Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'Ultimo Treno
L'Ultimo Treno
L'Ultimo Treno
E-book176 pagine2 ore

L'Ultimo Treno

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il protagonista de L’ultimo Treno, Carlo Celeri, si sveglia in un luogo irriconoscibile: una stazione dei treni asfissiante e imperscrutabile, cinta di muri bianchi e popolata da figure sinistre. In questo luogo da incubo è costretto a camminare lungo i binari nella speranza che le tracce dei treni possano ricondurlo alla realtà. Ma la realtà, la verità, alla quale Carlo Celeri vorrebbe fare ritorno, può risultare più crudele di quanto si aspetti e la ricerca che riporta al presente deve necessariamente passare attraverso i ricordi, spesso dolorosi, della propria esistenza. Nel suo primo romanzo, Luca Mannea intreccia il classico genere del poliziesco con le esperienze della coscienza, facendo particolare attenzione agli elementi percettivi e sensoriali dei suoi personaggi e provando ambiziosamente a trovare un proprio stile letterario. 

Luca Mannea, nato a Nuoro (NU) il 21 marzo 1997, si è laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in triennale in Cinema e Audiovisivi (2019) e in magistrale in Media Management (2021). Ha da sempre un profondo amore per la lettura, la scrittura e il cinema e si sta specializzando per diventare un regista, sceneggiatore e showrunner cinematografico e televisivo. Dopo aver scritto per alcune rubriche di cinema e dopo alcune importanti esperienze all’estero e sui set, nell’agosto 2020 ha scritto un cortometraggio dal titolo Tre stagioni… e chissà. Nell’ottobre 2021 ha scritto una seconda sceneggiatura di un cortometraggio, in lingua inglese, dal titolo Poor Little Boy: ad oggi, questa sceneggiatura è entrata in concorso in tre festival cinematografici internazionali e, in due di questi, ha vinto rispettivamente una Menzione d’Onore e una menzione come Semi-finalista. L’ultimo treno è il suo primo romanzo.
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2022
ISBN9788830668331
L'Ultimo Treno

Correlato a L'Ultimo Treno

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su L'Ultimo Treno

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'Ultimo Treno - Luca Mannea

    piatto.jpg

    Luca Mannea

    L’ultimo treno

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-5988-9

    I edizione luglio 2022

    Finito di stampare nel mese di luglio 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    L’ultimo treno

    A mamma, papà, Stefano.

    Grazie.

    Questo è solo l’inizio, il viaggio è ancora lungo.

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    PRIMA PARTE

    «Quando percorro una strada buia, sono un uomo che cammina da solo»

    Fear of the Dark, Iron Maiden

    1

    La luce era accecante.

    Incredibilmente accecante.

    Così accecante che i suoi occhi, seppur chiusi, bruciavano.

    Il mondo si ribaltò, una spirale di colori opachi ruotò vorticosa attorno a lui; era sempre più veloce, un qualunque tipo di equilibrio era solo un dolce ricordo lontano. E, d’un tratto, la luce scomparve. La prima cosa di cui si accorse fu il respiro a pieni polmoni che fece appena ne ebbe la capacità. La sua gola, tanto vorace era stato il suo desiderio di inalare ossigeno, ebbe di che fargli tossire.

    E lo fece.

    Forte.

    La sua schiena era inclinata in avanti, il petto contratto per la tosse rauca, mentre le sue ginocchia poggiavano a terra. Il suo corpo era tutto indolenzito. Di certo non contribuiva il capo, chino verso il basso e a pochi centimetri dal suolo. Le mani erano distese in avanti, con i palmi aperti e posati a terra. Avvertiva, sotto di esse, una consistenza ruvida e aspra al tatto, lievemente umida. Ghiaia, forse. Prese coscienza di quell’improbabile posizione in cui si trovava così come si chiese se qualcuno l’avesse costretto a convertirsi all’Islam.

    Ma, scherzi a parte, si accorse di ben altro.

    Sudava freddo. Quelli che credeva essere moscerini che gli cavalcavano il viso in preda alla rabbia, erano in realtà delle goccioline che gli rigavano lentamente il viso, per poi tremolare quando arrivavano all’ispido mento. Una volta arrivate lì, oscillavano come condannati col cappio al collo e poi cadevano, emettendo un tic ben più fastidioso della lancetta di un orologio. E ogni volta che una di esse cadeva, le orecchie ronzavano e i peli sulle braccia si rizzavano, come se lui stesso si trovasse su una specie di tamburo di pelle con il rivestimento sottile e la cassa tuonante.

