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Per me si va nella città dolente
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Per me si va nella città dolente
E-book112 pagine1 ora

Per me si va nella città dolente

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Info su questo ebook

Questa è la storia di Roberta, 21 anni, occhi di un azzurro cielo che fa tanto primavera e che a dispetto persino di se stessa, è viva. A dispetto di chi scommetteva inconsciamente su quanti mesi o settimane o giorni le sarebbero restati da vivere. Lei, il suo maledetto amore, l'ha conosciuto esattamente sette anni fa. Lei era il suo dolce vizio, una consolazione, una maledetta trappola: si chiama Disturbo del Comportamento Alimentare. In questo romanzo autobiografico viene presentata una corolla di emozioni, cadute, promesse, riprese: la ragazza risalirà la corrente della vita lentamente ma tenacemente, proprio come un salmone, verso quell’agognato equilibrio perduto. Roberta imparerà così quanto sia bello riuscire a fidarsi di qualcuno e assaggiare il proprio “Io”. La musica citata dei Garbage, di Renga, Ligabue, Elisa, Zero, Ferro e di altri serpentina delicatamente tra questo vortice di parole.

“Come un funambolo che cammina su di una fune lassù, in alto nel cielo, cerco continuamente l’equilibrio che mi faccia arrivare dall’altro capo; è faticoso ed emozionante, pericoloso ed eccitante, tragico e comico al tempo stesso. Io sono una corda tesa tra la malattia e la guarigione.”
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2015
ISBN9788891176769
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    Anteprima del libro

    Per me si va nella città dolente - Pierluigi Agnelli

    Adler

    "C'è un posto dentro te in cui fa freddo

    è il posto in cui nessuno è entrato mai

    quella che non sei.

    Io ti ho vista già eri in mezzo a tutte le tue scuse

    senza saper per cosa.

    Eri in mezzo a chi ti dice scegli: o troia o sposa.

    Ti ho vista vergognarti di tua madre

    fare a pezzi il tuo cognome

    sempre senza disturbare che non si sa mai."

    ( Luciano Ligabue, Quella che non sei)

    Mi chiamo Roberta, ho ventun anni, occhi di un azzurro cielo che fa tanto primavera, capelli castani, centosettanta centimetri d’altezza, un peso corporeo di sessantasette chilogrammi e sono viva.

    A dispetto persino di me stessa, sono viva. A dispetto di chi, guardandomi una manciata d’anni fa, scommetteva inconsciamente con se stesso su quanti mesi o settimane o giorni mi sarebbero restati da vivere. Lo capivo dai loro sguardi che penetravano le mie ossa come una radiografia, lo intuivo dalle parole rubate qua e là, dai sussurri, dai gesti di fastidiosa premura che anziché piacere mi facevano imbestialire.

    Lei, il mio maledetto amore, l'ho conosciuta esattamente sette anni fa. E' stata una sorta di colpo di fulmine, neanche il tempo di capire chi fosse che ne ero già incredibilmente assuefatta. Lei era il mio dolce vizio, una consolazione, una dannata trappola, un'amica che non mi lasciava mai.

    L'ho conosciuta a quattordici anni, l’anno in cui avrei cominciato a frequentare il liceo, l’anno in cui avrei dovuto vivere al massimo. Si è presentata a me come un’amica qualsiasi, pronta ad aiutarmi a essere più bella e più apprezzata, a consigliarmi subdolamente come dovevo essere.

    La seguii. Rischiai di non fare più ritorno.

    Lei riuscì a portarmi in un labirinto senza apparenti vie d'uscita, fatto di solitudine, incomprensioni, allontanamenti, fobie. Persi gli amici, persi la possibilità di continuare gli studi e la capacità di stare con la gente, persi la voglia di mangiare, persino di stare al mondo; Lei era diventata insostituibile, non avevo bisogno di nessun altro perché Lei sola rendeva il mio mondo un cerchio perfetto.

    Mi spingeva a vivere secondo le sue regole, rappresentava l'unica cosa giusta; era ai miei occhi l'assoluta verità in un mondo fatto di bugie.

    Lei non è una persona, Lei è una malattia: catalogata come Disturbo del Comportamento Alimentare, che si frammenta in anoressia e bulimia nervosa, detta più semplicemente anoressia.

    L’anoressia, che non guarda in faccia a nessuno, si presenta come soluzione di problemi e diventa, al contrario, una perfetta macchina di morte.

    Ciò che non ti uccide ti rende più forte; non ce l’ha fatta, quindi io sono, adesso, più forte. Questa è la mia storia.

    Bella stronza, ma io ballo anche da sola

    "Questo posto è cosi vuoto

    E quei pensieri così seducenti

    Non so come mai tutto sia andato a puttane

    E’ un’ossessione tale che niente mi può salvare,

    ma è tutto quello che ho." ( Sum 41, Pieces)

    L’amicizia non è un concetto, è un nome, una persona: Barbara! L’amore ha un nome: lo stesso!

    Non si tratta dell’amore fisico che provano tutti, lei è l’amore che supera il sesso e il genere, quello bello e pulito e forte che fa sì che tu ti possa sempre fidare e non ti fa mai grondare il cuore, quello fraterno che ti guarda le spalle e ti protegge. Barbara è esattamente ciò che voglio.

