Il Mistero di Marco Aurelio: L’imperatore filosofo e i suoi martiri
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L’intento dell’autore è di sondare il "mistero" dell'imperatore filosofo, cioè capire come mai uno dei più alti spiriti del pensiero e della coscienza antichi (in certe pagine dei Pensieri decisamente vicino alla visione cristiana) abbia potuto perseguitare e reprimere i cristiani con intensità, continuità e talora efferatezza.
Mario Spinelli è stato docente di lettere nei licei classici e di latino all’Istituto Patristico Augustinianum. Si interessa di cultura classica, patrologia e agiografia. Come giornalista pubblicista ha collaborato a varie testate quotidiane e periodiche, fra cui L’Osservatore Romano, Il Tempo, LibriPer, Città Nuova e altre. Ha pubblicato saggi e studi sui Padri e gli autori medievali, che ha tradotto in gran numero. È autore di diverse biografie, tradotte anche all’estero. Tra le più recenti: Il pagano di Dio. Giuliano l’Apostata. L’imperatore maledetto (Marcianum Press, 2016).
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Il Mistero di Marco Aurelio - Mario Spinelli
Mario Spinelli
Il Mistero di Marco Aurelio
L’imperatore filosofo e i suoi martiri
© 2019, Marcianum press, Venezia.
Marcianum Press
Edizioni Studium S.r.l.
Dorsoduro, 1 - 30123 Venezia
Tel. 041 27.43.914 - Fax 041 27.43.971
marcianumpress@edizionistudium.it
www.marcianumpress.it
In copertina: Marco Aurelio. Busto di marmo, II sec., Musei Capitolini, Roma.
Santa Blandina martirizzata nell’anfiteatro di Lione, Jan Luyken (1649-1712), incisione in rame, da Martyrs mirror (1694).
ISBN 9788865126653
ISBN: 9788865126653
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INDICE
Perché questo libro
I. GIUSTINO, † 165
1. Studi, tempeste, conversioni
2. Maestro a Roma
3. Il processo dei filosofi
II. MARCO, 121-165
4. A latte e miele
5. In cima (suo malgrado)
6. Dietro il silenzio
III. POLICARPO, † 167
7. Sulle spalle dei giganti
8. L’atleta di Dio
9. Morte agli atei!
IV. MARCO, 166-167
10. Quale felicitas
11. Inizia l’incubo
12. Un caso da prima pagina
V. BLANDINA, † 177
13. Un seme fecondo
14. Quell’equivoco fatale
15. Sangue e arena
VI. MARCO, 168-177
16. Le teste dell’Idra
17. Nel campicello di te stesso
18. I cristiani. Un problema o una risorsa?
VII. SPERATO, † 180
19. Una provincia a 5 stelle
20. Il tributo dell’Africa
21. Fra Dio e Cesare
VIII. MARCO, 178-180
22. L’ultima sconfitta
23. Parti sereno
24. Quale mistero
CRONOLOGIE
1. L’era dei martiri
2. L’età di Marco Aurelio
SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
a. MARCO AURELIO
b. I MARTIRI
Ringraziamenti
I LIBRI DI OASIS
11
MARIO SPINELLI
Il Mistero di Marco Aurelio
L’imperatore filosofo e i suoi martiri
MARCIANUM PRESS
Perché questo libro
Lo specifico di una persona buona è amare... con il cuore sereno e pronto a seguire Dio, senza dire o fare mai niente contro la verità e la giustizia... Chi è buono non ce l’ha con nessuno
(III,16). Il modo migliore per difendersi da un nemico? Non comportarsi come lui
(VI,6). Ama, ma veramente, gli uomini con cui il destino ti ha unito
(VI,39). Se uno fa un errore, spiegagli con gentilezza dove ha sbagliato. E se non ci riesci, devi ammettere che la colpa è tua
(X,4). La persona semplice e buona dev’essere come uno che puzza di caprone: chi gli è vicino, lo voglia o no, non può non sentirlo... Quando un uomo è buono gli si legge negli occhi, è una cosa che non sfugge a nessuno
(XI,15).
