Casamatta
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Info su questo ebook
Casamatta (El Blocao in spagnolo, con parola presa a prestito dal’inglese Block House) è riconosciuto come un capolavoro dell’avanguardia del Novecento, e racconta in modo inedito e una prosa chiara, veloce e modernissima della nascita dello spirito rivoluzionario e repubblicano tra i soldati al fronte di una guerra coloniale spesso dimenticata, ma che ha conseguenze ancora oggi, quella tra Spagna e Marocco. Vi troviamo la vita militare di un esercito non efficientissimo, contro i “moros”, il fervore delle idee, progetti incendiari e dinamitardi, l’amore e il fascino per una donna rivoluzionaria dura, forte e coraggiosa, una rosa sensuale della rivoluzione, che coinvolge il protagonista, idealista come solo uno studente mandato al fronte può essere, a gettarsi nella mischia vera, e a diventare uomo.
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Anteprima del libro
Casamatta - José Diaz Fernandez
Tavola dei Contenuti (TOC)
Introduzione di Ignacio Martinez de Pison
I. La casamatta
II. L’orologio
III. Appuntamento nell’orto
IV. Maddalena rossa
V. Africa ai suoi piedi
VI. Condannato a morte
VII. Convoglio d’amore
Sul sentiero di guerra
In piena zona africana
Prima impressione di Tetuan
La guerra non è uno scherzo
Letteratura di guerra
Riflessioni di un soldato che non si è imboscato
Come muoiono i soldati
tamizdat
( 7 )
(El blocao e Crónicas de la guerra de marruecos
in Prosas, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, Alicante 2006
www.cervantesvirtual.com/nd/ark:/59851/bmc057x2)
© 2018 Miraggi edizioni
via Mazzini 46 – 10123 Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Città di Castello
nel mese di febbraio 2018
da CDC Artigrafiche
per conto di Miraggi edizioni
su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream 80 gr
e Carta Fedrigoni Woodstok Materica Clay 180 gr
Prima edizione digitale: luglio 2018
isbn 978-88-3386-088-6
Prima edizione cartacea: febbraio 2018
isbn 978-88-99815-70-7
Traduzione dallo spagnolo di
Riccardo Ferrazzi e Marino Magliani
Introduzione di Ignacio Martinez de Pison
Mi capita spesso di pensare che la memoria storica tenda a prendere le guerre come punto di riferimento, tanto che il conflitto più recente diventa la data d’inizio della contemporaneità e stabilisce il prima
e il dopo
della società. Vista così, la Storia non sarebbe che una serie di dopoguerra, o un interminabile dopoguerra punteggiato qua e là da un momentaneo scintillio di sole sulla lama di una sciabola o sulla fusoliera di un bombardiere. Non c’è dubbio che la Guerra Civile abbia completamente eclissato il ricordo della guerra che la precedette – la cosiddetta Guerra d’Africa – che ben presto andò a collocarsi in quel vasto e impreciso passato che condividiamo e che, sì e no, sopravvive solo nei saggi di storiografia. Nomi come Abd-El-Krim, El Raisuni, Annual o Alhucemas sono stati definitivamente sepolti da altri più vicini a noi e più sanguinosi.
Tutti noi conosciamo l’onnipresente protagonismo della Guerra Civile nella letteratura spagnola dei decenni successivi. Meno conosciute sono le conseguenze che l’ultima guerra coloniale ebbe sul romanzo spagnolo: intorno a questa guerra nacque un intenso dibattito sociale che propiziò un vero e proprio boom editoriale. Parecchi scrittori, con le loro vicende personali, si trovarono coinvolti nella guerra e da quella esperienza trassero materia per le loro opere. Ma basta un’occhiata sommaria per osservare che soltanto pochi mantengono ancora un certo interesse perché seppero mettere in luce istanze che andavano oltre le passioni del momento. Il romanzo Iman di Ramon J. Sender, il diario Quatro gotes de sang di Josep Maria Prous i Vila, un libro di Ernesto Gimenez Caballero (Notas marruecas de un soldado) e un altro di Tomas Borras (La pared de tela de araña) potrebbero integrare questa improvvisata antologia, nella quale comunque bisognerebbe far posto ad Arturo Barea e al suo eccellente, anche se un po’ posteriore, La ruta, seconda parte del suo impressionante La forja de un rebelde. E ovviamente anche al romanzo la cui rilettura mi ha spinto a scrivere queste righe: El blocao di José Díaz Fernández.
Da quando, parecchi anni fa, ho scoperto questo piccolo capolavoro, varie volte sono tornato sulle sue pagine e ogni volta mi sono sorpreso a fare riflessioni come questa: la narrativa spagnola del primo terzo del xx secolo non ha prodotto così tanti testi di valore da potersi permettere di trascurare quelli che ha. Le circostanze editoriali e le susseguenti mode dei lettori per troppo tempo hanno condannato a un ingiusto oblio quella gemma delicatamente intagliata che è El blocao.
