Il segreto della cameriera: Harmony Collezione
Di Kate Hewitt
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Info su questo ebook
Maisie Dobson sta servendo a un tavolo quando incrocia il penetrante sguardo di Antonio Rossi, il padre di sua figlia! Scaricata dopo una notte da capogiro, lei non gli aveva rivelato di essere in dolce attesa.
Un segreto rivelato.
Ora Antonio sembra più che mai deciso a far valere i propri diritti, ma Maisie sa bene di doversi proteggere dall'intensità dei sentimenti che prova per lui e che non si sono affievoliti col passare del tempo. Perché i milionari non sposano le cameriere... o forse sì?
Kate Hewitt
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Il segreto della cameriera - Kate Hewitt
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1
Il trentaduesimo piano del palazzo di uffici era buio e spettrale quando Maisie Dobson spinse il carrello delle pulizie lungo il corridoio. Il cigolio delle ruote era l'unico suono in tutto l'edificio, e la giovane si ritrovò a rabbrividire. Nonostante fossero ormai sei mesi che faceva il turno di notte, ancora non era riuscita ad abituarsi a quell'atmosfera ultraterrena. In realtà nel palazzo c'erano anche altri suoi colleghi, ma ciascuno era impegnato su un piano diverso, e così tutti si ritrovavano ad aggirarsi per locali silenziosi e semibui, l'oscurità appena attenuata dalle luci di Manhattan che filtravano dalle vetrate a tutta altezza.
Erano le due di notte e Maisie cascava dal sonno. Oltretutto, il mattino successivo avrebbe avuto lezione alle nove in punto... rischiava davvero di crollare addormentata! Ma la scuola di musica era sempre stata il suo sogno. Peccato solo che, per potersela permettere, fosse costretta a lavorare di notte. Ma sì, in fondo andava bene così. Era abituata a rimboccarsi le maniche.
La ragazza si bloccò di colpo, i capelli che le si rizzavano sulla nuca: l'ufficio in fondo al corridoio era illuminato. Con il cuore che correva all'impazzata, Maisie si costrinse ad avanzare.
Giunta davanti all'ufficio incriminato, prese un respiro profondo e sporse il capo oltre il battente scostato. C'era un uomo!
E che uomo! Capelli corvini, sopracciglia dal taglio deciso, ciglia folte che ombreggiavano zigomi scolpiti. Le dita lunghe e virili stringevano un bicchiere di whisky mezzo vuoto.
Si era tolto la cravatta e slacciato i primi bottoni della camicia, così che tra le pieghe candide del tessuto si intravedeva una striscia di petto muscoloso e abbronzato. Era magnetico, al punto che Maisie si ritrovò a muovere un passo verso di lui senza neppure rendersene conto.
Percependo la sua presenza, l'uomo alzò il capo e le conficcò addosso due occhi azzurri e penetranti.
«Ehilà, buongiorno.» Strascicava le parole, ma la voce era calda, sensuale, con un lieve accento. «Come staaai? È una serata bellissima, non trovi?»
Cielo, quegli occhi. Non erano solo magnifici, ma anche... angosciati. Maisie fece un altro passo.
«Io sto bene» rispose togliendo dalla sua portata la bottiglia di whisky, ormai quasi vuota. «La domanda vera, qui, è un'altra: come stai tu?»
Lui rovesciò indietro la testa. «Come sto io? Gran bella domanda.»
Guardandolo, Maisie si sentì stringere il cuore. Pover'uomo, quant'era triste.
Chissà se posso aiutarlo?
Aveva sempre avuto tanto amore dentro di sé, e così poche persone a cui donarlo. Essenzialmente Max, suo fratello, ma ormai si era reso indipendente.
Com'è giusto.
Certo, certo. Doveva solo continuare a ripeterselo...
Lo sconosciuto si raddrizzò. «Sì, sì, è davvero bella. Dovrei stare bene, giusto? Dovrei stare alla grande.»
«Ah, sì? E come mai?» Adesso era incuriosita, oltre che solidale. Chi era quell'uomo? Non aveva l'aria del semplice impiegato. In quell'ufficetto banale sembrava fuori posto, troppo potente.
«Perché dovrei stare alla grande? Oh, per tantissime ragioni.» Il bel tenebroso inarcò un sopracciglio mentre un sorriso divertito gli incurvava le labbra. «Tanto per cominciare, sono ricco sfondato. E poi sono potente, all'apice della carriera, e posso avere qualunque donna desideri.» Intrecciò le dita e allungò le mani sopra la testa fissando il soffitto, in una posa stranamente vulnerabile. «Possiedo ville a Milano, Londra e Creta. Ho uno yacht enorme, un jet privato... Devo continuare?» chiese con un'occhiata sardonica.