Quasi ogni pagina dei Pensieri di Marco Aurelio ci stupisce e ci edifica con perle di saggezza morale e spirituale come queste che abbiamo appena letto. E che ci dimostrano come la fama dell’imperatore filosofo, universalmente riconosciuto come uno degli spiriti più alti della romanità e anzi di tutta la storia, non sia usurpata. Ma allora come mai un simile personaggio, vicino ai più grandi moralisti e scrittori spirituali di ogni tempo, inclusi i cristiani, e coerente lui per primo con quanto scriveva, stando alle fonti storiche; come mai, dico, un personaggio così etico ha potuto perseguitare i cristiani con intensità e continuità – come ci dicono i manuali di storia antica e di patristica, e prima di tutto i testimoni contemporanei –, calpestando non solo la libertà religiosa ma anche quelli che oggi chiamiamo i diritti umani? Imperatori mediocri in confronto a lui, come Caracalla o Gallieno, vissuti un secolo dopo, lasciarono in pace i cristiani e a volte restituirono loro le chiese e i beni confiscatigli dai predecessori. Per non parlare dei tre grandi che regnarono prima di Marco, e che quindi avrebbero dovuto ispirarlo in tale materia, Traiano, Adriano e Antonino Pio, che a differenza del loro successore non sono ricordati come persecutori ma, specie i primi due, come legislatori che, pur non simpatizzando col cristianesimo, cercarono di regolarne con una certa equità e moderazione i rapporti con lo stato romano.
Marco Aurelio perché non fece lo stesso, e mentre scriveva le sue sublimi massime i cristiani venivano decapitati, crocifissi, arsi vivi e incornati dai tori nelle arene dell’impero? L’Augusto era al corrente di quegli eccìdi? Era stato lui a ordinarli? Se non fermò gli assassini, fu perché non voleva? o magari non poteva? Per quali ragioni, insomma, si astenne dall’intervenire? Sono domande difficili e imbarazzanti della storia romana, e cristiana. L’enigma è arduo e inquietante. Questo libro è stato scritto per provare a rispondere e a far luce in quel buio (apparentemente) impenetrabile. Nel solo modo possibile, ossia con un approccio graduale e articolato a tutti gli attori di questo dramma assurdo, agli interlocutori di un dialogo mancato: o meglio a senso unico, come vedremo, tra le vittime inascoltate e un potere che avrebbe tardato più di un secolo a capire, a emendarsi e a includere.
Questo accadrà solo con Costantino; e pensare che proprio a lui Marco Aurelio deve paradossalmente la sua bronzea
sopravvivenza e popolarità. Infatti, la celeberrima statua equestre che lo ritrae sul Campidoglio si è salvata dalla fusione solo perché scambiata per l’effigie del primo Augusto cristiano. Invece sotto il filosofo divenuto imperatore (il sogno di Platone!) i cristiani furono colpiti eccome, e questa è solo una delle contraddizioni del nostro personaggio. Che era al tempo stesso ateo e devoto agli dei di Roma, democratico e conservatore, umile e amico del senato, benefattore degli schiavi e schierato con l’aristocrazia, mite amante della pace e in guerra perenne su tutti i confini. Le pagine seguenti cercheranno di scoprire cause e natura di questi paradossi, contrasti, antinomie. E misteri. E faranno vedere da vicino ai lettori chi erano mai i pericolosi antagonisti
dell’imperatore stoico, un vescovo quasi centenario, un immigrato col pallino della filosofia come lui, una ragazzina non troppo giovane per essere torturata... Tutta gente, forse la sola, che avrebbe potuto aiutare Marco – in quei tempi fra i più sconvolti della storia di Roma – a chiarire certi dubbi tormentosi, a dimenticare i tradimenti della moglie, ad amare il figlio degenere, magari a dialogare con i barbari e a trovare un po’ di pace, sul limes e nel cuore. E invece...
