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Le vie delle Fiabe: L'informazione è narrazione. Dal racconto popolare alle fake news.
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Le vie delle Fiabe: L'informazione è narrazione. Dal racconto popolare alle fake news.
E-book251 pagine3 ore

Le vie delle Fiabe: L'informazione è narrazione. Dal racconto popolare alle fake news.

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Info su questo ebook

Il libro è pensato come un diario di viaggio attraverso lo specchio di Alice, si entra nel mondo fantastico delle fiabe attraverso le tre porte d’un repertorio che ha attraversato Italia, Francia e Germania fra XVI e XIX secolo, per poi proseguire in un percorso non sistematico, più simile a un'antologia di racconti seriali che a un manuale di semiotica. Una discesa negli inferi dei nostri fantasmi interiori fino a prendere per le corna il 'grande mentitore', il diavolo della disinformazione, applicando di fatto alle menzogne dei mass media lo stesso metodo di analisi elaborato per studiare i racconti popolari. Ripartiamo dunque dal narratore e poniamoci la domanda più importante, chi stia raccontando cosa e perché. Una 'rivoluzione copernicana', sintesi dell'idealismo filosofico e del materialismo storico, nell'approccio ai media di massa.
LinguaItaliano
Data di uscita9 giu 2020
ISBN9788835848042
Le vie delle Fiabe: L'informazione è narrazione. Dal racconto popolare alle fake news.

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    Anteprima del libro

    Le vie delle Fiabe - Federico Berti

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Federico Berti

    Le vie delle fiabe

    L'informazione è narrazione

    Premessa

    Cap.1. Basile e i Grimm.

    Il caso della bella addormentata.

    Cap.2. Viaggio in Germania.

    Nel paese dei fratelli Grimm.

    Cap.3. Perrault e la crociata illuminista

    Venere non abita più qui

    Cap.4. Nella grotta dell'Orco.

    Piedigrotta e la Crypta Virgiliana.

    Cap.5. Basile va all'inferno.

    Napoli sotterranea.

    Cap.6. La vecchia scorticata

    Sul filo della realtà

    Cap.7. La sposa dell'Orco.

    Dal testo alla sceneggiatura

    Cap.8. Il drago e l'ippocampo.

    Un caso di fecondazione assistita

    Cap.9. Santa Margherita d'Antiochia

    Tra storia, fiaba e mito

    Cap.10. Dracula e il mito della razza.

    Dalle guerre di religione all'antisemitismo

    Cap.11. Il Tritone di Vergato.

    Un mito di fondazione

    Cap.12. La grotta di Circe.

    Non una, ma molte Odissee.

    Cap.13. Atlantide e l'Utopia

    Il mito del popolo primigenio

    Cap.14. Il mito di Aposa a Bologna

    Una leggenda del XVI secolo

    Cap.15. Napoli, Partenope e le Sirene.

    Donne uccello, non mostri marini.

    Cap.16. Dai figli di Noè al mito d'Europa

    Tra narrazione, manipolazione e propaganda

    Cap.17. La leggenda del Pifferaio

    Il monte Calvario e la cucina del Diavolo

    Cap.18. Dante non era un crociato.

    Narrazione, videogiochi e guerriglia psichica

    Cap.19. Cenerentola è inattuale?

    I fantasmi del presente

    Cap.20. La Befana non è una strega

    L'epifania come apparizione

    Cap. 21. Santa Klaus e il Krampus.

    Contrasto dell’amore e del denaro

    L'oro dei 'Templari'

    Cap.22. Il Pozzo della Polenta.

    Tra mistero 'noir' e inversione grottesca

    Cap. 23. L'informazione è narrazione

    La verità è madre delle fake news

    Cap.24. Il ministero della verità.

    L'ossessione per le fake news

    Cap. 25. Chi racconta cosa.

    Identificare i narratori

    Cap. 26. I sette muri della rete

    Attraversarli senza farsi male

    Cap. 27. Cronaca, leggenda, mito, favola.

    Quattro livelli di realtà nella narrazione storica.

