Sud misterico: Tra religiosità e magia
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Anteprima del libro
Sud misterico - Orazio Ferrara
Sud misterico. Tra religiosità e magia
di Orazio Ferrara
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
ISBN 978-88-33467-48-1
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2020©
Saggistica – Miti e leggende
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Orazio Ferrara
Sud misterico
Tra religiosità e magia
AliRibelli
Sommario
I Santi ‘nt’ ‘a burzella
Sant’Antuono maschere e suono
San Sebastiano il Protettore della soglia
‘O struscio del Giovedì Santo
Viaggio circolare ed ascesa
La Madonna delle Galline
Una Madonna e due Santi medici
Santo Marco o della festa della fertilità
Una Madonna contadina
San Giovanni e i riti del solstizio d’estate
‘A Vecchia putente
Sant’Aniello o del santo terribilis
Uocchie, maluocchie e… fattocchiare
‘O monaciello. Il dispensiere della buona sorte
Un rito di magia contadina
‘O tiemp’ re fattocchiare
Bibliografia
L'Autore
Ai miei figli
Caterina, Pippo e Valerio
I Santi ‘nt’ ‘a burzella
Quella mattina la mente, non assillata da cose urgenti, vagava liberamente, riandando chi sa perché al mondo magico-favolistico della mia infanzia giù ai Carresi (antico quartiere della città di Sarno). E mi ricordai del mio compagno di banco, certo L. P., alle scuole elementari di piazza Croce. Scuole condotte da severe, ma preparatissime maestre, quali erano allora le suore d’Ivrea (Le suore di carità dell’Immacolata Concezione). ‘E cap’ ‘e pezze (teste di pezza) come ci ricordavano e ci gridavano a mo’ d’offesa i nostri amici-rivali ‘e vascio ‘o campo, cioè delle scuole elementari statali De Amicis di corso Amendola, vicine all’ex campo sportivo, scatenando così la nostra furibonda reazione, che quasi sempre culminava nelle pretiate (lancio di pietre) di esecrata memoria.
Ora dovete sapere che questo mio compagno di banco, perso di vista nel fluire della vita da moltissimo tempo, in quanto trasferitosi fin da piccolo con i propri genitori sembra in quel di Roma, aveva la particolarità di avere una nonna non comune, che di mestiere faceva nientemeno che… la fattocchiara (maga). E quella mattina la mente di rimbalzo era andata proprio a questa fattocchiara, o meglio ad un amuleto che preparava costei contro il malocchio: la famosa burzella (minuscola borsetta). E già, mi dicevo, per il nuovo anno che entra ci vuole proprio una burzella del buon tempo antico, perché l’uocchie valono cchiù re scoppettate (gli occhi fanno più danno delle fucilate). Gli occhi malevoli, s’intende.
Dunque nei frequenti e ripetuti conciliabili giornalieri con questo mio compagno, egli soleva raccontarmi dell’attività di quella sua strana nonna. Soprattutto m’intrigavano i particolari della preparazione della burzella contro il malocchio. Credo che allora si sia cominciato a radicare in me l’interesse per lo studio dell’esoterismo. A quel tempo però l’interesse e la curiosità diventavano paura e timore quando, con il mio compagno, mi recavo a casa della vecchia, un vascio (basso) oscuro e fumoso in una curtina (cortile) di corso Umberto I, non lontano dalla chiesa di San Sebastiano. Poi gli occhi accesi, un po’ spiritati e la voce arrochita della vecchia, seduta su una bassa seggiola di paglia con alle spalle una parete tappezzata fitta fitta di santini, facevano il resto. Stavo veramente nell’antro di una fattocchiara, o almeno credevo.
Ma torniamo alla burzella portafortuna. Innanzitutto chiariamo che essa è detta anche vurzella, burzetella, vurzetella ed è cosa del tutto diversa, anche se simile, dall’abitiello, quest’ultimo ricade ancora nella sfera d’influenza della religiosità popolare, mentre con ‘a burzella siamo già ai confini della magia, anche se bianca. Di come era fatta una burzella e dei suoi misteriosi ingredienti
m’informava dunque il mio compagno di banco, che però non riusciva a precisare le frasi smozzicate che biascicava la nonna durante la confezione dell’amuleto. Ricordo che mi accennava a qualcosa come nomme ra Santissima Trinità (in nome della Santissima Trinità) e si fermava. A quel punto ci guardavamo atterriti, perché le suore su queste cose non scherzavano affatto. Era roba da spalmate (bacchettate) non sul palmo della mano, ma sul dorso, in particolare sulle nocche delle dita. E d’inverno, credetemi, quelle spalmate erano dolorosissime.
Nelle righe che seguono, riporto i ricordi di allora (nitidi) sugli ingredienti
della burzella, con l’aggiunta però di annotazioni e commenti, dovuti a successivi studi e ricerche sull’argomento. La burzella era un piccolo sacchettino di stoffa quadrangolare, anche se non mancava quella di forma rettangolare e a volte a forma di cuore. Era per lo più di colore rosso scuro, non rara però anche quella con stoffa bianca. Di regola veniva preparata nella notte della vigilia di San Giovanni, 23-24 giugno, considerata la notte magica per eccellenza. Ripetiamo che questa data non era tassativa purché il confezionamento dell’amuleto avvenisse dopo il calare del sole. Comunque, per il popolino, quelle di San Giovanni erano tutta un’altra cosa.
