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Il Medioevo (secoli XI-XII) - Filosofia (27): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 27
Il Medioevo (secoli XI-XII) - Filosofia (27): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 27
Il Medioevo (secoli XI-XII) - Filosofia (27): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 27
E-book147 pagine1 ora

Il Medioevo (secoli XI-XII) - Filosofia (27): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 27

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Info su questo ebook

Il pensiero filosofico sembra partecipare della sorprendente rinascita materiale e intellettuale che l’Europa conosce proprio a partire dai primi anni dopo l’anno Mille. Non a caso è nel giro di un secolo dopo questa data che nascono le prime università, e università non significa soltanto insegnamento e ricerca, ma anche continua migrazione di studiosi e studenti da paese a paese, con il conseguente superamento delle culture e tradizioni locali in una visione più ampia, più “europea” del sapere.

Tra XI e XII secolo si profilano figure di pensatori che sono diventati “giganti” per noi contemporanei: basti pensare allo sviluppo che il pensiero filosofico ha avuto con la ricerca di Abelardo, o al problema degli universali, centrale nel dibattito tra realisti e nominalisti e ancora vivo in ogni teoria contemporanea della conoscenza; o ancora alle vette altissime toccate dal pensiero mistico con Vittorini, Bernardo di Chiaravalle o Ildegarda di Bingen; o all’opera di Giovanni di Salisbury, su cui si pongono le basi del pensiero politico moderno. È questo un secolo particolarmente florido in cui si stagliano luminose le figure di san Francesco d’Assisi e san Domenico di Guzman, e in cui ha inizio la riscoperta occidentale dell’opera di Aristotele.

Questo ebook regalerà un viaggio denso e agile nella vivacità di pensiero che pervade questi due secoli.
LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2014
ISBN9788897514602
Il Medioevo (secoli XI-XII) - Filosofia (27): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 27

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    Anteprima del libro

    Il Medioevo (secoli XI-XII) - Filosofia (27) - Umberto Eco

    Anselmo d’Aosta: pensiero, logica e realtà

    Massimo Parodi

    La famosissima prova ontologica dell’esistenza di Dio nasce nel contesto di un pensiero monastico e agostiniano. Ne parleranno Descartes, Kant, Hegel, Ne parleranno Russell, ma può essere compresa nella sua specificità solo entro la riflessione con cui Anselmo d’Aosta spinge fino ai propri limiti le possibilità della ragione umana.

    La vita e il monaco

    Anselmo d’Aosta

    Memoria, intelligenza e amore di sé, la Trinità che è la mente umana

    Monologion

    Rividi spesso il mio scritto, e non vi trovai nulla che non si accordasse con gli scritti dei Padri cattolici e specialmente di s. Agostino. Perciò se ad alcuno sembrasse che in questo opuscolo io abbia detto qualcosa di troppo nuovo o contrario alla verità, lo prego di non proclamarmi subito presuntuoso assertore di novità o di falsità, ma di guardare prima attentamente il De Trinitate di s. Agostino e poi di giudicare in base a questo il mio opuscolo.

    (Prologus)

    […] Non solo tutti i beni sono tali in virtù di un medesimo bene, e tutte le cose grandi sono tali in virtù di una medesima grandezza, ma tutto ciò che è, esiste in virtù di un unico ente.

    (Cap. 3)

    Giustamente dunque si può dire che la mente umana è a se stessa come specchio, nel quale può guardare riflessa, per dir così, l’immagine di quella realtà che non può vedere faccia a faccia. Se infatti la mente sola, fra tutte le creature, è memore di sé, si conosce e si ama, non vedo perché debba negarsi che in lei è una vera immagine di quell’essenza che sussiste in una ineffabile trinità per la memoria, l’intelligenza e l’amore di sé. O piuttosto si mostra ancora più veramente immagine di quella, perché di quella può essere memore, quella può conoscere e amare.

    (Cap. 67)

    A. d’Aosta, Monologion

    Anselmo d’Aosta

    Alla ricerca di Dio

    Proslogion

    Ma certamente ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell’intelletto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe più grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella realtà.

    (Cap. 1)

    Hai trovato, anima mia, quello che cercavi? Cercavi Dio e hai trovato che Dio è la realtà suprema, di cui nulla può essere pensato migliore; che è la stessa vita, luce, sapienza, bontà, eterna beatitudine e beata eternità; che è dovunque e sempre. Se infatti non hai trovato il tuo Dio, come potrebbe egli essere ciò che hai trovato e che hai conosciuto con una verità così certa e così vera certezza? E se lo hai trovato, come mai non senti ciò che hai trovato? Perché l’anima mia non ti sente, Signore Iddio, se ti ha trovato?

    (Cap. 14)

    A. d’Aosta, Proslogion

    Anselmo d’Aosta

    Rettitudine e veridicità di una proposizione

    De veritate

    Diverse sono dunque la rettitudine e la verità di una proposizione, quando essa significa ciò che deve, e quando invece significa ciò che le si vuol far significare.

