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Trasparenza: Una sfida per la Chiesa
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Trasparenza: Una sfida per la Chiesa
E-book528 pagine6 ore

Trasparenza: Una sfida per la Chiesa

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Info su questo ebook

Nella Chiesa la trasparenza deve esserci. Non perché sia una moda, ma perché è una modalità utile e adeguata che le consente di perseguire meglio le proprie finalità istituzionali che, come ben si sa, sono di natura trascendentale e, pertanto, imprescindibili.
È questo l’intento del presente volume, nato da una prolungata e condivisa riflessione tra gli autori e che si propone di mostrare come l’ordinamento giuridico della Chiesa abbia già al proprio interno le categorie, gli strumenti e le potenzialità necessarie per elaborare autonomamente un proprio corpus legislativo capace di rendere ragione delle diverse attività sotto i diversi aspetti decisionali, gestionali e amministrativi e come parimenti si possa avviare una riflessione sulle diverse opportunità offerte dal legislatore civile adattandole alle peculiarità della Chiesa stessa.


Contributi di:  Alessandra Smerilli f.m.a., Alberto Perlasca, Alberto Frassineti, Mauro Rivella, Mauro Salvatore, Antonio Interguglielmi, Vincenzo Mosca o. carm, Carlo Fusco, Massimo Merlini, Antonio Fiorilli, Marco Grumo, Jesús Miñambres.
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2021
ISBN9788838250996
Trasparenza: Una sfida per la Chiesa

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    Anteprima del libro

    Trasparenza - Massimo Merlini (ed.)

    Massimo Merlini (ed.)

    Trasparenza

    Una sfida per la Chiesa

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 978-88-382-5099-6

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838250996

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    I. IL CONCETTO DI TRASPARENZA

    1. Introduzione

    2. Trasparenza, tutti ne parlano

    3. Trasparenza, Accountability e Responsabilità: facciamo chiarezza

    4. Gli aspetti positivi della trasparenza

    5. La trasparenza e le sue ombre

    6. Per concludere: trasparenza, rendere evidente la bellezza

    II. UNA TRASPARENZA PER LA CHIESA

    1. Introduzione

    2. La realtà della Chiesa ed il suo diritto

    3. Canonizzazione della legge civile, rimando alla legge civile, rinvio non recettizio

    4. I beni ecclesiastici

    5. Una trasparenza per la Chiesa

    6. Il padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche

    7. Conclusione

    Bibliografia

    III. TRASPARENZA E ORGANIZZAZIONE: ALCUNE RIFLESSIONI CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE ORGANIZZAZIONI A SERVIZIO DI UN CARISMA (OSC)

