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La passione per la libertà: Ricordi e riflessioni
La passione per la libertà: Ricordi e riflessioni
La passione per la libertà: Ricordi e riflessioni
E-book214 pagine2 ore

La passione per la libertà: Ricordi e riflessioni

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Info su questo ebook

Il libro, con il rigore storico e la chiarezza che sono propri di Pier Franco Quaglieni, ci ricorda alcune figure tra ’800 e ’900 e della contemporaneità più recente: tra gli altri, Alfredo Frassati, Federico Chabod, Guido Ceronetti, Philippe Daverio, Vittorio Mathieu, Ottavio Missoni, Massimo Mila, Piero Ostellino, Giampaolo Pansa, ma affronta anche temi controversi della storia italiana, aiutandoci a liberarci dalle semplificazioni ideologiche manichee, da certi nuovi revisionismi che stanno emergendo e che soffocano la ricerca storica.
Intende affermare il diritto alla piena libertà di opinione ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione, che non appare oggi così scontato.
Le vulgate vecchie e nuove, figlie di un’ignoranza generalizzata, sono sempre in agguato.
La passione per la libertà, che riecheggia un titolo pannunziano su Tocqueville, è un invito al rispetto di tutte le idee, uno dei cardini della civiltà liberale, oggi da troppi calpestata in nome di fanatismi politici che pensavamo appannaggio
di un passato sepolto.
Si aggiungono pagine autobiografiche che ripercorrono la storia liberale della famiglia dell’autore che contribuiscono a far conoscere da vicino la sua storia.
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2021
ISBN9791220825825
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    La passione per la libertà - Pier Franco Quaglieni

    Simposio

    1

    Pier Franco Quaglieni

    La passione

    per la libertà

    Ricordi e riflessioni

    www.buendiabooks.it

    Copertina di Ugo Nespolo

    © 2021 Pier Franco Quaglieni

    © 2021 Buendia Books® – Torino

    ISBN 978-88-31987-42-4

    I Edizione Settembre 2021

    Dal fanatismo alla barbarie c’è solo un passo

    Denis Diderot

    "Se la libertà significa qualcosa,

    significa il diritto di dire alla gente

    ciò che non vuole sentire"

    George Orwell

    Un grazie speciale all’amico e Maestro Ugo Nespolo per la bellissima copertina,

    la quarta ideata per i miei libri.

    Ringrazio affettuosamente mia moglie Mara

    per i preziosi consigli critici

    e Tiziana Franchi per l’utile e puntuale

    collaborazione redazionale.

    Indice

    Il libro

    L’autore

    Introduzione

    PARTE PRIMA - Profili

    Alfredo Frassati

    Federico Chabod

    Guido Ceronetti

    Philippe Daverio

    Arturo Diaconale

    Alfredo Biondi

    Vittorio Mathieu

    Nicola Matteucci

    Massimo Mila

    Ottavio Missoni

    Piero Ostellino

    Giampaolo Pansa

    Vittorio Emanuele II

    Marco Weigmann

    PARTE SECONDA - Memoria storica

    I professori che dissero no al fascismo

    L’attentato di via Rasella, le Fosse Ardeatine, il colonnello Montezemolo

    Ennio ed Ettore Carando

    Un 25 Aprile tricolore?

    Antifascismo e intolleranza al Salone del Libro di Torino

    Ancora sul Salone e l’antifascismo

    Lettera aperta al prof. Gastone Cottino sulla Resistenza liberale

    Le responsabilità morali della lotta armata

    Barbero anche sulle foibe fa lezione

    I disertori di guerra sono disertori che non debbono essere celebrati

    Beppe Grillo e il Risorgimento

    PARTE TERZA - Istantanee

    Maria José di Savoia

    L’oratore e patriota Carlo Delcroix

    La tomba di Giovanni Gentile a Santa Croce

    Giorgio Amendola visto da vicino

    Vittorio Badini Confalonieri

    Francesco Barone

    Giovanni Malagodi, Mario Pannunzio e le Regioni

    Don Lorenzo Milani, Garosci e la scuola sfasciata

    Alassio, il Toscana, L’Unità

    Il Barone Fusilli che seppe anche rischiare la vita

    Rispetto per il povero Crescenzio: la lapide non si tocca

    Tra Casalegno (che denunciò i terroristi) e Rostagno non ci possono essere legami

