I luoghi e i racconti più strani della Sardegna
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La Sardegna è un'isola da raccontare. Anche perché, nell'isola, la pratica del narrare si intreccia con la bellezza sfrontata della natura, la grazia dell'arte, l'epopea di un mondo arcaico restituito alla storia dall'archeologia. A partire da luoghi realmente esistenti, spesso insoliti e anche per questo strani, di volta in volta presentati al lettore – montagne, voragini e vallate, borghi e quartieri, chiese e grotte naturali, ville, foreste e castelli, pozzi, nuraghi e sorgenti – l'autore raccoglie e riporta alla luce i racconti custoditi dalla tradizione. Fanno la loro comparsa diavoli crudeli e mostri terribili, fantasmi misteriosi e santi potentissimi, animali, banditi, fate e amanti. Lasciando intravedere – oltre la superficie di una terra già di per sé fonte di stupore e meraviglia – un mondo magico e pieno di mistero.
Diavoli e mostri
La leggenda di Norculanu
Sorammala che ruba l’anima
L’impronta di nostra Signora e le corna del demonio
L’anima del cane del cacciatore
Fantasmi
Don Blas d’Aragona, cavaliere terribile
Una messa per i morti male
Le danze macabre dei trapassati
Santi
San Giovanni e la profezia della maga
La leggenda dell’imperatore
L’uomo che mandò a memoria il libro dei salmi e morì decapitato
La devozione di un latitante
Fate e streghe
I bottoni d’oro della Fata Giulia
La casa dell’orchessa
I due gemelli e la regina incantatrice
La strega salvata dal rogo
…e tanti altri racconti insoliti e misteriosi
Antonio Maccioni
è originario di Scano Montiferro (Oristano). Laureato in Filosofia, è dottore di ricerca in Letterature comparate. Ha lavorato nella redazione di alcune case editrici e si è occupato di cronaca locale. Con la Newton Compton ha pubblicato I tesori nascosti della Sardegna; Alla scoperta dei segreti perduti della Sardegna; 101 perché sulla storia della Sardegna che non puoi non sapere; I luoghi e i racconti più strani della Sardegna e, scritto con G. Lisai, Il giro della Sardegna in 501 luoghi.
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Anteprima del libro
I luoghi e i racconti più strani della Sardegna - Antonio Maccioni
608
Prima edizione ebook: ottobre 2018
© 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-2643-8
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per The Bookmakers Studio editoriale, Roma
Antonio Maccioni
I luoghi e i racconti
più strani della Sardegna
Itinerari, luoghi nascosti
e imperdibili segreti che sopravvivono
al trascorrere del tempo
Newton Compton editori
Indice
Introduzione
parte prima. diavoli e mostri
1. Ussassai-Seui. Monte di Arcuerì
2. Nurachi. Il camposanto
3. Quartu Sant’Elena. Villaggio scomparso di Simbilis
4.Orgosolo. Foresta di Montes
5. Orune. Centro storico
6. Buddusò. Chiesa di San Quirico
7. Cossoine. Voragine di Mammuscone
8. Modolo. La vallata
9. Sedini. Domus de janas Sa Rocca
10. Oliena. Crepacci di Sas nurras
11. Illorai. Pont’ezzu
12. Lotzorai. Castello di Medusa
13. Baunei. Su Sterru, voragine del Golgo
14. Urzulei. Grotta Sa domu ’e s’orcu
parte seconda. fantasmi
1. Burgos. Castello del Goceano
2. Ossi. Chiesa di San Bartolomeo
3. Sassari. Piazza del Rosario
4. Tempio. Fontana di Pastini
5. Ittiri. Abbazia di Nostra Signora di Paulis
6. Scano di Montiferro. Colle San Giorgio
7. Ardara. Chiesa di Santa Maria del Regno
8. Berchidda. Rocce del Limbara
parte terza. santi
1. Monteleone Rocca Doria. Chiesa di Sant’Antonio abate
2. Santa Maria Coghinas. Castel Doria
3. Sadali. Cascata di San Valentino
4. Birori. Chiesa di Santo Stefano
5. Tertenia. Chiesa di Santa Sofia
6. Bulzi. Chiesa di San Pietro delle immagini
7. Sedilo. Chiesa di San Costantino
8. Paulilatino. Pozzo sacro di Santa Cristina
9. Romana. Chiesa di San Lussorio
10. Portoscuso. La tonnara Su Pranu
11. Villacidro. Chiesa di San Sisinnio
12. Codrongianos. Basilica della Santissima Trinità di Saccargia