Il primo elemento che s’introduceva nella burzella era della sabbia finissima, detta anche sabbia di San Giovanni. La vecchia si faceva portare quella quasi nera, vesuviana, dalle spiagge della vicina Torre Annunziata. La funzione della sabbia era importantissima, infatti era quella di confondere un’eventuale fattocchiara nemica, che soleva agire di notte accovacciandosi sul petto del malcapitato che doveva pisare, cioè fargli il maleficio, e che nel vedere il sacchettino, portato di prassi appeso al collo, era costretta suo malgrado a contare i granelli di sabbia e a perdere ore preziose e così facendo sarebbe spuntata l’alba, tempo per lei nefasto che la costringeva alla fuga. Analoga funzione di protezione avevano un tempo le scope di saggina messe a rovescio dietro le porte d’ingresso delle abitazioni.
Il secondo elemento che non poteva mancare nella burzella era ‘a capa ‘e Santo Nastaso (una medaglietta con la testa di Sant’Anastasio). Questa aveva una potente funzione in primis contro il malocchio e l’invidia, in secondo preservava dalle possessioni diaboliche, non per niente Sant’Anastasio il Persiano, monaco e martire, in gioventù, allora si chiamava Magundat, era stato iniziato dal proprio padre ai misteri dell’astrologia e della magia e quindi ne sapeva una… più del diavolo, per sconfiggerlo.
Terzo elemento era l’introduzione di una coppia di santini. Quali dovessero essere non era tassativamente stabilito, purché rispettassero la regola di essere uno maschile e uno femminile. La scelta ricadeva di solito sui santi e le sante invocate contro i malefici e le potenze demoniache. Tra i santini femminili ricorrevano le madonne nere o schiavone (Monte vergine, Mater domini), la Madonna del Carmine o del Carmelo e Santa Lucia, protettrice degli occhi buoni
e accecatrice degli occhi cattivi
. Tra quelli maschili si ritrovavano Sant’Antonio Abate, il nostro Sant’Antuono invocato contro le tentazioni demoniache, San Nicola, invocato contro le potenze dell’inferno, San Sebastiano, patrono degli arcieri e quindi accecatore dei mali
occhi nonché protettore della soglia di casa, e Sant’Aniello, di cui non a caso la sorella
Santa Lucia (per il popolino di un tempo essi erano fratello e sorella per la vicinanza nel calendario e per la doverosa presenza al loro rito che non ammetteva deroghe, pena gravi sventure) diceva ‘e me scordativenne, ma e frateme Naniello tremmativenne (di me scordatevi pure, ma di mio fratello Aniello trematene). La nonna del mio compagno metteva immancabilmente, per il santino maschile, San Sebastiano, forse perché abitava nei pressi dell’omonima chiesa e quindi devota dello stesso.
Quarto elemento immancabile, l’inserimento nella burzella di tre grani di sale grosso. Il numero dei grani richiamava la Santissima Trinità, mentre il sale, che è fondamentale nel rito del battesimo, era potente antidoto contro tutti i malefici.
Quinto e sesto, tre gocce di cera di una candela benedetta alla Candelora e tre foglioline di ulivo della Domenica delle Palme. Si noti il ricorrere della ritualità del tre in onore della Santissima Trinità, che sembra fosse invocata per tutto il tempo del confezionamento dell’amuleto.
Settimo ed ultimo elemento che non doveva mai mancare era del grano secco dei Sepolcri del Giovedì Santo. Oltre all’augurio di abbondanza e prosperità per chi lo portava addosso, esso era un’ulteriore barriera contro il malocchio e contro i fulmini. Ancora oggi, in alcune comunità meridionali, il grano dei Sepolcri viene portato a casa quale protezione delle pareti domestiche contro gli influssi negativi e se ne getta un pizzico dalla finestra contro i fulmini, allorché imperversa una temporale.
Qualche volta, per persone particolari, venivano aggiunti alla burzella ulteriori ingredienti
. Era il caso di burzelle per uomini di malavita, che dovevano contenere granuli di palle di piombo sparato e polvere di ferro per avere assicurata l’invulnerabilità contro i proiettili (la canna della pistola = occhio malefico) e contro i coltelli. Le donne che temevano come la peste ‘o maluocchio delle vicine, chiedevano spesso come rinforzo
l’aggiunta di scaglie di frammenti di corna, preferibilmente di bue.
Adesso ci rendiamo perfettamente conto del perché di quella tranquillità, con cui i nostri del buon tempo antico affrontavano il mare tempestoso dell’esistenza quotidiana. Corazzati da simili amuleti, si poteva passare indenni nei paraggi di qualunque occhio
, amico o nemico.
Sant’Antuono maschere e suono
Una volta il calendario delle feste nella Valle del Sarno legava indissolubilmente le ricorrenze liturgiche di Santa Romana Chiesa ai ritmi dei cicli agro-pastorali della terra. I grandi riti solstiziali d’inizio estate per la festa di San Giovanni Battista, che si svolgeva in località Sorbo, ne erano una vivida testimonianza.
Tra l’una e l’altra delle grandi feste canoniche in ambito sarnese,