    Bibliografia

    Federico Berti

    Le vie delle fiabe

    L'informazione è narrazione 

    Alla prof. Stella Valentini

    e al gruppo studi

    'Italianische Cantastorie'

    Volksochschule Region Kassel

    Bologna, 2020

    Premessa

    Questo libro è il lavoro di vent'anni. Raccoglie materiali di studio degli ultimi cinque, ma propone un metodo elaborato fin dal tempo dell'università. Vengo dalla scuola di Umberto Eco, che ho avuto come professore, la semiotica degli anni '90, autori come Roland Barthes, Ugo Volli, Piero Camporesi. Mi sono laureato al D.a.m.s., ma nel mio programma di studi avevo tre quarti di esami nel settore della comunicazione, dei mass-media e in senso molto più ampio, della narrazione. Ogni esame che preparavo, oltre al programma istituzionale, portavo delle ricerche scritte in cui approfondivo l’argomento in relazione al mondo incantato del racconto popolare. Ho sempre condiviso la massima di Italo Calvino, le storie sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e una donna, i personaggi delle favole sono reali, addirittura 'misurabili' dagli effetti che le loro storie producono sulla nostra mente, dunque sul nostro corpo. Ma soprattutto, quella che per me è sempre stata una vera ossessione anche per dolorose esperienze personali, il lato oscuro della narrazione è nella manipolazione, che si ripercuote a un livello più alto nel sistema dell'informazione, nella comunicazione istituzionale e di massa. Mi sono sempre interessato al revisionismo storico, un classico esempio di manipolazione narrativa, poiché nato nel 1974 sono stato bambino e ragazzo negli anni della Glasnost, della Perestrojka e ho visto cadere il muro di Berlino sotto i miei occhi, sulla base di ragionamenti che avrebbero fatto indignare Socrate, Platone e Aristotele. Ho visto la ragione del mondo assopirsi, la manipolazione mediatica arrivare a prendere il controllo non più solo del consenso, ma anche del dissenso. Nei primi anni del nuovo millennio avevo appena lasciato la vita dell'hobo, allora la 'flat earth society' era un fenomeno bizzarro, gli antivaccinisti una ristretta minoranza e l'Intrarete una terra di nessuno. Oggi il mondo sembra capovolto, la pseudoscienza sta inquinando il buon senso e mobilitando masse d'imbecilli che solo vent'anni fa sarebbero stati messi a tacere con una battuta salace nel bar. Se è vero che i personaggi delle fiabe esistono e sono misurabili, l'idea che la Bestia del sovranismo possa prendere il controllo nella società del futuro mi spaventa e mi ripugna insieme. Per questo motivo ho continuato a portare avanti lo studio su questo sottile e ambiguo rapporto fra immaginazione e realtà, fra narrazione e vita. Un parente nel ramo materno della mia famiglia s'era già messo sulle tracce di questo problema, lo aveva affrontato prendendolo dal verso sbagliato, ovvero dal punto di vista psicoanalitico, un errore che purtroppo gli è costato molto caro, l'ho visto degenare giorno per giorno in una lucida, autodistruttiva follia. Evidentemente la traccia da seguire non poteva essere quella della parapsicologia e dell'esoterismo da lui intrapresa, per il semplice fatto che non esisteva un orizzonte di controllo in grado di confermare o smentire i risultati. quella strada poteva soltanto condurre alla follia. Come Nietszhe, l'uomo che parlava coi cavalli. Trovai molto presto una via di elaborazione nell'arte, nella narrazione, nella ricerca sulle comunicazioni di massa e in particolar modo sulle fake news (prima ancora che si chiamassero così), ma avevo la sensazione che mancasse qualcosa, mi servivano strumenti diversi da quelli acquisiti negli anni della formazione universitaria. Non avrei potuto formalizzare le idee che avevo in mente senza l'apporto di un'etnomusicologa, la professoressa Placida Staro, da cui ho ricevuto la chiave più importante, quella che mi ha permesso di aggirare il macigno dell'egoismo intellettuale, risparmiandomi il penoso destino di chi mi aveva preceduto. La chiave è quella dell'antropologia culturale, ovvero del comunitarismo: un sistema complesso di strumenti che provvedono all'auto-compensazione, alla prevenzione dei disturbi personali e sociali, attraverso il linguaggio dell'arte, della poesia, della danza e per l'appunto, della narrazione. L'io salvato dall'altro, o meglio dall'insieme degli altri. Solo allora ho potuto elaborare il concetto che è alla base di questo libro: l'informazione è narrazione. Non posso sapere se sia vero quel che mi viene raccontato, ma qualcuno me lo sta raccontando qui e ora. La narrazione come rituale. A partire da questa consapevolezza, il resto è conseguenza. L'identificazione del narratore, l'intenzione delle idee, nodi e testimoni, varianti e tutto il resto che già lo studio accademico mi aveva consentito di elaborare, ma