Sono evidenti nel libro le intenzioni letterarie, un energico desiderio di fare letteratura liberandola dalla zavorra ideologica che rovinò tanti romanzi dell’epoca, compreso il secondo (e ultimo) dello stesso Díaz Fernández, La Venus mecanica. E comunque, la sua ottima tecnica narrativa schiva anche la tentazione dell’artificio, del rifugiarsi in una letteratura dell’apparenza
. Nell’introduzione al suo libro, Díaz Fernández fa riferimento ad alcuni scrittori degli anni Venti, che si inventarono una retorica dell’immagine per l’immagine, e conclude: « Coltivino pure i loro perfetti giardini metaforici, io mi addentro nell’intricato bosco dell’umanità ». In effetti, nelle storie che compongono il suo romanzo, l’umanità non manca e Díaz Fernández si dimostra sagace conoscitore delle più nascoste fibre dell’anima. Ricrea l’atmosfera del fronte marocchino con uno stile trasparente, agile, efficace e pudico, riferisce i piccoli fatti quotidiani che i cronisti dimenticavano, ma nei quali pulsa forte la vita anonima del soldato con tutte le sue miserie, la silenziosa irrequietezza della monotonia, il disgusto del tempo senza scopo, l’irreparabile violenza di una sensualità soffocata che spinge l’essere umano verso l’abisso della bestialità. Non ci sono eroi in El blocao, ma neanche antieroi. Solo gente semplice sballottata dal destino, impossibili protagonisti di un’epopea e il contenuto affetto che per loro dimostra il narratore cresce e si manifesta nelle pause, nei silenzi. In questo modo Díaz Fernández raggiunge l’obiettivo principale dei romanzi di questo tipo: l’identificazione spirituale del lettore con l’autore. I fatti che costituiscono la materia del racconto possono essere più o meno autobiografici, ma trasmettono sensazioni nelle quali l’intensità dei sentimenti è tale da escludere qualunque finzione.
Díaz Fernández è un fine osservatore di tutto ciò che lo circonda: il narratore del suo romanzo parla più di ciò che gli sta attorno che di se stesso. Ha un atteggiamento simile a quello del narratore de Il grande Gatsby, che si trova al centro della vicenda ma non è il personaggio che con la sua rilevanza giustifica il romanzo. Racconta fatti che ha visto succedere ma che non l’hanno toccato, o nei quali è intervenuto come semplice testimone, tutt’al più come comparsa. È sintomatico che, al termine dell’unico episodio in cui ha avuto parte, scrive: « Niente di tutto questo ha avuto la minima importanza; ma è l’unica cosa rilevante che mi è capitata in Marocco ». In queste parole c’è una vera e propria affermazione di principio letteraria e, perché no?, di vita: Díaz Fernández sceglie la sobrietà invece dell’eccesso, l’ironia e un velato scetticismo invece dell’enfasi. In ogni momento mantiene una certa distanza dai fatti che narra, una distanza imposta dal trascorrere del tempo. Per questo gli episodi di El blocao, quelli che rimangono dopo essere passati attraverso il setaccio della memoria, ci appaiono privi della gravità che avevano e il lettore li accoglie come un’inoffensiva confidenza, come i ricordi personali che un amico ci confida quando ormai non possono far danno a nessuno.
Credo che proprio in questo consista il tono del romanzo, nel confluire di distanza ed emozione con cui Díaz Fernández si volta a osservare la sua storia, in quell’indefinibile elemento della scrittura che niente ha da spartire con la tecnica e dal quale, in fin dei conti, dipende la bontà o l’insuccesso di una narrazione. E probabilmente proprio a questo si riferisce l’autore quando dice: « Ho voluto scrivere un romanzo che avesse come elemento di unità soltanto l’atmosfera comune a tutti i suoi episodi ». Qui atmosfera non può voler dire soltanto l’ambiente o il luogo in cui si svolge l’azione, perché luoghi e ambienti sono diversi: ciò che li unifica è la visuale dell’autore. Dunque, se intendiamo il termine nel senso di un’atmosfera interiore, mi torna in mente una frase di Lawrence Durrell in Justine: « Ho bisogno di registrare esperienze, non nell’ordine in cui avvennero – questo sarebbe storia – ma nell’ordine in cui mi imposero per la prima volta il loro significato ». In un caso e nell’altro, a quanto pare, per dare coerenza alla narrazione bisogna far riferimento a qualcosa che ha la sua origine più nell’autore che nei fatti, ed è ciò che si chiama tono.
Per quanto riguarda il romanzo del xx secolo, il tono è, a mio giudizio, l’elemento che meglio si addice all’epoca della narrazione e che spiega la non comune energia di opere come El blocao. C’è chi dice – e con ragione – che