I. GIUSTINO, † 165
1. Studi, tempeste, conversioni
A chi visiti la Palestina è consigliabile di fermarsi almeno un’ora a Nablus, il capoluogo del governatorato di Cisgiordania, sotto l’Autorità Nazionale Palestinese. Con le sue memorie millenarie, nel segno della storia e della fede, il luogo continua a esercitare un suo appeal sui turisti, religiosi e non. Vediamo perché. L’odierna città araba (140 mila abitanti) corrisponde all’antica Sichem, in aramaico Sichar, capitale del Regno d’Israele, o di Samaria (siamo in quell’antica regione della Palestina), sorto dalla separazione dal Regno di Giuda, dopo la morte di Salomone, all’alba del I millennio a.C. Il luogo è illustrato dalla Bibbia: per i credenti Dio vi è apparso la prima volta ad Abramo, Giosuè ha riunito le 12 tribù di Israele e Gesù ha incontrato la Samaritana, al Pozzo di Giacobbe. La terza ragione che suggerisce la sosta a Nablus è che la città fu un importante centro romano, Flavia Neapolis , fondata nel 72 d.C. da Vespasiano dopo la cruenta riconquista della Palestina, già sottomessa un secolo prima da Pompeo. Il termine Neapolis (Città Nuova
in greco) riaffiora nel nome arabo della città e, su un altro piano, spiega il recente gemellaggio fra l’università locale e la Federico II
di Napoli. Proprio così del resto, Napoli, i crociati avevano chiamato la città nel XII secolo, facendone un ganglio vitale del Regno di Gerusalemme.
Ma c’è ancora un altro motivo che accende i riflettori su questa località al centro della Palestina, specie per i lettori di questo libro. Flavia Neapolis ha dato i natali al primo martire di Marco Aurelio, Giustino, figura di spicco del primo cristianesimo, appartenente sia alla storia che alla letteratura di questa religione ai suoi inizi. Infatti non è stato solo un martire della fede ma anche un notevole scrittore e filosofo del II secolo d.C., l’età aurea su cui torneremo spesso. Ma andiamo con ordine. Giustino nacque a Sichem non si sa di preciso quando; probabilmente verso il 100 d.C., circa 30 anni dopo il sorgere della città romana. Proprio suo nonno, Bacchio, e quindi pure il padre di Giustino, Prisco, di ceto contadino agiato, furono tra i fondatori e primi abitanti della nuova colonia, sorta come altre per romanizzare e pacificare la Palestina dopo la dura guerra di repressione condotta da Vespasiano e dal figlio Tito, che aveva distrutto Gerusalemme e incendiato il Tempio di Salomone, come Gesù per i cristiani aveva profetizzato 40 anni prima. Quindi Giustino crebbe si può dire con la sua città, meta preferita degli stranieri in Palestina, come rampollo di una famiglia di sicuro greca (questa lingua sarà la sua, pure come scrittore) ma proveniente forse dall’Italia, come rivelano i nomi latini degli avi. Perciò origine e cultura del nostro personaggio, figlio d’immigrati occidentali
diremmo oggi, hanno ben poco da spartire col giudaismo della terra dove pure egli è nato e hanno piuttosto matrice e humus greco-romani. Così come romani sono ormai l’ambiente, le architetture e lo stile di vita a Flavia Neapolis, lo stesso che si era radicato in tutte le città dell’impero. Dove domus e insulae, campidogli e fori, templi e impianti termali ricreavano da Oriente a Occidente la vita e l’immagine dell’Urbe imperiale. Si pensi che a Nablus la rete dell’acqua potabile, sotto la città vecchia, è ancora quella romana!
In questo mondo ellenistico-romano un ragazzo non ebreo di famiglia discreta, pur avendo qualche contatto e contezza del giudaismo, non poteva non avviarsi a una formazione greco-romana, imperniata sugli studi di retorica, poesia, storia e filosofia. Giustino era intelligente, dotato, curioso e affamato di apprendere, e presto sorsero in lui due moventi di fondo, che avrebbero orientato la sua vita e carriera: la passione per la filosofia e una certa ambizione, il desiderio di emergere, distinguersi, dibattere con gli altri per uscirne bene e affermarsi. Allora, ecco pronti un mestiere e una scuola retorico-filosofica frutto dei tempi e su misura per lui: il conferenziere, l’oratore itinerante della Seconda sofistica, l’intellettuale brillante votato al successo.