    Si toccò la testa, liscia come la superficie di un uovo, e la sua mano divenne d’un tratto umidiccia.

    Menomale non ho capelli, altrimenti chissà che caldo.

    E d’un tratto il pensiero sciocco, così come era arrivato, se ne andò.

    Quando avvertì una fitta crescente alle gambe, capì di riuscire ad alzarsi. Con un grugnito, l’uomo si rimise in piedi. Mugugnò infastidito tra sé quando il suo ginocchio, forse scontrandosi con qualche osso riposto malaccio nel poggiare la gamba a terra, schioccò come un colpo di fucile. Pur avvertendo le mani impolverate, l’uomo si toccò il viso lentamente, quasi sfiorando le guance, fino a scendere dritto verso il colletto della camicia grigia che indossava. Si toccò lentamente il petto e lo stomaco, mentre i nervi dentro le sue gambe cominciavano a ringalluzzire e a dare segni di vita. Infilò le mani nelle tasche, e vi trovò solamente un portafoglio in una e un pacchetto di fazzoletti nell’altra. Frugando meglio nel suo portafoglio, oltre ad alcune sgualcite banconote, tre o quattro biglietti da visita e qualche spicciolo, trovò la patente di guida intestata a Carlo Celeri. Milanese, professore di educazione fisica, marito, padre. Insomma, un uomo come tutti gli altri con una vita modesta come quella di chiunque altro. Per quanto ne sapeva lui, perlomeno.

    Dalla cucitura più bassa del portafoglio fece capolino una fototessera. Sebbene lui ne avesse una cura tale da averla rigorosamente plastificata, i bordi della stessa erano un po’ consunti dal tempo. I visi dei soggetti rappresentativi, però, erano rimasti raggianti e luminosi. Il bambino aveva addosso un vecchio maglione non suo che, difatti, gli stava fin troppo grande, finendo per coprirgli tutto il piccolo corpicino, fatta eccezione per il suo faccione rotondo e paonazzo dal ridere e le sue mani paffute. La donna biondiccia, dal canto suo, indossava un vestito rosso sgargiante e stringeva forte il bambino a sé, indicandogli l’obbiettivo della macchina fotografica che li aveva ritratti assieme. L’uomo girò la foto e lesse quella che era sia un’elegante calligrafia a mano che un’artificiosa scrittura fanciullesca:

    Al mio amore, per il suo 35° compleanno.

    Buon compleanno papà!

    Giulia e Michele

    Gli occhi di Carlo Celeri si riempirono di lacrime, sebbene neanche lui ne sapesse l’esatto motivo. Il cuore gli batteva forte nel guardare quella foto. Sentiva un urgente bisogno di averli dinanzi a sé, di guardarli negli occhi, di provare il loro calore umano che tante volte lo aveva impregnato. Desiderava sentire l’inebriante risata della sua donna e il profumo delicato del suo bambino. Li voleva con sé. Li amava.

    L’uomo, all’improvviso, sentì una forte stretta al cuore. Strinse in un pugno tremolante la mano dove teneva la foto, portandola vicino al suo petto. Il mondo cominciò a girare nuovamente e così i colori, in un gigantesco turbinio violento davanti ai suoi occhi. Mentre le gambe cedevano e le sinapsi perdevano ogni controllo sulla realtà, l’uomo sentì delle strazianti grida in lontananza. Non riuscì a distinguerle chiaramente, ma avvertì il dolore rimbombargli contro il petto, come l’eco di un gong. La sua bocca, forse in un riflesso automatico, provò a reagire.

    Troppo tardi.

    Il buio lo inghiottì.

    2

    «Accidenti».

    Al sentire quella voce, l’uomo non avrebbe mai detto che sarebbe potuta appartenere a lui. Era flebile, una fronda di un albero piegata dal vento impetuoso. Profonda, ma flebile.

    Carlo avvertì il dolore investirlo. Le sue palpebre non erano mai state così pesanti da sollevare in tutta la sua vita. Aprì gli occhi, ma non si rialzò subito. Osservò, giusto un attimo, il grigio indistinto del cielo sopra di sé.

