La leggenda del santo bevitore
Di Joseph Roth
3.5/5
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Info su questo ebook
Introduzione di Giorgio Manacorda
Andreas, un clochard, vive sotto i ponti di Parigi. Quando un misterioso passante gli dona una piccola somma di denaro, egli la accetta promettendo di restituirla la domenica successiva con un’offerta in chiesa.
Ogni volta che ha in tasca il denaro sufficiente per saldare il suo debito, però, Andreas non resiste alla tentazione di usarlo per rincorrere vizi e piaceri e la restituzione di quei duecento franchi diventa la sua tormentata ragione di esistere. Da questo racconto, tradotto in tutto il mondo e considerato il testamento letterario di Roth, è tratto l’omonimo film di Ermanno Olmi, Leone d’oro a Venezia nel 1988.
Joseph Roth
nacque in Galizia nel 1894. Rimasto presto orfano del padre, morto in manicomio, crebbe con la madre e frequentò il ginnasio e l’università. Prestò servizio come addetto stampa dell’esercito austro-ungarico durante la prima guerra mondiale e proseguì la carriera giornalistica anche negli anni successivi, dedicandosi al tempo stesso alla narrativa. Con le prime leggi razziali della Germania nazista decise di emigrare in Francia, a Parigi, dove continuò a scrivere e dove morì nel 1939. La Newton Compton ha pubblicato i suoi romanzi in volumi singoli e nel volume unico I grandi romanzi.
Joseph Roth
Joseph Roth (1894-1939) nació en Brody, un pueblo situado hoy en Ucrania, que por entonces pertenecía a la Galitzia Oriental, provincia del viejo Imperio austrohúngaro. El escritor, hijo de una mujer judía cuyo marido desapareció antes de que él naciera, vio desmoronarse la milenaria corona de los Habsburgo y cantó el dolor por «la patria perdida» en narraciones como Fuga sin fin, La cripta de los Capuchinos o las magníficas novelas Job y La Marcha Radetzky. En El busto del emperador describió el desarraigo de quienes vieron desmembrarse aquella Europa cosmopolita bajo el odio de la guerra. En su lápida quedaron reflejadas su procedencia y profesión: «Escritor austriaco muerto en París».
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Recensioni su La leggenda del santo bevitore
171 valutazioni5 recensioni
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5I preferred this to "Confession of a Murderer;" it was so much more spirited, if you'll forgive the pun, and a worthy little book to pass an afternoon with. A confessed alcoholic buys a new wallet and finds it full of money; he determines to give some of it to charity, but on the way to the church gets dragged into several heavy bouts of drinking. Wonderfully philosophical, even if you are sober when you read it.
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5I'm not happy with the translation of this simple tale. The translator admits to occasionally translating simple words into more complicated ones (French and Latin words) because he felt Roth's book faithfully rendered in English without the translator's intervention would have sounded bland, raw, simple-minded and like Hemingway... You what? Bad idea, bad, bad, bad idea.
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5A beautiful dream of Catholic spirituality and alcoholism (those not unrelated phenomena).
- Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Von einem anonymen Fremden erhält der Pariser Stadtstreicher und Trinker Andreas Kartak eine finanzielle Zuwendung. Da er sich selbst als "Mann von Ehre" sieht, verpflichtet er sich, das Geld zurückzuerstatten. In der Folge erlebt der Clochard zahlreiche glückliche Wendungen, die Rückgabe des Geldes scheitert aber letzlich immer an der Unzuverlässigkeit des Trinkers.Joseph Roths Novelle überzeugt durch klare Prosa und erinnert ein wenig an die Geschichte von "Hans im Glück". Der aufgrund glücklicher Fügungen mögliche soziale Aufstieg des Hauptprotagonisten wird aber letztlich durch dessen Trunksucht vereitelt. Bei Joseph Roths letztem Werk handelt es sich auch um eine Selbstreflektion der eigenen Alkoholprobleme und die Selbsterkenntnis der eigenen Unverbesserbarkeit.
- Valutazione: 4 su 5 stelle4/5This autobiographical novella reads like a 20th century fable. The protagonist, Andreas Karnak, is a Polish immigrant in Paris who has been through rough times and is now an alcoholic who lives on the streets. A stranger lends him two hundred francs, which he fails to return despite his best intentions. Andreas is a tragic and flawed yet dignified figure, who is a "saint" because he seems to live in the world without ever actually being part of it. His simplicity makes him appreciate "miracles" which more fortunate citizens simply miss.