con un elemento che garantiva finalmente un orizzonte di controllo: il paradigma dell'antropologia culturale. A quel punto non restava che tornare a tessere il filo del discorso iniziato e interrotto tante volte, rielaborato in molte versioni. Il capitolo dedicato alla leggenda del pifferaio ad esempio, sintetizza in quattro pagine la mia tesi di laurea del 2001. Il libro non è pensato come un trattato scientifico, ma come un taccuino di viaggio attraverso lo specchio di Alice: si entra nel mondo fantastico delle fiabe attraverso le tre porte d’un repertorio che ha attraversato Italia, Francia e Germania fra sedicesimo e diciannovesimo secolo, per poi proseguire in un percorso non sistematico, più simile a un'antologia di racconti seriali che a un manuale di semiotica. Ho cercato di approfondire man mano la discesa negli inferi dei nostri fantasmi interiori fino a prendere per le corna il grande mentitore, il diavolo della disinformazione, applicando di fatto alle menzogne dei mass media lo stesso metodo di analisi elaborato per studiare i racconti popolari. In fondo la stessa manipolazione mediatica ha i suoi limiti, rappresentati proprio dal rituale narrativo: non so se è vero quel che mi racconti, ma non puoi negare che tu me lo stia raccontando. Ripartiamo dunque dal narratore e poniamoci la domanda più importante, chi stia raccontando cosa e perché. Come vedremo la verità non è un blocco monolitico uguale per tutti da qualsiasi prospettiva la si osservi, la realtà è un orizzonte socialmente condiviso. Questa nuova consapevolezza, che supera le dicotomie della filosofia, potrebbe dare impulso, se correttamente orientata e valorizzata in un movimento d'idee, potenziata da strategie comuni, a una 'rivoluzione copernicana', sintesi dell'idealismo filosofico e del materialismo storico, nell'approccio ai media di massa. Con l'aiuto della semiotica retaggio della cabala antica, dell'antropologia culturale e delle scienze sociali eredi dell'etica e della psicologia classica, dell'economia politica, della storiografia, della sociologia, siamo pervenuti a un paradigma 'indiziario' che può trovare più d'una applicazione in diversi ambiti della scienza e della tecnologia. Le fasi che impareremo a isolare e a praticare in questo libro, sono sostanzialmente quattro. In primo luogo rinunciare al principio di verità e sostituirlo con l'amore per la conoscenza, ovvero con la ricerca della verità stessa: più importante il cammino, che la destinazione. In secondo luogo la natura sempre interlocutoria di qualsiasi processo cognitivo, vaga reminiscenza della maieutica socratica, poiché per sapere qualcosa bisogna essere almeno in due: la conoscenza non serve all'eremita, se non può comunicarla con nessuno. In terzo luogo tessere la rete dei testimoni, ovvero rintracciare l'orizzonte di una realtà socialmente condivisa, raccogliendo le varianti d’uno stesso racconto, i precedenti di una stessa teoria scientifica. Quarto, identificare sé stessi come frutto dello stesso albero, segnalando il proprio debito verso la rete dei testimoni e mettendo a disposizione della collettività il proprio contributo originale. Infine riconoscere il rapporto controverso tra sapere e potere, prendere coscienza del conflitto d'interesse che il sapere porta, rendersi conto che la verità è una scelta, prendere parte attiva  in questo (sanguinario, ma inevitabile) gioco dell'oca. Nell'ultima stesura del lavoro ha svolto un ruolo non secondario la dottoressa Teresa Paduano, architetto, suggerendo gran parte delle domande da cui hanno preso avvio i singoli articoli. Lei stessa, con trascorsi da ricercatrice per conto dell'Università di Napoli, ha affiancato la raccolta delle fonti e individuato alcuni dei temi centrali, il suo apporto è stato decisivo nella ripresa d'un progetto rimasto appeso per vent’anni al filo del sogno. Ogni articolo contiene 'in nuce' tutto il libro, si potrebbe leggere a salti come un ipertesto, come i classici della letteratura enciclopedica, come i Tarocchi o l'I King. Si possono leggere i capitoli in ordine crescente o decrescente, vale a dire dal primo all'ultimo, oppure dall'ultimo al primo. Ho voluto evitare un apparato invadente di note a fondo pagina, perché i casi studio qui trattati sono solo un pretesto. Non è pensato nemmeno come un testo propriamente scientifico, nel senso che non si pone l'obiettivo dell'analisi critica, non è una tesi compilativa e nemmeno 'sperimentale'. Quel che propone è un atteggiamento verso la realtà che attraversa le arti e le scienze secondo una logica di tipo enciclopedico, si possono cioè verificare le cose qui dette consultando semplicemente le encilopedie. Un sapere alla portata di tutti nell'era della 'shareware information'. Il problema non è leggere molti libri, ma dare un senso alle cose.

