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Una seconda possibilità: Nick & Em, #2
Una seconda possibilità: Nick & Em, #2
Una seconda possibilità: Nick & Em, #2
E-book280 pagine3 ore

Una seconda possibilità: Nick & Em, #2

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Info su questo ebook

A volte non ti aspetti di arrivare al primo posto.

A volte l'amore ti concede una seconda possibilità.

La ballerina diciassettenne Emilia Moretti è stanca di essere sempre la seconda, e intende far vedere al mondo che anche lei merita di essere prima. Nell'imminente esibizione della Scuola di Arti dello Spettacolo, davanti agli occhi dei suoi genitori. E nel cuore del ragazzo che ama. Passa ore a provare, ore a sognare di diventare la numero uno, ore a immaginare come tutta la sua vita stia per cambiare. Ma quando niente va nel modo che aveva programmato, dovrà capire cosa significhi veramente essere al primo posto.

Il diciottenne Nick Grawski non ha più voglia di seguire le regole del caro paparino. Ha intenzione di fargli vedere che il suo destino è di diventare un ballerino – non un avvocato – e non intende stare alla larga da Em solo perché glielo chiede suo padre. Dovrà mostrare a Em che questa volta intende restare e che non le spezzerà il cuore un'altra volta. Anche quando lei si vede crollare il mondo addosso, anche quando lui scopre che suo padre forse aveva sempre inteso proteggerlo, anche se essere pronti a sostenersi a vicenda è più difficile che innamorarsi.

UNA SECONDA POSSIBILITÀ è un romanzo di speranza, cuori spezzati e sogni infranti. È un romanzo che parla di innamorarsi e scoprire che essere primi non è sempre la cosa più importante.

LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2020
ISBN9781393419488
Una seconda possibilità: Nick & Em, #2
Autore

Elodie Nowodazkij

Elodie Nowodazkij crafts sizzling rom-coms with grumpy book boyfriends and the bold, funny women who win their hearts. Sometimes, she even writes stories that scare the crap out of her. Raised in a small French village, she was never far from a romance novel. At nineteen, she moved to the U.S., where she found out her French accent is here to stay. Now in Maryland with her husband, dog, and cat, she whips up heartwarming, hilarious, and hot romances. Ready to take the plunge? The water’s delightfully warm.

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    Una seconda possibilità - Elodie Nowodazkij

    A volte non ti aspetti di arrivare al primo posto.

    A volte l’amore ti concede una seconda possibilità.

    La ballerina diciassettenne Emilia Moretti è stanca di essere sempre la seconda, e intende far vedere al mondo che anche lei merita di essere prima. Nell’imminente esibizione della Scuola di Arti dello Spettacolo, davanti agli occhi dei suoi genitori. E nel cuore del ragazzo che ama. Passa ore a provare, ore a sognare di diventare la numero uno, ore a immaginare come tutta la sua vita stia per cambiare. Ma quando niente va nel modo che aveva programmato, dovrà capire cosa significhi veramente essere al primo posto.

    Il diciottenne Nick Grawski non ha più voglia di seguire le regole del caro paparino. Ha intenzione di fargli vedere che il suo destino è di diventare un ballerino – non un avvocato – e non intende stare alla larga da Em solo perché glielo chiede suo padre. Dovrà mostrare a Em che questa volta intende restare e che non le spezzerà il cuore un’altra volta. Anche quando lei si vede crollare il mondo addosso, anche quando lui scopre che suo padre forse aveva sempre inteso proteggerlo, anche se essere pronti a sostenersi a vicenda è più difficile che innamorarsi.

    UNA SECONDA POSSIBILITÀ è un romanzo di speranza, cuori spezzati e sogni infranti. È un romanzo che parla di innamorarsi e scoprire che essere primi non è sempre la cosa più importante.