    1. Trasparenza: tra metafora e valore assoluto

    2. Trasparenza e modello organizzativo

    3. Alla base di modelli organizzativi trasparenti: la qualità delle relazioni

    4. Maria, Trasparenza di Dio

    IV. TRASPARENZA NELLA CURIA ROMANA

    1. Trasparenza in ambito amministrativo

    2. Trasparenza nella comunicazione

    Conclusione

    V. LA TRASPARENZA NELLE DIOCESI E NEGLI ENTI COLLEGATI

    1. La programmazione pastorale ed economico-finanziaria

    2. Il modello sinodale della Chiesa

    3. Il modello partecipativo in campo economico: tasse e tributi

    4. I fondi dell’8xmille tra CEI, realtà di base e opinione pubblica

    5. Per concludere

    VI. LA TRASPARENZA NELLA GESTIONE ECONOMICA PARROCCHIALE

    1. Premessa

    2. La Trasparenza nell’amministrazione economica della Parrocchia

    3. La trasparenza in Parrocchia nei documenti della CEI

    4. La funzione del Consiglio Parrocchiale Affari Economici per la trasparenza della gestione

    5. I principi della comunicazione ai fedeli della Parrocchia: la trasparenza orizzontale

    6. Alcuni esempi di normativa locale per assicurare la trasparenza

    7. Indicazioni utili dalle iniziative del gruppo CASE

    8. Accenno alla trasparenza dalla disciplina degli Enti del Terzo settore presenti in Parrocchia v

    9. La trasparenza per le parrocchie: una trasparenza non solo economica

    10. Conclusioni

    VII. VITA CONSACRATA E VALORE DELLA TRASPARENZA IN PARTICOLARE NELL’AMMINISTRAZIONE E GESTIONE DEI BENI

    Introduzione

    1. La trasparenza un valore ineludibile nella vita consacrata

    1.1. Trasparenza: passare dalla rendicontazione alla gestione

    1.2. Trasparenza: ripensare l’economia a servizio del carisma e della missione

    2. La vita consacrata una vita trasparente (in-trasparenza)

    2.1. Uno stile di trasparenza per esprimere alcune opzioni di vita

    2.2. Alcuni principi fondamentali per la trasparenza personale e collettiva

    3. Non c’è autorità senza trasparenza

    3.1. La trasparenza come categoria ecclesiale fondata sulla comunione

    3.2. Il governo trasparente nella vita consacrata: spirituale e sinodale

    4. La trasparenza nell’amministrazione e gestione dei beni degli IVC e SVA

    4.1. Verso una governance di comunione e trasparenza

    4.2. Le indicazioni operative degli Orientamenti per un cammino di trasparenza

    Conclusione

    VIII. TRASPARENZA E GOVERNO NELLE NUOVE AGGREGAZIONI ECCLESIALI

    1. Premessa

    2. Sull’istituzionalizzazione dei movimenti ecclesiali e le ripercussioni nell’ambito della trasparenza.

    3. Spunti offerti dal regime statale di trasparenza amministrativa

    4. Criticità nell’attuazione della trasparenza all’interno dei movimenti ecclesiali.

    5. Consigli pratici in tema di trasparenza.

    6. Conclusioni

    IX. GLI STRUMENTI NORMATIVI CIVILISTICI DISPONIBILI A SERVIZIO ED IN FUNZIONE DELLA TRASPARENZA CON RIFERIMENTO AGLI ENTI DI NATURA RELIGIOSA

    Premessa

    1. Gli strumenti civilistici in genere

    2. Il D.lgs. 231/2001 ed i modelli organizzativi

    3. La trasparenza (ad extra) dei pubblici registri esistenti per l’ente ecclesiastico

    4. Terzo settore, enti religiosi e trasparenza

    Conclusioni

    X. LA RACCOLTA DI FONDI DEGLI ENTI ECCLESIASTICI E LA FUNZIONE DELLA TRASPARENZA IN TALE CONTESTO

    1. Cenni generali sulla raccolta di fondi degli enti ecclesiastici

    2. Le fonti di sovvenzione della Chiesa

    3. Le indicazioni delle autorità civili sulla trasparenza nella raccolta di fondi

    4. Il rendiconto della raccolta pubblica di fondi

    5. La quota del cinque per mille del gettito Irpef

    6. Cenni sul trattamento fiscale delle erogazioni liberali

    7. Conclusioni

    XI. IL BILANCIO DI MISSIONE COME STRUMENTO DI CRESCITA INTERNA E DI TRASPARENZA ESTERNA PER LE DIOCESI, LE PARROCCHIE E GLI ISTITUTI RELIGIOSI

    1. La grande sfida dell’accountability esterna (peculiare) per gli enti ecclesiastici

    2. Cos’è il bilancio di missione?

    3. Un percorso di crescita molto utile per tutti gli enti ecclesiastici

    4. Non pubblicare mai solo le informazioni economiche (bilancio economico)

    5. Quando un bilancio di missione di un ente ecclesiastico è di qualità?

    6. Lo standard GRI: un punto di partenza da contestualizzare, modificare e integrare

    7. Un possibile indice del bilancio di missione delle Diocesi

    8. Un possibile indice del bilancio di missione degli istituti religiosi

    9. Un possibile indice del bilancio di missione delle parrocchie

    10. Verso la misurazione e la comunicazione dell’impatto sociale prodotto

    Bibliografia

    POSTFAZIONE ASPETTI GIURIDICI DELLA TRASPARENZA NELLA CHIESA

    1. Leggi sulla trasparenza nella Chiesa

    2. La giustizia di un governo trasparente

    3. La trasparente applicazione della giustizia

    4. La trasparenza, bene o qualità?

    CULTURA STUDIUM

    INTRODUZIONE

    Fare chiarezza sul concetto di trasparenza all’interno della Chiesa: è questo l’intento del presente volume, nato da una prolungata e condivisa riflessione tra gli autori.

