    Un’imbarcazione civile battente la bandiera del Regno d’Italia rimaneva alla fonda non molto distante dalla battigia.

    Nicolino e Ignazio mostrarono indifferenza. Non prestarono troppa attenzione e si misero a preparare l’attrezzatura per pescare.

    La spiaggia era particolarmente deserta. La brezza pungente del mare soffiava sulle loro facce infreddolite.

    Tutto sommato pensavo ci sarebbe stato più freddo oggi.

    Sì, ma sono completamente congelato.

    La primavera è alle porte. Adesso inizieranno le giornate più calde. Oggi è una bella giornata per pescare.

    Poco in là gli occupanti dell’imbarcazione osservavano i due mentre organizzavano l’attrezzatura. Due donne a bordo si tuffavano in acqua e risalivano per effettuare altri tuffi rilasciando urletti di gioia un po’ svampiti e vacui dovuti alla temperatura dell’acqua ancora molto fredda.

    Era una bella imbarcazione bianca composta da un albero maestro principale, un secondario di poppa e un fiocco a prua.

    Babbo però è proprio una bella barca quella.

    Lascia perdere, non guardarli. Quelli sono matti. Con tutto il movimento militare che c’è nel mare in questo periodo!

    Babbo iniziamo a pescare?

    Sì, ma se quelle due signore continuano a fare tutto questo trambusto faranno scappare tutti i pesci della zona.

    Bisognerà andare a dire a quelle due signore di non schiamazzare troppo.

    Signore, e sottolineò signore, lasciamo perdere. Non hanno un comportamento decoroso, magari ci spostiamo.

    Ignazio si tolse le scarpe e sollevò i calzoni poi, camminò nella loro direzione inutilmente raggiunto dal grido soffocato di Nicolino che gli intimava di fermarsi.

    Marciò dentro l’acqua e puntando verso l’imbarcazione, poi, sbracciandosi, iniziò a gridare nella loro direzione cercando di spiegare che a causa del loro vociare non avrebbero potuto pescare. Chiese loro la cortesia di utilizzare un comportamento decoroso e consono alla loro persona.

    Le due donne ascoltarono le parole del ragazzo, poi, ridendo risalirono sulla barca. Dopo qualche istante uscirono due uomini da sottocoperta.

    Viva il Duce! gridò uno dei due uomini.

    Sì, sì, viva il Duce. bofonchiò Nicolino pensando che tutto quel trambusto avrebbe fatto scappare tutti i pesci nel raggio di qualche chilometro.

    Scusate signori, scusate il disturbo.

    Nicolino continuò a fingere indifferenza mentre Ignazio rientrava sulla battigia bagnato e infreddolito.

    Scusate signori! ripeterono ora i due uomini quasi in coro.

    Nicolino ora finse di aver sentito il loro vociare. Si sbracciò un poco per salutare. L’uomo sulla barca, un uomo alto e biondo, sorrise e disse qualcosa all’uomo accanto a lui.

    Scusate signori, abbiamo pescato una tartaruga. Non sapendo come cucinarla chiediamo a voi se avete esperienza in questo genere di attività culinaria.

    Nicolino fece un cenno di assenso con la testa, ma non spiccicò una parola. Non era solito alzare la voce. Il suo tono calmo e pacato raramente era stato udito varcare i limiti del decoro.

    La portiamo a riva così da poterla preparare. gridò l’altro uomo presente sull’imbarcazione.

    Nicolino fece nuovamente un gesto di approvazione con il capo e con le mani indicò loro di avvicinarsi alla battigia.

    Calarono una piccola lancia a remi con la quale trasportarono a riva il grosso rettile marino.

    È veramente un bestione! disse Nicolino dopo averla vista.

    Avevamo calato delle piccole reti e la mattina dopo ci siamo accorti che era rimasta impigliata. Dicono che la zuppa sia strepitosa.

    Dicono bene, rispose, ve la pulisco e vi spiego come preparare la zuppa?

    Lei ce la pulisca e basta, disse il biondo con un forte accento genovese, al resto penseranno le due signore che ci aspettano a bordo.

    Le due signore. ripeté Nicolino.

    Ci volle un’ora per ripulire la tartaruga dal guscio e tagliarla a pezzi. Un lavoro preciso e pulito. Nicolino non si perse in chiacchiere ed eseguì quanto richiesto dai due uomini.

    Sgusciò il rettile con grande abilità. Affondò il coltello nelle carni coriacee, fino a dove la pelle spessa incontra la carne tenera. Fece scivolare il coltello leggermente sotto il carapace fino a completare il giro.

    La scoperchiò e tagliò le carni in parti più piccole.

    Il sangue scolava sulla sabbia andando a correre fino al mare.

    Terminò separando nettamente le carni dal guscio. Andò all’acqua e ripulì il carapace.

    Nicolino aveva completamente ripulito il grosso rettile tra le buffe esclamazioni dei due uomini e le grida sguaiate delle due donne che richiamavano gli uomini a bordo.

    Lei è stato veramente un maestro! disse uno dei due.

    È stato un piacere. rispose Nicolino.

    Guardi, per sdebitarci, si può pure tenere la corazza del rettile.

    La corazza?

    Nicolino li guardò stupito, non voleva nulla in cambio, tantomeno un guscio di tartaruga, tuttavia quel gesto gli pareva fosse dettato più dal disinteresse per quel grosso carapace che per gentilezza voluta.

    No, grazie. Poi noi siamo anche in bicicletta!