13. Lula. Santuario di San Francesco
14. Sindia. Abbazia di Nostra Signora di Corte
15. Monti. Santuario di San Paolo eremita
16. Siniscola. Marina di Santa Lucia
17. Cuglieri. Basilica di Santa Maria della Neve
18. Arbus. Chiesa di Nostra Signora d’Itria
19. Monteleone Rocca Doria. Monte Germinu
20. Sassari. Santuario di Nostra Signora del Latte Dolce
21. Teulada. Torre di Sant’Isidoro
22. Bortigali. Chiesa di Santa Maria de Sauccu
23. Escolca. Villaggio di San Simone
24. Cagliari. Cimitero monumentale di Bonaria
25. Laconi. Casa natale di sant’Ignazio
26. Tratalias. Cattedrale di Santa Maria di Monserrato
parte quarta. fate e streghe
1. Macomer. Monte Manai
2. Giave. Sa pedra mendalza
3. Scano di Montiferro. Via Turre
4. Anela. Piazza Santi Cosma e Damiano
5. Morgongiori. Domus de janas Su forru de Luxia Arrabiosa
6 . Esterzili. Il tempio di Sa domu de Orgìa
7. Orgosolo. Dolina di Adarre
8. Mores. Grotta di Su puttu porchinu
9. Busachi. Domus de janas Grugos
10. Ozieri. Basilica di Sant’Antioco di Bisarcio
11. Osilo. Vallata di San Lorenzo
12. Bosa. Quartiere medievale Sa Costa
13. Ploaghe. Monte San Matteo
14. Albagiara. Centro storico
15. Buddusò. Sa punta de s’istria
16. Riola Sardo. La tomba nuragica di Cuccuru Mannu
Ringraziamenti
Bibliografia
Introduzione
I luoghi sono fatti anche delle storie che gli uomini raccontano di essi. Quelle storie sono simboli, porte che possono aprirsi su un altro mondo, che al tempo stesso vogliono nascondere: una leggenda antica, una cronaca popolare, una diceria sedimentata nel tempo. Oltre la superficie di una terra già di per sé motivo di stupore e meraviglia – al di là di ciò che si vede e proprio a partire dalla più pura apparenza – c’è la regione del mistero.
Nella prima parte del nostro viaggio alla scoperta dei luoghi e dei racconti più strani della Sardegna, andremo verso destinazioni insolitamente legate all’Essere dai molti nomi: spesso indicato con perifrasi o attraverso le sue caratteristiche principali per evitare di nominarlo direttamente – è il tentatore, il puzzolente, il becco, la bestia, il nemico –, il diavolo si nasconde nelle grotte e nelle caverne, nei pressi dei camposanti, nei villaggi abbandonati, tra i crepacci e sotto i ponti, nel cuore di castelli disabitati o in voragini profondissime.
Insieme alle storie di Coda di fuoco ne racconteremo alcune di mostri diabolici e a lui vicinissimi, diventati stranamente simbolo di certi luoghi, causa di paura: come la musca macedda che custodisce i tesori o lo scultone, il basilisco, un grosso rettile dallo sguardo che uccide. C’è persino oggi chi è ancora convinto che figure simili a queste si nascondano tra i ritagli di un mondo magico, quasi del tutto sparito per i più.
Nella seconda parte andremo nei luoghi dei fantasmi: sono i morti che ritornano, trapassati che – avendo ancora qualcosa da dire – sono così saldamente legati ai paesi da esserne diventati l’oscuro emblema. Contadini e pastori, non solo donne religiosissime, spesso in aperta campagna, nel cuore della notte, incontravano anime cattive e anime buone: defunti che facevano danze macabre nelle chiese, giovani donne morte di parto, uomini scomparsi tragicamente, spietati assassini.
Nella terza parte, in riferimento all’avvento del Cristianesimo nell’isola, scopriremo molti dei luoghi legati ai santi, spesso in riferimento a vere e proprie leggende di fondazione i cui modelli talvolta si ripetono. La Sardegna è una terra ricchissima di santuari pieni di fascino: vi è talvolta una figura politica all’origine della fondazione, o un personaggio locale da mitizzare e celebrare più spesso ci sono oscuri sogni. Ancora una volta, quindi, arriva la magia: le istruzioni per costruire una chiesa in cambio della grazia sono fondamentali, per esempio, nella vicenda di Costantino nel caso di Saccargia a Codrongianos, e con la leggenda di Giommaria Ledda a Sedilo.