    Luigi Firpo

    PARTE QUARTA - Sull’onda dei ricordi

    Fratel Enrico Trisoglio

    Paolo Macchi Cacherano di Bricherasio

    Giovanna Garbarino

    Nicoletta Casiraghi

    Giovanni Ramella

    Aldo Ghidetti

    Luigi Resegotti

    L’infanzia dorata

    Una famiglia liberale

    PARTE QUINTA - La libertà responsabile

    L’aborto, un problema di coscienza

    Svastica e bestemmia, ecco il prodotto di una società nichilista

    Cristianesimo, pauperismo e proprietà privata

    La Babele liberale e Napoleone

    Piccole riflessioni morali tra laicità e religiosità

    Riflessioni sulla laicità tra Cristianesimo ed Islam e il magistero del Cardinal Ravasi

    Il libro

    Il libro, con il rigore storico e la chiarezza che sono propri di Pier Franco Quaglieni, ci ricorda alcune figure tra ’800 e ’900 e della contemporaneità più recente: tra gli altri, Alfredo Frassati, Federico Chabod, Guido Ceronetti, Philippe Daverio, Vittorio Mathieu, Ottavio Missoni, Massimo Mila, Piero Ostellino, Giampaolo Pansa, ma affronta anche temi controversi della storia italiana, aiutandoci a liberarci dalle semplificazioni ideologiche manichee, da certi nuovi revisionismi che stanno emergendo e che soffocano la ricerca storica.

    Intende affermare il diritto alla piena libertà di opinione ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione, che non appare oggi così scontato.

    Le vulgate vecchie e nuove, figlie di un’ignoranza generalizzata, sono sempre in agguato.

    La passione per la libertà, che riecheggia un titolo pannunziano su Tocqueville, è un invito al rispetto di tutte le idee, uno dei cardini della civiltà liberale, oggi da troppi calpestata in nome di fanatismi politici che pensavamo appannaggio

    di un passato sepolto.

    Si aggiungono pagine autobiografiche che ripercorrono la storia liberale della famiglia dell’autore che contribuiscono a far conoscere da vicino la sua storia.

    L’autore

    Foto di Silvio Fasano

    Lo storico torinese Pier Franco Quaglieni si è soprattutto occupato di storia risorgimentale e contemporanea. Nel 1968 ha fondato, insieme ad Arrigo Olivetti e Mario Soldati, il Centro Pannunzio, schierandosi contro la contestazione, la violenza e la lotta armata degli Anni Settanta, rischiando di persona.

    Ha insegnato per molti anni a Torino e in altre città, è iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1968, anche se ne vorrebbe da sempre l’abolizione. A 47 anni è stato insignito dal Presidente della Repubblica della Medaglia d’oro di Benemerito della scuola, della cultura e dell’arte e ha vinto molti premi a livello nazionale e internazionale. Nel 1999 ha ottenuto la nomina a cavaliere di Gran Croce dell’ordine al merito della Repubblica, la massima onorificenza dello Stato. È stato, tra l’altro, Vice Presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo. È apprezzato conferenziere in Italia e all’estero, anche se durante il lockdown è ricorso agli incontri da remoto dove ha ottenuto decine di migliaia di ascoltatori.

    Il sito personale www.quaglienipierfranco.it raccoglie decine di testimonianze su di lui.

    Introduzione

    In questi anni ho girato l’Italia e non solo – salvo l’ultimo anno a causa della pandemia – per tenere conferenze e partecipare a convegni ed ho mantenuto costante la mia collaborazione a quotidiani e riviste. Ho anche utilizzato i Social per mantenere vivo un rapporto con i tanti amici che mi onorano della loro stima, pur avendo magari idee distanti dalle mie. Spesso nelle conferenze, specie in quelle on line dedicate ad un pubblico numeroso, ma invisibile, ho parlato sulla base di appunti che quasi sempre sono andati dispersi.

    Ringrazio Francesca Mogavero, giovane e promettente editrice, per avermi sollecitato a raccogliere questi scritti: una miscellanea che passa dal saggio all’osservazione breve e perfino fugace.

    Sono testi controcorrente che non si piegano al conformismo imperante. Il rigore della ricerca storica appresa da Venturi, Romeo, Luraghi che considero i miei riferimenti ideali insieme a Chabod, si combina in questo libro con la rivendicazione puntigliosa, direi ostinata, dell’articolo 21 della Costituzione che resta la premessa e la condizione irrinunciabile della democrazia e della libera ricerca culturale.

    Lascio al lettore, benevolo o malevolo che sia, il giudizio su questo libro che è diverso dagli altri che ho scritto. Metto in conto a priori di suscitare qualche polemica. Scrivere non significa mirare al consenso, ma deve essere un modo per agitare le acque morte e suscitare dibattiti. Questo è il magistero lontano sempre vicinissimo che mi deriva da Mario Pannunzio, il quale seppe preservare sempre la sua indipendenza di uomo di cultura, praticando la scomodità della dissidenza, quando lo ritenne necessario, per tutta la sua vita.

