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L'ignoto protagonista della storia
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L'ignoto protagonista della storia
E-book232 pagine3 ore

L'ignoto protagonista della storia

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Info su questo ebook

Alessandro è uno scrittore in erba alle prese col suo primo romanzo autobiografico.
Comincerà ad avere enormi difficoltà nel trovare il finale della storia nel momento in cui inizierà a provare nostalgia per i personaggi, persone che hanno fatto parte realmente della sua vita e che non è più riuscito a risanare con loro vecchi rancori del passato.
Questa sua crisi lo porterà ad allontanarsi dalla sua compagna, Beatrice, che si sentirà
trascurata dalle sue disattenzioni.
Questo romanzo scorrerà alternandosi tra la sua vita presente e tutto ciò che ha vissuto nel suo passato.
Cercherà di ricontattare i suoi personaggi per tentare di risanare il loro vecchio rapporto e per tentare di trovare il suo finale.
Alessandro si renderà conto che la sua crisi non è nata per caso e capirà che dietro alla non riuscita della sua opera c’è una vera e propria cospirazione. Tutto ciò lo trascinerà in un vortice di sospetti e incomprensibili eventi, che lo condurranno verso una difficilissima ricerca della verità, scoprendo cose delle persone che hanno ruotato nella sua vita del tutto inimmaginabili.
E quando crederà di aver trovato la soluzione a questo enigma e la tanto attesa fine del romanzo, qualcosa metterà in dubbio nuovamente il finale della storia.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2020
ISBN9791220206372
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    Anteprima del libro

    L'ignoto protagonista della storia - Adriano Segarelli

    Adriano Segarelli

    L’ignoto protagonista della storia

    Romanzo

    Adriano Segarelli

    L’ignoto protagonista della storia

    I edizione - Settembre/2020

    ISBN 978-88-3343-271-7

    Quest’opera è frutto di fantasia ogni riferimento a fatti,

    persone o luoghi è puramente casuale.

    LFA Publisher

    Lello Lucignano Editore

    Via A. Diaz, 17 -80023-

    Caivano -Napoli, Italy

    Partita Iva 06298711216

    www.lfaeditorenapoli.it --- info@lfaeditorenapoli.it

    Distribuzione cartacea Libro Co. Italia - Firenze -

    Impaginazione a cura di L. Giordano

    L’apparenza è una maschera priva di espressione.

    Andrebbe sempre guardata a fondo.

    Perché un insano sentimento,

    potrebbe nascondere un’altra verità…

    1.

    Senza ancora un finale

    Maggio, 2019

    Anche oggi la solita storia.

    Come provo a spiegarle che sto attraversando un brutto periodo, Beatrice non vuole sentire ragioni. Si gira dall’altra parte, facendo quasi finta di niente.

    È convinta che la stia trascurando solo perché mi vede distratto e pensieroso.

    Io, tutte le volte, cerco di farle capire che non c’entra niente la nostra relazione.

    Il problema è che non riesco a portare a termine il mio lavoro e questo mi rende sicuramente poco partecipe alla vita di coppia.

    Ormai è così da almeno un anno. Da quando non riesco ad andare avanti con questo maledetto romanzo, e da quando la singolare figura di Riccardo è entrata a far parte della mia vita.

    Il fatto è che tutte le volte che provo a scrivere il finale e penso ai personaggi del racconto, commetto sempre lo stesso stupido sbaglio: li chiamo al telefono, sopraffatto da un’incontrollabile voglia di sentirli, e puntualmente mi confidano cose della loro vita diverse da quelle che avevo immaginato di scrivere. E ogni volta mi ritrovo inspiegabilmente a modificare la narrazione, condizionato da ciò che loro mi raccontano. Come se fossi ipnotizzato da un’influente energia che tutti loro esercitano su di me.

    Quello che sto cercando di portare a termine è un romanzo che ha che fare con persone che hanno influenzato molto la mia vita. E che nel bene o nel male mi hanno lasciato dentro qualcosa di importante.

    Fino ad ora sono riuscito a descrivere chiaramente i momenti che ho condiviso con loro. Ma quello che non riesco a fare è trovare un epilogo che possa concludersi in maniera positiva.

    Con alcuni di essi l’esperienza che ho avuto è stata particolarmente complicata, e sicuramente i nostri rapporti non si sono conclusi nel migliore dei modi.

    Ed è proprio per questo che sto cercando di inventare un finale che possa, invece, allietare la storia.

    Ma una cosa è certa: non avrei dovuto ostinatamente ricercarli.

    Ovviamente tutto nasce dalla mia inclinazione a rimuginare su ogni cosa. E dal fatto di essermi lasciato influenzare troppo dai ripetuti consigli di Riccardo.