    Oggi si fa un grande parlare di trasparenza, ma le idee al riguardo non sempre sono chiare e le modalità di applicazione non sono immuni da criticità. La questione si fa ancora più complessa quando ci si muove in ambito ecclesiale, essendo la Chiesa una realtà, a un tempo, tutta divina e tutta umana. Non è difficile constatare come il diffondersi di una mentalità secolarizzata – purtroppo non solo all’esterno, ma anche all’interno della compagine ecclesiale – spesso non permetta di vedere con la necessaria lucidità l’originalità presente anche nella sua struttura visibile e lo spirito che internamente la anima. Ne deriva che, a fronte della consapevolezza che la trasparenza è oggi un’esigenza irrinunciabile, si è cominciato ad importare nella normativa della Chiesa, talora in modo acritico, concetti, norme e prassi che, se possono essere applicate al sistema giuridico-amministrativo di uno Stato o di un qualsiasi altro organismo civile, non si adattano invece ad essa. Ciò, probabilmente, dipende anche dal fatto che, non solo tra le giovani generazioni, l’organizzazione ecclesiale è spesso conosciuta solo in maniera superficiale: basti pensare alla confusione che regna nella mente di molte persone tra Chiesa cattolica, Santa Sede, Stato della Città del Vaticano, Conferenza episcopale, diocesi, istituti religiosi. Certamente tutte queste realtà sono strutture ecclesiali, sono Chiesa. Ma non tutte lo sono allo stesso modo. Tutte perseguono le medesime finalità, ma ciascuna secondo caratteristiche proprie, dalle quali derivano esigenze specifiche in ragione dei diversi campi di azione.

    Nata dalla comunione trinitaria, la Chiesa è – essa stessa – mistero di comunione con Dio e tra gli uomini. In questo specifico contesto, la trasparenza non potrà essere anzitutto finalizzata al controllo, alla denuncia e, talora, anche ad alimentare reciproci sospetti e rivalità, ma, senza tralasciare una giusta componente di vigilanza, dovrà essere primariamente rivolta alla crescita nella comunione, alla formazione e al coinvolgimento. Essere trasparenti nella Chiesa significa quindi contrastare l’opacità, facendo adeguatamente conoscere ciò che si fa, come lo si fa e perché lo si fa. Il problema è quindi anche a livello comunicativo: nei nostri ambienti si è infatti poco capaci di far adeguatamente conoscere ciò che si è fatto, lasciando l’impressione che si voglia nascondere qualcosa.

    Insomma: nella Chiesa la trasparenza deve esserci. Non perché sia una moda, ma perché è una modalità utile e adeguata che le consente di perseguire meglio le proprie finalità istituzionali che, come ben si sa, sono di natura trascendentale e, pertanto, imprescindibili. Nasce a questo punto la inevitabile fatica del pensare e dello sperimentare, che porta con sé anche il rischio di sbagliare. Si tratta però di una sfida che non può essere disattesa, perché, in qualche misura, è in gioco l’identità stessa della Chiesa, la sua credibilità e quindi la sua fecondità spirituale ed apostolica.

    Partendo quindi dall’indiscutibile presupposto che anche nell’organizzazione ecclesiastica è indispensabile, sia ad intra che ad extra, un adeguato grado di trasparenza, il presente volume si propone di mostrare come l’ordinamento giuridico della Chiesa abbia già al proprio interno le categorie, gli strumenti e le potenzialità necessarie per elaborare autonomamente un proprio corpus legislativo capace di rendere ragione delle diverse attività sotto i diversi aspetti decisionali, gestionali e amministrativi. Non si tratta certamente di rifiutare aprioristicamente il confronto o l’aiuto che può venire dall’economia e dal diritto civile, ma di inquadrarlo in maniera corretta, rispettando cioè le peculiarità del diritto canonico e la precedenza ad esso dovuta nel sistema amministrativo ecclesiale rispetto alle categorie appartenenti ad altri sistemi normativi.