    DEDICA

    CAPITOLO 1 – EM

    CAPITOLO 2 - NICK

    CAPITOLO 3 - EM

    CAPITOLO 4 - NICK

    CAPITOLO 5 - EM

    CAPITOLO 6 - NICK

    CAPITOLO 7 - EM

    CAPITOLO 8 - NICK

    CAPITOLO 9 - EM

    CAPITOLO 10 - NICK

    CAPITOLO 11 - EM

    CAPITOLO 12 - NICK

    CAPITOLO 13 – EM

    CAPITOLO 14 - NICK

    CAPITOLO 15 - EM

    CAPITOLO 16 – NICK

    CAPITOLO 17 - EM

    CAPITOLO 18 - NICK

    CAPITOLO 19 - EM

    CAPITOLO 20 - NICK

    CAPITOLO 21 - EM

    CAPITOLO 22 - NICK

    CAPITOLO 23 - EM

    CAPITOLO 24 - NICK

    CAPITOLO 25 - EM

    CAPITOLO 26 - NICK

    CAPITOLO 27 - EM

    CAPITOLO 28 - NICK

    CAPITOLO 29 – EM

    CAPITOLO 30 - NICK

    CAPITOLO 31 – EM

    CAPITOLO 32 – NICK

    CAPITOLO 33 – EM

    CAPITOLO 34 - NICK

    CAPITOLO 35- EM

    CAPITOLO 36 - NICK

    CAPITOLO 37 - EM

    CAPITOLO 38 - NICK

    CAPITOLO 39 - EM

    CAPITOLO 40 – NICK

    CAPITOLO 41 – EM

    CAPITOLO 42 - NICK

    CAPITOLO 43 – EM

    CAPITOLO 44 - NICK

    CAPITOLO 45 – EM

    CAPITOLO 46 – NICK

    CAPITOLO 47 - EM

    CAPITOLO 48 - EM

    CAPITOLO 49 – NICK

    CAPITOLO 50 - EM

    CAPITOLO 51 – NICK

    CAPITOLO 52 - EM

    Un piccolo messaggio per i miei lettori

    RINGRAZIAMENTI

    L’autrice

    La traduttrice

    DEDICA

    Questo libro è per i miei genitori, mia sorella, i miei nipoti, cugini, zie e zii, nonne e nonni... Per una famiglia intera.

    C’è chi dice che non possiamo scegliere la nostra famiglia, ma io vi sceglierei. Sempre.

    E per mio marito: ci siamo scelti a vicenda e sono riconoscente del fatto che continuiamo a sceglierci e risceglierci. Ti amo

    CAPITOLO 1 – EM

    SAREI DOVUTA RIMANERE alla Scuola di Arti dello Spettacolo, questo fine settimana. Avrei dovuto passare più tempo ad esercitarmi per l’audizione del nostro grande spettacolo di fine anno. Avrei dovuto ripetere ogni movimento fino a renderlo perfetto...

    Non sarò mai pronta.

    Mi si serra la gola. Mi servono altre ore, altri giorni, altro tempo.

    Vuoi delle altre lasagne? mi chiede la nonna. Ha i capelli grigi tagliati corti, e anche se le rughe sul suo viso si stanno facendo più pronunciate, anche se è pallida e più magra, anche se si stanca più facilmente, il suo sorriso è sempre il più luminoso di tutta New York.

    O magari dell’altra insalata? Mescola ancora l’insalata di pomodori e mozzarella. Coltiva lei stessa il basilico e pensa che potrebbe creare un menù intero fatto solo di ricette a base di basilico, come bistecche al pesto o sorbetto al basilico.

    Ancora un po’ di insalata, grazie. Le porgo il mio piatto. Il ristorante della nonna di solito è luminoso e pieno di risate, e di gente, e di camerieri che cercano di non andare a sbattere l’uno contro l’altro. Ma questa sera siamo solo io e lei. Di domenica la nonna apre a pranzo e tiene chiuso la sera.

    Ecco qua. Sorseggia la sua acqua. Tuo padre era così carino da bambino. Quel giorno che mi ha portato un mazzo di rose dal nostro giardino, non ho avuto cuore di dirgli che non avrebbe dovuto tagliarle. Ho pensato invece di metterne una nel suo album dei ricordi, dice, poi inspira profondamente, come a voler riprendere fiato. Liscia la tovaglia rossa che copre il nostro tavolino. Ha detto che questa sera avevamo ‘un’appuntamento nonna-nipote’, ha acceso delle candele e c’è addirittura della musica italiana in sottofondo.

    Anche se dovrei essere in sala prove, non ho potuto dirle di no. Non volevo dirle di no. E non perché le sue lasagne siano le migliori in città.

    Parlo, parlo, ma so che devi andare, dice, alzandosi in piedi e tenendo le mani sulla sedia.

    Posso restare, le rispondo.

    Sei dolce, tesoro, ma hai iniziato a essere irrequieta sulla sedia, e significa che stai già facendo tardi.

    Mi irrigidisco: non me ne ero accorta. La cena era davvero buonissima. Grazie. Faccio per raccogliere i piatti, ma lei me li porta via.

    Me ne occupo io. Tu vai.

