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Sentinelle dei deserti
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E-book202 pagine2 ore

Sentinelle dei deserti

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Gli antichi eremiti cristiani sapevano guarire le malattie, dominare le forze della natura, prevedere il futuro; lottavano contro i demoni e conversavano con gli angeli; vivevano un'esistenza di stenti e privazioni difficile da immaginare, che li poneva però in una condizione privilegiata nel rapporto con Dio; dimoravano nelle solitudini dei deserti o in aride lande, ma godevano al tempo stesso di rilievo sociale e grande prestigio. Bastano queste poche caratteristiche a delinearne l'eccezionale profilo: la loro straordinaria storia si sviluppò nel mondo romano tra il III e il VII sec. d.C., in particolare nei territori di Egitto, Siria, Palestina e Asia Minore. Questo libro ripercorre le vicende dei "solitari", proponendo nuove prospettive di studio ed evidenziando un aspetto finora inedito:nello stesso arco cronologico alcune donne decisero di seguire la strada dei Padri del deserto e divennero eremite; scegliendo forme di solitudine adeguate alla natura femminile, sfidarono i pregiudizi di quel tempo e trovarono la loro strada verso la "Città di Dio".
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2009
ISBN9788896720295
Sentinelle dei deserti

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    Anteprima del libro

    Sentinelle dei deserti - Luca Martini

    PARTE PRIMA

    I. L’ANACORETISMO MASCHILE

    I.1 Nascita e sviluppi (III-VII secolo)

    Teodoreto di Ciro, riferendosi in particolare alla situazione della Siria, descrive varie categorie di monaci, ossia di uomini solitari, secondo l’etimologia della parola¹: Alcuni […] combattono in gruppo, e di questi ce ne sono decine di migliaia per cui è impossibile ogni calcolo, e raggiungono la vetta desiderata riportando corone incorruttibili; altri acquistano fama abbracciando la vita solitaria per dedicarsi alla conversazione con Dio e rinunciano così ad ogni conforto umano; altri vivono sotto le tende o in tuguri, innalzando lodi a Dio; altri ancora preferiscono vivere in grotte o in caverne. Ci sono pure coloro […] che rinunciano alla grotta, alla caverna, alla tenda, al tugurio per esporre i loro corpi all’aria aperta e quindi all’inclemenza del tempo, sopportando così tanto il gelo del freddo intenso, quanto i raggi ardenti del sole. Questi ultimi, poi, si differenziano tra loro per vari comportamenti di vita. Alcuni, per esempio, trascorrono in piedi l’intera giornata, altri ora in piedi ora seduti, altri si servono di un recinto per evitare il contatto con la gente, altri, infine, non hanno alcun riparo e si espongono alla vista di tutti². La testimonianza di Teodoreto è arricchita e completata dalle parole di Gerolamo che, rivolgendosi alla vergine Eustochio³, distingue, nella tradizione egiziana, tre tipi di monaci: i cenobiti, gli anacoreti e i remnuoth: "Ci sono in Egitto tre generi di monaci. I cenobiti sono chiamati sauhes nella lingua di quel paese. Potremmo definirli coloro che vivono in comunità; gli anacoreti vivono solitari in luoghi deserti e traggono il loro nome dal fatto che si sono ritirati dalla società umana; un terzo genere, i remnuoth, è disprezzato e tenuto in poco conto"⁴. Nelle definizioni fornite da Teodoreto e Gerolamo l’anacoreta figura, dunque, come un religioso che ha rinunciato alla vita sociale per condurre un’esistenza solitaria. Il monaco accresceva il prestigio personale proprio in forza di tale atto di anachoresis, ossia di ritiro. Un altro termine che indicava questi singolari personaggi era quello di eremita, vale a dire abitante dell’éremos, del deserto, un luogo da sempre visto in contrasto con il mondo organizzato dei villaggi e delle città. L’isolamento di tali uomini tuttavia non era sempre assoluto; giungevano a spezzarlo le riunioni settimanali degli asceti che si incontravano il sabato e la domenica per mangiare e pregare insieme. Questa consuetudine diede origine al cosiddetto semi-anacoretismo che fu largamente praticato, anche se era la solitudine totale a garantire il massimo prestigio⁵. Gli eremiti avevano, infatti, la possibilità di scegliere un isolamento assoluto, ma più spesso si riunivano in colonie, pur praticando l’ascesi singolarmente. All’interno dei villaggi vi erano, poi, degli asceti che vivevano soli⁶, ma tali personaggi non devono essere considerati anacoreti in senso proprio.