    Da queste considerazioni deriva l’ordine di successione e il contenuto dei contributi degli autori. Dopo un giro di orizzonte di chiarificazione semantica ( Smerilli), si passa a considerare la trasparenza in rapporto al sui generis della Chiesa (Perlasca). A seguire, il tema viene visto in relazione alle varie realtà ecclesiali: la Curia Romana (Rivella); la diocesi (Salvatore); la parrocchia (Interguglielmi); le nuove aggregazioni ecclesiali (Fusco); le diverse forme della vita consacrata (Mosca) e le organizzazioni a servizio di un carisma (Frassineti). Vengono poi proposti tre contributi di carattere più specialistico, che illustrano rispettivamente: il bilancio di missione come strumento di crescita interna e di trasparenza esterna per le diocesi, le parrocchie e gli istituti religiosi (Grumo); gli strumenti civilistici disponibili a servizio e in funzione della trasparenza con riferimento agli enti religiosi (Merlini); la raccolta di fondi da parte degli enti ecclesiastici e la funzione della trasparenza in tale contesto (Fiorilli). Chiude il volume un saggio di sintesi (Miñambres).

    Ci auguriamo che quest’opera possa favorire un confronto sereno su un tema di estrema attualità, promuovendo l’agire della Chiesa in tutte le sue forme a partire da una più approfondita conoscenza della sua natura e delle sue peculiari caratteristiche.

    I. IL CONCETTO DI TRASPARENZA

    Alessandra Smerilli f.m.a. [1]

    Nel contributo si cerca di analizzare il concetto di trasparenza nel campo economico, in relazione alle sue evoluzioni e alle diverse definizioni assunte dal termine. Nella letteratura economico-aziendale la trasparenza viene presentata come la virtù di chi è aperto verso gli altri circa i propri comportamenti o le proprie intenzioni; come relazione, che presuppone un osservatore, qualcosa di osservabile, e un metodo di osservazione; come meccanismo, e cioè il modo e le procedure secondo le quali un’organizzazione si rende trasparente. Non mancano però i limiti di un approccio alla trasparenza troppo enfatizzato oppure senza un’adeguata consapevolezza della propria mission e specificità.

    San Benedetto, alla cui tradizione possiamo far risalire le prime forme di organizzazioni complesse, quali erano le abbazie, voleva che si tenesse minuziosamente conto delle entrate e del loro impiego. Perché è a Dio e alla sua provvidenza, che bisogna rendere conto. E quindi anche ai fratelli. Le prime forme di rendicontazione contabile nascono come forma di ringraziamento a Dio provvidente. Quando parliamo della Chiesa, l’essere trasparenti diventa un modo per far percepire all’esterno la bellezza di un’opera di Dio che continua nel tempo.


    [1] Professore Ordinario di Economia Politica presso la PFSE-Auxilium di Roma.

    1. Introduzione

    La parola trasparenza deriva dal latino transparens, composto da trans, che vuol dire attraverso, e pareo, verbo che può significare vedere ma anche apparire, mostrarsi. La trasparenza dunque è una caratteristica di ciò che si vede, di come si vede o ancora di come ci si mostra attraverso un filtro. Secondo Valentina Bano [1] , il latino classico nella maggior parte dei casi adotta perifrasi con l’aggettivo trasparente o con il sostantivo luce: vedere per trasparenza è porre qualcosa alla luce. A Fabriano, terra di cartiere e di artisti della carta, esiste una tradizione tutta particolare, quella della filigrana. Con una tecnica di lavorazione molto laboriosa un foglio, apparentemente bianco, messo in controluce mostra dei capolavori artistici, che traspaiono una volta illuminati. L’idea che emerge da questi esempi è di un qualcosa di bello, normalmente celato alla vista, che si lascia intravvedere una volta illuminato. L’oggetto rivela qualcosa di sé quando viene guardato in condizioni particolari, e chi osserva deve mettersi nella giusta posizione per poter vedere in trasparenza. Un’azione congiunta, dunque, sia di chi deve rivelarsi, sia di chi desidera osservare. È proprio questo il modo più corretto di approcciarsi al tema della trasparenza nella Chiesa. La trasparenza è uno degli strumenti a disposizione per far conoscere qualcosa di sé, delle proprie attività, di tutto il bene che viene fatto e di come lo si fa. Nello stesso tempo anche chi desidera ricevere informazioni sull’operato della Chiesa e dei suoi Enti deve mettersi nella giusta posizione, ovvero conoscere i fini dell’Istituzione e comprendere qual è la relazione tra i fini che si desiderano raggiungere e i mezzi impiegati allo scopo.

