Bea e Matte - Cronache dell'incredibile
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Anteprima del libro
Bea e Matte - Cronache dell'incredibile - Giovanni Campana
Giovanni Campana
BEA E MATTE
CRONACHE DELL’INCREDIBILE
Elison Publishing
Disegni presenti sono opera dell'autore.
© 2021 Elison Publishing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 9788869632600
A Beatrice
Indice
1.
LE SOLITE INGIUSTIZIE.
2.
LA GRANDE PARTITA DI RUGBY.
3.
UN UOMO IN MARE!
4.
LA BICICLETTA VOLANTE.
5.
IL COSO DEL COSO.
6.
QUESTA STORIA NON È VERA!… O FORSE SÌ?…
7.
I MISTERI DI INTERNET.
8.
GATTA CI COVA.
9.
GUERRA DI SPIE.
10.
CYBERTOPO.
11.
Il MALEFICO PIANO DELLE KK.
12.
PERICOLO SVENTATO, MA…
13.
IL FASCINO DELL’IGNOTO.
14.
EROICHE LOTTE.
15.
L’ENIGMA DELLA SCOMPARSA.
16.
UN TOPO IN CLASSE!
17.
A CARTE SCOPERTE.
18.
ERA TUTTO VERO, TUTTO VERO!
19.
AVVENTURE E DISAVVENTURE NEL MONDO VIRTUALE.
20.
UN SEGRETO IN BIBLICO.
21.
I FINESTRONI DELLA FANTASIA.
22.
È LEI!
23.
SULLA VIA DEL RITORNO.
24.
BELLA, LA LIBERTÀ!
25.
TUTTI IN GITA!
L’AUTORE.
1.
LE SOLITE INGIUSTIZIE.
Tutto ebbe inizio una mattina di ottobre, al rientro in classe dopo la ricreazione. C’era italiano, con la maestra Giusy.
Oggi compito in classe
, aveva detto Giusy, e la classe aveva cominciato a rumoreggiare. La maestra si era semplicemente dimenticata di avvisare la classe che quel giorno ci sarebbe stato il compito in classe, e adesso farglielo notare senza che lei si innervosisse non era affatto facile.
Allora, come al solito, Beatrice, con addosso gli occhi di tutti che si raccomandavano a lei, aveva alzato la mano con aria molto educata, procurando di tenere stampato sul viso un mezzo sorriso che voleva segnalare un lieve imbarazzo, qualcosa da chiarire un po’ meglio (la classe mandava sempre avanti lei quando c’era qualcosa da sbrogliare con le maestre).
Giusy, scusa – si rivolgevano alla maestra proprio in questo modo: Giusy qui, Giusy là, e lo stesso con le altre maestre – sai che proprio non mi ricordavo che oggi c’era il compito in classe?… ma quand’è che ce l’hai detto? Dev’essermi sfuggito… E così non ho portato il foglio protocollo… Ma voi – Beatrice si era rivolta sapientemente alle compagne più vicine e poi a compagne e compagni di tutta la classe – voi l’avete portato il foglio protocollo?
Si era alzato un coro di Io no…
, Io no…
, Macché…
.
Come Beatrice, anche compagne e compagni della classe avevano assunto un’espressione dispiaciuta… E intanto si lanciavano tra loro velocissime strizzatine d’occhio:
Anche a me non sembra di ricordare…
(Tommaso)
Com’è possibile? Tu ce lo dici sempre un bel po’ prima, Giusy…
(Martina)
Si vede che ci è sfuggito.
(Julian)
E via di questo passo: Giorgia, Adam, Enrico, le due Sara (Sara e Sarah), Linda, Tommaso, Ahmed, ecc..
Davanti a tutte quelle facce momentaneamente angeliche, la maestra Giusy, che all’inizio era stata sul punto di stizzirsi, si era calmata quasi subito e adesso stava ormai per rinunciare all’idea del compito in classe. Che stava per cedere si capiva benissimo, infatti aveva incominciato a fare appunto la faccia di quando stava per mollare, una faccia che voleva dire:
Lo vedete come sono buona, io? Eh? Lo vedete che alla fine chiudo un occhio e ve la do sempre vinta? Eh?