    Il vantaggio di essere un professore di educazione fisica (perlomeno uno dei pochi che, oltre al saper tirare a canestro, sa anche di anatomia e fisiologia) era quello di sapere come affrontare uno svenimento. Avvertendo i propri sensi riacquistare le proprie funzionalità, Carlo decise di restare disteso per dare il tempo al cervello di riprendere il sangue necessario. Lui non aveva mai sofferto di mancamenti d’alcun tipo, così come non aveva alcun tipo di allergia, intolleranza o malattia. Era sano. Perciò, diventando sempre più cosciente del fatto che la sua testa poggiava contro della fredda ghiaia, non poté fare a meno di sentirsi enormemente stupido. E forse, per la prima volta, confuso. Inspirò profondamente, e i suoi stessi polmoni lo ringraziarono mentre si beavano di aria fresca. Espirò, e un brivido lo investì.

    L’uomo si alzò, anche se molto lentamente. Una coscia contratta; un piede che avanza; la colonna vertebrale che si inarca; un leggero colpo di reni.

    Un altro brivido lo attanagliò. Strizzò gli occhi.

    Si pulì le mani impolverate sulla giacca grigiastra che indossava e si guardò attorno.

    Sobbalzò.

    In un primo momento si complimentò con sé stesso per il realismo dei suoi sogni. Quel luogo non l’aveva mai visto in trentacinque lunghi anni che viveva al centro dell’enorme Pianura Padana, men che meno nella sua città.

    Mentre batteva ancora le mani tra loro per spolverarle, Carlo pensò alle volte in cui era uscito da casa negli ultimi giorni. Ricordava le interminabili file al supermercato dell’ultima settimana per fare scorta di pere e di riso integrale e di altre schifezze salutiste che gli avevano fatto rimpiangere gli ultimi dieci compleanni della sua vita. Gli risuonava ancora nelle orecchie il rumore dei birilli cozzanti tra loro e mandati allo sbaraglio dalla sua verde e fortunata palla da bowling luccicante durante la riunione di alcuni vecchi amici dell’università del solito fine settimana. Socchiudendo gli occhi, gli pareva di udire in lontananza le battute sconce di Nicola, la lucida calma di Antonio e la vivacità di Alessandro e Damiano. Poi i loro volti sfumarono, lasciando spazio a diversi immaginari della sua quotidianità. Ciascuno di questi era più diverso e stratificato del precedente: tutti procedevano col ritmo incalzante di un vetusto cinematografo collegato ad un altrettanto antiquato ma elegante schermo, degno delle sale di grandi e storici industriali quali Meliès o Pittaluga.

    Quello che si presentava di fronte agli occhi, nella sua più nuda e concreta realtà, tuttavia, andava ben oltre ogni sua possibile immaginazione. O ogni suo ricordo, per quel che vale.

    Abbassando gli occhi scrutò le sue scarpe eleganti. I lacci, forse allacciati da troppo tempo, ricadevano quasi sfatti nell’interno delle stesse calzature. Sentiva la suola graffiargli le piante dei piedi, come se avesse qualche vescica al suo interno che le calze sottili non riuscivano a cullare con la loro morbidezza. Il rivestimento delle scarpe era annerito da una sorta di fuliggine nerastra, la quale sbiadiva lievemente man mano che ci si avvicinava al terreno. Entrambe le scarpe giacevano sopra una trave sottile ma spessa che collegava due gigantesche rotaie. Carlo seguì con lo sguardo le rotaie, alzando lentamente la testa e stringendo gli occhi fino a farli quasi lacrimare per riuscire a scorgere qualcosa di definito all’orizzonte.

    Tuttavia, le rotaie sparivano nella nebbia.

    Lentamente, si voltò all’indietro: da quella direzione sembrava provenire una pacata corrente di aria gelida; eppure, anche in questo caso, le estremità più lontane delle rotaie si perdevano in una nebbia impenetrabile al suo sguardo. Si spostò istintivamente alla sua sinistra, attento a posizionare i piedi significativamente oltre la rotaia. Ma il suo cuore sobbalzò quando avvertì che, nonostante qualche passo affrettato in quella direzione, ciò che aveva sfiorato nel poggiare il piede non era altro che un’altra enorme rotaia. E fu allora che, girando su sé stesso come un cane mugolante che brama la coda, vide il luogo a momenti bizzarro, a momenti terribile, in cui

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1