    E c’è una tale tenerezza nel modo in cui mi guarda, che vorrei imbottigliare l’emozione che provo e tenerla per quando avrò una brutta giornata, o per quando vedrò Nick: la mia cotta di sempre, il migliore amico di mio fratello, il ragazzo che mi ha spezzato il cuore l’estate scorsa.

    La prendo sottobraccio e andiamo insieme fino alla porta. Il ristorante sa di pane fresco mescolato con aglio e basilico. Il profumo della mia infanzia passata in cucina con lei e il nonno.

    Quando tutto era molto più facile.

    Prendo il cappotto, attenta a non urtare una delle foto che tiene appese alle pareti. Il suo muro dei ricordi, come lo chiama lei. Un sacco di foto del nonno, e di mio padre, e di tutta la mia famiglia. E dell’Italia. Recentemente ne ha aggiunta una del signor Edwards, l’uomo che le fa la corte da almeno un anno ormai.

    Ciao, Bellissima, mi dice, baciandomi la guancia con uno schiocco. Grazie per aver passato del tempo con la tua vecchia nonna. Mi fa l’occhiolino.

    Non sei vecchia.

    Hai ragione. sono antica. Ride e mi abbraccia di nuovo. Il profumo che mamma le prende ogni Natale è un altro promemoria di tutti i momenti felici che ho passato con lei. Lei tossisce e si appoggia alla parete. So che volevi restare a scuola questo fine settimana, quindi grazie ancora. E prima che possa rispondere, mi spinge fuori dalla porta. Ora vai. Non vuoi arrivare in ritardo.

    Ti voglio bene, le dico. Mi metto il cappotto e la sciarpa.

    Anch’io ti voglio bene, Bellissima. Esita. E salutami Nicholas, aggiunge.

    Nicholas. Nick. Mi sforzo di piegare le labbra in un sorriso. Mi sforzo di non pensare a Nick. Mi sforzo di fare un gesto di saluto alla nonna. Ci vediamo la settimana prossima.

    E le lancio un’ultima occhiata prima di dirigermi verso la metropolitana. Una volta mi piaceva un sacco tornare a scuola di domenica. Aspettavo Nick all’angolo della strada e facevamo il tragitto a piedi insieme. Parlavamo del nostro fine settimana. Lui mi faceva ridere e io cercavo di non fissargli le labbra mentre parlava dei suoi genitori, dell’ultima audizione, del videogioco su cui era riuscito a mettere le mani prima che arrivasse nei negozi, perché sapeva di volerci giocare e conosceva qualcuno che poteva farglielo avere.

    Tutto questo era prima.

    Ora prendo la metropolitana da Brooklyn, dove io e la mia famiglia ci siamo trasferiti dopo che il padre di Nick ha licenziato papà.

    Da sola.

    Ora non passo più ogni secondo possibile con Nick, non gli mando messaggini a caso per farlo ridere. Non sorrido tutte le volte che lo vedo.

    Ora lo evito più che posso e gli racconto bugie su un qualche tizio che sto frequentando e che ho conosciuto al ristorante della nonna.

    Mi sistemo la borsa sulla spalla e guardo il cielo grigio. New York ha avuto la sua dose di neve e inverno e marciapiedi ghiacciati, ma pare che dobbiamo aspettarci un altro round, anche se siamo già a marzo. C’è un baretto incastrato tra due edifici più grandi poco prima della metropolitana. È pieno di gente e sono tentata di entrare e mettermi in fila. Nascondermi là dentro e dimenticare la vita vera. Dimenticare la scuola.

    Ma invece di entrare nel bar, vado dritta avanti. Passo oltre un gruppo di studenti che stanno parlando di una festa epica a cui sono stati ieri, e scanso per un pelo una coppia che sta pomiciando così focosamente, che quasi posso sentire mio fratello dirgli di trovarsi una camera. Mi siedo su un sedile vuoto nella metropolitana.

    E la mia mente divaga sullo stesso gioco di sempre. Se la terza persona ad entrare nella carrozza è una donna, parlerò con Nick. Gli parlerò seriamente. Gli confesserò che non sto frequentando nessuno.

    La prima ad entrare è una donna con i capelli che le arrivano alle spalle e un grande sorriso con uno spazio in mezzo ai denti. Tiene per mano un’altra donna con i capelli scuri, che è la seconda persona a salire. Dà alla compagna un bacio sulle labbra e poi le sussurra qualcosa all’orecchio. Si mettono tutte e due a ridere. La terza persona ad entrare in metropolitana è un tizio. Nonostante si geli, non indossa un cappotto. La maglietta di Hugo Boss gli fascia i muscoli e i suoi jeans devono costare più di un intero semestre alla Scuola di Arti dello Spettacolo. Sulla base del prezzo dei suoi abiti, non è senza giacca perché non può permettersela: è una dichiarazione di stile. Una dichiarazione di stile che potrebbe farlo morire congelato.

