Memorabili: Letterati Ferraresi 1420-2020
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Anteprima del libro
Memorabili - Riccardo Roversi
Intro
Questo libro riporta le biografie (illustrate) di oltre settanta memorabili letterati ferraresi, nati vissuti e scomparsi negli ultimi sei secoli (1420-2020), i quali in ordine cronologico di nascita sono: Tito Vespasiano Strozzi (e Ercole Strozzi), Nicolò Leoniceno, Ludovico Carbone, Cieco da Ferrara, Matteo Maria Boiardo, Girolamo Savonarola, Giovanni Manardo, Antonio Tebaldeo, Ludovico Ariosto, Celio Calcagnini, Lilio Gregorio Giraldi, Antonio Musa Brasavola, Giambattista Giraldi Cinzio, Alberto Lollio, Olimpia Morata, Giambattista Pigna, Battista Guarini (e Guarino Guarini detto il Veronese), Torquato Tasso, Giambattista Riccioli, Daniello Bartoli, Girolamo Baruffaldi (e Guido Bentivoglio), Gianandrea Barotti, Alfonso Varano, Antonio Frizzi, Leopoldo Cicognara, Temistocle Solera (e Pietro Niccolini), Giuseppe Agnelli, Maria Majocchi Plattis detta Jolanda (e Gaetano Majocchi), Ferruccio Luppis, Corrado Govoni, Giuseppe Ravegnani, Filippo De Pisis, Ugo Malagù, Mario Roffi, Francesco Fuschini, Lanfranco Caretti, Franco Giovanelli, Bruno Pasini, Giorgio Bassani, Gaetano Tumiati (e Roseda Tumiati), Canzio Vandelli, Adriano Franceschini, Antonio Caggiano, Giorgio Franceschini (e Paolo Ravenna), Luciano Chiappini, Marta Malagutti Domeneghetti, Antonio Samaritani, Fabio Pittorru, Aldo Luppi, Giovanna Bemporad, Alessandro Roveri, Folco Quilici, Gianfranco Rossi, Michele Perfetti (e Federica Manfredini), Massimo Felisatti, Guido Fink, Dino Tebaldi, Federico Garberoglio, Franco Patruno, Lorenza Meletti (e Gabriele Turola), Luigi Davide Mantovani, Gianna Vancini, Stefano Tassinari.
TITO VESPASIANO STROZZI (e Ercole Strozzi)
Tito Vespasiano Strozzi (1424-1505) è considerato insieme al Boiardo il più notevole poeta ferrarese del periodo umanistico, compose in latino egloghe, sermoni (che anticiparono le Satire dell’Ariosto), epigrammi e il poema epico Borsiade, dedicato alle imprese di Borso d’Este. Ma è anche e soprattutto ricordato per l’ Eroticon, una raccolta di elegie del 1443, più tardi ampliata con l’aggiunta di quattro libri di Aelosticha (poesie varie). Molto interessante, nella sua produzione lirica, è il tentativo di risolvere nelle formule della poesia latina, in specie quella di Tibullo, le tematiche creative petrarchesche.
Nei testi dello Strozzi si rispecchiano non solo le proprie vicende personali, come ad esempio il suo amore per Anzia (una fanciulla che poi lo tradì alla stregua delle epiche donne cantate dai diletti poeti elegiaci latini), bensì anche le vicende e i protagonisti della splendida corte ferrarese. I suoi versi sono insomma un crogiolo di avvenimenti familiari e cittadini, tuttavia «il sentimento che in lui ha calore - scrive il critico Antonio Piromalli - è quello della borghesia che costruisce torri, case, palazzi e si accresce nel dominio insieme alla nobiltà recente sotto la protezione della dinastia estense della cui vita esso vive. Può anche tale immagine essere nella sua poesia non priva di retorica ma si tratta, in ogni modo, di una retorica non priva di senso e motivata perché lo Strozzi ha radici ben piantate nel terreno borghese-cortigiano».
