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Gli epigrammi di papa Damaso I
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E-book262 pagine3 ore

Gli epigrammi di papa Damaso I

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Info su questo ebook

Gli atti compiuti dai martiri cristiani rivestono di una grandiosa

dignità la Chiesa nelle sue origini e la rafforzano con il valore

esemplificativo delle gesta dei suoi santi in una sorta di "liturgia

perenne" facilmente memorizzabile attraverso il dettato epigrafico.

Antonio Aste è cultore della materia per le discipline di Filologia e

Lingua latina (SSD. 10D/3) presso il Dipartimento di Filologia,

Letteratura e Linguistica di Cagliari.

La presente edizione con commento, indici e tavole s'inserisce

nell'ambito della sua ricerca incentrata particolarmente su autori e

generi della tarda antichità (Historia Augusta e Damaso).

Un'investigazione dall'impronta interdisciplinare fra letteratura,

storia antica e cristianesimo e che attribuisce un ruolo centrale ai

testi letterari attraverso l'analisi dei rapporti con i modelli classici

(modifiche e novità) e al rapporto scrittore-pubblico.
LinguaItaliano
Data di uscita18 feb 2021
ISBN9791220323253
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    Gli epigrammi di papa Damaso I - Antonio Aste

    transenne.

    DAMASO: PROFILO STORICO-BIOGRAFICO

    Appartenente ad una famiglia di tradizione ecclesiastica, in cui il padre Antonius ne percorse i vari gradi sino a giungere all’episcopato², Damaso ³ nacque a Roma⁴ verso il 305-306 dove morì ottuagenario l’11 dicembre del 384⁵. Le notizie sulla famiglia si ricavano proprio dalle sue epigrafi; conosciamo, infatti, il nome della madre: Lorenza. Costei, una volta scomparso il marito, consacrò a Cristo il resto della sua lunga esistenza terrena morendo pressappoco centenaria⁶. Quanto alla sorella del pontefice, Irene, sappiamo che morì ventenne come attesta il commovente epitaffio dedicatole⁷.

    Damaso era diacono all’epoca in cui l’imperatore filoariano Costanzo II, dopo aver imposto in due successivi concili (Arles 353 e Milano 355) l’allontanamento di Atanasio dalla sede vescovile di Alessandria, decise il bando nei riguardi del pontefice Liberio, che aveva apertamente osteggiato l’ingerenza del princeps, relegandolo in Tracia presso la località di Beroea. Sulla cattedra petrina fu posto allora il filoariano Felice II che poteva contare su un discreto numero di seguaci; dinanzi a questi avvenimenti Damaso, inizialmente fedele a Liberio, seguito in esilio, successivamente si accostò a Felice per poi riavvicinarsi al vescovo esule al momento del suo festoso rientro nell’Urbe quando Costanzo acconsentì nel 358 affinché Liberio tornasse ma condividesse una sorta di diarchia con il suo antagonista ⁸. Dopo la morte del pontefice Liberio, la Chiesa romana visse un periodo caratterizzato da torbidi e violenze durate quattordici mesi: dal 24 settembre 366 al 16 novembre 367. Sono questi, infatti, gli estremi cronologici della durata del pontificato di Ursino, dalla sua elezione al bando. Ursino e Damaso sono gli esponenti dei due opposti schieramenti che animarono quel travagliato passaggio della vita ecclesiastica romana. Grazie alle fonti in nostro possesso, è possibile ripercorrere la trama di quelle vicende assai convulse; le testimonianze di cui disponiamo sono d’ispirazione pagana (Ammiano), filodamasiana (Girolamo, Ambrogio, Socrate, Rufino, Sozomeno) e soprattutto un libello redatto da un anonimo contemporaneo che compose il suo resoconto intitolato Gesta inter Liberium et Felicem episcopos. Pur nella sua faziosità, il documento offre una ricostruzione assai attendibile dei fatti così riassumibili: le due fazioni elessero contemporaneamente i propri candidati alla cattedra di Pietro; i seguaci di Ursino⁹ lo acclamarono presso S. Maria in Trastevere, all’epoca basilica giuliana, dove il vescovo tiburtino Paolo lo investì della dignità papale mentre i damasiani convenirono in S. Lorenzo in Lucina.