Poi queste cose le diceva davvero, più o meno con le stesse parole, e finiva con frasi del tipo: Ricordatevelo, ciurma da strapazzo!
Giusy era un tipo piuttosto pepato, è vero, una da non prendere contropelo, ma, quando li chiamava ciurma di pirati
o i miei mostri
o altre belle definizioni di questo genere, si capiva che lei a quella classe voleva un gran bene… Insomma, guai a chi gliela toccava, la sua classe (che, però, voleva anche dire che lei sì, che poteva strapazzarla…). Aveva detto appunto ciurma da strapazzo
, perciò era fatta, ormai. L’unico che non si era accorto del cambiamento della situazione era Matteo, che non si accorgeva mai di niente. E così, da quel genio che credeva di essere, era saltato su nel modo più sgraziato e maleducato possibile:
Ma che cavolo di compito in classe è saltato fuori, adesso! Io non faccio nessun compito in classe, non faccio!
e si era messo imbronciato con le braccia conserte e il capo chino a guardarsi il bianco sporco delle scarpe da ginnastica attraverso la zona d’ombra tra lui e il banco.
Ah sì? Se la mettette così, compito in classe!
Nooo!
il coro era stato pieno e prolungato, ma ormai il progetto di ingraziarsi la maestra con sorrisini e complimenti era andato in fumo.
Giusy aveva proseguito come se nemmeno si accorgesse delle proteste:
…E chi non ha il foglio protocollo, ne prenda uno nell’armadio, che ce ne sono finché si vuole; o se lo faccia imprestare.
Tutto per colpa di Matteo!
Ma, Giusy, noi cosa c’entriamo?
Ma faglielo fare solo a lui il compito!…
Non è giusto!… scusa eh, ma non è giusto!…
Ma lei era uscita con una delle sue insopportabili frasettine:
Dai, che non vi fa mica male scrivere un po’… Anzi: dovreste ringraziarlo quel maleducato di Matteo, che grazie a lui esercitate un po’ le meningi.
E aveva subito riattaccato con l’aria di chi non ha tempo da perdere:
Dunque: compito in classe! Non preoccupatevi: si tratta semplicemente di parlare di un fatto interessante… scegliete voi liberamente se allegro o triste o avventuroso… quello che vi pare. Dovete un po’ raccontare, un po’ descrivere, un po’… eccetera; voglio almeno tre o quattro facciate. Ma questa volta deve trattarsi di un fatto vero, e se non è vero, io non devo nemmeno accorgermene. Insomma, non una storia fantastica. Chiaro?
A questo punto, come al solito, era saltata su quella pitocchina di Celeste:
Giusy, non credo di aver capito…
E allora scrivi! Su! Parti!
Era il suo modo di risponderle; non molto logico, in effetti, ma in genere piuttosto efficace. E aveva aggiunto:
Daidaidài! Lavorare!
.
Poi, rivolta alla classe:
Pronti? Avanti! Scrivere scrivere scrivere!
Era questo il metodo della maestra Giusy per fare le cose, qualunque genere di cose: farle! Subito e senza storie! E se uno si fermava perché magari non gli veniva nessuna idea, lei subito lo beccava a non far niente
, come diceva lei, e pretendeva che partisse immediatamente.
E se quello diceva:
E’ perché sto pensando un momentino
, lei subito replicava:
Ma cosa stai a pensare? Pensa con la punta delle dita! Indice-pollice-medio: sono loro che spingono la penna! Dai, su, avanti!
E poi, subito: Sei ancora lì? Fra quindici secondi vengo a vedere a che punto della storia sei arrivato.
E quello:
Ma…
Allora lo fulminava con un urlo da far tremare i vetri:
Scriviti!!!