«No.» Maisie si costrinse a deglutire, spiazzata da quell'elenco. Eh, già, quell'uomo non era un impiegato. Probabilmente lavorava all'attico, tra i vicepresidenti e gli amministratori delegati, o addirittura aveva un piano tutto per sé. Ma chi diavolo era? «Però sono grande e vaccinata per sapere che i beni materiali non danno la felicità.»
Anche se di sicuro aiutano, pensò tra sé. Personalmente, non c'era stato minuto della sua vita in cui non avesse dovuto lottare con il centesimo, mentre i lupi grattavano alla porta, pronti a balzare su lei e Max.
«Sei grande e vaccinata?» Le rivolse un'occhiata divertita. E interessata. «A vederti, ti si direbbe ancora sui banchi di scuola.»
«Ho ventiquattro anni!» replicò lei in tono solenne. «Però sì, in effetti vado anche a scuola. Gli uffici li pulisco di notte.»
«Eh sì, è proprio notte.» Lo sconosciuto guardò fuori. Le luci del Chrysler Building si stagliavano contro un cielo buio e impenetrabile. «Scura, fredda, nera notte.»
La sua voce monocorde e il tono straziato diedero a Maisie un brivido d'apprensione. «Perché sei qui? A quest'ora, a bere tutto solo, in un palazzo vuoto?» indagò con dolcezza.
Lui tacque a lungo, lo sguardo sempre puntato all'esterno. D'un tratto, come un cane che si scrolli di dosso la pioggia, si voltò a guardarla con un sorriso luminoso. «Ma il palazzo non è vuoto, e io non sono da solo. Bevi con me!» la invitò spingendo il bicchiere verso di lei.
«Ma io non posso...» Maisie fece un passo indietro. «Sto lavorando.»
«E dimmi, che lavoro fai?»
«Pulisco gli uffici. Questo è l'ultimo.»
«Ah, quindi hai quasi finito.»
In effetti sì, ma non importava.
«Non posso lo stesso» replicò, ferma. «Anzi, dovrei proprio rimettermi all'opera...»
Lui si guardò intorno. Una scrivania, un paio di poltroncine, un divano accostato alla parete.
«Quanto può mai esserci da pulire?»
«Devo spolverare dappertutto, vuotare i cestini, passare l'aspirapolvere...»
Chissà perché, Maisie si sentì avvampare mentre elencava quei compiti umili.
«Ma allora lasciati aiutare! E poi berremo insieme.»
Lo fissò, sbalordita da quell'offerta del tutto imprevista.
«Ma no, non devi...»
«Voglio.»
Balzando in piedi con sorprendente vigore, visto tutto quello che si era scolato, lo sconosciuto andò al carrello e si armò di straccio e spray antipolvere.
«Pronto!»
Raggruppati in una pila tutti i documenti sparsi sulla scrivania, spruzzò l'antipolvere sul ripiano mentre Maisie lo guardava a bocca spalancata. Quella sì che era una novità! Le era capitato di incrociare impiegati che facevano le ore piccole al lavoro, ed era già tanto se le concedevano di lavorargli intorno mentre si smascellavano in sospiri teatrali, mirati a farle capire quanto li stesse infastidendo. In quei casi puliva in fretta e furia, scusandosi contrita.
Sistemata la scrivania, l'uomo passò al tavolino davanti al divano. La guardò, gli occhi ora sorridenti e allegri.
«Ehi, stai facendo fare tutto a me! Inizio a pensare che tu sia una pigrona.»
«Ma chi sei?» sbottò Maisie.
«Antonio Rossi» replicò lui, passando al cestino, che svuotò nel sacchetto della spazzatura appeso al carrello. «E tu?»
«Maisie.»
«Piacere di conoscerti, Maisie.» Con un cenno del mento, indicò l'aspirapolvere. «Manca solo quello, poi possiamo bere.»
Era adorabile. Antonio fissò la sconosciuta con occhi trepidanti.
No, non più sconosciuta... Maisie, giusto? Sì, sì, ha detto così.
Una gran cascata di riccioli biondo rame e grandi occhi verdi, efelidi che punteggiavano il nasino come polvere d'oro e una figuretta procace celata a stento dalla divisa, un informe grembiulone azzurro.
Oh, sì, aveva proprio voglia di bere con lei. Aveva un gran bisogno di dimenticare, e nel corso degli anni aveva imparato che il metodo migliore per riuscirci era l'alcol. Secondo, quasi a pari merito, al sesso.