    A. d’Aosta, De veritate

    Nato ad Aosta nel 1033, intorno ai 26 anni entra nel monastero di Bec, in Normandia, dove diventa monaco e discepolo di Lanfranco di Pavia, maestro, priore e infine abate del monastero. Quando Lanfranco è nominato arcivescovo di Canterbury, Anselmo assume a sua volta la carica di priore e, dopo quindici anni, di abate. Seguendo le orme dell’antico maestro, alla morte di questi, Anselmo diviene il nuovo arcivescovo di Canterbury. Negli ultimi anni della sua vita, infine, si scontra ripetutamente con la corona inglese (Guglielmo II, prima, ed Enrico I, poi), a proposito della questione del rapporto fra potere temporale e potere spirituale che segna, nel corso del secolo, anche l’Europa continentale.

    Anselmo muore il 21 aprile 1109, dopo una vita dedicata all’ideale monastico che, per gli uomini di questo periodo, rappresenta una scelta al tempo stesso religiosa, esistenziale e culturale. Come risulta chiaramente dalle sue lettere, in molte delle quali traspare un grandissimo affetto per i suoi monaci, egli ritiene quello monastico il modello di vita migliore da proporre e da praticare. Non si deve dimenticare che dal VI-VII secolo i monasteri sono anche gli unici centri di conservazione e diffusione della cultura, con la loro vita segnata dal rapporto con la parola copiata, letta, cantata, trasformata in preghiera e in meditazione. Del testo sacro, ma anche del mondo inteso come grande discorso rivolto da Dio all’uomo, si può fare oggetto di lettura, di riflessione intellettuale e di preghiera, secondo la scansione monastica della vita e dello studio quotidiani in lectio, meditatio e oratio.

    Sono questi gli anni in cui sempre più puntuale si fa l’attenzione agli strumenti con i quali la ragione può aiutare a chiarire anche taluni contenuti della fede. Si accende ad esempio nuovamente la discussione, già sorta in epoca carolingia, sul modo della presenza di Cristo nell’eucaristia e in questa discussione è, infatti, del tutto evidente il confronto a volte aspro di posizioni a proposito del posto e della funzione della ragione. I due principali protagonisti ricorrono agli strumenti della logica per sostenere, come Berengario di Tours, l’impossibilità della presenza fisica del corpo e del sangue di Cristo, che violerebbe il fondamento aristotelico del rapporto fra sostanza e accidenti, oppure per concludere, come Lanfranco di Pavia, a favore di una presenza fisica e non solo sacramentale – segnica – sulla base di un’attenta analisi dei significati delle proposizioni.

    Riprende anche, più o meno negli stessi anni, il dibattito trinitario che si allontana sempre più dal terreno analogico sul quale lo aveva affrontato e chiarito Agostino, per venirsi a collocare sul terreno della logica aristotelica dove è davvero difficile sostenere l’esistenza di predicati contraddittori, come unità e pluralità, in uno stesso soggetto. Roscellino di Compiègne, che non ammette alcuna realtà per sostanze non individuali, viene accusato di triteismo perché a tre nomi diversi si troverebbe costretto a far corrispondere tre sostanze diverse. L’accusa gli viene mossa proprio da Anselmo, che tuttavia per parte sua, nell’Epistola de incarnatione Verbi (Lettera sull’incarnazione del Verbo), propone analogie molto problematiche e faticose per dare conto della realtà trinitaria di Dio e accostamenti, a dir poco, discutibili alla questione del rapporto fra predicati universali e predicati individuali.

    Anche Anselmo testimonia dunque la grande difficoltà, se non l’impossibilità, di parlare della trinità con linguaggio e procedimenti aristotelici, nel momento in cui sembra abbandonare egli stesso il modello di ragione analogico agostiniano, che pure aveva pienamente condiviso nelle prime sue opere. Quando scrive infatti Monologion e Proslogion, che senza alcun dubbio sono i suoi capolavori, si riferisce espressamente all’auctoritas di Agostino e, in particolare, al De trinitate, ma un’attenta lettura del percorso complessivo descritto nelle due opere mostra che non si tratta solamente di un richiamo all’autorevole lezione agostiniana ma di una vera e propria adesione ed esaltazione di quel modello di ragione.

    Il Monologion

    Nella prima parte del Monologion vengono presentati tre argomenti per dimostrare l’esistenza di Dio, tutti fondati sull’osservazione della realtà creata – a posteriori si dirà successivamente – e basati su due presupposti di carattere metafisico, di chiara ispirazione neoplatonica: le cose non sono uguali in perfezione e tutte le cose che possiedono una medesima perfezione la possiedono in virtù di qualcosa di identico. Il primo argomento prende avvio dall’osservazione che tutti gli uomini tendono al bene o, come diremmo oggi, scelgono quanto ritengono per loro meglio. Per operare in questo modo occorre confrontare tra loro beni di natura diversa e quindi ricorrere a criteri di scelta che rappresentano beni sempre superiori; per evitare di ipotizzare un regresso all’infinito occorre ammettere che, risalendo nella scala di beni sempre migliori, si deve giungere a un Sommo Bene che rende buoni tutti i livelli inferiori. Lo stesso schema di ragionamento vale per la perfezione in generale e per la perfezione comune

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