Così era iniziato tutto quanto. Non poteva immaginare Beatrice quanto l’avrebbe portata lontano la storia che stava per iniziare a raccontare.
Beatrice si voltò verso Matteo, che stava nella fila accanto. Naturalmente lo aveva già perdonato: se aveva la testa tra le nuvole, non è che fosse colpa sua. E poi con lui era troppo bello, là negli ultimi banchi, ridere e chiacchierare per delle ore intere! Si sporse appena e gli disse, piano, con un sospiro:
Oh, Matte, come vorrei essere con i miei peluches!
Proprio in quello stesso istante anche Matteo si era voltato verso Beatrice, e aveva detto, con un grosso sospiro:
"Oh, Bea, come vorrei essere sul mio bicìvolo!… Ma tu giochi ancora con i peluches?"
Eh? Cosa sarebbe un bicìvolo?… Beh, i peluches… sì… in un certo senso… ma quella dei miei peluches è una situazione un po’ particolare…
"Dico bicìvolo così, per fare lo spiritoso. E’ che ho costruito una bicicletta volante… cioè ho trasformato la mia bici mettendoci ali, coda, alettoni e diversi ingranaggi collegati ai pedali, e altre cose un po’ complicate."
Ma vola davvero?
Certo. Ci manca forse qualche minimo ritocco, poi vola. Ieri stava proprio per staccarsi da terra, ma mia madre mi ha chiamato per la cena e ho dovuto mollare tutto; però ormai ci sono… Se vuoi venire da me, oggi… Scrivi! Scrivi! Che Giusy sta guardando da questa parte… Com’è questa storia dei peluches?
Guarda, è molto complicato da spiegare…
Beatrice smise per un attino di parlare per scrivere un po’: riempire tre o quattro pagine in appena due orette non era mica uno scherzo.
I due parlavano pianissimo. Giusy, anche se non poteva certo sentire, interrompeva ogni tanto il silenzio, che era praticamente perfetto, per dire:
Silenzio!
A volte prolungava un po’ la finale:
Silenzioo!… Silenziooo!
A volte batteva la mano sulla cattedra: bam! E poi, più forte: baamm!
Beatrice e Matteo continuavano tranquillamente le loro confidenze. Appena finivano di dire una cosa, riprendevano a scrivere. In pratica seguivano il metodo di Giusy: pensavano con la punta delle tre dita che tenevano la penna, così mantenevano la mente molto più libera per chiacchierare in pace e, al tempo stesso, procedevano molto più alla svelta nella scrittura. Così, passo passo, la pagina si riempiva. Cosa ci sarebbe poi saltato fuori non era facile immaginarlo…
Vieni tu da me, invece… Ti faccio vedere come funziona la squadra.
Quale squadra?
"Dei peluches… Mio nonno ha scoperto dei modi per muovere gli oggetti a distanza – spiegò Beatrice – usando delle app particolari che ha trovato su internet e che lui ha modificato secondo certe sue intuizioni… Ha provato ad applicarle ai miei peluches, con dei risultati pazzeschi. Si usa un ago magnetico per magnetizzarli, si inserisce la foto, si dà un codice ad ogni peluche per collegarlo al programma, ecc.. e di colpo quelli si mettono a correre, a saltare… Da un po’ di tempo facciamo delle partite di rugby che è un miracolo uscirne interi: si fanno due squadre, il nonno sta alla tastiera del computer a manovrare i peluches – che non so come faccia, con due squadre intere! – io gioco in una delle due squadre, o, a volte, faccio squadra da sola contro tutti."
Possibile? Giura che è vero!
Vieni da me, oggi, così vedi. Magari giochi contro di me nell’altra squadra… E porta con te questa bicicletta volante che mi hai detto!
Così, parlando e scrivendo, le due ore passarono alla svelta e arrivò il momento della campanella. A quel suono, come al solito, fu una specie di liberi tutti.