    La reazione di Damaso fu immediata e grazie ad una notevole forza d’urto fece irruzione nella basilica giuliana liberandola dopo tre giorni di combattimenti furiosi; quindi il 1° del mese di ottobre venne ordinato pontefice dal presule ostiense Florenzio presso la basilica di S. Giovanni in Laterano. Tra i suoi primi atti ci fu la richiesta volta al praefectus urbis Rufio Vivenzio Gallo, che sino ad allora aveva preferito non intervenire ¹⁰, di allontanare dalla città l’antipapa Ursino unitamente ai suoi principali sostenitori quali i diaconi Amanzio e Lupo. Dopo aver ottenuto ciò, lo scontro si ravvivò ulteriormente grazie agli ursiniani che riuscirono a liberare i sette loro presbiteri - che avevano a suo tempo conquistato la basilica giuliana e che ora erano in procinto di essere anch’essi banditi dalla città - ed occuparono la basilica liberiana (oggi S. Maria Maggiore). Messa assieme una composita e violenta massa di seguaci, Damaso assediò il sito il 26 ottobre ad iniziare dalle otto del mattino. L’edificio fu messo a soqquadro e vi si sarebbe compiuta un’autentica strage di ursiniani con 160 caduti tra uomini e donne mentre nessun partigiano damasiano (sic!) avrebbe riportato danni; a questo punto gli ursiniani si appellarono all’imperatore perché un’assise vescovile appositamente convocata deliberasse sulla questione e perseguisse Damaso. Valentiniano si limitò in seguito a concedere ad Ursino, Amanzio e Lupo il ritorno a Roma (15 settembre 367); costoro con i propri partigiani ripresero l’occupazione di alcuni sacrari tra cui nuovamente la basilica liberiana. Damaso, molto preoccupato, si diede a brigare contro l’avversario ottenendo l’iterazione del bando imperiale nei riguardi dei suoi nemici (16 novembre) unitamente alla restituzione di S. Maria Maggiore avvenuta il 12 gennaio 368 su intervento dell’allora praefectus urbis Vezio Agorio Pretestato¹¹. I pochi ursiniani decisero di raccogliersi presso la basilica di S. Agnese sulla Nomentana dove subirono un nuovo cruento attacco dalle forze damasiane. Anche questa volta l’autorità romana, nella persona del prefetto cristiano Olibrio, preferì non intervenire e così Damaso riportò il definitivo successo sugli scismatici; egli si attivò immediatamente per ricompattare il clero romano, annoverandovi anche gli ex avversari, attraverso una politica di restaurazione degli edifici danneggiati dai torbidi del tempo¹². Damaso, nonostante ciò, si adoperò, vanamente, perché in occasione del primo concilio da lui convocato a Roma nel terzo anniversario della sua proclamazione (1° ottobre 369) i convenuti condannassero Ursino. Quest’ultimo, due anni dopo, venne nuovamente cacciato da Roma e relegato in Gallia¹³. Nel frattempo fu intentata una causa contro Damaso a seguito dell’accusa, mossagli da un partigiano di Ursino, tale Isacco; costui era un ebreo convertito al cristianesimo e che poi tornò alla sua fede primitiva. Egli incolpò il pontefice di aver perseguitato con la violenza i seguaci di Ursino nel biennio 366-368.

    L’imputazione fu alla fine ritenuta infondata ed Isacco condannato al bando¹⁴; a questa dolorosa vicenda personale lo stesso Damaso allude in un suo epigramma dedicato a San Felice Nolano¹⁵.