    Consigli che ovviamente si sono rivelati errati, visto la condizione in cui mi trovo.

    Ma ora l’unica cosa che mi sto rimproverando, è che non avrei dovuto avventurarmi su un testo autobiografico.

    È vero che non esiste uno scrittore che non parla di sé. Ma è pur vero che avrei potuto limitarmi a raccontare questa storia, senza farmi cogliere da quella forte nostalgia, che mi ha portato a ricercare quelle persone dopo tutto il tempo che è passato.

    Avrei dovuto semplicemente scrivere ciò che avevo immaginato nella mia testa, concludendo il racconto con un prevedibile lieto fine.

    Ma la cosa più frustrante non è solo che io non riesca a terminare questo libro. È anche il fatto di dover accettare l’imponderabile realtà che la vita vera è tutta un’altra cosa: è incongruente, imprevedibile. E che il susseguirsi del mio racconto non è più attendibile, dal momento in cui tutti i cambiamenti e le vicissitudini attuali dei miei personaggi stravolgono di continuo le mie pagine.

    In questo preciso istante sto provando una brutta sensazione. Ho come l’impressione che il lieto fine sia una vaga visione che sta scomparendo e che Beatrice, per quanto possa amarmi, non è in grado di comprendere quello che sto passando in questo momento.

    Mi sono reso conto che se le raccontassi tutto quello che sto provando, lei non capirebbe. Mi prenderebbe per un bugiardo.

    Penserebbe che le mie siano solo scuse per allontanarmi da lei.

    Si sentirebbe derisa dalle mia spiegazione e credo proprio che andrebbe via da me all’istante.

    Ma la verità è realmente questa: sto perdendo il controllo della mia storia, di ciò che ho immaginato e creato.

    È come se i protagonisti del romanzo si fossero ribellati alla mia penna. Come se avessero ammutinato la mia creatività.

    Sono completamente succube dei loro continui cambiamenti. E non so più quello che devo fare per riportarli ordinatamente nei miei fogli.

    Fino a un anno fa, Beatrice ed io, eravamo una coppia perfetta. Sembravamo fatti l’uno per l’altro.

    Ricordo che la gente per strada si girava a guardarci.

    Sinceramente, non so se lo facessero perché pensavano fossimo una bella coppia, o perché si chiedevano come una ragazza così bella e distinta potesse stare vicino a uno strano tipo come me.

    Lei, con i suoi Tailleur, le sue morbide camicette o con quelle semplici maglie a girocollo, è sempre stata molto posata ed elegante. Credo di non averla vista mai indossare qualcosa di particolarmente appariscente.

    Io, con le mie felpe della Nike col cappuccio, i miei jeans strappati al ginocchio e le mie sneakers consumate, sono sempre sembrato più un suo cugino adolescente piuttosto che il suo ragazzo.

    Oltre all’abbigliamento, credo che anche il nostro modo di camminare sia sempre stato dissonante.

    Lei ha sempre avuto un passo svelto e composto, con la testa alta e lo sguardo rivolto davanti a sé, tipico delle persone che sanno di essere apprezzate quando passano tra la gente.

    Io, invece, col mio andamento molleggiato e la mia ampia oscillazione delle braccia, ho avuto spesso l’impressione di invadere più spazio di quello che dovrebbe occupare una persona che cammina con compostezza.

    (Se c’è una cosa di me che non ha mai sopportato, è proprio il mio modo di camminare).

    Ma divergenze a parte, devo dire che eravamo davvero una bella coppia. Credo siano state proprio le marcate differenze ad essere l’uno la completezza dell’altro.

    Devo ammettere che ho sempre avuto un debole per le ragazze dai capelli scuri. Ma quando vidi per la prima volta quei boccoli dorati muoversi lungo la sua schiena, non riuscii a smettere di guardarla.

    Notai quella spiccata somiglianza con Greta Garbo: aveva il suo stesso tipico sguardo dalle palpebre leggermente abbassate.

    E con la sua jumpsuit azzurrina aveva un non so che di Susan Storm.

    Pensai fosse assolutamente una bellezza rara.

    Era l’inizio della primavera del 2011 e stavo in fila a uno degli stand, allestiti come ogni anno in villa Torlonia, in occasione del festival della birra.

    Lei era lì con un gruppo di amici e sembrava molto divertita.

    La sua naturalezza era garbata. I suoi movimenti pacati ed eleganti, nonostante non sembrasse essere molto sobria.

    Il suo basso tono di voce si confondeva tra il rumore dei bicchieri e il forte mormorio dei partecipanti.

    Accompagnava i suoi discorsi muovendo le mani, come farebbe un maestro di musica davanti la sua orchestra: le oscillava da una parte all’altra in sincronia col ritmo delle sue parole.