    Condividiamo l’aria che respiriamo e l’intimità dei nostri corpi che stanno cambiando, ci confidiamo le voglie più nascoste e indicibili, inciampiamo nelle stesse paure e insieme cerchiamo di superarle, ci guardiamo negli occhi e ci capiamo senza dire una parola.

    Spesso parliamo di ragazzi, di come potrà essere il sesso e lei è convinta che io sia la più bella tra le due, ma esagera.

    Il mio primo bacio a un ragazzo è stata una tragedia; lui mi ha baciata in presenza di Barbara e lei era cotta di lui. Quante lacrime! Io provavo a consolarla e lei, abbracciandomi, mi diceva che non ce l’aveva con me, che se volevo potevo fare di tutto con lui e sarebbe solo potuta essere felice per me. L’amicizia all’ennesima potenza, la forza dello stare insieme, del raccontare tutto spogliandosi l’anima e donandosela reciprocamente.

    Lei è l’amica del cuore, la mia amica del cuore; io sono sua e lei è mia, deve esserlo. La voglio in esclusiva.

    Troppo bello per essere vero, troppo vero per durare. Infatti, scopro che tra di noi c’è un’altra, una sua amica dice. Da quando? Non lo so, me lo tiene nascosto, ma esce con lei, si sentono al telefono, va a casa sua; toglie tempo a noi e la cosa non le pesa. Mi mette addirittura al suo stesso livello. Tutto ciò mi fa imbestialire. Non può essere, non può farmi questo!

    La faccio venire da me; è il 27 aprile del 2004, tra pochi mesi sarà il mio quattordicesimo compleanno. Le parlo di quell’altra e fa l’offesa, non capisce, non vuole capire.

    <> le urlo <>.

    Litighiamo furiosamente. Proprio noi che non abbiamo mai alzato la voce, che qualsiasi cosa sussurravamo, noi che ora non esistiamo più. Un mondo incrollabile sbriciolato come fosse cartapesta.Se ne va sbattendo la porta senza voltarsi indietro. La nostra amicizia buttata nella tazza del water come un lurido escremento.

    Scappo in bagno, chiudo la porta a chiave, mi getto a terra e un conato di vomito mi sconquassa lo stomaco; ne arriva un altro e un altro ancora. Ansimo, sento il sapore acido dei succhi gastrici in bocca, il sangue scorrere a mille nelle mie vene, come se stesse per scoppiare dentro.

    Afferro la lametta di mio padre e mi accuccio nella vasca da bagno mentre riconosco sulle labbra il sapore salato delle mie lacrime. La mano destra preme con una voglia a me sconosciuta sino a ora sul polso sinistro. Il sangue può finalmente sfogarsi: fa un piccolo zampillo e un rigagnolo scende rosso rubino, se pur lieve. Mi viene spontaneo, come se avessi sempre voluto farlo, come se aspettassi solo l’occasione giusta.

    Ora sono più tranquilla, sto bene davvero, ecco finalmente quella sensazione inebriante. Il caldo del mio sangue mi intiepidisce l’anima. Tiro lo sciacquone del water e pulisco con estrema perizia il sangue dalla vasca. Afferro un po’ di cotone e lo premo sul polso. Il mio respiro si è fatto regolare, sento un leggero bruciore, ma è un male stupendo. Butto il cotone e tiro giù la manica della felpa.

    Questa sera non ho proprio fame.

    Bella stronza, ma io ballo anche da sola!

    Nei giorni seguenti quella là non mi saluta. La vedo in giro con la sua nuova amica, mi evita e quando la incrocio abbassa lo sguardo. D’accordo, ho capito, non mi vuoi più. Fa male da morire. Odio dover ammettere a me stessa che mi manca.

    Nel frattempo sto imparando ad apprezzare il dolore, sembra quasi evocare qualcosa di magico. Inoltre, Roma mi aspetta; sarà perfetto.

    Aria nuova.

    Durante la gita a Roma conosco Tania. Mi dicono che abbia dei disturbi alimentari e molti la additano come se fosse un animale raro, la fissano mischiando compassione e rassegnazione, ma esagerano. Lei non è affatto magra, è semplicemente perfetta. Cosa può fare l’invidia!

    Scambiano la perfezione per una malattia. Il suo corpo non ha nulla che non va, non ha curve, ma linee rette; anzi, fantastiche linee rette.

    Pochi giorni dal mio rientro a casa e Tania è uno sbiadito ricordo. Mi resta solo l'immagine affascinante delle linee rette del suo corpo. Diventano una sorta di modello da raggiungere.Così, piano piano, scopro dentro di me una nuova amica che sembra promettermi esattamente questo obiettivo. Gli altri chiamano anoressia, mentre io non la chiamo affatto.

    Lei è entrata nella mia esistenza con discrezione, mi parla continuamente e la sua voce mi piace, la sua presenza mi sprona a essere migliore. Fa parte di me adesso.

    Da quando c’è lei non mi sento mai sola: s’è annidata in quella zona più buia e nascosta e fredda di me, acquattata e sorniona come un gatto che non dorme mai. Non l’ho invitata, ma sono felice che abbia scelto proprio me.

    Grazie a Lei ora adoro correre; lo farei per ore perché è liberatorio. Corro, cammino, nuoto e poi ricomincio. Insomma, non sto ferma un attimo ed è una sensazione

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