    Cap.1. Basile e i Grimm.

    Il caso della bella addormentata.

       Qualche anno fa tra Amburgo e Francoforte è successo qualcosa che ha riportato l’attenzione sulle fiabe dei fratelli Grimm, le aziende di promozione turistica hanno tracciato una serie di itinerari noti come Strada tedesca delle fiabe, idealmente collegati all’opera dei due fratelli di Hanau, che vissero e operarono nella regione del Weser. La miniera dei sette nani, il castello della Bella Addormentata, il birrificio di Dorothea Wiemann, l’anziana narratrice ugonotta a cui tanto si sono ispirati i due ricercatori al tempo dei primi studi. Ma siamo poi veramente sicuri che quel luogo si possa identificare con quel personaggio, e soprattutto, sulla base di quali fonti storiche? Ne parleremo più volte in questo libro, partendo da una frase di Italo Calvino rimasta scritta nel cielo, dalla sua introduzione alle fiabe italiane: Le storie sono il catalogo dei destini che possono darsi a un’uomo e a una donna. Come vedremo, non è così semplice.

       Ma andiamo con ordine, l’elemento scatenante che ha portato alla scrittura di questo libro è stato un viaggio ad Acerenza, dal quale siamo venuti a conoscenza di una campagna per la promozione turistica molto simile a quella tedesca e quel che più colpisce, in riferimento alle stesse favole, geolocalizzate sul territorio lucano. Nel 2015 in Basilicata un gruppo di studiosi ha promosso l’identificazione tra le favole dello scrittore napoletano Giovan Battista Basile e i luoghi intorno ad Acerenza, dov’egli trascorse gli ultimi mesi della sua vita, completando la più famosa raccolta di fiabe ‘moderne’ che si conosca, il Pentamerone. Lo scenario della bella addormentata, secondo questa prospet-tiva, non è più la Foresta del Gottsbueren, come nella via delle fiabe tedesca, ma il parco del Pollino nel XVII secolo. Questa tesi ha avuto una risonanza particolare, essendo stata associata a una campagna di promozione che ha visto protagonista un cineasta di fama internazionale come il nostro Matteo Garrone, che al Racconto dei racconti ha dedicato addirittura un film. Andiamo a vedere quindi cosa può essere successo, di che stiamo parlando insomma. Perché la logica vuole che se A è diverso da B, ma entrambe si dichiarano uguali a C, o sono sbagliate le premesse, oppure lo sono le conclusioni.