In effetti Tito Strozzi ebbe dalla casa d’Este, della quale scrisse pure un trattato sulle origini: Origo estensium principum, larga messe di benefici. Venne incaricato quale accompagnatore di Eleonora da Napoli a Ferrara, fu nominato governatore del Polesine da Ercole I, combatté per difendere Argenta dai veneziani, governò la cittadina di Lugo. Nel 1497 divenne giudice dei XII Savi, distinguendosi in tale veste - secondo la concorde testimonianza degli storici - per gli spietati metodi applicati verso i sudditi nell’esigere le tasse e i tributi. Ricco, borghese, intelligente e ambizioso, pare che lo Strozzi sia stato uno degli uomini più odiati dal popolo ferrarese.
Il figlio Ercole Strozzi, nato nel 1473, fu anch’egli ottimo poeta in lingua latina mentre, per buona parte della sua vita, avversò l’umanesimo volgare. Affiancatosi al padre nella magistratura e ostentando il medesimo spirito conservatore e aristocratico, divenne anch’esso assai impopolare in città. Lo testimonia una lettera scritta nel febbraio del 1505, anno della morte di Tito Vespasiano, da Benedetto Capilupi (un cortigiano-diplomatico) a Isabella d’Este: «M. Hercule Strozzo è in gran travaglio perché l’à tutto il popolo contra, ma si crede che ’l resterà per questo anno in ’l officio et fictanze […]. Se ’l resta serrà cum mala satisfactione dil popolo». Tre anni più tardi Ercole venne assassinato, in via Savonarola (già Volta Paletto) all’angolo con via Praisolo, a Ferrara. Tuttora nel luogo, precisamente sul muro di Casa Romei, si può leggere l’epigrafe: «Per notturno agguato qui cadeva trafitto Ercole di Tito Strozzi poeta e filologo rinomatissimo, 1508».
NICOLÒ LEONICENO
Se è vero che Nicolò Leoniceno (1428-1524) nacque a Vicenza e non a Lonigo, come erroneamente ritenuto per lunghi anni, è altrettanto vero che morì poco meno che centenario a Ferrara, città nella quale si era trasferito a soli trentasei anni e dove visse e insegnò pressoché ininterrottamente per ben sessant’anni. Prima di approdare nella città estense, Leoniceno aveva studiato nell’Università padovana, laureandosi venticinquenne in Arti e Medicina. In seguito trascorse qualche tempo in Inghilterra, quindi insegnò a Padova fra il 1462 e il 1464, sempre dovendosi riguardare attentamente dalla fastidiosa epilessia che lo tormentava sin dall’infanzia.
In quei suoi primi anni ferraresi Nicolò fu medico di corte e le sue prime opere riguardano la volgarizzazione di scritti di carattere storico o di gesta militari commissionate da Ercole I, cui seguirono traduzioni da Diodoro Siculo, Arriano, Appiano, Polibio, Luciano, Biondo. «A Ferrara, - scrive lo studioso Daniela Mugnai Carrara - Leoniceno organizzò la propria vita occupata metodicamente fra i suoi studi, gli impegni alla corte e quelli all’Università, dove insegnò prima matematica, poi filosofia morale, quindi medicina. Si inserì profondamente nella tradizione culturale ferrarese, della quale rappresenta un momento originale e importante». Il Leoniceno divenne, nel corso della sua lunghissima permanenza, molto popolare a Ferrara, basti pensare che lo stesso Brasavola (suo affezionato allievo insieme al Manardo) ricorda che, siccome durante l’inverno lui portava sempre il cappello, la gente era solita dire: «Ve’ il Leoniceno imberrettato, è dunque vicino l’inverno; ve’ depose il cappello, si avvicina dunque l’estate».