Nell’ultima parte andremo alla scoperta di luoghi legati a strane figure femminili, simili a streghe e fate, ma non totalmente assimilabili a queste categorie. Si è infatti a lungo conservata la credenza che alcuni esseri giungano nel cuore della notte per succhiare il sangue dei neonati e dei lattanti (forse per giustificare certe morti premature). La coga, la surbile, la stria: temute dalle madri, erano conosciute con nomi e caratteristiche vagamente differenti a seconda della regione storica, dell’area linguistica in cui le loro leggende si erano tramandate. Non erano esseri propriamente straordinari, non erano diavoli benché fossero diaboliche e non erano anime di morti e nemmeno vampiri (cioè trapassati che ritornano).
Le surbiles erano persone apparentemente comuni e perciò ingannatrici, con una capacità tutta loro di volare, ma solo dopo essersi impiastricciate di grasso di cadavere, olio santo, unguenti magici; dopo essersi trasformate in gatto nero o in una mosca.
Nelle domus de janas – le grotticelle funebri della preistoria sarda – abitavano le fate del mundu giustu, una realtà opposta all’inganno del mundu falsu: donne minute ma bellissime, abili nella tessitura e detentrici di grandi ricchezze. Spesso le janas profetizzavano e influivano sul destino degli uomini che le incontravano: erano buone, ma esistevano pure janas cattive. Forse certe loro storie avevano subito l’influenza dell’arrivo della religione romana: la stessa che ne aveva reinterpretato la natura rendendole malvagie, relegandone la memoria a una zona al di là del bene, adoprandosi affinché si scordasse lo stupore e la meraviglia che un tempo sapevano evocare.
Questo mio non vada però inteso tanto come un libro di leggende, quanto come una guida di luoghi che raccontano storie e viceversa: evitando di attingere a materiali diffusi talvolta in rete e di facile accesso – potenzialmente inquinati da trascrizioni, reinterpretazioni, riadattamenti, attualizzazioni – ho recuperato qui i lavori di antropologi e studiosi di tradizioni popolari, soprattutto della generazione del secondo Ottocento, legati direttamente o indirettamente alla temperie del Verismo e del Realismo magico.
Sapendo che un’accusa è all’orizzonte: come a illustrissimi predecessori, autori impareggiabili di libri anche solo vagamente prossimi al mio, mi si potrà accusare di avere messo le mani
in certe vicende, o di averle volute in qualche modo tradurre
e confezionare, o di essere stato al contrario troppo attento o fedele alla documentazione. Ho tentato di procedere mantenendomi in equilibrio tra due soluzioni diametralmente opposte. Sarà facile sentire – come qualcuno una volta ha scritto – nelle scontentezze altrui l’eco delle mie: con i dubbi e le perplessità ho dovuto fare i conti fin dalla stesura delle prime pagine. Sapendo pure che la pretesa scientificamente accreditata di tradurre le testimonianze di lingua sarda in italiano è già forse di per sé assurda.
Ma in fin dei conti, fuor di polemica, tutto si riduce a questo: la scrittura, come la lettura, parte dal tentativo di creare legami tra le persone. Come nelle parole belle di Bernard Friot:
Leggo le mie storie in tutti i romanzi che leggo. E scopro aspetti di me che non ho ancora scoperto, leggendo la storia di una donna anziana in Giappone, scritta cinquecento anni fa, in una cultura totalmente diversa dalla mia, con personaggi totalmente diversi da me, ma è la mia storia. Per me, questo è il miracolo non solo della lettura ma dell’umanità: ogni persona mi assomiglia. Ogni persona è diversa e ogni persona porta in sé un pezzo di me. Questo è anche il miracolo della letteratura perché quando uno scrittore racconta una storia, precisa e particolare, quella storia allo stesso tempo è la storia di tutti.¹
Solo se funzionano le parole sanno essere incantatrici. Quando accade, però, il loro incantesimo invade i luoghi che abitiamo e quelli verso cui ci muoviamo, restituendo una qualche forma originaria e perduta alla realtà, senza deformarla. Qui sta tutta la loro stranezza, il loro allontanarsi dalla normalità piatta del quotidiano. I nostri vecchi lo sapevano: forse è proprio per questo che erano capaci di creare racconti che leggevano nel cuore degli uomini.
immagine____________________________________________
¹ Così in un’intervista di Eléonore Grassi, Mai fidarsi degli scrittori!, in «Liber», 112, 2018, pp. 45-47.
parte prima
DIAVOLI E MOSTRI
immagineimmagineCarta della Sardegna antica, tratta da Sigismondo Arquer, Sardiniae brevis historia et descriptio, Basilea 1550.
