Delonicom Desentia II
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Anteprima del libro
Delonicom Desentia II - Ottavio Nicastro
Epilogo
Prologo
Budapest A.D. 1920
Victor Sergey Politosky si era sbarrato dentro casa sigillando gli infissi. Sia le porte che comunicavano con l’esterno, sia le finestre erano state chiuse con cura, alcune persino chiodate con delle assi poste di traverso col muro confinante. Nessuno sarebbe stato capace di entrare, allo stesso modo neppure di lasciare l’abitazione. Finito il lavoro, stanco e prostrato Victor, si era lasciato cadere sulla sedia accanto al caminetto e lì era rimasto in paziente attesa. Di che cosa?
I minuti scorrevano lenti e il pallore sul viso del professor Politosky cresceva. A questo si era aggiunto il tremolio. La paura diventava terrore. Gli occhi scrutavano le zone in ombra, Victor temeva per la sua vita, e a ragion veduta. Non aveva mantenuto la promessa. Aveva fatto del suo meglio per rispettare l’impegno preso, ma aveva fallito. Il labirinto non aveva ricevuto il mastro di chiavi, di conseguenza il chiave di porta non aveva potuto assolvere il compito a lui assegnato. Il puzzle si era rivelato una beffa, almeno sotto certi punti di vista e il mastro di chiavi non si era materializzato.
Il fallimento di Victor aveva sancito il suo destino. Presto il custode sarebbe venuto a prenderlo. Chiudersi dentro casa non sarebbe servito a niente, non certo a proteggerlo da quell’essere infernale.
All’esterno il temporale imperversava, la furia degli elementi si era scatenata in tutta la sua rabbiosa violenza. Si sarebbe detto che la natura stessa si fosse ribellata all’uomo e adesso reclamava la vittima sacrificale.
Il bagliore dei lampi filtrava attraverso le fessure. Il rombo dei tuoni spingeva Victor a sobbalzare. Il cuore era come impazzito, presto l’inevitabile sarebbe successo. che cosa lo aspettava? Quale il destino a lui riservato? Di una cosa soltanto era certo, la sua morte non sarebbe stata né veloce né priva di sofferenza.
Il rumore sordo di qualcosa che si sta muovendo dentro la stanza, arriva al suo orecchio.
Chi è là?
Victor dice. Subito lascia la sedia balzando in piedi. Lo sguardo cerca l’origine del trambusto. Il buio gli impedisce di vedere cosa si cela nell’angolo nascosto.
Chi c’è? Mostratevi?
l’invocazione si perde nel vuoto. La sola luce a illuminare la stanza arriva dal candelabro posto sopra il tavolo, destinata a spegnersi non appena il soffio gelido sopraggiunge all’improvviso. Prima lambisce il viso di Victor, subito dopo investe le candele spegnendole.
Aah …
il grido smorzato del povero uomo anticipa di un attimo il suono dello zufolo. Viscido, sottile. Fastidioso. Il professor Politosky si trascina all’indietro. L’istinto lo spinge a cercare la via di fuga, ma sa bene che una non c’è.
Ti prego … io ho agito per il meglio … non è stata mia la colpa e …
Victor non finisce la frase. A fermarlo è il rumore metallico che si origina dal fianco sinistro. A seguire il sibilo cui si aggiunge il grido di dolore di Victor.
Aah …
qualcosa lo ha trafitto alla spalla sinistra. Il professor Politosky urla. Allunga il braccio libero e sfiora l’oggetto.
Non è possibile …
si dice. Un uncino acuminato che pende da una lunga catena, è sbucato dal nulla conficcandosi nella spalla sinistra.
Aah …
il dolere è lancinante, insopportabile. Pochi attimi appena e un secondo uncino si materializza dal lato opposto piantandosi nella spalla destra.
Aah …
è solo l’inizio. Presto altri uncini sbucano dal buio e lo raggiungono in varie parti del corpo. Braccia, gambe, fianchi. Nel volgere di pochi attimi il povero uomo è imprigionato e strattonato da più parti. Le catene si tendono trascinandolo in alto. Il corpo di Victor si solleva da terra librandosi in aria.
Aah … noo …
le urla di dolore del povero uomo si mescolano al rombo dei tuoni. Pochi istanti ancora e sono decine gli uncini che strattonano il corpo del professor Politosky. Giacché tirano in differenti direzioni, presto lo avrebbero ridotto in tanti piccoli pezzettini destinati a spargersi sul pavimento.
Aah … basta … pietà …
il professor Politosky grida, ma inutilmente. Le catene si tendono sempre più. Le ferite inferte al corpo sono profonde, letali.
All’improvviso il suono dello zufolo cessa e come per incanto tutto si ferma. Le catene smettono di tirare, un sollievo, almeno sotto certi aspetti.
