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Eden: Eden Series
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E-book138 pagine1 ora

Eden: Eden Series

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Info su questo ebook

Gli Angeli sono tra noi. Lo sapevi? Ce n’è uno intrappolato proprio dentro di me. Scordati, però, le immagini di aureole e sottovesti: sei completamente fuori strada. Te lo assicuro. Questi “Emissari del Signore” sono dei veri fanatici psicopatici. Dimmi, riuscirai a sopravvivere a questa nuova piaga?

Anna Meisner si risveglia in una stanza buia, nuda, impaurita, e legata a una sedia. Di fronte a lei, una donna con le sue stesse sembianze piange lacrime amare, prima di puntarsi una pistola contro la tempia e spararsi. Anna viene ritrovata alcuni giorni più tardi, in evidente stato d'ipotermia, a un passo dalla morte. Al suo risveglio, in ospedale, scopre di essere al centro di un’indagine: non come vittima, bensì come sospettata. Inizia così la discesa verso un inferno pieno di eventi catastrofici, in cui Anna dovrà decidere quale parte recitare. L’umanità è forse condannata? Scoprilo in questo thriller apocalittico, nominato ai Bastaard Fantasy Award.

LinguaItaliano
EditoreJ. Sharpe
Data di uscita1 mar 2020
ISBN9781547584154
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    Anteprima del libro

    Eden - J. Sharpe

    Prefazione

    Parte 1

    Retribuzione

    -1-

    -2-

    -3-

    -4-

    -5-

    -6-

    -7-

    -8-

    -9-

    -10-

    2009

    -11-

    -12-

    2017

    -13-

    -14-

    -15-

    Dedicato a Marijke, come sempre.

    Prefazione

    ––––––––

    Credo e non credo. Sono più il tipo convinto che vedere equivale a credere – il che pone tutta la questione della fede sotto una luce diversa, almeno per me. Ci sono volte in cui invidio i veri credenti, perché penso che una fede indissolubile sia l’unica via per raggiungere la pace dell’anima. Certo, parte tutto dai genitori, che ci indirizzano verso una data religione, ma a volte le persone raggiungono una propria visione del divino nel corso della propria vita. Quale che sia la verità, spero davvero ci sia qualcosa lassù. Mi dispiacerebbe vivere una sola vita, ma non posso far altro che aspettare, e scoprirlo una volta varcata la Soglia.

    Ho voluto precisarlo perché sono dell’opinione che leggere debba essere un divertimento, e per questo preferisco avvisarti in anticipo: la mia storia non vuole santificare né dissacrare alcuna religione. Tuttavia, potresti trovare scene in grado di offendere la tua sensibilità e la tua fede. Perciò, se pensi che certi argomenti non dovrebbero essere oggetto di fiction, allora questo libro non è adatto e – per primo – ti esorto a rimetterlo sullo scaffale.

    In caso contrario, spero che il viaggio che ho in serbo per te si riveli una piacevole lettura.

    Parte 1

    Retribuzione

    -1-

    ––––––––

    Mi svegliai in una stanza buia, claustrofobica.

    Ancora stordita, abbassai lo sguardo sul pavimento. La saliva mi era colata giù per il mento, per poi sgocciolare su una gamba. Impiegai qualche momento per realizzare che ero nuda. Non mi impressionò più di tanto – mi sentivo come se un branco di elefanti mi ballasse nella testa. La stanza non voleva smetterla di girare e il cervello sembrava sul punto di esplodere ogni volta che il mio cuore batteva.

    Avevo la vista appannata da una foschia che mi fluttuava davanti agli occhi. Mi ricopriva come una spessa coltre gelida che si insinuava fino alle ossa. Iniziai a tremare, non riuscivo a fermarmi. I miei piedi sembravano incollati al pavimento ghiacciato – il mio era corpo intorpidito e i capezzoli sull’attenti. La luce intermittente non migliorava la situazione. Accesa. Spenta.

    Luce. Buio... mi faceva impazzire. Insomma:

    Non si poteva certo definire un dolce risveglio.

    Dove sono? Che è successo?

    Mi lamentai. Cercai di alzare una mano per posarla sulla testa dolorante, senza pensarci. Non arrivai lontano. Provai una fitta di dolore al polso, che mi attraversò il corpo insieme a un’intensa scarica di adrenalina che mi schiarì la mente e dissipò il senso di appannamento. Il mal di testa diminuì e gli elefanti si trasformarono in miti topolini. Nei brevi lampi di luce, che si alternavano all’oscurità, vidi che le mie braccia erano costrette alle mie spalle, contro lo schienale della sedia. Erano legate. Non riuscivo a vederle, ma sentivo una spessa corda ruvida che mi irritava i polsi e mi attraversava la schiena, le spalle e il corpo, incrociandosi sul mio petto. Era fissata saldamente alla sedia, e mi scavava la carne a ogni movimento.

    Sebbene non fossi ancora pronta ad affrontare la realtà, provai a liberarmi, naturalmente, senza successo.

    Che diavolo di posto è questo?

    Il cuore mi martellava nel petto. La temperatura non doveva superare i quattro gradi, eppure grondavo sudore. Provai ancora una volta a liberarmi, mettendoci tutta la forza che avevo – inutilmente, ma non mi sarei arresa. Fui trafitta da un dolore lancinante. La rabbia riuscì in qualche modo a farmi resistere. Diedi uno strattone alla corda, per mettermi in piedi. O almeno, ci provai. Grave errore: le mie gambe erano legate alla sedia, e quando provai ad alzarmi, persi l’equilibrio. La sedia s’inclinò di lato e, come le gambe laterali della sedia si staccarono dal pavimento, caddi con un tonfo sordo.