Però non erano tempi facili, con Ebrei e Romani da anni ai ferri corti. Alla scuola primaria e secondaria, dal ludimagister e poi dal grammaticus (i primi due livelli dell’istruzione romana, uguale in tutto l’impero) Giustino studiò sodo con tranquillità e concentrazione. Ma quando a 15-16 anni si affacciò alla scuola superiore, quella del rhetor, un po’ la nostra università, era già esplosa la Seconda Guerra Giudaica, come la ricorda la storia. Veramente disordini e combattimenti fra i Romani (allora regnava Traiano) e i Giudei divamparono più che altro nella Diaspora: in Egitto, Cipro, Cirenaica, dove gli Ebrei per effetto del contatto coi Greci si sentivano più liberi e meno accettavano il dominio romano. Ma Giudea e Samaria risentirono della tempesta, e per Giustino non fu facile seguire i corsi. A un certo momento i Romani intensificarono la loro presenza in tutto lo scacchiere mediorientale; l’Augusto in persona venne a dirigere le operazioni, anche perché alla guerra giudaica si era sovrapposta l’ennesima spedizione contro i Parti.
Furono giorni duri, di guerriglia, tra rivolte ebraiche e rappresaglie romane. Quando tornò una certa calma, nel 117, la Giudea si ritrovò ancora sotto il tallone romano, con più tasse di prima e una guarnigione di legionaridoppia della precedente. Magra alla fine apparve la consolazione, per gli sconfitti, di sapere che l’ optimus princeps era morto in Cilicia tornando a casa, stroncato da un infarto o forse ucciso da un morbo contratto in Mesopotamia. Quanto a Giustino, pur rallentando la sua istruzione, poté integrare la cultura scolastica che stava assorbendo con la forte esperienza di quegli anni di lutti e violenze, crudeltà e tradimenti. Un corso intensivo verso la maturità e la conoscenza della vita, nei suoi valori e disvalori.
Questa scuola a suo modo preziosa lo indusse ventenne a ripensare le sue scelte, le aspettative. E a riformulare obiettivi e priorità. Si era avviato a diventare un retore, un oratore: vir bonus dicendi peritus, un uomo probo che sa parlare in pubblico, come Cicerone aveva descritto questa figura centrale della società antica. Ma questo ruolo, nella realtà come nell’ottica di Giustino, si legava a istanze che lui adesso non sentiva più come proprie: primeggiare, convincere per dominare, vendere opinioni in cambio di successo-potere-ricchezza. Era arrivato il momento di cercare, con disinteresse, la verità e i valori, il significato del bene e del male, chi è l’uomo, chi è Dio, cosa è la vita, perché la morte. Era il momento perciò della filosofia. La retorica va bene, pensa Giustino, ma è la filosofia a porre i quesiti etici e metafisici fondamentali, e a tentare le risposte. E solo la filosofia vera, cioè onesta, traduce nella vita concreta la verità e il bene scoperti in teoria. Attorno al 120 risale così la prima conversione di Giustino, quella alla filosofia appunto, vista come una disciplina seria ed etica: la ricerca, teorica e pratica, della verità e del bene. Un quarto di secolo più tardi Marco Aurelio vedrà le cose più o meno nello stesso modo, e farà la stessa scelta.
Ma a quale corrente di pensiero aderire, fra quelle classiche ancora in auge? Il nostro laureato
le percorse un po’ tutte tra i 20 e i 30 anni. Il pitagorismo gli piacque per il suo senso del sacro e lo spirito ascetico; dell’aristotelismo apprezzò la razionalità e la positività; con gli stoici condivise la centralità assegnata alla coscienza morale. Ma più di tutti fu Platone ad attirare il suo spirito: la contemplazione e la ricerca di Dio coltivate nell’Accademia. Tutto bello, vero, arricchente; ma dopo aver attraversato uno dopo l’altro i sistemi di pensiero antichi, Giustino si ritrovava ogni volta più ferrato e insieme più inquieto, più evoluto ma più insoddisfatto. Per lui, in quel II secolo che inaugurava la crisi intellettuale e spirituale del tardoantico, la filosofia non era un processo astratto ma una ricerca vitale che doveva portare alla liberazione interiore, alla salvezza, a una scoperta della verità che fosse anche approdo alla felicità.