    Magari potrei contare la coppia come una persona unica, e se il prossimo passeggero è una donna, allora parlerò con Nick. Entra un gruppo di ragazzi.

    Mi lascio sprofondare nel sedile.

    L’universo si è espresso: oggi non parlerò con Nick.

    Il mio telefono vibra nella tasca posteriore e lo tiro fuori. Un messaggio da mio fratello. Non da Nick.

    Scusa se non sono riuscito a tornare a casa questo weekend, questo esperimento mi sta ammazzando. Letteralmente: potrebbe uccidermi. Giocare con i virus è pericoloso.

    Mi sfugge un sorriso. Roberto sa fare il drammatico, ma è anche un genio della fisica e della medicina e di qualsiasi cosa tocchi. Si diplomerà al college due anni prima e salverà il mondo.

    Gli rispondo: Fai attenzione.

    Sempre

    Mi rimetto comoda, sforzandomi di non ricordare quello che Roberto mi ha detto sulla miriade di virus e batteri e tutto il resto che riempiono i trasporti pubblici. Un tizio seduto due posti più in là sta mangiando bocconcini di pollo e l’odore del cibo mi avvolge. Non ho fame – non dopo aver mangiato le lasagne della nonna – ma quel profumo mi ricorda le serate spensierate sul tetto della casa di Nick, due anni fa, durante le vacanze per il Ringraziamento. Era quando le nostre famiglie andavano ancora d’accordo e quando avevamo deciso che non volevamo starcene seduti alla loro tavola elegante, con i loro cibi eleganti e tra i loro eleganti amici. Avevamo ordinato da mangiare da KFC, eravamo saliti sul tetto e avevamo parlato tutta la notte. Noi tre: io, Roberto e Nick.

    Una ragazzina con i capelli dritti e neri e gli occhi a mandorla entra nella vettura insieme a sua mamma. Ha un grande sorriso stampato in faccia e indica il sedile di fronte a me. Possiamo sederci, mamma? La madre annuisce.

    Si siedono davanti a me e la ragazzina si accoccola addosso alla mamma. Le loro giacche viola si assomigliano, con un pupazzo di neve sulla tasca frontale. La bambina si guarda attorno e poi si alza in piedi per venire a toccare la mia borsa.

    Lola, la chiama la madre, e la piccola si risiede, sempre fissando la mia borsa.

    Le si illumina il volto e il sorriso si fa più grande. Mi ricorda i bambini sulla locandina della Buddy Walk che è stata organizzata due settimane fa in città per la sensibilizzazione riguardo alla sindrome di Down.

    Sei una ballerina? mi chiede lentamente con la voce ridente, il dito che punta le immagini sulla mia sacca: scarpette da danza classica e una ballerina con il tutù.

    Sì, le rispondo, cercando di ignorare la sensazione che quelle parole mi risvegliano nello stomaco. Non so cosa sia, ma non è una cosa piacevole. Mi manca la gioia che di solito mi riempiva il petto quando parlavo della danza.

    Io ho la sindrome di Down, mi dice con un tono molto pratico, e, prima che possa reagire, continua: Ma diventerò una giocatrice di pallacanestro. Sua madre le dà un bacio sulla testa.

    È già una bravissima giocatrice. La donna fa l’occhiolino. Ma vuole diventare anche una pattinatrice su ghiaccio, e una giocatrice di lacrosse, e una ginnasta. Dipende da cosa vede alla TV. Ride. E un sorriso affiora sulle mie labbra. Sembrano così felici.

    Sono sicura che diventerai bravissima, le dico. Lei annuisce con fermezza mentre io la saluto con la mano. Questa è la mia fermata.

    Lei contraccambia il mio saluto. Anche tu sarai bravissima! E la sua fiducia in me conta più dell’ultimo discorso della serie ‘puoi farcela’ da parte di una delle mie insegnanti. Forse perché sembrava crederci, mentre la mia insegnante aveva uno sguardo di pietà in faccia, di quelli che dicono: Sono costretta a incoraggiarti, ma la realtà dei fatti è che fai schifo.

    Le audizioni sono tra tre giorni. Tre. Giorni.

    So che posso farcela. So di avere quello che serve.

    Nota per me stessa: lavora più sodo.