    Un secondo processo sarebbe stato intentato a Damaso sulla base delle testimonianze di due diaconi che l’avrebbero accusato di adulterio; appare più verosimile configurare tale notizia contenuta nel Liber Pontificalis (I, 212) come falsa¹⁶. Ad ogni modo a Roma continuava ad essere presente un gruppo di scismatici come dimostra il provvedimento adottato dal funzionario Simplicio che, in ottemperanza al dettato di Graziano, bandì gli ursiniani ad oltre cento miglia di distanza dall’Urbe (375 d.C.)¹⁷. Quanto ad Ursino, un anno prima, dopo la morte del vescovo filoariano Aussenzio, fu segnalato nella diocesi milanese intento ad allacciare legami con i seguaci del defunto presule¹⁸; nel 379 l’imperatore Graziano lo bandì da Milano relegandolo a Colonia. Dopo questi provvedimenti si può dire che Ursino scomparve dal panorama delle vicende della curia romana a parte una sua opposizione all’elezione di Siricio, successore di Damaso, che non ebbe però conseguenze di alcun altro genere.

    Per quanto riguarda le fonti vicine al pontefice, esse sono accomunate dal riconoscimento della legittimità della sua elezione; a Damaso si contrappone lo scismatico ed eretico Ursino, unico responsabile dei tumulti che sconvolsero Roma¹⁹.

    Il Liber pontificalis, a circa due secoli dagli avvenimenti, non accenna minimamente ai tumulti ma, con l’obiettivo di raffigurare Damaso vittima innocente anziché responsabile, seppure in parte, di quanto accaduto, inserisce artatamente la notizia dell’adulterio chiara ripresa di quanto contenuto nella biografia simmachiana.

    La fonte pagana ossia Ammiano nella sua neutralità assegna un giudizio assai severo nei confronti di Damaso descritto come presule accecato dalla brama di potere e dall’amore per la mondanità al contrario dell’antagonista più vicino ad uno spirito autenticamente cristiano e per questo meritevole dei favori dello storico che comunque non esita ad inquadrare la vicenda in un contesto poco edificante per la comunità dei credenti nella Roma del IV secolo²⁰.

    L’azione pastorale del pontefice più che da una solida base teologico-dottrinale fu ispirata dal principio del pragmatismo; ciò spiega i buoni rapporti con ampi settori della società pagana e aristocratica del tempo oltre che con la stessa autorità imperiale²¹. Lo scopo precipuo del suo pontificato fu quello in buona sostanza di consolidare il primato della Chiesa di Roma; significativamente con cadenza annuale in concomitanza dell’anniversario della sua investitura (1° ottobre), ultimati i lavori, l’assise sinodale ratificava i propri provvedimenti mediante la decretale²², vero e proprio documento ufficiale pontificio, assimilabile ai rescritti amministrativi del basso impero. Si trattava di dare risposte certe ed immediate dinanzi ai rischi di conflittualità e di tendenze scismatiche sempre latenti nella vita della comunità cristiana occidentale; significativo il caso del vescovo filoariano Aussenzio titolare dell’importante diocesi milanese da lui retta per 17 anni sino a quando non fu scomunicato dall’assemblea sinodale romana del 372²³.

    Tra il 377 e il 378 si tennero due nuovi concili. Nel primo caso si trattava di un’assise ecumenica in quanto il primate d’oriente, Basilio di Cesarea, si rivolgeva al suo omologo d’occidente circa questioni strettamente dottrinali che minavano le posizioni ortodosse (Eustazio di Sebaste e Apollinare di Laodicea) unitamente alla pronuncia sulla disputa relativa alla cattedra vescovile di Antiochia per la quale si fronteggiavano

    Paolino e Melezio²⁴. La seconda assise conciliare²⁵, svoltasi presso la Basilica di S. Pietro sul declinare del 378, sancì la potestà del vescovo dell’Urbe sugli altri presuli non solo italiani ma dell’intero occidente anche in riferimento ad un eventuale conflitto tra un membro del clero e il proprio vescovo o metropolita o un atto conciliare; altro importante atto di quel sinodo fu l’istanza indirizzata a Graziano e Valentiniano II affinchè fosse possibile per il presule romano ricorrere direttamente al giudizio del tribunale del princeps o ad un apposito concilio scavalcando le competenze giurisdizionali del praefectus urbi o del vicarius²⁶. A questa richiesta gli imperatori risposero con la costituzione del tribunale ecclesiastico romano composto, oltre che dal pontefice, da altri cinque o sette presuli autorizzati a deliberare su fatti che coinvolgessero presuli o metropoliti occidentali, ma, di fatto, solo italiani.