    Sarà stata la birra, non lo so. O quel bel sole di aprile e quella luce che filtrava nella limonaia, ma quella biondina era di una bellezza sorprendente.

    Francesco mi disse: «Alessà… guarda che se non ci vai a parlare tu, ci vado io… non puoi mica rimanere imbambolato qui a guardarla e basta. Dai, cammina… vai a chiederle come si chiama, almeno.»

    Andai da lei indugiando vistosamente e credo proprio che lo sapeva già da un pezzo, che prima o poi mi sarei avvicinato. Era più di mezz’ora che tentavo di dirle qualcosa.

    Quando si voltò, chiedendomi che cosa stessi facendo lì impalato senza dire una parola, mi irrigidii ancora di più. In un primo momento fece vacillare decisamente la mia sicurezza.

    I suoi occhi verdi cambiavano continuamente intensità di colore, in base alle ombre che si modellavano coi movimenti delle sue espressioni.

    Mi immersi dentro quelle pupille come se lì dentro ci fosse un altro mondo. E il mio corpo fu assorbito totalmente da quello sguardo.

    I miei ottanta chili non avevano più gravità. Fluttuai dentro quello spazio, come se i miei piedi avessero smesso di toccare terra.

    E la cosa che mi colpì subito dopo, fu quel piccolo spazietto tra i suoi incisivi superiori che si notava ad ogni suo sorriso.

    Non so perché, ma i denti davanti leggermente separati li ho sempre trovati particolarmente seducenti.

    «Se mi cominci a chiedere di che segno sono, quanti anni ho e che tu solitamente non ci provi con tutte, te lo dico non ti rivolgo neanche la parola», mi disse.

    «Se devo essere sincero è vero, però, che non ci provo con tutte», risposi. «Nel senso che sono abbastanza timido e non mi lancio senza prima capire se c’è un po’ di interesse dall’altra parte.»

    Ovviamente stavo mentendo. «Anche perché non mi piace sentirmi dire No. Il No mi rovina tutta la giornata, non lo sopporto proprio.»

    Stavolta facevo sul serio.

    «E se adesso ti dicessi che non voglio parlare con te?»

    «Me ne andrei subito. E come ti ho detto, mi rovineresti sicuramente la giornata… però secondo me non ti dispiace parlare un po’ con me», azzardai.

    Lei leggermente arrossì e i suoi incisivi diventavano sempre più seducenti.

    A quel punto non le dissi più nulla. Avevo paura che se avessi continuato avrei soltanto rischiato di fare una qualche figuraccia, diventando fastidiosamente logorroico.

    Non fu difficile notare che rimase colpita anche lei. E non servì aggiungere altro.

    Andai velocemente verso la cassa del bar, per trovare un foglio con una penna, e tornai subito da lei. Scrissi lì sopra il mio numero e l’indirizzo dove mi avrebbe trovato.

    «Vienimi a trovare», le dissi passandole il foglietto. «Ho un ristorantino in zona Trastevere davvero molto carino. Lo gestisco insieme a quel ragazzo», continuai, indicando Francesco.

    «Ma dai, è il tuo! L’ho già sentito, sai. Me ne hanno parlato molto bene», rispose.

    «Questo mi fa piacere. Significa che siamo bravi, allora. Bé, a questo punto, visto che te ne hanno parlato bene, hai una scusa In più per venire… e comunque, ristorante a parte, qui c’è anche il mio numero nel caso volessi usarlo.»

    Lei spalancò nuovamente la sua bocca, sorridendo con ogni angolo del viso, e se ne andò alla svelta lasciando dietro di sé un leggero profumo che assomigliava allo zucchero filato.

    Non solo non le chiesi di che segno fosse e quanti anni avesse. Ero talmente distratto dalla sua bellezza che non le chiesi nemmeno il suo nome.

    Beatrice, quando la conobbi otto anni fa, aveva appena ventun anni. E devo ammettere che i nostri dieci anni di differenza non sono mai stati una limitazione.

    Mi diede subito l’impressione di essere molto consapevole della sua femminilità. Molto di più di tante altre donne più grandi di lei.

    Anche se non credo ai colpi di fulmine, penso che tra me e lei nacque da subito una forte intesa. Ma ci volle del tempo prima che entrambi ne cogliessimo l’importanza e la consapevolezza.

    C’è stata una lunga interruzione tra di noi, prima che potessimo consolidare definitivamente il nostro rapporto.

    Ovviamente è una delle protagoniste del mio romanzo. E fino a poco tempo fa pensavo fosse l’unico personaggio a non interferire sul finale, considerando che stiamo ancora insieme. Ma ragionando su come si stanno mettendo le cose tra di noi, comincio ad avere forti dubbi anche sull’epilogo della nostra storia.