    Dal punto di vista cronologico, il fenomeno dell’eremitismo si sviluppò, a partire dalla metà circa del III secolo, in Egitto. In questo periodo alcuni cristiani fuggirono nel deserto per evitare di finire in modo cruento la loro esistenza: l’Imperatore Decio aveva, infatti, scatenato una persecuzione contro di loro. Questo evento, sebbene avesse portato gruppi di fedeli a condurre, per qualche tempo, la vita in terre inospitali, non fu determinante per l’inizio di una vera e propria anacoresi. Solamente alla fine del secolo i solitari, sull’esempio di Giovanni Battista, che Gerolamo considerava il primo anacoreta⁷, cominciarono a popolare la zona del fiume Nilo e l’area del Delta, rinchiusi in grotte o in semplici capanne. Tra di loro vi era Antonio, destinato in futuro a divenire una sorta di paradigma della vita monastica. Il prestigio di questi uo-mini santi, per utilizzare la terminologia proposta da Peter Brown⁸, attraverserà tutto il periodo tardoantico, i cui confini vengono fluidamente stabiliti dalla storiografia più recente fra il IV e il VII secolo⁹, anche se la valenza sociale dell’uomo santo comincia a declinare già a partire dalla fine del V¹⁰.

    L’Egitto, una sottile striscia di terra fertile circondata dalle sabbie del deserto, era stato il teatro delle prime gesta dei solitari. Dal punto di vista geografico questa regione è caratterizzata, ad oriente del fiume Nilo, dal deserto arabico, una zona rocciosa e sassosa con montagne che arrivano ai duemila metri di altezza. Verso occidente si estende un’altra fascia desertica all’interno della quale svetta un altopiano calcareo. Gli asceti egiziani collocarono i loro primi insediamenti proprio in tale zona, poco lontano dal delta del Nilo. Antonio si stabilì, però, nel deserto orientale, nei pressi del Mar Rosso. Nell’area occidentale del Basso Egitto agì, invece, un eremita di nome Ammun. Costui era un produttore di balsami che era stato costretto a sposarsi molto giovane dai suoi familiari, secondo le consuetudini del tempo. Egli, tuttavia, spiegò con pazienza alla moglie i vantaggi della condizione verginale e della continenza e le propose di condurre vita separata. La giovane donna rifiutò di sciogliere l’unione con il marito, ma acconsentì a vivere castamente sotto lo stesso tetto. Ammun rimase con lei per diciotto anni, istruendola nelle Sacre Scritture, dal momento che ella non le conosceva; trascorso questo periodo di tempo la donna, vedendo il fervore religioso del marito, gli consigliò di realizzare pienamente la sua vocazione andando a vivere in solitudine. Ammun, dunque, si ritirò nel deserto di Nitria, in prossimità del luogo ove oggi sorge il villaggio di El-Barnugi, nei pressi della città di Damanhur¹¹. La presenza di tale eremita fece giungere altri asceti nella zona. Questi eventi si verificarono intorno all’anno 315; da quel momento il deserto di Nitria avrebbe iniziato a popolarsi di monaci. Su consiglio di Antonio, Ammun fece stabilire delle colonie di asceti verso l’interno, ad una ventina di chilometri dalla Nitria. Fu questa l’origine dell’anacoresi nel deserto di Kellia, cioè le celle, un luogo inospitale ove i monaci sopravvivevano grazie alla scarsa acqua salmastra che filtrava nelle oasi dal lago Mareotis. Tale zona si trova quasi al livello del mare, ma l’altitudine aumenta procedendo verso meridione per poi digradare nuovamente in una conca in direzione dell’autentico avamposto degli asceti egiziani: Scetis, l’odierna Wadi Natrun. Questo luogo era situato a un giorno e una notte di viaggio da Kellia; l’approvvigionamento idrico era, come si può immaginare, estremamente limitato: si poteva trovare una fonte d’acqua a fianco di laghi pieni di nitrati. Qui, verso il 330, si stabilì Macario che lavorava come cammelliere e conosceva il luogo, in quanto lo frequentava per procurarsi il salnitro¹². Scetis era destinato a divenire il luogo in cui sarebbero vissuti i più famosi anacoreti egiziani; questo deserto lontano rappresentava la perfetta antitesi delle terre abitate; la dicotomia tra éremos e oikoumène era evidente; d’altra parte l’Egitto ha una piovosità di soli ventotto millimetri l’anno e gode di un clima caratterizzato da estati calde ed inverni miti che rendeva particolarmente difficoltosa la vita tra le sabbie¹³. In forza del netto contrasto fra deserto e terre abitate e delle aspre caratteristiche del deserto egiziano, gli anacoreti di questa regione portarono con sé, nel loro isolamento, le abitudini e le usanze dei villaggi; tali asceti difatti, per sopravvivere, lavoravano e tendevano a riprodurre i modi di vita dei luoghi abitati. Gli Apoftegmi dei Padri, celebre raccolta di detti, sono indicativi in proposito, poiché rappresentano una autentica summa di saggezza popolare e di capacità pratica di adattamento ad un ambiente ostile.