1
Ussassai-Seui
Monte di Arcuerì
Attraverso la Strada statale 198 di Seui e Lanusei si raggiunge, seguendo un breve innesto lungo non più di cinquecento metri, la chiesa campestre della Madonna del Carmine, ristrutturata di recente, ai piedi del tacco di Arcuerì. Secondo un memoriale della prima metà del Novecento, le origini dei festeggiamenti religiosi che si rinnovano nella terza settimana di luglio sarebbero da ricollegare all’uccisione di un uomo, avvenuta nel 1919, durante la sagra del Carmelo di Elini, frequentata per tradizione dalla comunità di Seui. Per evitare ulteriori scontri e ancor peggiori conseguenze, i seuesi avrebbero dato vita a una propria festività dedicando un piccolo tempio alla Madonna del Carmine – costruito di fatto negli anni Venti del secolo scorso grazie a una raccolta fondi – all’interno del loro territorio. All’atto della posa della prima pietra, all’interno di un grosso sasso, fu posta un’ampolla di vetro contenente un messaggio in ricordo della fondazione e le immancabili monete per contribuire alla benedizione dell’edificio.
Nelle vette che si dispongono a lacana tra i due paesi di Seui e Ussassai – vero e proprio territorio di confine
stabilito dalla geografia –, insieme a frequenti e piccoli luoghi di culto che richiamano antiche e recenti tradizioni religiose, si segnalano numerose grotte nascoste e voragini naturali piene di mistero, ma accessibili solo a guide ed esperti. Una di queste è conosciuta dalla tradizione popolare col nome di Sa ucca ’e is bobbois, o anche Sa ucca ’e su tiaulu, cioè la grotta dei diavoli
o del diavolo
, a seconda del luogo in cui il racconto che la riguarda si tramanda. Sono sorte e si conservano ancora oggi diverse leggende che la dichiarano all’origine di manifestazioni infernali e orribili visioni…
Quelli che andarono a suonare e rimasero suonati
Gli abitanti dei centri che si trovano poco lontano dal monte di Arcuerì sostengono che, nel cuore di un’ampia voragine posta al suo interno, abiti da sempre un demonio di nome Olla. Tale orribile diavolo sarebbe depositario e padrone di favolosi tesori: ricchezze incredibili in moneta battuta, che custodirebbe gelosamente nel buio umidissimo della sua dimora.
Un gruppo ardito di abitanti di Lanusei – così sostiene una delle leggende tramandate dal racconto popolare e dalla letteratura – organizzò, una volta, una società di cercatori di tesori, esclusivamente concepita allo scopo di impossessarsi delle ricchezze della voragine di Arcuerì. L’intento della comitiva era prima di tutto questo: i cercatori aspiravano a trovare un prete il quale – attraverso certe sue specifiche formule che lui solo poteva pronunciare – riuscisse a evocare lo spirito maligno per poterci parlare.
Ma non solo: cosa fondamentale era quella di riuscire a farci un patto esplicito, attraverso una vera e propria scrittura di sangue, condizione senza cui il signor Olla non avrebbe reso a nessuno il becco di un quattrino.
Si riuscì a trovare un prete e anche un certo toscano, uno grande e grosso e con le spalle quadre, cui sarebbe bastato un colpo soltanto per buttare a terra un muro e stordire un bue. Benché sulle prime l’omone continentale fosse preoccupato per via del contratto che avrebbe dovuto siglare con il signore delle bassezze, le promesse dei soci di Lanusei lo convinsero a prendere parte all’ardita partita, dando l’autorizzazione affinché gli venisse levata qualche goccia di sangue in cambio di denaro. «Soldi!». Sicché, trasferitisi tutti i soci nella voragine di Arcuerì, il prete diede inizio agli esorcismi, mentre i suoi accompagnatori con l’omone toscano in testa gridavano a piena voce: «Olla! Olla!».
Ma del signor Olla non c’era traccia. Per quanto il prete continuasse a pronunciare formule e quegli altri a gridare accanto a lui più forte e sempre di più, il diavolo se ne stava in silenzio, nascosto nel buio della sua misteriosa grotta.
Proprio quando il toscano stava iniziando a perdere la pazienza, visto che le invocazioni e le grida si erano già protratte per un notevole lasso di tempo, il diavolo decise finalmente di fare la sua comparsa. Ma sentendosi preso in giro, con quelle formule e quel vociare confuso a rimbombargli in testa per le orecchie, il demonietto agguantò il primo bastone che riuscì a trovare a portata di mano e diede alla comitiva così tante botte da lasciare tutti quanti stremati.