      Secondo il Centro Studi Raffaele Glinni e la napoletana Accademia del Rinascimento, il conte Basile raccolse 400 anni fa le antiche leggende lucane e campane per farne un libro, le storie contenute nel Pentamerone derivano cioè dai racconti traman-dati oralmente in Lucania, non in Campania. Per il momento non possiamo che rilevare un’evidente analogia tra quest’idea di fondo che muove il lavoro del centro studi, e quanto andavano osservando i fratelli Grimm, che avendo trascritto le favole ‘popolari’ dalla viva voce della loro padrona di casa al tempo dell’università, e da altri testimoni nel corso degli anni, consideravano i Racconti del focolare uno specchio della tradizione germanica. Siamo stati in Germania e abbiamo verificato sul posto la corrispondenza tra quanto affermato dagli scrittori, e i segni reali che quei racconti hanno lasciato sul territorio. Nel corso del nostro viaggio di studio, abbiamo scoperto qualcosa di sorprendente, per noi che Biancaneve l’abbiamo vista nei disegni di Walt Disney al cinema: l’informatrice tedesca, la famosa Dorothea Wiemann, proveniva in realtà da un’enclave di ugonotti francesi rifugiatasi a Kassel dopo le guerre di religione del secolo XVII, sicché le storie che racconta l’anziana donna provenivano in realtà dalla Francia e s’erano sovrapposte all’immaginario locale, per cui il tema dei sette nani in cent’anni di racconti familiari, si trovò ad essere collegato a una miniera del posto dove lavoravano bambini che, non vedendo mai la luce del sole, rimanevano nani, nel senso che non sviluppavano la vitamina D e quindi le ossa non crescevano. Molti i temi che ritornano nella cronaca locale, dall’arte sepolcrale all’ossessione per i corpi incorrotti, dai venditori ambulanti di spille e nastri colorati, alle scarpe di metallo incandescente usate come strumento di tortura, cose che molti altri autori hanno osservato e che riporteremo in bibliografia. Torneremo ancora su questi temi per approfondirli nel corso del libro.

       Una delle tesi avanzate dal Glinni e da altri studiosi non solo del suo entourage, è che quelle storie, portate dai ‘migranti’ francesi in Germania, provenissero dai giullari italiani migrati in Francia fin dal tempo in cui Adriana Basile, una cantante molto nota e apprezzata nel XVI secolo, sorella dell’autore del Pentamerone, frequentava le corti e i salotti letterari francesi portandovi i ‘guitti’ dal nostro meridione. Quest’ipotesi è del tutto verosimile, confermata anche dal ruolo che sappiamo aver avuto proprio lei nella diffusione dell’opera del fratello. Torniamo in quel territorio del Regno di Napoli che si affaccia sul Mar Ionio: nel caso di Acerenza la distanza temporale con l’opera del Basile è assai maggiore, non sappiamo con la stessa precisione quel che accadde negli ultimi mesi della sua vita e del resto, come avvenuto anche per i Grimm, il manoscritto originario è scompar-so. E’ verosimile pensare che una pubblicazione popolare scritta e divulgata in dialetto, riprodotta nel teatro, nelle canzoni, nei fogli volanti, non abbia influenzato a sua volta il repertorio cui s’ispira? Il sostrato leggendario cui fa riferimento il Glinni è precedente, o in parte successivo alla pubblicazione del libro? Siamo cioè veramente sicuri che il Basile si sia ispirato al popolo, o che quest’ultimo non si sia ispirato al Basile? Probabilmente è avvenuto sia l’uno che l’altro, non possiamo confermarlo non avendo la documentazione per darne riprova, ma possiamo ricorrere ad altri strumenti d’indagine per osservare la questione da una diversa prospettiva.

       E’ chiaro che queste riflessioni ci portano alla domanda che troviamo già formulata da La Fontaine, sull’origine delle favole. Un tema che ha interessato da sempre gli studiosi di tutto il mondo fin dall’epoca di Platone, quando per la prima volta venne indagato il rapporto fra immaginazione e realtà formulando l’ipo-tesi che le idee siano immanenti al mondo e non un prodotto della mente umana, che cioè nella nostra mente prima vengano le idee, poi la realtà. Nel caso delle

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