"Ferrrmi! – Giusy non sopportava che al suono della campanella finale dovesse scoppiare ogni volta il finimondo; era convinta che, se non prendeva subito le redini lei, in quel momento potesse succedere di tutto. A volte doveva fare delle vere e proprie urla per riprendere il controllo:
Óoooo! Óoooo! Qui ci scappa il morto, una volta o l’altra! Seduti! O volete che vi tenga qui un quarto d’ora a sognare i maccheroni?
A quell’ora, soprattutto al martedì e al giovedì, che si pranzava a casa perché non c’era scuola al pomeriggio, i maccheroni o gli spaghetti fumanti della mamma o della nonna erano un miraggio favoloso.
Vedo che quasi nessuno ha finito il compito… – Giusy stette un attimo a pensare… – va beh!, invece di continuarlo la prossima volta in classe, lo finirete a casa per domani
.
Coro di proteste – del tutto inutili, naturalmente – poi la quinta B, sistemati libri, quaderni e astucci negli zaini, si avviò vociando per le scale, per poi disfarsi, tra saluti, risate e progetti per il pomeriggio, in cima alla bella gradinata della vecchia scuola, ai piedi della quale era raccolto un gran fitto di genitori e nonni in attesa di riprendersi bambine e bambini da riportare a casa.
img1.png2.
LA GRANDE PARTITA DI RUGBY.
No, Astrid, no! Non si può gettare roba dall’alto!
…
Come dimostrazione iniziale, Beatrice aveva voluto che Matteo assistesse alla versione sola contro tutti, ed ora aveva la peggio. La partita si svolgeva come sempre in garage, sul grande letto matrimoniale in ferro battuto, con trapuntone color oro, che vi era provvisoriamente sistemato da diversi anni (mentre quella vecchia carriola della millequattro era provvisoriamente parcheggiata in strada all’altro lato della palazzina). Il nonno stava al monitor con le dieci dita delle due mani che impazzavano sulla tastiera, tamburellando come a casaccio a gran velocità, mentre Matteo, sprofondato in una vecchia poltroncina a fiori mezza distrutta, osservava stupefatto quel vero e proprio putiferio, piegandosi ogni tanto di lato per sbirciare sul monitor del nonno.
Beatrice era rannicchiata a pancia in giù a tenere la palla sotto di sé con tutte le forze, mentre attorno e sopra di lei un nugolo di peluches, pupazzetti, bambole di pezza di tutti i generi e di tutte le dimensioni le correvano e saltavano addosso in una incredibile scorribanda su e giù per tutto il corpo, tirandola e spingendola da ogni parte.
Astrid! No!!
Aveva un bel da gridare, Beatrice. Nelle loro partite, trasgredire le regole era ormai la regola principale. Mentre, a testa bassa, Panda Filippo, il più forzuto di tutti, cercava di incunearsi nel fianco sinistro e Menny Meggy e Nikki Pikki tentavano di passare sotto il fianco destro, Astrid, una topina di grandezza medio-piccola (principessa – o, per lo meno, con un piccolo diadema da principessa sulla testa – viziata, bugiardissima) svolazzava al di sopra grazie al bianco mantello volante che proprio Beatrice le aveva regalato per halloween e che era ricavato da una pezza di lenzuolo originale di fantasma della Cornovaglia (Beatrice lo aveva trovato semplicemente in una bancarella al mercato). Astrid faceva vere e proprie incursioni aeree: al primo giro aveva rovesciato dall’alto sui capelli di Beatrice un intero sacchetto di polvere di gessetti colorati, al secondo giro trucioli del temperamatite, adesso, al terzo giro, ondeggiava là in alto sbattacchiando il mantello-lenzuolo in modo da restare ferma diritta al di sopra della sua testa e le versava dei pochini di colla vinavil ben distribuiti su tutta la chioma.
Affondando la faccia nel trapuntone per stringersi con tutte le forze in difesa della palla, Beatrice faceva uscire una