    Uno dei momenti più importanti del pontificato damasiano si registrò con il celeberrimo editto imperiale Cunctos populos promulgato da Teodosio a Tessalonica (27 febbraio 380) con cui si imponeva il cristianesimo niceno come unica religione di Stato²⁷. Nel concilio di Costantinopoli del 381 il patriarcato orientale, ricompattatosi, si era posto attraverso le proprie delibere in una posizione di alterità rispetto a Roma o meglio ancora di preminenza sul piano giurisdizionale; la sede orientale rivendicava dunque con un energico richiamo la sua piena dignità. La reazione romana fu espressa nell’assise del 382²⁸ cui prese parte una folta e qualificata schiera di invitati quali Ambrogio, Valeriano di Aquileia, Brittone di Treviri, Anemio di Sirmio, Acolio di Tessalonica e, inoltre, il filoromano Paolino di Antiochia. Nel corso di quel concilio si ribadì con vigore la preminenza di Roma che si fondava sul piano teologico-dottrinale nella lettura giurisdizionale del passo evangelico di Matth. 16, 17 (tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam); un primato che Roma aveva ricevuto come una sorta di vera e propria investitura trascendente (sancta tamen Romana Ecclesia nullis synodicis constitutis ceteris ecclesiis praelata est sed evangelica voce Domini et Salvatoris nostri primatum obtinuit: tu es, inquit, Petrus²⁹ ...). L’unica vera sede apostolica era dunque quella romana³⁰ come accettato oltre che dagli occidentali anche dalle chiese orientali quali Alessandria e Antiochia.

    Sul declinare del suo pontificato, Damaso dovette nuovamente confrontarsi con le tendenze scismatiche rappresentate dai luciferiani, seguaci del presule cagliaritano Lucifero, sostenitori di un radicalismo estremo dell’ortodossia nicena che non voleva concedere sconti di alcun genere a quanti fossero stati compromessi con l’arianesimo e cercassero di rientrare nuovamente nel solco della tradizione apostolica romana. Contro di essi Damaso attuò una persecuzione intransigente della quale abbiamo una preziosa testimonianza nel libellus precum redatto dai presbiteri Marcellino e Faustino che rivolgendosi agli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio denunciavano i misfatti del Papa ai danni dei luciferiani e offrivano una serie di asperrime critiche sulla sfera morale del pontefice³¹.

    Oltre agli epigrammi, Damaso è stato indicato anche come autore di altre opere.

    In primo luogo si ricordano la Praefatio Nicaeni concilii - attribuibile a un anonimo estensore del V secolo - e un Liber de vitiis la cui paternità risalirebbe a un versificatore di nome Facetius (Ferrua 1942, 9-10).

    La consolidata tradizione dei copisti medievali fece sì che nel corpus damasianum confluissero un numero considerevole di componimenti spurii quali e.g. certe liriche acrostiche di motivo cristologico (De nomine Iesu, De ascensione Christi, De cognomento Salvatoris cfr. Ferrua 1942, 11).

    Vi è poi il caso degli epigrammi In beatum Paulum apostolum (1 F.) e In laudem Davidis (60 F.) dove non è certo in discussione la paternità quanto la finalità dei componimenti, verosimilmente un’introduzione rispettivamente alla revisione geronimiana delle epistole paoline e dei salmi davidici (Ferrua 1942, 10; 62).

    Quanto alla corrispondenza epistolare tra Damaso e Gerolamo³² si può in linea di massima riassumerla così:

    • Due missive geronimiane (15-16, P.L. XXII, 355-359) che non avrebbero ricevuto risposta, redatte durante il soggiorno nel deserto calcidico (376-377). Nella prima si domandavano delucidazioni sulla terminologia trinitaria mentre la seconda era incentrata sui rapporti con la comunità antiochense.