    Francesco naturalmente fa parte del mio racconto ed è l’unico che non sono più riuscito a contattare. Ormai è un bel po’ di tempo che non ci parliamo. Saranno almeno un paio d’anni. Esattamente da quando io e Beatrice stiamo ufficialmente insieme e da quando lui ha deciso di partite senza più ritornare in Italia.

    Dopo la rottura con Michela (la sua compagna di allora, se nonché socia del ristorante) e dopo diverso tempo dalla chiusura definitiva del locale, Francesco si trasferì in Australia cambiando radicalmente la sua vita.

    Credo che la sua voglia di scappare da Roma sia sempre stata presente dentro di sé. Penso non abbia mai sopportato il sistema caotico della città.

    Il suo sogno è sempre stato quello di aprire un piccolo punto di ristoro vicino la spiaggia.

    E credo la decisione di allontanarsi da tutto per ricominciare altrove, la prese proprio quando si rese conto di aver perso ogni cosa.

    Dopo appena tre mesi dalla sua partenza, fu proprio Michela ad avvertirmi di ciò che sfortunatamente gli accadde una sera a Melbourne.

    Quando ricevetti quella telefonata, lo capii subito dalla sua voce tremolante che fosse accaduto qualcosa.

    «Ciao Michela… Come mai questa chiamata? Non me l’aspettavo dopo tutto il casino del ristorante.»

    «Ascolta, ti devo dire una cosa», mi disse con un tono gelido.

    «Che è successo?» Domandai quasi sospirando.

    «Si tratta di Francesco…»

    «Francesco? Che ha fatto, gli è successo qualcosa?»

    Ci fu una piccola pausa, che a me parve infinita. Sentii per un momento solo i rumori di fondo amplificati dal microfono e poi un forte sospiro prima che ricominciasse a parlare.

    «Tre giorni fa, tornando a casa, è rimasto coinvolto in un brutto incidente.» Mi disse. «Credo fosse ubriaco, non lo so. Da quello che ho capito non si è fermato allo stop ed è andato a scontrarsi con autocisterna, che di conseguenza ha preso subito fuoco.»

    «Ma cosa dici!? Ma stai scherzando? Michè, ma che mi stai dicendo? Oddio, Francesco! Ti prego, dimmi che si è salvato, ti prego. Oddio, dimmi che sta bene.»

    Provai come un senso di angoscia e smarrimento. Sentii una morsa stringermi lo stomaco.

    «Calmati un attimo Alessà, fammi parlare», mi disse, usando un tono leggermente più rassicurante.

    «Il conducente del camion non ce l’ha fatta. È morto nell’incendio che è divampato subito dopo l’impatto. Francesco miracolosamente si è salvato, ma ha riportato ustioni per il cinquanta per cento del corpo. E ora è ricoverato nel centro grandi ustionati di Melbourne.»

    «Oddio Michè, che mi hai detto! Mi sta girando la testa, mi sto sentendo male.»

    «Calmati adesso, Alessà. Respira, cerca di calmarti. La cosa importante ora è che si è salvato, che non sia morto.»

    «Sì, ma com’è la situazione? Come sta lui? Può parlare? Ce la farà?»

    «Guarda, ho sentito la madre appena venti minuti fa e mi ha riferito che è in terapia intensiva. Lo tengono in coma farmacologico perché le ferite che ha riportato sono molte, ma i medici le hanno assicurato che è fuori pericolo. L’unica cosa, purtroppo, è che il suo corpo e il suo viso non torneranno ad essere più quelli di una volta. Le ustioni sono state molto serie.»

    «Questo non me la sarei mai aspettato, Michè. Povero amico mio! Come farà psicologicamente a riprendersi da questa cosa? Cazzo, questo non se lo meritava.»

    «No, non se lo meritava. È veramente una brutta cosa. Adesso però mi devi perdonare, ma non ho più voglia di parlarne. Non me la sento, scusa… mi sento troppo scossa. Te l’ho voluto dire perché sei stato il suo migliore amico ed era giusto che tu lo sapessi. Ora però ho bisogno di starmene un po’ per conto mio.»

    «Va bene, certo. Ti capisco. Anzi, grazie di avermi avvertito. Ma almeno, per favore, tienimi aggiornato… ti prego, come sai qualcosa chiamami.»

    «Certo, stai tranquillo. Come so qualcosa di nuovo ti chiamo.»

    Subito dopo la rottura della società, anche i rapporti con Michela si sfaldarono e non fu facile per me vedere, da parte sua, l’intenzione di informarmi circa le condizioni di Francesco.

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