Vibii sequestris de fluminibus fontibus lacubus nemoribus paludibus montibus gentibus per litteras
Di Antonio Aste
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Vibii sequestris de fluminibus fontibus lacubus nemoribus paludibus montibus gentibus per litteras - Antonio Aste
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L’AUTORE E L’OPERA
A Vibio Sequestre è attribuita la paternità di un lessico di modeste dimensioni al cui interno, articolati alfabeticamente e suddivisi in sette sezioni, sono citati i nomi di fiumi, fonti, laghi, boschi, paludi, monti e popoli come riportati dalla maggior parte dei poeti dell’antichità. Scarne annotazioni accompagnano i singoli lemmi; esse riguardano il contesto geografico, i diversi appellativi - inclusa l’eventuale etimologia - e le particolari caratteristiche di ognuno. Si evince facilmente che l’operetta avesse una finalità didascalica e si proponesse quale una sorta di manuale geografico di pronta e facile consultazione¹.
Riguardo all’autore si sa ben poco; lo stesso nome appare di dubbia provenienza come testimonierebbe il cognomen, verosimilmente una falsificazione di epoca tarda derivata da un passo ciceroniano (pro Cluent. 8, 25) nel quale è menzionato un tal Vibio nelle mansioni di mediatore (sequester) in un episodio di corruzione di un delatore²: Sex. Vibium quo sequestre in illo indice corrumpendo dicebatur (scil. Oppianicus) esse usus. Detto questo, non apparirebbe fuori luogo ipotizzare che Vibio abbia deliberatamente scelto questo appellativo proprio sulla scorta del passo ciceroniano oppure che altri glielo abbiano successivamente imposto³. Quanto alla collocazione cronologica, sebbene non vi siano riscontri oggettivi, l’ipotesi più accreditata è quella del IV-V secolo d.C.⁴ mentre la nazionalità del compilatore è sconosciuta sebbene fosse stato ventilato che egli provenisse dall’Epirus Nova⁵. Relativamente ai plerique poetae del proemio⁶, il riferimento ci rimanda soprattutto a quattro nominativi: Virgilio, Ovidio, Lucano e Silio Italico⁷. Il loro impiego segue una sorta di vero e proprio schema⁸, per altro non sempre rispettato⁹, in cui il primato è da attribuire ai nomi virgiliani cui seguono quelli siliani, lucanei e ovidiani; per il Mantovano è vincolante la successione canonica delle opere (Ecloghe, Georgiche, Eneide) mentre per Lucano, spesso, si rispetta la successione progressiva dei libri e dei versi all’interno dei libri. Il nostro compilatore evidenzia una certa dimestichezza con gli scolii dei succitati poeti con particolare riferimento a Virgilio e Lucano; una predisposizione che potrebbe averlo indotto, in alcuni casi, a non distinguere chiaramente tra i toponimi dei poeti e quelli degli scoliasti come testimonierebbe la presenza di nomi avulsi¹⁰ dalla geografia dei poeti. Il fatto che la tradizione scoliastica abbia influenzato la redazione del libello troverebbe conferma in alcuni elementi: lo stile delle succinte annotazioni vibiane¹¹ e l’inserimento nell’opera di lemmi menzionati dagli scoliasti che per varie ragioni mostravano un qualche legame col dettato lirico commentato¹². Una volta assodata l’influenza degli scolii sulla compilazione del lessico vibiano ne consegue che a questa stessa fonte si debbano ricondurre i non pochi errori¹³ presenti senza per altro escludere, in alcune circostanze, una certa qual improvvisazione
da parte dello stesso autore ingenerante confusioni e maldestre interpretazioni del testo poetico di base¹⁴.
Alla luce di quanto sin qui tracciato ne scaturisce il mediocre spessore letterario dell’opera riflesso di un ambiente culturale cristallizzato
in cui il nostro autore ha comunque il merito di averci trasmesso frammenti di una tradizione scoliastica di cui si sono perse le tracce.
In questa edizione critica, in linea di principio, ho limitato il più possibile gli interventi sul testo tradito per evitare il rischio di correggere lo stesso autore del libello. Del resto è oggettivamente arduo stabilire, all’interno della materia trattata da Vibio in modo spesso stravagante e sconclusionato, quali siano gli errori del Nostro (o delle fonti cui attinge) e le corrutele della tradizione manoscritta. Dinanzi a alterazioni paleograficamente esplicabili (e.g. art. 121, Pantagras in luogo di Pantagias) si è ripristinata la forma corretta; in presenza di una forma erronea
o dubbia (e.g. art. 219 Thraciae in luogo di Africae) si è mantenuta la lezione errata
segnalando in apparato critico, esegetico sia pure in termini ristretti, l’incongruenza mentre in altri casi si è ricorso a congetture altrui.
___________________
¹ Nello specifico il destinatario è il figlio dello stesso autore, tale Virgilianus. Sul cognomen dell’autore, sul dedicatario e su fonti, struttura e scopo del libello vibiano cf. P.A. Perotti, Note a Vibio Sequestre, in Giornale Italiano di Filologia
, 56 (1), 2004, pp. 87-99.