Il (relativo) vuoto lasciatogli nella mente e nel cuore dal contatto in parte deludente con le filosofie tradizionali Giustino lo colmò per una via che allora erano già in molti a scegliere e imboccare. Scoprì il cristianesimo, e lo abbracciò con slancio. È lui a dircelo nel suo Dialogo con l’ebreo Trifone, scritto anni dopo. Ci narra della sua vana ricerca di luce-pace, di un ritiro in un luogo solitario vicino al mare, forse Efeso; descrive l’incontro con un vecchio che gli addita il Cristo, Verbo incarnato preannunciato dai Profeti, come la soluzione per trovare salvezza-sapienza-felicità; infine ricorda la sua lettura-rivelazione della Bibbia e il suo battesimo, forse ad Alessandria. C’è letteratura in questo diario
, c’è una certa maniera; ma la sostanza, cioè la conversione al cristianesimo, è reale e profonda. E lo riscontriamo subito.
Da quel momento, siamo verso il 130-131, Giustino aggredisce la vita e il mondo con una forza, lucidità e fedeltà straordinarie, tipiche del convertito che si sente anche missionario. Ma occorre chiarire. Egli è e resta filosofo, sa di esserlo e vuol continuare quel percorso, col suo pallio indosso che non deporrà mai, come un giorno farà Marco Aurelio da ragazzo. Il neofita di Sichem continua a credere nei filosofi, Eraclito, Platone, Socrate, e vede quest’ultimo addirittura come un profeta del Verbo divino; per lui non va respinto quasi nulla della sapienza antica, che ha valore in sé, ma soprattutto è propedeutica alla fede cristiana e ha, se non scoperto, almeno intuito e intravisto certi misteri della rivelazione divina. Così, primo nella storia del pensiero e della letteratura cristiani, Giustino creaquasi dall’oggi al domani il dialogo fra cristianesimo e cultura classico-pagana, ritagliando su di sé la figura nuova del pensatore-annunciatore cristiano e dedicando la vita a proporre il Vangelo di Cristo in chiave filosofica, a convincere-convertire gli intellettuali pagani. Da laico qual è, perché diversamente da tutti gli altri autori cristiani antichi non è vescovo, né presbitero, né monaco. Il mancato oratore sofista ben pagato diventa gratuitamente, per fede e per passione, l’instancabile maestro-apostolo della prima filosofia cristiana.
Ma ecco un’altra tempesta, la peggiore. È la Terza Guerra Giudaica, dovuta ancora alle rivolte degli Ebrei e alla reazione durissima di Roma. Ora l’imperatore è Adriano, che manda in Palestina ben 12 legioni, oltre 60 mila uomini. Gli Ebrei – guidati da Bar Kokheba, che per il popolo era il Messia inviato da Dio a scatenare l’ultima guerra contro la potenza demoniaca dei dominatori – sono di più ma assai peggio armati, addestrati ed equipaggiati rispetto ai soldati della superpotenza romana. Il conflitto dura dal 132 al 135 e stavolta l’occhio del ciclone è la Giudea. Secondo lo storico Cassio Dione (che esagera) muoiono quasi 600 mila Ebrei e vengono distrutti più di 1000 tra fortezze e villaggi. Pure Sion è ridotta in macerie e vi sorgeranno palazzi e templi romani, i cui resti sono ancora lì. Non si chiamerà più Gerusalemme ma Aelia Capitolina, in onore di Elio Adriano Augusto, il vincitore. Il clima ora è opprimente, sbandati e rovine ovunque, la gente uccisa o deportata. In tanta desolazione a chi e come predicare e insegnare Cristo-Verità, la via del bene, l’amore che salva? Giustino se lo chiede, e mette in conto l’ipotesi di partire.
