Lion Viaggio a Meravigliasorriso
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Recensioni su Lion Viaggio a Meravigliasorriso
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Anteprima del libro
Lion Viaggio a Meravigliasorriso - Tamara Casati
famiglia.
CAPITOLO 1
UN POMERIGGIO D’INVERNO
Lion aveva trascorso la giornata a letto. La mattina, a scuola, era stato colpito da una brutta tosse, la solita tossaccia che da quando era più piccolo lo costringeva a una vita diversa da quella dei suoi coetanei. Ora si sentiva un po’ meglio. Il dottore era passato da poco a visitarlo, gli aveva fatto un’iniezione e raccomandato di stare al caldo. Doveva essere pomeriggio inoltrato, quasi sera. Nella penombra della cameretta sentiva parlottare di là. Voci di adulti. Il tono lo allarmò: sembrava molto serio. Si alzò, infilò le pantofole e con passo felpato si affacciò alla soglia della porta della sua stanza. Da lì, senza farsi vedere, poteva scorgere le sagome di spalle dei suoi genitori seduti al tavolo del soggiorno con il dottore. Anche se aveva solo nove anni compiuti da poco, sapeva capire quando l’argomento del discorso era grave. Il medico parlava bisbigliando e il bambino riuscì ad afferrare solo qualche parola: Lion … malattia … sistema immunitario … nessun rimedio … E va bene, erano cose che già in parte sapeva. Perché tutto quel mistero, quella cupezza? Sarebbe vissuto sempre così, ormai si era rassegnato: debole e malaticcio, bisognoso in continuazione di cure, di medicine e di riposo.
… problemi di salute… tempo… peggioramento… morire…
Sentì la mamma soffocare un singhiozzo, mentre nella stanza piombava un silenzio assoluto. Lion rimase immobile, stordito. Che aveva detto il dottore? Morire? Indietreggiò di qualche passo, frastornato. Non voleva più ascoltare. A tentoni, facendo attenzione a non urtare nulla, se ne tornò a letto. Una sola parola invadeva la sua mente, una parola nera nera, impronunciabile, tremenda, i cui contorni gli erano oscuri: MORTE.
CAPITOLO 2
UNA VISITA INASPETTATA
Imesi passarono e anche il lungo inverno terminò. Lion non confidò mai a nessuno ciò che aveva sentito quel pomeriggio, tenne tutto per sé e ciò lo rese irrequieto e scorbutico più che mai.
In una notte primaverile e stellata, il bambino dormiva profondamente nella sua stanza. Il suo respiro, come sempre, era irregolare e spezzato; spesso somigliava a un rantolo, producendo dei veri e propri graffi sonori.
D’un tratto, negli abissi della notte, Lion lanciò un ansimo potente e si svegliò di soprassalto. Provò a sollevarsi un po’, restando seduto con la schiena contro la spalliera del letto. Si portò la mano al petto, stringendolo. La testa gli girava e per alcuni istanti vide appannato. Faticava a respirare e il panico si impadronì di lui. Avrebbe voluto chiamare la sua mamma, gridare, ma non riusciva. Credeva sarebbe morto. Ripensò a ciò che aveva sentito mesi prima, alle parole del dottore. Ecco, la sua paura stava diventando realtà, la morte lo avrebbe agguantato in meno di quanto immaginasse. Doveva rassegnarsi. Si sentì svenire, chiuse gli occhi, abbandonandosi alla perdita di coscienza, quando un respiro intenso e vitale lo rianimò e lui si risedette contro lo schienale.
Aprì le palpebre. D’improvviso la visuale divenne più nitida. Il respiro si regolarizzò pian piano e i polmoni tornarono a darsi da fare, il cuore batteva a ritmo naturale, la testa non doleva più. Si sentiva debole, quello sì; del resto, non era una novità.
Ma ciò che lo sorprese parecchio fu accorgersi di due sagome luminose che si agitavano davanti a lui, una sulla sua gamba sinistra e l’altra sulla destra. Mise a fuoco meglio e, sì, non era impazzito. Per la miseria! Non aveva le allucinazioni. Quelle figure sfavillanti, alte una quarantina di centimetri, erano reali. Si diede un pizzicotto sulla guancia e guardò di nuovo dinanzi a sé. Cosa ci facevano quegli ammassi di luce lì? E cos’erano? Forse angeli mandati a prenderlo?
«Senti!? Inizio io.»
«No, io!»
«Avevamo concordato che mi sarei presentata prima io!»
«Be’, ho cambiato idea. Vuoi sempre presentarti prima tu.»
«Oh, insomma! Fa’ come vuoi. Prego. Materializzati, allora!»
Istanti di silenzio. Lion retrocesse col sedere, appiccicandosi alla spalliera, come fosse un tutt’uno con essa. Stavolta era ammutolito per lo spavento, anche se avvertiva che c’era qualcosa di magico in ciò che stava vedendo.
«Scu-Scusate?»