² M. Hertz, Vibius Sequester, in Jahrbücher für classische Philologie
, 93, 1866, p. 275. Circa questo particolare cognomen cf. W. von Strzelecki, s.v. in RE
, VIII A2, 1958, coll. 2457-2462 dove (col. 2458) è segnalata una testimonianza epigrafica, CIL X 6464: C(aius) Iul[ius C(ai) l(ibertus)] Seques[ter sexvir.
³ N. Terzaghi, Storia della letteratura latina da Tiberio a Giustiniano, Milano 1934, pp. 634, 638.
⁴ C. Bursian, Vibii Sequestris de fluminibus etc., Turici 1867, p. X; M. Schanz-C. Hosius, Geschichte der römischen Litteratur, IV, 2, München 1920, p. 121.
⁵ Bursian, o.c., p. X s. La teoria nasceva dal fatto che nel lessico siano attestati toponimi epiroti che non ricorrono presso i poeti dell’antichità o comunque ignoti: 23 Aous, (peraltro variante di 26 Aeas; cf. Lucan. 6, 361; Plin. n.h. 3, 145), 38 Barbanna, 57 Drinus. Alcuni hapax quali: 24 Alto, 40 Brictates, 90 Isamnus, 107 Mathis, 184 Aecicus, 238 Boreas (cf. Bora in Liv. 45, 29, 8-9), 262 Epidamnus, 287 Oeniphile, 297 Pylartes, 302 Rhamnusium, 314 Tomarus. È più verosimile che i suddetti toponimi derivino da un qualche commento ai Pharsalia lucanei dove ci sarebbe stata una dettagliata descrizione delle zone in cui si ebbe lo scontro decisivo tra Cesare e Pompeo (Bursian o.c., p. XI). Su questo aspetto cf. A. Pueschel (De Vibii Sequestris libelli geographici fontibus et compositione, Phil. Diss. Halle 1907, p. 28) che evidenziò opportunamente come i lemmi succitati ricorressero, tutti, in serie di nomi desunti da Lucano.
⁶ Sul proemio vibiano cf. C. Santini, L’epistola prefatoria di Vibio Sequestre, in N. Scivoletto (a cura di), Prefazioni, prologhi, proemi di opere tecnico-scientifiche latine, voll. I-II, Roma 1992, vol. II, pp. 957-962.
⁷ Bursian, o.c., p. III.
⁸ Pueschel o.c., passim.
⁹ e.g. 55 Clitumnus (Verg. geo. 2, 146) posto alla fine di una serie ovidiana; 59-60 Euenos (Lucan. 6, 366), al principio di una sottosezione di alcuni lemmi virgiliani; 94 Lyncestius (Ovid. met. 15, 329) prima di una serie virgiliana etc… Capita non infrequentemente che una medesima voce fosse menzionata allo stesso tempo da due o più scrittori; in questo caso non si può escludere che Vibio abbia contaminato le sue fonti e anche gli eventuali scolii relativi cf. Pueschel, o.c., p. 45.
¹⁰ 34 Aternus, 42 Camicos, 48 Cydnos, 50 Casilinum, 99 Lycastus, 100 Lethaeus, 306 Sipylus, 351 Pannonii, 356 Sauromatae.
¹¹ e.g. 22 Albis, Germaniae, Suevos a Cheruscis dividit ~ schol. Lucan. 2, 52 (p. 51 Usener): Albis fluvius Sueborum hoc est Germaniae provinciae. Albis fluvius Galliae qui dirimit Suebos a Cherusciis; 121 Pantagias, Siciliae, ita dictus, quod sonitus eius decurrentis per totam insulam auditus est usque eo donec Ceres filiam quaerens conprimeret eum ~ Serv. ad Verg. aen. 3, 689: hic fluvius Siciliae cum plenus incederet, implebat sonitu paene totam Siciliam: unde et Pantagias quasi †pantacuos dictus est, quasi ubique sonans. hic postea cum Cereri quaerenti filiam obstreperet, tacere iussus est numinis voluntate.
¹² e.g. 53 Cinybs cf. Lucan. 9, 787 (Cyniphias inter pestes tibi palma nocendi est) et schol. ad loc. (p. 310 Usener): Ciniphus amnis in Africa et civitas; 136 Sagaris cf. Verg. aen. 6, 784-785 (qualis Berecyntia mater / invehitur curru Phrygias turrita per urbes) et Serv. ad loc.: nam Berecyntos castellum est Phrygiae iuxta Sangarium fluvium, ubi mater deum colitur. per hanc autem comparationem nihil aliud ostendit, nisi Romanos duces inter deos esse referendos. A suo tempo vi fu chi ridimensionò la portata dell’influenza degli scoliasti su Vibio; M. Kiessling (rec. a A. Pueschel, o.c. in Berliner Philologische Wochenschrift
, 30, 1910, coll. 1469-1476), infatti, si allineò con quanto espresso da H. Blass (Zu Vibius Sequester und Silius Italicus, in Rheinisches Museum für Philologie
, 31, 1876, pp. 133- 136, vide p. 136) ritenendo che i nomi altrimenti ignoti derivassero da un periplo del Mediterraneo che ricalcava l’Ora di Avieno. Una tesi alquanto forzata e che senza oggettivi riscontri appare poco credibile cf. P.G. Parroni (ed.), Vibii Sequestris De fluminibus fontibus lacubus etc …, Milano-Varese 1965, p. 13 n. 24.