Il povero uomo si guarda intorno. La fiamma scoppiettante del caminetto rischiara un individuo che al pari delle catene munite di ganci, si è materializzato dal nulla. Subito Victor trasalisce e per un attimo persino il dolore lancinante dovuto alle molteplici ferite, passa in secondo piano.
Sei … sei arrivato …
la voce del professor Politosky è appena un sussurro. L’omino piccolo e tarchiato che veste l’abito dalla strana foggia, si muove nella sua direzione. Lo raggiunge. Lo fronteggia. Il suo viso esprime sia la rabbia sia il risentimento. Da Victor lo sguardo si posa sull’antico manoscritto adagiato sopra il tavolo. Il Delonicom Desentia brilla nella pallida luce che rischiara l’ambiente. Attimi di vuoto assoluto, poi la voce dell’omino rompe il silenzio.
Mi hai deluso Victor, in te avevo risposto la mia fiducia, ma hai miseramente fallito.
Ti prego, non è mia la colpa … ma posso rimediare e …
Non puoi. Sai bene che le seconde opportunità non sono concesse. Questa è la regola e tu l’hai trasgredita.
Ti supplico … non farmi del male.
Supplica, in tanti lo hanno fatto, inutilmente. Adesso è tempo che paghi per l’errore che hai commesso. Per causa tua il Delonicom Desentia dovrà rientrare nel luogo di custodia e restarci fino a quando non si creeranno le nuove condizioni perché posa lasciarlo.
L’omino non aggiunge altro. si porta fino al tavolo e raccoglie il vecchio manoscritto. Un ultimo sguardo a Victor poi raggiunge la zona in ombra e svanisce ingoiato dal nulla.
Noo … ti prego … non lasciarmi così …
un attimo appena e le catene che imprigionano Victor si tendono di nuovo strattonandolo da più parti.
Aah …
il povero uomo grida. Gli uncini gli dilaniano il corpo, il dolore è tremendo, insopportabile. Il sangue sgorga copioso dalle lacerazioni, e non solo quello ahimè. Anche parte degli organi interni sono strappati dal corpo del povero malcapitato. Alcuni rotolano sul pavimento, altri rimangono appesi agli uncini.
Aah … aah …
Le urla strazianti del professor Politosky si sentono ancora per alcuni secondi. Un ultimo rantolo Uurgllh …
pone fine alla terrificante tortura.
Il corpo di Victor smembrato in più parti, adesso ricopre il pavimento. Il sangue lo colora di rosso. Pochi attimi appena e la stanza inizia a trasformarsi. Le pareti si rimpiccioliscono, il soffitto scompare, il caminetto acceso svanisce nel nulla.
I brandelli del corpo di Victor si sollevano da terra assumendo un differente aspetto. Tanti piccoli mattoni grigi che veloci si incastrano gli uni sugli altri modellando la piccola casa. Pochi attimi ancora e sulla parete frontale si aprono gli occhi.
Aah …
grida il professor Politosky non appena lo sguardo si posa sulla miriade di case simili alla sua, che formano il villaggio dei dannati. Lo stesso dove Victor Sergey Politosky è condannato a trascorrere l’eternità.
1
Oggi.
La coltre di nubi era arrivata all’improvviso. Un attimo prima il cielo era limpido e di colore azzurro acceso, l’attimo dopo cupo e buio come la notte più profonda. Com’era potuto succedere così in fretta e all’improvviso? Manfredo de Borgi aveva spinto lo sguardo fuori dal finestrino dell’auto che stava guidando, sorpreso ma anche intimorito per l’inatteso cambio atmosferico. La strada che sta percorrendo, è solitaria e lasciata a se. Il fondo è in larga parte dissestato. Buche larghe e profonde minacciano l’integrità degli pneumatici.
Ma dove diavolo sono finito?
si chiede con un filo di voce. Mai avrebbe immaginato una condizione come questa. Il luogo sconosciuto e sinistro non promette nulla di buono. Gli alberi che fiancheggiano il percorso sono spettrali e rinsecchiti. Privi di foglie, all’apparenza si direbbero morti. Possibile? Il terreno circostante, brullo e privo di vegetazione, è coperto da una nebbiolina grigia che si sollevava da terra per circa un metro. L’aria è tersa e pesante da respirare. Meglio se avesse rinunciato a … cosa? Non aveva idea di chi fosse stato a contattarlo, e neppure del motivo che lo aveva spinto a farlo. La sola certezza arriva dall’assegno a lui intestato, manca la firma in calce però. La cifra segnata è di tutto rispetto. Una condizione irrinunciabile in special modo per chi come Manfredo non batteva chiodo da qualche tempo.
Manfredo de Borgi è un professionista stimato e rispettato. Qualificato nel suo mestiere, per tale motivo, molto ambito. Di solito era lui