Impaziente, le tolse di mano l'aspirapolvere.
«Lascia, faccio io» comunicò iniziando a pulire.
Il ronzio dell'elettrodomestico saturò l'ufficio e gli vibrò nel petto, per poi cedere di nuovo il passo al silenzio quando infine staccò la spina e avvolse piano il cavo intorno all'impugnatura.
Maisie continuava a fissarlo stupefatta.
E va bene, sto cercando di sedurla.
Ma che male c'era? La scelta sarebbe comunque spettata a lei, alla fine. Che senso aveva sentirsi in colpa pure per quello? Aveva già abbastanza peccati da scontare.
Oltretutto, magari non sarebbero affatto arrivati a quel punto. Magari era sposata, o fidanzata.
Eppure, la scintilla che era scattata tra loro fin dall'istante in cui si erano guardati negli occhi...
Solo per assicurarsi di averci visto giusto, le sfiorò le dita con le sue mentre accantonava l'aspirapolvere, e la vide incendiarsi. Oh, sì, c'era. C'era eccome.
«Allora, quel bicchierino?»
«Sul serio, non dovrei...»
Stava già cedendo. Antonio cercò un secondo bicchiere e versò una generosa dose di whisky.
«Non dovrei è un'espressione orrenda, non trovi? Non dovremmo permettere che le nostre vite vengano regolate dai non dovrei.»
«Non ti pare un ossimoro?»
Lui scoppiò a ridere. «Appunto!»
Le porse il bicchiere e lei lo accettò, le dita pallide e affusolate che si stringevano intorno al vetro mentre lo guardava negli occhi.
«Perché sei qui?»
«Immagino che dipenda da cosa intendi con qui.»
Preso un sorso di whisky, le fece cenno di gustarsi il suo. Il fuoco dell'alcol in gola, e poi nel ventre, fu un gradevole conforto.
«Intendo in questo palazzo vuoto, a tarda notte, a bere da solo.»
«Stavo lavorando.»
E l'aveva fatto davvero, finché i ricordi cupi non si erano impadroniti di lui, travolgendolo come gli capitava tutti gli anni in quel giorno.
Anche negli altri, in verità...
«Lavori qui?» Non sembrava convinta.
«Non in senso stretto. Sono stato ingaggiato per un compito specifico.»
«Che sarebbe?»
Antonio esitò, ma in fondo l'acquisizione ormai era di dominio pubblico.
«Valuto pro e contro nelle acquisizioni aziendali. E faccio il possibile per minimizzare danni e perdite durante il passaggio di proprietà.»
Maisie sgranò gli occhi. «L'azienda sta per passare di mano?»
«Già.» L'uomo inclinò il capo, incuriosito dal suo sguardo allarmato. «Conosci qualcuno che ci lavora?»
«Solo gli altri addetti alle pulizie. Verremo... Verremo licenziati?»
«Non penso. Gli uffici vanno puliti comunque, chiunque sia il proprietario.»
La vide respirare di sollievo. «Oh. Bene.»
«Merita un brindisi, non credi?» le propose allegro. «Al posto di lavoro mantenuto! Cin cin!»
Maisie prese un sorso cauto. «Cin cin?»
«È il brindisi più diffuso in Italia.»
«Ah, ecco da dove vieni!»
«Ebbene sì, beccato.»
«Non sono mai stata in Italia.» Il tono di Maisie era sognante. «È bella?»
«Per molti versi, sì.»
La ragazza abbassò lo sguardo e prese un altro sorso, tremando un poco mentre il liquore le scendeva nello stomaco. «Sa di fuoco.»
«Dà anche la stessa sensazione.» Rovesciato indietro il capo, Antonio svuotò il bicchiere, bramando l'oblio.
Se avesse chiuso gli occhi avrebbe visto la faccia del fratello, il sorriso che gli incurvava le labbra, la gioventù e la spensieratezza che gli erano appartenute solo per un attimo. Se poi avesse continuato a tenerli chiusi, il viso sarebbe cambiato, diventando pallido, privo di vita, il marciapiede sotto la sua testa rosso per il sangue, anche se in realtà lui non l'aveva visto così. Non gliel'avevano permesso.
Era per questo che doveva continuare a bere. Per riuscire a chiudere gli occhi.
«Perché sei qui?» domandò Maisie per la terza volta. Aveva abbassato il bicchiere e lo fissava con aria inquisitoria, gli occhi enormi, verdissimi. «E non dirmi che lavoravi. Intendo dopo. Perché sei rimasto qui, a bere, da solo, a quest'ora?»