    CAPITOLO 2 - NICK

    LA CASA SA della torta di mele che il cuoco ha preparato per cena ieri sera: caramello e cannella. Penso abbia avuto pietà di me, dato che la nostra cena programmata in famiglia si è trasformata nel genere di cena ‘Nick mangia da solo e gioca ai videogame tutta la notte’. Sa che la torta di mele con le meringhe è uno dei miei dessert preferiti. Il mio numero uno però è il dolce che Em ha preparato la scorsa estate: cannoli. Subito prima che ci mettessimo a pomiciare. Aveva ancora il sapore del dolce italiano sulle labbra.

    Dovrei tenere a mente che sarebbe meglio non pensare a Em, o al modo in cui i suoi baci mi accendevano il fuoco nelle vene, o alla sensazione che mi dava tenerla tra le braccia. Perché avere un’erezione a casa dei miei, quando loro si trovano a pochi metri da me, non è esattamente il modo in cui ho programmato di terminare il mio weekend.

    Mi sposto da un piede all’altro e prendo la borsa, pronto a uscire senza tanto più di un ciao. Credo di essere ancora sull’incazzato, dopo che ieri mi hanno scaricato. La maggior parte dei miei amici vanno in estasi all’idea di passare del tempo alla larga dai loro genitori, ma è molto diverso quando il tempo che riesci a trascorrerci insieme è l’eccezione alla regola. Non mi dispiacerebbero un paio di cene imbarazzanti, qualche domanda sulla scuola, sulla mia vita. Qualcosa.

    Te ne vai di già? Mamma sbuca dal salotto, dove era al telefono per qualche raccolta fondi che sta organizzando e che si svolgerà tra due mesi. Non è più triste come prima, ma non è neanche ancora del tutto presente quando è a casa. Le sedute di terapia dove mi trascinano almeno una volta al mese sono state di aiuto, ma sembra che si concentri così tanto sull’obiettivo di riparare la sua relazione con il caro paparino, che non è sicura di come gestire me. Ci sono delle volte in cui mi si avvicina, riserva del tempo della sua indaffaratissima agenda per parlarmi, e altre volte in cui invece quasi non ci vediamo per l’intero fine settimana.

    È tardi, rispondo, massaggiandomi la nuca. Sono molto più alto di lei, ma quando mi guarda in un certo modo, regredisco al me bambino di cinque anni che non voleva mai staccarsi dalla sua gonna. Al tempo in cui credevo ancora che i miei genitori fossero degli eroi. Vorrei ridere in faccia al me-passato e dire al me-presente di riprendersi un attimo.

    Mi spiace che siamo stati così impegnati, questo fine settimana, ma ti prometto che la settimana prossima tu ed io faremo qualcosa di divertente insieme.

    Ok. Non resto col fiato sospeso.

    Come sta Emilia in questi giorni? mi chiede, socchiudendo gli occhi e guardandomi come se stesse tentando di leggere oltre le mie solite stronzate.

    Sta bene. Tengo il tono più leggero che posso. Anche solo udire il nome di Emilia mi fa sentire come se qualcuno mi stesse prendendo a pugni sul petto. Ho mandato tutto all’aria e non so come rimediare. Se avessi un rapporto normale con mamma – e se papà non fosse tutto concentrato sull’idea che non debba frequentare Em – magari potrei chiederle un consiglio. Em dice che sta uscendo con qualcuno. Non le credo... non perché pensi di essere insostituibile, ma perché non la vedo felice. Se fosse andata avanti, sarebbe felice. Giusto?

    Sono contenta di sentirlo, mi risponde, toccando un vaso che ha ricevuto dalla moglie dell’ex governatore di New York, spostandolo leggermente, in modo da metterlo perfettamente al centro del piccolo piedistallo. Stringo i pugni. Adesso è il mio turno di guardarla fisso in faccia: ha le labbra corrucciate come se stesse per dire qualcosa ma non volesse farlo, mentre le mani le tremano un poco, cosa che le succede solo quando c’è qualcosa che la preoccupa.

    Io... La mia voce è gracchiante come quella di un tredicenne.

    Le sue dita seguono la fantasia del vaso – un fiore blu. È da tantissimo tempo che non la vediamo, dice. Stringo i pugni ancora più forte, espiro sonoramente, cercando di liberare il petto da questa pressione. Mamma sta migliorando e non voglio respingerla, ostacolare il suo recupero, il nostro recupero, chiedendole quello che ho sulla punta della lingua. Tu lo sapevi? La mia mente grida, la implora di leggermi nel pensiero. Lo sapevi

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