Anteprima del libro
La leggenda del santo bevitore - Joseph Roth
503
Titolo originale: Die Legende vom heiligen Trinker
Prima edizione ebook: luglio 2014
© 2010, Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-7214-2
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
Joseph Roth
La leggenda del
santo bevitore
Introduzione di Giorgio Manacorda
Edizione integrale
Newton Compton editori
Come il taglio in un quadro di Fontana
Della catastrofe
Joseph Roth «ha saputo diventare [...] veramente uno scrittore per tutti [...] pur nella sua condizione doppiamente disperata di ebreo errante e di austriaco senza patria». Così scrive Ladislao Mittner, cogliendo subito la più evidente caratteristica dello scrittore: un autore di facile e fluida lettura, un vero narratore, un narratore naturale
, uno con il dono di raccontare storie. Roth è un narratore puro. Ma i narratori puri danno l’impressione di raccontare tanto per raccontare, danno l’impressione di non avere un messaggio, sembrano solo dare voce all’ancestrale bisogno umano di storie, di epica, ovvero di miti. Tutti sanno che Roth è un narratore del declino asburgico, anzi forse è il narratore del finis Austriae, proprio perché scrive a posteriori, scrive quando l’impero è ormai tramontato. Nel 1916, quando muore Francesco Giuseppe I, Roth, nato nel 1894, ha ventidue anni, e ne ha ventiquattro quando, con la fine della prima guerra mondiale, crolla l’Impero austro-ungarico. Un narratore puro, quindi, che sulle spalle avrebbe addirittura un’intera epoca, un intero sistema statale, un intero modo di vedere il mondo. Malgrado tutto questo peso, Roth è un narratore leggero
. Forse perché il suo non è un mito ma solo un tema: restituire una realtà che non c’è più, in modo che tutti possano capire (o tentare di capire) che cosa è stata e, soprattutto, cosa ha provocato la sua scomparsa; cosa rimane, se rimane qualcosa, dopo il crollo.
Roth scrive tra le due guerre mondiali, scrive mentre il mondo cambia radicalmente. I suoi personaggi (i Trotta e i Tunda) non solo vedono svanire ogni certezza con la scomparsa di un sistema politico e sociale (la mitica Cacania e il molto concreto Stato multinazionale e multietnico degli Asburgo) che aveva i suoi usi e costumi, le sue ritualità, la sua pervasiva burocrazia e il suo esercito con in cima l’imperatore, ma soprattutto vedono quello che viene dopo: aspri conflitti sociali, scontri tra le formazioni paramilitari dei due maggiori partiti (socialdemocratici e cristiano-sociali), l’incendio del palazzo di giustizia, la repressione violenta delle rivolte operaie, l’esautorazione del parlamento, i tentativi egemonici di Mussolini e di Hitler non ancora alleati, l’assassinio del cancelliere Dollfuss, fino a quando nel 1938 la prima repubblica austriaca scompare, assorbita dalla Germania hitleriana (Anschluss).
Ma tutto questo, che pure è il fondamentale contesto, non spiega ancora il clima di smarrimento, di perdita del senso di appartenenza, e quindi del senso di sé, da parte di un’intera classe, la piccola nobiltà, che tradizionalmente occupava i quadri della burocrazia asburgica e dell’esercito imperial-regio. La caduta del buon gusto e delle buone abitudini, di una certa eleganza, di comportamenti rigorosamente definiti per ogni situazione, ritualità legate agli abiti, al cibo per ogni occasione sociale, dalla più frivola alla più tragica. Tutto quel complesso di convenzioni e, insomma, di modi di esistere che fanno una comunità e una nazione viene meno, e soprattutto viene umiliato, vilipeso, annientato dalla povertà. La riduzione dell’Austria a un paese con sei milioni di abitanti (dai cinquantuno milioni che erano) come conseguenza di una guerra persa, comporta una catastrofe che getta la popolazione (e in particolare la classe cui ho accennato) in una vera e propria indigenza: perdita dell’identità nazionale, sociale e di casta, e miseria economica.
Del nulla
I romanzi di Roth non si possono collocare nella giusta luce se non si tiene presente questo scenario, il che naturalmente non vuol dire che la letteratura dipenda dalla situazione storica e sociale, o ne rispecchi le contraddizioni in modo diretto e meccanico, ma – almeno in questo caso – la discontinuità è stata così importante e così violenta, e irreversibile, che non poteva non lasciare tracce rilevanti sulla letteratura. La cesura storica, insistendo pesantemente sul vissuto degli scrittori, ha avuto innegabili conseguenze sulla loro produzione artistica. Per alcuni di loro la frattura è diventata centrale. E dico proprio la frattura, non il senso della perdita, non la nostalgia. Al centro della narrativa di Joseph Roth non c’è una costruzione mitica del passato, ma un vuoto. Quella frattura è diventata una voragine, forse un vero e proprio abisso: è franato il terreno su cui poggiare i piedi, anche i piedi di una nuova visione del mondo. I suoi libri sono attraversati da una faglia, e quella faglia è esattamente ciò che egli prova a raccontare: sembra che racconti (certo racconta) ciò che c’era prima e ciò che è venuto dopo, ma è come se descrivesse i due lati del nulla. La storia ha prodotto un vuoto, ma quel vuoto non può essere rappresentato come fatto storico: il vuoto non è un fatto,