    Un altro aspetto degno di nota riguarda la rappresentazione ideale che la gente comune aveva di questi straordinari asceti. Nonostante gli eremiti vivessero solamente ad alcuni giorni di cammino all’interno del deserto, la distanza dei luoghi da loro popolati era percepita come immensa dagli abitanti dei villaggi. Si credeva che essi si fossero spinti fino agli estremi confini del mondo. Nacque un vero e proprio mito del deserto. La distanza fisica tra l’uomo comune e l’anacoreta, uomo di Dio, equivaleva al distacco del solitario dalle strutture mondane; ritirandosi nel deserto, l’asceta solitario fuggiva il mondo e i suoi costumi diabolici per cercare di creare un’alternativa in questa antitesi della vita sociale.

    Anche se l’Egitto rappresentava una pietra miliare nello sviluppo del monachesimo, gli eremiti e i monaci che ne percorrevano le strade non avevano, sulla società, l’impatto di quelli che vivevano in altri luoghi. Si pensi, ad esempio, agli uomini santi comparsi in seguito in Siria e agli asceti della Palestina e dell’Asia Minore che entrarono più profondamente in rapporto con il tessuto sociopolitico delle loro regioni. Le motivazioni di questa diversa valenza sono molteplici, ma vanno ricercate anche nella diversità di configurazione geografica di tali territori. La Siria in effetti non era caratterizzata da un’opposizione molto marcata fra deserto e terre abitate, come l’Egitto; le steppe della Calcide, per esempio, potevano contare su una piovosità che, sebbene fosse ridotta, era pur in grado di soddisfare i bisogni dei solitari che vivevano all’interno delle fortificazioni romane abbandonate. Essi, infatti, usufruivano dell’acqua che si raccoglieva in tali costruzioni. I monaci, in questa regione, non si addentravano nelle profondità del deserto, ma vivevano nella fascia a cavallo del confine tra le distese aride e le terre abitate. Nella zona costiera la divisione tra éremos ed oikoumène era data dall’altitudine: gli anacoreti dimoravano infatti sulle alture, osservando, da quella posizione, la vita nei villaggi della pianura. Il monachesimo siriano si diffuse indipendentemente da quello egiziano ed assunse quasi esclusivamente la forma dell’anacoretismo. Pare che in Siria il primo eremita fosse stato Aone, stabilitosi nei pressi della città di Carre all’inizio del IV secolo¹⁴. La stagione dei grandi uomini santi operanti in tale territorio, si colloca proprio tra il IV e il V secolo; in tale periodo si diffuse la fama di asceti straordinari: dagli stiliti, che si stabilivano sulla sommità delle colonne, ai pascolanti che vagavano nutrendosi di erbe e radici, ai solitari dediti ad ogni sorta di penitenza e capaci di compiere miracoli e prodigi. Successivamente, gli anacoreti comparvero anche in Asia Minore, regione che presentava condizioni, sotto alcuni punti di vista, simili a quelle della Siria; anche in questo caso, infatti, éremos ed oikoumène convivevano a stretto contatto. Sotto il profilo geografico l’Asia Minore è contraddistinta nella fascia centrale dal vasto altopiano dell’Anatolia, corrispondente all’antica Cappadocia. Tale struttura, all’interno della quale si trovano paludi e vulcani, è circondata a nord da montagne che la separano dal Mar Nero e a sud-est dalla catena del Tauro; l’altopiano presenta un clima tipicamente continentale, con inverni rigidi ed estati calde. Lo storico Sozomeno, sottolineando le difficoltà poste dalla situazione ambientale, riteneva che i monaci di tale regione risiedessero prevalentemente nelle città e nei villaggi proprio a causa delle condizioni atmosferiche particolarmente sfavorevoli che si registravano nelle stagioni fredde e che avrebbero impedito la vita nelle fasce di territorio extraurbano come boschi o montagne¹⁵. Una visione di questo genere, però, non è aderente alla realtà dei fatti e tende a semplificare oltremisura il problema. La tipologia degli insediamenti monastici presenti in Asia Minore in realtà si avvicinava notevolmente al modello siriano di cui si è discusso in precedenza. Sebbene le città, e in particolar modo Costantinopoli, ospitassero un considerevole numero di asceti, numerosi uomini santi ed eremiti popolavano aree isolate ed inospitali. Per una frangia di monaci rigoristi, in effetti, la vita a contatto con la società umana era incompatibile con le esigenze della vita contemplativa e della quotidiana ricerca di Dio. Lo slancio derivante dal fervore religioso era dunque sufficiente a superare le barriere poste dall’ambiente. I solitari si stabilivano sui monti, nei boschi o nelle lande desolate; un tipico insediamento anacoretico dell’Asia Minore era Prusa, sulla catena dell’Olimpo, una zona in cui, peraltro, agivano bande di briganti.