    • Due lettere damasiane del 382-384. Nel primo testo (19, P.L. XXII, 375) il pontefice chiede schiarimenti sul reale significato del vocabolo osanna quale appare negli evangelisti mentre nella seconda lettera (35, P.L. XXII, 451-452) interroga il dotto destinatario circa questioni interpretative di alcuni passi veterotestamentari. A queste due epistole Gerolamo risponde in modo assai esaustivo (20-36; P.L. XXII, 375-379; 452-461).

    • Due epistole di Gerolamo (18-21, P.L. XXII, 361-376; 379-394); nella prima è contenuta una dotta spiegazione circa la visione profetica di Isaia (6. 2) mentre la seconda lettera è risevata ad un commento sulla nota parabola del figliol prodigo o meglio del padre misericordioso (Lc. 15, 11-32).

    • Una lettera, certamente apocrifa (ep. 5, P.L. XIII, 440-441) attribuita a Damaso, riguardante l’istituzione del canto dei salmi nelle chiese dell’Urbe.

    • Le due epistole reciprocamente indirizzate collocate come premessa al Liber pontificalis; esse sono state valutate indubitabilmente apocrife da Duchesne (I, pp. XXXIII-XXXIV; 117).

    ___________________

    ² Epigr. 57, 1-2: hinc pater exceptor, lector, levita, sacerdos, / creverat hinc meritis quoniam melioribus actis.

    ³ Sulla figura di Damaso si rinvia ad alcuni significativi contributi: Marucchi 1905a; Clerval 1911; Leclercq 1920; Caspar 1930, I 196-256; Van Roey 1960; Carletti 2000; Pietri-Ghilardi 2006-2008; Reutter 2009, 5-12; Pilara-Ghilardi 2010; McLynn 2012.

    ⁴ Maximinus Episcopus Gothorum, Dissertatio contra Ambrosium 93: certe tam tibi [scil. Ambrosio] quam Damaso provincia est Italia, genetrix Roma. Infondata appare la notizia che attribuisce al pontefice un’origine iberica cfr. Liber pontificalis I, 212: Damasus, natione Spanus, ex patre Antonio, sedit annis XVIII mensibus III diebus XI. Un’ulteriore conferma della presenza di Damaso nell’Urbe è contenuta nell’elogium dei Ss. Marcellino e Pietro dove l’autore afferma di essere venuto a conoscenza del sepolcro dei due martiri cum puer essem cfr. Epigr. 28, 1-2: Marcelline tuum pariter Petriq. sepulcrum / percussor retulit Damaso mihi cum puer essem.

    ⁵ Hieron. de viris inl. 103: et prope octogenarius sub Theodosio principe mortuus est. Sulla data di morte cfr. Martyrol. Hieronym. III Id. Dec. (p. 152); Liber pontificalis I, 213.

    ⁶ Epigr. 10: hic Damasi mater posuit Laurentia membra / quae fuit in terris centum minus ... annos / sexaginta Deo vixit post foedera ... / progenie quarta vidit quae ...

    ⁷ Epigr. 11: hoc tumulo sacrata Deo nunc membra quiescunt, / hic soror est Damasi, nomen si quaeris, Irene. / voverat haec sese Christo cum vita maneret, / virginis ut meritum sanctus pudor ipse probaret. / bis denas hiemes necdum compleverat aetas; / egregios mores vitae praecesserat aetas; / propositum mentis pietas veneranda puellae, / magnificos fructus dederat melioribus annis. / te, germana soror, nostri tunc testis amoris, / cum fugeret mundum, dederat mihi pignus honestum; / quem sibi cum raperet melior tunc regia caeli / non timui mortem caelum quod liber adiret, / sed dolui, fateor, consortia perdere vitae. / nunc veniente Deo nostri reminiscere virgo, / ut tua per Dominum prestet mihi facula

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