¹³ Tra i casi emblematici quelli relativi a 25 Arimaspae e 154 Taygeta. L’Arimaspa, come corso fluviale, non esiste; è, invece, attestata la popolazione scitica degli Arimaspi. Evidentemente si deve essere verificata un’errata interpretazione di un passo lucaneo (3, 280-281 oppure 7, 775-776) rispetto ai quali queste sono le glosse di Arnolfo (cf. B.M. Marti (ed.), Arnulfi Aurelianensis Glosule super Lucanum, Roma 1958, p. 180; 390): Arimaspus fluvius est cui adiacentes crines suos subligant aurifrigio … Arimaspus fluvius est aureas habens arenas, vel populus colligens aurum in ripa fluvii qui et sicut nominatur populus. Quanto al Taygeta, è notoriamente una montagna della Laconia; il passo di Lucano alla base del fraintendimento (5, 51-52: gelidique inculta iuventus / Taygeti) è stato così glossato dall’Arnolfo (Marti, o.c., p. 260): gelidi propter nives si mons, vel propter aque naturaliter frigus si fluvius, vel quia versus septentrionem.
¹⁴ Tra i diversi esempi (cf. Parroni, o.c., p. 13, n. 26) si riporta, a titolo significativo, quello relativo a 127 Pachynos, Siciliae, ubi Sextus Pompeius iuvenis interfectus est. Qui ci si trova dinanzi a due patenti errori: in primo luogo il Pachino è un promontorio, non un fiume, e S. Pompeo, sconfitto a Nauloco in Asia, morì successivamente a Mileto (Appian. b.c. 5, 144: Τίτιος … αὐτὸν δὲ Πομπήιον, τ∊σσαρακοστὸν ἔτος βιοῦντα, ἐν Μιλήτῳ κατέκαν∊ν). Alla base dell’errore deve supporsi l’intepretazione data da Vibio al passo lucaneo (7, 871: flebilis unda Pachyni); il compilatore avrebbe inteso come corso fluviale l’unda Pachyni mentre nell’aggettivo flebilis il riferimento alla morte di Pompeo (cf. V. Casagrande-Orsini, Il fiume Pachynos in Lucano e in Vibio Sequestre, Catania 1896). Sul modo di approcciarsi al testo vibiano cf. A. Grilli, Quisquilie vibiane, in Paideia
, 28, 1973, pp. 157-174. Circa la relazione tra idronimi e toponimi all’interno del libello, con specifico riferimento all’area orientale dell’Illiria romana, cf. M. Pillon, Hydronymie et toponymie dans les régions orientales de l’Illyricum, de la conquête romaine aux invasions slaves (IIe s. av. J.-C.-VIIIe s. apr. J.-C.), in Dialogues d’histoire ancienne
, 28, 2002, pp. 41-60. In generale sullo studio della geografia nell’antichità attraverso l’analisi delle informazioni contenute in autori quali, oltre lo stesso Vibio, Tolomeo, Giulio Onorio, Solino, Stefano di Bisanzio e Prisciano cf. P. Dalché Gautier, L’enseignement de la gé ographie dans l’Antiquité tardive, in Klio
96 (1), 2014, pp. 144-182.
LA TRADIZIONE MANOSCRITTA
Archetipo di tutta la tradizione è il Cod. Vat. lat. 4929 (V )¹⁵; si tratta di un membranaceo risalente alla prima metà del IX secolo in cui l’opera vibiana occupa i fogli 188r-195r. Assai elegante, di forma quasi quadrata (dim. 230x216 mm.), il codice fu compilato da un solo copista, valente calligrafo formatosi in terra francese presso lo scriptorium di Lupo di Ferrières, sotto la tutela del più rinomato dei suoi apprendisti, Heiric d’Auxerre. Il manoscritto si presenta in un’elegante scrittura carolina ed ebbe successive correzioni da tre mani: la prima, pressoché coeva allo scriba (V1 ), riconoscibile forse nel succitato Heiric d’Auxerre. La seconda (V2 ) identificabile in un qualche grammaticus operante a Orléans e la terza (V3 ) databili alla fine del secolo XI o al principio del XII.
L’archetipo in questione è complessivamente composto di ff. 1+199; ciascun foglio è approntato per due colonne di scrittura ognuna delle quali articolata in 22 linee. Lo scritto occupa uno spazio di 137x145 mm.; ogni colonna ha mediamente un’estensione in larghezza di 63 mm.
Allo stato attuale la pergamena si presenta in discrete condizioni di conservazione con tracce di umidità che hanno danneggiato il margine superiore specie nella parte finale.
Di seguito l’elenco delle opere contenute nel codice: il De die natali di Censorino (ff. 2-34), il De musica di S.