    Un altro aspetto interessante del monachesimo fiorito nei pressi dell’altopiano Anatolico era rappresentato dal rilievo assunto, al suo interno, da varie comunità ereticali come i Novaziani¹⁶ o gli Encratiti¹⁷. Testimonia tale fatto la figura del noto anacoreta novaziano Eutiche, vissuto a cavallo del III e del IV secolo, proprio in questa regione. Una differenza macroscopica tra il monachesimo sviluppatosi in Asia Minore e quello siriano era evidenziata dal ruolo che i due movimenti svolsero in rapporto alla conversione della popolazione rurale al Cristianesimo nel corso dei secoli IV e V; mentre in Siria i monaci erano estremamente attivi in questa direzione, sia con la predicazione sia, talvolta, con la violenza, il ruolo degli Anatolici risultava invece notevolmente limitato. In Asia Minore sopravvissero piuttosto a lungo, invero, pratiche di carattere pagano che non sembravano però rappresentare una seria minaccia per la Chiesa; la persistenza degli antichi culti si poteva riscontrare, in forma intensa, anche in alcuni centri urbani, fra cui Afrodisia, in Caria¹⁸.

    Un paesaggio diverso caratterizzava la Palestina che, dai tempi della conquista romana, aveva goduto di un periodo di pace piuttosto lungo. Questa regione presenta un clima di tipo mediterraneo che favoriva allora l’agricoltura nella zona centro settentrionale, mentre l’area sud-orientale, meno popolata, era animata da una fiorente attività commerciale. Il deserto di Giuda, osservabile dal Monte degli Ulivi, appariva invece aspro e severo; la sua desolazione faceva da contraltare alla Palestina agricola e sembrava quasi simboleggiare la vanità dei beni e dei piaceri umani. In tali luoghi si ritiravano vari anacoreti per periodi più o meno lunghi. In Palestina l’attività monastica era caratterizzata dalla presenza della laura, una sorta di combinazione fra eremo e monastero; si trattava di una serie di grotte vicine e situate in luoghi isolati in cui si poteva vivere sia come anacoreti sia come cenobiti; le laure più famose erano quelle di Eutimio e di

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