2. Maestro a Roma
Qualche viaggio lo aveva fatto, di città ne aveva viste – come Efeso, Alessandria – in quel mondo ellenistico e grecofono così omogeneo culturalmente, creato da Alessandro Magno e ora unito da Roma. Scrittori, oratori, filosofi vi si trovavano a loro agio come rane intorno a uno stagno, il Mediterraneo, secondo una metafora di Platone messa in bocca a Socrate, e anzi ci nuotavano sicuri come pesci nell’acqua, da un porto all’altro, da un centro di cultura all’altro, in un impero già globale. Anche Giustino iniziò a spostarsi, come i colleghi conferenzieri; lui però, cristiano fervente, seguiva la scia degli Apostoli, dei primi evangelizzatori, di Paolo. Non da semplice predicatore ma in modo nuovo, da filosofo credente, uomo di pensiero oltre che di fede, che parlava non in chiesa o nelle assemblee liturgiche ma nelle aule o all’aperto, e dialogava più che altro con i pagani, i greci, gli intellettuali, i chierici ellenisti. Proponendo loro un Cristo e una religione da comprendere con la ragione, la sapienza umana, le risorse intellettuali messe insieme dal pensiero greco, prima di assorbirli con la fede e il Vangelo: una religione, spiegava il maestro di Sichem, con dei valori morali nuovi e superiori. Come l’amore fraterno e la condivisione dei beni, che aveva visto vivere nelle comunità cristiane via via visitate.
I suoi non erano perciò sermoni ma discorsi, lezioni, esposti come tali a critiche e obiezioni, che fioccavano in quegli uditòri preparati e consapevoli. Giustino poi non intimidiva come altri oratori, era affabile, quasi disarmato umanamente, interessato a illuminare la mente altrui e ad arricchirne l’anima; così, pagani ed ebrei a volte lo contraddicevano vivacemente. Come il rabbino Trifone, a Efeso, verso il 135, in un acceso dibattito fra i due che fece epoca, e che più tardi Giustino avrebbe steso sui papiri nel Dialogo cui si è accennato. Tutte queste situazioni scomode ebbero l’effetto, da un lato, di accrescere l’impegno etico-spirituale del nostro maestro ad aiutare gli altri nella ricerca della verità e del bene; d’altro canto, l’esigenza di farsi ascoltare da quel mondo ideologicamente e religiosamente plurale e di rispondere alle sue domande, faceva sorgere con Giustino una figura inedita nella storia della filosofia e della religione, non solo cristiana. Stava nascendo l’apologista, il cultore di un genere letterario (e di un lavoro culturale) nuovo e diverso, vòlto alla difesa ma anche alla proposta, cioè al dialogo. Su questa via Giustino avrebbe segnato una tappa fondamentale nel cammino dell’evangelizzazione e del pensiero cristiano.
In giro per il Mediterraneo orientale e i Paesi rivieraschi, Egitto, Cirenaica, Siria, Cilicia, e nelle maggiori città, come le già ricordate Alessandria ed Efeso, cui si aggiungono Smirne, Mileto e altri centri importanti, Giustino svolge così la sua attività-missione di oratore e di filosofo intento a divulgare un cristianesimo aperto, dialogante e conciliante con la filosofia classica. Studenti e intellettuali pagani lo ascoltano e alcuni si lasciano convincere, convertendosi al cristianesimo ma anche a una visione filosofica intrisa di religiosità e spiritualità, tipica del tardoantico (si pensi a Plotino, un secolo più tardi). Perciò il pensatore cristiano di Flavia Neapolis, col suo insegnamento itinerante – qui fonda una scuola che dura qualche stagione, lì si aggrega a un’attività formativa già in piedi, altrove organizza alla bell’e meglio una o più lezioni – ci appare come uno dei promotori dell’espansione cristiana subito dopo la generazione apostolica: l’evangelista Giovanni era morto in Lidia, Asia Minore, nel 98-99. Contemporaneamente, Giustino si può considerare un esponente dell’ultima stagione della filosofia antica, che lui stesso contribuisce a orientare in senso eclettico e spiritualista.
Il nostro rhetor cristiano ha un certo successo con i giovani, in genere gli uditori lo ammirano e gli