    E no, poi noi ci offendiamo. E non possiamo mica abbandonarla qui sulla spiaggia!

    Sì, ma le dico…

    Guardi, non insista. Se lo può tenere.

    Grazie, allora. rispose lui lesinando inutili parole.

    I due uomini portarono le carni rosse di sangue fresco sull’imbarcazione, mentre Nicolino e Ignazio li osservavano tornare a bordo.

    Che gente curiosa!

    Dei cafoni direi. rispose Nicolino.

    Sì, ma ci siamo fatti un guscio, babbo!

    E come lo portiamo a casa?

    Eh, in qualche modo faremo. Sai che gioia per Gianfranco quando vedrà questa grossa tinozza?

    Almeno lui avrà qualcosa per cui essere felice.

    Già. sorrise Ignazio mentre Nicolino si dirigeva verso le canne da pesca per preparare l’attrezzatura e dedicarsi finalmente al suo passatempo preferito, in quel bel giorno di primavera.

    Palmas Suergiu, lì 10/04/1942

    Sbrighiamoci, faremo tardi! sbraitava Dondina richiamando tutti all’ordine.

    Calmati non è tardi.

    Non è tardi, non è tardi, vuoi vedere che tanto all’ultimo momento capita qualche imprevisto e perdiamo il treno?

    La strada fino alla stazione sopra il carretto dei vicini e poi, da lì, verso Cagliari per prendere infine il treno di scambio che li avrebbe accompagnati fino a Mandas per un lungo e interminabile viaggio attraverso i boschi e le colline della Sardegna, sopra un vecchio convoglio a carbone.

    La famiglia con le valigie al seguito percorreva le strade di campagna, polverose e irregolari, con mamma Dondina che cercava di fare mente locale su quanto caricato nelle valigie. Non sarebbero dovuti rimanere molti giorni a Mandas e qualche cambio lo avrebbe recuperato poi anche in paese, ma era più forte di lei, aveva quel continuo malessere di chi ha lasciato a casa qualcosa di importante e il pensiero la assillava.

    Il resto delle faccende domestiche erano state già sistemate, aveva lasciato l’ordine ai vicini di prendersi cura dell’orto e delle galline: il resto era roba da poco.

    Nicolino cercava costantemente di fissare alla meglio le valigie che Dondina aveva fatto caricare sul carretto, intanto Ignazio e Gianfranco si era sistemati nella parte posteriore, con le gambe che penzolavano come due altalene, mentre l’asinello scandiva forte i suoi passi sulla terra secca.

    Da Palmas Suergiu fino a Cagliari per poi prendere il secondo convoglio, più lento del primo, che avrebbe attraversato una moltitudine di microscopici paesetti per giungere infine a Mandas.

    Il primo tragitto fu lento ma percorso in un’esplosione di colori primaverili e la gioia di stare sopra il treno, rese la stanchezza e la noia quantomeno sopportabili.

    Dove scendete signori? chiese il bigliettaio alla stazione.

    Scendiamo a Mandas, grazie. rispose Nicolino.

    Benissimo, ecco i vostri biglietti, bisbigliò il bigliettaio ragazzi vi state divertendo? Vi piace il treno?

    È bellissimo! esclamarono.

    Lo sa che il nonno è un ferroviere

    È un ferroviere?

    Era un ferroviere. sottolineò Dondina.

    Vuol dire che lavora nelle ferrovie? Faceva il guidatore di treni? chiese Gianfranco con un tono di incertezza.

    Certo, vuol dire che lavorava nelle ferrovie.

    Sì, è stato un ferroviere e ha lavorato nelle ferrovie per parecchio tempo e in giro per la Sardegna. Mia cognata per esempio, per questioni di lavoro, è nata a Sadali ma mio suocero ha lavorato qualche anno anche a Seui

    Complimenti, sorrise il bigliettaio salutatemi il collega, dunque.

    L’uomo si dileguò e la famiglia rimase sola a ridere e scherzare sopra quel treno su cui il tempo non passava mai.

    Questo treno è noioso, sbuffò Gianfranco non si può nemmeno giocare.

    Ma è come l’altro! rispose Nicolino

    Ma era noioso anche l’altro e questo molto di più perché siamo sopra un treno da un sacco di tempo!

    Eri felice di salire sul treno.

    Ero felice prima di salire sul treno, ora non sono più felice perché ci sono salito e non so quando scenderò! Gianfranco si strinse tra le braccia.

    Ragazzi volete dei pomodori? Ho portato anche un pezzo di coccoi. chiese Dondina aprendo una sacca.

    Io sì! Ignazio saltò giù dal posto.

    Anche io! gridò Gianfranco.

    Militari e giovani camicie nere salivano e scendevano dal treno. La giornata era soleggiata e il freddo lasciava lentamente spazio ai tenui raggi di sole primaverili.

    La famiglia si trasferiva al paese per il matrimonio di Ada, sorella di Dondina.

    La guerra avanzava e i sacrifici continuavano ad aumentare. La Sardegna, terra sfiorata dal conflitto, pativa la fame ma i fasti di vittoria dei suoi eserciti, fuori dai confini, echeggiavano sulle radio e sui quotidiani del Regno d’Italia e il pensiero di Nicolino scivolava ottimista che quella guerra tanto lontana non sarebbe mai stata abbastanza vicina da minacciare la sua famiglia.

    Dondina da parte sua era preoccupata per le galline e per l’orto. Temeva che i suoi vicini potessero fare razzia delle cocche e

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