Le sue opere, di genere medico-botanico e zoologico, sono: De Plinii et plurium aliorum medicorum in medicina erroribus, De tiro seu vipera, De dipsade et pluribus aliis serpentibus, De epidemia quam Itali morbum gallicum, Galli vero neapolitanum vocant, De virtute formativa. Celeberrime sono inoltre le sue traduzioni da Galeno: Praefactio communis in libros Galeni a graeca in latinam linguam a se translatos, Contra suarum translationum obtrectatores apologia, Ad Card. Alexandrum Farnesem Nicolai Leoniceni in suam ac Deodori Gazae defensionem contra Adversarium Libellus (inedito), De tribus doctrinis ordinatis secundum Galeni sententiam, Medici Romani, Nicolai Leoniceni discipuli, Antisophista. E a tutto questo bisogna almeno aggiungere la sua preziosa traduzione degli Armonici, di Tolomeo.
«Alla base del suo magistero ci fu senza dubbio un vivissimo interesse nei confronti dell’uomo; - commenta ancora Daniela Mugnai Carrara - a questo atteggiamento […] si possono ricollegare le sue preoccupazioni metodologiche, che da un lato […] lo portano a concepire il sapere come continua ricerca di una cultura concreta, che evitando quisquiglie sofistiche possa avere utile applicazione nella vita degli uomini, e dall’altro lo inducono, proprio per garantire la fecondità di questo sapere, a mantenere un atteggiamento di libertà nei confronti dell’autorità, sia essa rappresentata dall’opera di Aristotele, di Plinio, di Galeno, che deve essere controllata non solo sul metro delle proprie fonti, ma anche su quello indispensabile del senso dell’esperienza».
LUDOVICO CARBONE
Ludovico Carbone (1430-1485) compose la maggior parte della propria opera letteraria e trascorse pressoché l’intera esistenza a Ferrara, basta scorrere l’indice dei suoi scritti per constatare quanto questa città, con i suoi luoghi e i suoi protagonisti, sia costantemente al centro della sua produzione. «La lingua delle prose volgari di Ludovico Carbone - scrive il filologo Gino Ruozzi - offre uno specchio ampio e fedele di quella koinè che venne a costituirsi a Ferrara sotto vari impulsi, nell’alveo della corte estense: quel ferrarese illustre
da cui presero le mosse il Boiardo e l’Ariosto. Gli scritti volgari del Carbone hanno il vantaggio di riflettere una gamma assai varia di forme: sono prose epistolari, dialogiche, oratorie, proemiali, aneddotiche, e vanno dunque dai modi della comunicazione diretta, come la lettera, alla solennità celebrativa o dichiarativa, come l’orazione e il proemio, passando attraverso l’espressività arguta del dialogo e soprattutto della facezia».
Tra le molte opere composte dall’umanista ferrarese sono almeno da ricordare: Laudatio funebris (per il Guarino, 1460), De septeni litteris huius nominis Borsius (1465), Oratio Bononiae acta in principio studii (1465), Dialogo de la partita soa (1465-66), Pro domo impetranda (1465-66), Facezie (1466-71), De Neapolitana profectione (1473), Oratio ad Florentinos (1473), De amoenitate, utilitate, magnificantia Herculei Barci (1474), quindi le traduzioni: Traductione di Heliano greco, Traductione di Onexandro greco, Traductione di Sallustio historiographo.
Ma i testi più famosi di Ludovico Carbone sono quelli in volgare, in particolare le Facezie e il Dialogo de la partita soa. Per quanto riguarda le prime, che talvolta si configurano come vere e proprie (brevi) novelle, c’è da dire che esse sono desunte in parte da repertori topici del genere, classici e moderni: ad esempio Svetonio, Macrobio e Poggio Bracciolini, in altre facezie prevale invece l’ambientazione ferrarese. «È qui che lo scrittore si muove più a suo agio, - commenta ancora Gino Ruozzi - fra gli amici e i colleghi dello Studio, i papi e i grandi predicatori di passaggio per Ferrara, gli irascibili e battaglieri principi italiani: un mondo variegato e colorito che illumina una pagina non secondaria di storia quattrocentesca. […] Di contro alla galleria dei personaggi e nel fluire della narrazione, compaiono digressioni su aspetti del costume ferrarese».
Per ciò che attiene al Dialogo de la partita soa,