    Gli elefanti ricominciarono la loro danza, e la mia vista si offuscò.

    Provai a rialzarmi, con tutta la sedia, ma dopo una manciata di secondi rimasi senza fiato, appoggiata su un fianco a maledirmi per la mia stupidità.

    Fino a quel momento, ero riuscita tenere a bada la paura, più o meno. Avevo letto da qualche parte che si può rimanere lucidi solo se non ci fa prendere dal panico e che avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte. C’era una linea sottile a dividerle, un intervallo di pochi secondi – lo sapevo per esperienza. Con quella caduta avevo ripreso il controllo. Il mio corpo iniziò a tremare. Aiuto! Aiutatemi!

    Sentii le mie grida echeggiare contro le pareti intonacate della stanza nuda.

    Poi, la vidi.

    Era nuda, proprio come me. Gambe lunghe, pancia piatta, seni generosi. Si trovava sul lato opposto della stanza, seduta su una sedia, solo che lei non era legata. Cercai di respirare, di implorarla di aiutarmi, ma non riuscii a pronunciare una sola parola. Il silenzio diventò assordante. Non avrei saputo dire cosa mi spaventasse di più – quel silenzio o quella donna.

    A pensarci bene, la donna era decisamente più terrificante.

    Aveva dei lunghi capelli castani, sporchi e annodati. I suoi occhi color ambra erano pieno di tristezza. Guardavo me stessa, ancora oggi non saprei dire come facessi a saperlo. Lo sapevo e basta. I miei occhi potevano anche ingannarmi, ma lo sentivo nel profondo, dentro di me.

    Come...? balbettai. La luce sul soffitto si spense: Buio. Luce. Di nuovo.

    La donna non rispose. Era una lacrima quella che le scivolava lungo la guancia?

    Che posto è questo? le chiesi.

    Silenzio.

    La donna alzò il braccio sinistro. A causa di quella dannata luce che si accendeva a intermittenza, e il fatto fossi ancora sdraiata su un fianco, il suo movimento mi sembrò ancora più inquietante, come in un film muto. Nella mano stringeva una pistola.

    Buio. Luce.

    La pistola le sfiorò la coscia.

    Buio. Luce.

    La pistola era all’altezza della vita, e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

    Buio.

    Luce.

    La pistola le sfiorò la gola, la donna aprì la bocca e nel suo pianto silente, scosse il capo.

    Buio.

    Luce.

    La pistola si posò contro la sua tempia.

    Oh Dio, no.

    Aspetta!

    Il colpo fu così violento che per poco non mi sfondò i timpani. In lontananza, sentii la pistola cadere sul pavimento e scivolare verso una parete.

    La luce continuò la sua danza maledetta. Buio. Luce.

    In quel bagliore, vidi quel corpo – il mio corpo – giacere immobile sul pavimento. Il sangue scivolò verso di me in un rivolo scarlatto.

    Gridai.

    Quante speranze poteva avere una ragazza legata a una sedia, sul pavimento in una stanza buia? Esatto – nessuna.

    Impiegai un po’ di tempo prima di calmarmi, per quanto una ragazza nuda, che aveva appena assistito – da vicino – al proprio suicidio con una pallottola conficcata nel cervello potrebbe definirsi tale.

    Chiudi gli occhi e prendi un bel respiro. Non guardarla.

    Mi sentii meglio, ma dopo un po’ cominciai a dubitare che l’oscurità fosse meglio.

    Cercai di restare calma e di respirare l’aria umida. Fui assalita dalla nausea e le cose peggiorarono non appena mi resi conto di cosa accade a un corpo dopo la morte.

    Rigor mortis, decomposizione, vermi...

    Non pensarci, mi imposi. Per allora, te ne sarai già andata via.

    Oddio, speravo di aver ragione.

    Da quanto tempo mi trovavo su quel pavimento umido, con gli occhi chiusi a controllare la respirazione?

    Secondi? Minuti? Ore? Mi sembrava fosse passata un’eternità.

    Dev’essere uno scherzo, un incubo. Adesso mi sveglio, apro gli occhi, e non ci sarà nessun cadavere: solo Mark nel mio letto.

    Aprii gli occhi.

    La luce sfarfallò. Spenta. Accesa. Buio. Luce.

    La mia vocina interiore aveva mentito.

    Gli occhi vuoti e spalancati mi fissavano, anzi sembravano guardarmi. Sapevo che non poteva essere vero. D’altro canto, neanche svegliarsi legata a una sedia, davanti a qualcuno che ti somiglia e vederlo suicidarsi sembrava avere senso. Perché era di questo che si trattava, vero? Era solo qualcuno che mi somigliava, no? Non potevano esserci due me. Per quanto ne sapevo, non mi avevano ancora clonata e non mi ricordavo di avere sorelle gemelle. Di sicuro, avrei chiesto conferma ai miei – se mai fossi riuscita a uscire da quella situazione assurda. Non sarebbe stata la prima volta che mio padre mi teneva nascosto qualcosa.

    Rilassati, non sei quella donna. Non essere ridicola. Ti somiglia e basta.

    Certo. Era solo una coincidenza. Che stronzata! Che diavolo stava succedendo?

    Scrutai la stanza, nella speranza di vedere delle telecamere sui muri.

    Non poteva essere altrimenti, ragionai. Dev’essere per forza tutta una cazzo di messinscena.

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