    Torino, 24 maggio 2021

    Pier Franco Quaglieni

    PARTE PRIMA - Profili

    Alfredo Frassati

    Il fondatore liberale de La Stampa [1]

    È difficile parlare, sia pure a 150 anni di distanza, di un uomo autorevole e prestigioso di fronte alla sua famiglia, autorevole e degna custode della sua opera.

    Il rischio è cadere nell’encomio che non dovrebbe essere consentito agli storici.

    Credo che vada anche sgomberato l’equivoco di un luogo comune che lo storico non può far suo, e cioè che si possa parlare di contemporaneità rispetto a personaggi del passato che vanno studiati collocandoli rigorosamente nella loro epoca.

    Non ho fatto un monumento retorico a Croce due anni fa in questa biblioteca per lo stesso anniversario, non lo farò stasera per Frassati, più giovane di Croce di due anni.

    Furono ambedue appartenenti alla immediata generazione successiva al Risorgimento.

    Un’ultima precisazione: non intendo parlare di Frassati giornalista perché Marcello Sorgi, grande giornalista e successore di Frassati alla Stampa, può, meglio di ogni altro, parlarci di questo aspetto.

    Vorrei parlare di Frassati politico anche se, nel caso specifico, a volte è impossibile scindere il giornalista dal politico appassionato.

    A fronte dell’immensa opera di Luciana Frassati su suo padre, va subito rilevata la scarsa riflessione storica su Frassati e il suo impegno civile, anche come senatore prima del Regno e poi della Repubblica.

    Va però evidenziato come storici importanti come Rosario Romeo abbiano apprezzato la valenza storica dell’opera di Luciana Frassati.

    Ieri addirittura sul suo giornale ho letto che Frassati sarebbe stato un Costituente nel 1946, notizia del tutto inventata, perché fece parte della non elettiva Consulta Nazionale del 1945; così ho trovato storicamente forzato l’articolo del Corriere dedicato ai 150 anni di Frassati, scritto quasi alla maniera di Plutarco come una vita parallela a quella di Luigi Albertini di cui non ricorrono anniversari.

    Nel lavoro di ricerca che ho fatto, ho rilevato che forse il solo Spadolini si occupa in modo nel complesso condivisibile di Frassati, che lo storico fiorentino lega indissolubilmente all’esperienza giolittiana, anche se la stessa definizione di «Frassati il giolittiano» appare riduttiva perché egli fu un giolittiano critico, capace anche di dissensi nei confronti dello statista della nuova Italia.

    Certamente Frassati condivideva la scelta di un liberalismo che, riprendendo i valori del Risorgimento, sapesse allargare il suffragio elitario su cui si fondava il consenso attorno allo Stato risorgimentale.

    Frassati, come Giolitti, voleva una politica sociale fatta di riforme.

    Ma non è vero che Frassati fosse così aperto ai socialisti come è stato scritto, perché proprio l’apertura giolittiana ai socialisti fu uno dei motivi del suo dissenso con Giolitti.

    Frassati si può considerare con terminologia moderna un liberale democratico che non è mai scaduto nelle alcinesche seduzioni del socialismo ed ho letto con sorpresa che c’è chi l’ha accostato in modo improvvido all’impresa gobettiana e persino gramsciana che non riguardano nel modo più assoluto Frassati protagonista della vita culturale e politica torinese di quegli anni, come lo fu Luigi Einaudi che, iniziale collaboratore del giornale di Frassati, passò al Corriere e divenne un critico severo dell’opera giolittiana, come lo fu Gobetti.

    Era un vero liberale quando ricordava che si poteva essere amici anche se avversari politici.

    Un concetto proprio di quella che io chiamo la civiltà liberale. Un altro aspetto molto importante è il suo altissimo senso dello Stato che gli veniva direttamente dal Risorgimento di Cavour, ma anche dal biellese Sella che parlava laicamente di religione dello Stato, come Croce parlerà laicamente di religione della libertà. Valerio Castronovo ha scritto che Frassati fu più progressista di Giolitti, un’idea che non trova conferma.

    Frassati si riconosceva nell’Italietta giolittiana, ma con alcuni chiari distinguo: innanzi tutto sulla politica estera, sulla quale lo statista non manifestava un adeguato interesse, mentre Frassati considerava ormai da archiviare la Triplice alleanza, nata in uno stato di isolamento internazionale dell’Italia.