I soci di Lanusei e il prete esorcista se ne fuggirono a gambe levate, così concludendo la sfortunata impresa.
C’è però anche chi sostiene che, a menare la compagnia di Lanusei e lo stesso religioso che li accompagnava, fosse stato invece proprio il toscano giunto in loro soccorso: stremato per la lunga attesa dentro la grotta, si sarebbe spazientito, diventando l’unico vero indemoniato in tutta la faccenda.
Qualcuno dice che avvenne con la comitiva, in casa del diavolo, ciò che si dice in giro dei pifferi di campagna: erano andati a suonare ma rimasero suonati².
____________________________________________
² Cfr. Marcello Cossu, Ritedda di Baricau, Tipografia sociale, Lanusei 1885, pp. 81-84. Vissuto tra il 1845 e il 1895, Cossu, originario del piccolo centro di Semestene, diede alle stampe – in tempi in cui la letteratura europea era caratterizzata dalla diffusione del romanzo storico e del romanzo d’appendice –, oltre al romanzo citato come fonte della leggenda, i libri Elodia e la repubblica sassarese e Violetta del Goceano, entrambi nel 1875, e La bella di Osilo nel 1879. Alcuni suoi contributi furono pubblicati sulla «Rivista di tradizioni popolari».
2
Nurachi
Il camposanto
Nel territorio del Campidano di Oristano, si allunga nella penisola del Sinis fino allo stagno di Cabras il piccolo paese di Nurachi. Sorge ai suoi confini l’insolita torre di Pischeredda, da alcuni inserita nel sistema difensivo costiero contro le invasioni barbaresche ma costruita invece a sorveglianza dello stesso stagno, nei pressi di riu di Mare Foghe, corso d’acqua che raggiunge il Campidano dopo avere attraversato il vicino Montiferru. Noto nell’isola per la tradizionale pesca d’acqua dolce e le attività agricole (oltre il camposanto, alla periferia del paese, si coltivano cereali e non mancano gli agrumeti e i vigneti in cui si produce il pregiato vino bianco di Vernaccia), il centro di Nurachi è circondato da paesaggi lacustri e resti nuragici e di età romana, sorgendo di fatto sulla strada tra Cornus e Tharros.
Una curiosa diatriba coinvolse fino all’Ottocento il piccolissimo centro del Campidano e il vicino paese di Cabras, circa il diritto a conservare la chiave della chiesa di San Giovanni di Sinis. La festa più importante è infatti a Nurachi quella di Sant’Agostino, cui si accostavano un tempo le celebrazioni in onore del santo titolare del tempio, oggi prerogativa dei cugini di Cabras: solo il simulacro di sant’Agostino viene adesso trasportato fino alla chiesetta di San Giovanni in processione, tra il 26 e il 29 agosto.
Scriveva Vittorio Angius nel Dizionario³ compilato per Goffredo Casalis intorno alla metà dell’Ottocento:
Di queste paludi la maggiore che indicammo all’austro dell’abitato, e che avrà più di un miglio in circonferenza è resa dalla credenza popolare un oggetto di terrore. Raccontano i pastori e contadini i quali nella notte vi passano o restano vicini, che tra il profondo silenzio si odono uscire dal fondo orrendi muggiti, e che spaventate da’ medesimi le bestie pascolanti nelle rive se ne fuggono spaventate. A spiegarne la causa vogliono quei semplicioni che in centro al bacino sia un passaggio al regno di Satanasso, e che uscendone o entrandovi faccian sempre i demoni quel rumore terribile.
Nel chiuso del serpente
In un piccolo fazzoletto di terra incolto, ai confini col camposanto di Nurachi, una donna di nome Caterina andava una volta a cogliere asparagi selvatici per la sua buona cucina. Mentre era intenta a frugare nell’erba, oltre la periferia del centro abitato, alla ricerca del frutto prelibato della terra sarda, una grossa vipera le si era avventata contro, senza però riuscire a ferirla in alcun modo. Con grande velocità la donna di Nurachi riuscì a scagliarle contro un sasso e a fuggire verso il paese, sentendo però di essere seguita nel cammino da quell’essere viscido e intenzionato a raggiungerla per insidiarla…
La malcapitata fu presa, nei giorni seguenti, da un grave malanno. Il malessere la costrinse a stare per alcuni giorni a letto. Solo quando le comari riuscirono a convincerla che quell’incontro terribile con la