    Frassati premeva per una politica mediterranea dell’Italia nella quale un’alleanza con gli Inglesi sarebbe stata produttiva per il nuovo regno abbastanza fragile quando non aveva ancora compiuto neppure cinquant’anni di vita.

    È in questo quadro che l’intervento in Libia del 1911 vide l’appoggio incondizionato, anzi direi entusiasta, di Frassati che sul suo giornale parlava di un paradiso terrestre da conquistare, in antitesi con lo scatolone di sabbia di cui scriveva un Salvemini fortemente contrario all’impresa coloniale africana.

    Fu per l’intervento in Libia, distinguendosi nettamente dal nazionalismo, che Frassati rifiutò, sapendo distinguere l’idea di Nazione dalla patologia del nazionalismo che porterà al conflitto mondiale del 1914.

    Nel 1915 fu neutralista con Giolitti, così come Albertini sul Corriere sostenne le ragioni della guerra. Il suo si potrebbe definire un neutralismo attivo.

    Sarebbe interessante approfondire il dibattito tra il neutralismo di Frassati e l’interventismo di Albertini, che non si può certamente accusare di una scelta a favore del nazionalismo più o meno dannunziano.

    Giocò molto il discorso del compimento del Risorgimento che portò a definire il conflitto quarta guerra per l’indipendenza; ci furono anche interventisti democratici e repubblicani come Salvemini, Parri, Cesare Battisti ed altri, così come neutralisti furono in larga misura i cattolici e i socialisti, se si esclude l’ex socialista rivoluzionario Mussolini.

    Secondo Frassati, la guerra avrebbe sconvolto gli equilibri europei che avevano consentito un lungo periodo di pace sostanziale dopo il 1870, anche se le inquietudini del primo quindicennio del nuovo secolo potevano far presagire i venti di guerra.

    La guerra – previde Frassati – non sarebbe stata breve, ma lunga e sanguinosa.

    Era finita l’età della guerra ottocentesca e l’uso di nuove armi avrebbe portato a forme nuove di scontro bellico imprevedibili nelle conseguenze. Così accadde sul fronte francese nel 1914, così accadde sul fronte italiano dal 1915.

    Frassati non vide nella guerra il fine di completare il progetto risorgimentale che doveva essere affidato alla trattativa e alla diplomazia. Conosceva la potenza militare germanica e l’impreparazione italiana.

    Anche Croce aveva visto nella guerra la fine dell’Italietta giolittiana che aveva accumulato una condizione economica invidiabile e che, con il suffragio universale, aveva allargato la democrazia nella vita italiana.

    Alla fine dell’Ottocento Frassati si era espresso contro il suffragio femminile, sostenendo che avrebbe minacciato la laicità dello Stato, in quanto il voto femminile sarebbe stato condizionato dalla Chiesa. Una posizione cavouriana, ha scritto il cardinale Silvestrini.

    Libera Chiesa in Libero Stato, ma si potrebbe dire, ante litteram, una posizione giolittiana: Stato e Chiesa linee parallele destinate a non incontrarsi mai.

    Era ancora più naturale che Frassati, dopo la guerra e gli sconvolgimenti che essa aveva provocato, guardasse ancora e persino di più a Giolitti che, pur ritirandosi in campagna, aveva espresso la sua lealtà all’Italia in guerra.

    Nel 1920 Giolitti vorrebbe Frassati ministro, secondo la figlia Luciana, ministro degli Interni, ma Frassati rifiutò l’incarico ministeriale, proponendo invece un incarico ministeriale a Croce che Giolitti inizialmente non voleva perché troppo filosofo. Fu Frassati a convincerlo dicendo che i giolittiani apparivano troppo insensibili alla cultura.

    Frassati era invece uomo di vastissima cultura, capace di vedere i problemi a livello internazionale. Da vero, grande piemontese che sapeva vedere e voleva vedere oltre le Alpi, come avevano fatto Cavour e il meglio della classe dirigente piemontese.

    L’essere stato nominato ambasciatore in Germania, nella Germania sconfitta e umiliata da un trattato di pace vendicativo, fu la scelta più coerente. Frassati aveva studiato in Germania e conosceva la situazione.

    Weimar vissuta ed analizzata da Frassati si sintetizza in queste espressioni: Versailles avrebbe gettato il seme sicuro di nuove guerre.

    Rimane in Germania dal ’20 al ’22 e, appena insediatosi Mussolini, rassegna le dimissioni.

    Il suo era un antifascismo della prima ora, non ebbe le incertezze di altri liberali, ma in lui fu ben chiaro cosa fosse

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