    Per esempio, tutti gli sforzi, anche economici, che si pongono in essere in case di cura per anziani allo scopo di far star bene le persone, prestando attenzione alla qualità del cibo, alle attività motorie, al garantire personale sufficiente non solo per rispettare gli standard minimi, ma anche per poter creare un clima relazionale sereno, se letti da occhi che non comprendono la mission particolare di quella organizzazione possono essere visti solo come sprechi.

    In questo contributo introduttivo, cercheremo di analizzare il concetto di trasparenza in economia, nelle sue evoluzioni e nelle sue diverse definizioni, in modo da porre le basi per le tesi e le esemplificazioni che seguiranno nei capitoli successivi di questo volume.


    [1] V. Bano, Trasparenze di sintesi , Tesi di Dottorato in tecnologia dell’architettura, Università degli Studi di Ferrara, in https://iris.unife.it/handle/11392/2395639#.Xh13NBdKh8c.

    2. Trasparenza, tutti ne parlano

    Di trasparenza oggi si parla molto, ma raramente il termine viene definito, e quando si percorre la letteratura economica e aziendale, si rintraccia una quantità sterminata di definizioni. Una rassegna critica sulla trasparenza [1] evidenzia che molti contributi in letteratura si riferiscono al tema come accresciuta trasparenza, miglioramento della trasparenza, organizzazione trasparente, senza alcuna definizione del termine. Etzioni [2] definisce la trasparenza come il principio che permette al pubblico di avere informazioni circa le operazioni e la struttura di una data entità, e sostiene che essa sia oggi vista come un bene auto-evidente per la società occidentale.

    Un tentativo [3] di classificare i diversi approcci e le diverse definizioni di trasparenza vede la suddivisione in contenuto e contesto. Il contenuto può essere visto da una prospettiva strumentale oppure propositiva. Secondo la prospettiva strumentale, la trasparenza è vista come un mezzo in relazione ad uno strumento di policy per raggiungere un obiettivo: trasparenza per avere una migliore reputazione, o per essere più socialmente responsabili, per godere di una maggiore fiducia, ecc. Secondo invece una prospettiva propositiva, la trasparenza in sé costituisce un obiettivo o un fine. Si parla dunque di strategie, politiche o azioni per essere più trasparenti.

    L’esistenza di diversi contesti – sociale, di impresa, o politico – portano a differenti tipi di trasparenza, che possono essere racchiusi in due grandi categorie: una prospettiva collettiva (trasparenza istituzionale o governativa e da un punto di vista macroeconomico) e una prospettiva individuale (dal punto di vista degli agenti economici).

    In questo capitolo ci soffermeremo sulla prospettiva individuale e microeconomica, dato il tema del libro, e potremmo idealmente suddividere i tipi e le definizioni di trasparenza come segue:

    Trasparenza aziendale, vista come «la disponibilità di specifiche informazioni dell’azienda per tutti coloro che sono all’esterno» [4]; viene chiamata anche trasparenza organizzativa;

    Trasparenza finanziaria e contabile, vista come la diffusione di informazioni finanziarie, o «l’abilità dei partecipanti al mercato di avere accesso alle informazioni circa le transazioni» [5];

    Trasparenza nel marketing, vista come le informazioni fornite ai consumatori circa le differenti caratteristiche dei beni e servizi, così come i prezzi, oppure come «la comparabilità dal punto di vista del consumatore delle caratteristiche dei beni e servizi» [6];

    Trasparenza nel management delle risorse umane, vista come la capacità dei leaders di «condividere le informazioni rilevanti, essere aperti a fornire informazioni e a ricevere feedback, essere comunicativi circa le motivazioni delle diverse decisioni rispetto al personale» [7].

    Un’altra interessante classificazione del concetto di trasparenza è quella proposta da Albert Meijer [8] . Egli suggerisce tre prospettive: trasparenza come virtù, come relazione e come un sistema. Nel primo caso, essa è definita come la virtù di chi è aperto verso gli altri circa i propri comportamenti o le proprie intenzioni. Quando intesa come virtù essa viene presentata come concetto normativo, ed è associata ad un insieme di standard per la valutazione dei comportamenti di soggetti pubblici.

    La trasparenza può anche essere intesa come relazione. Oliver [9] sostiene che tale relazione può essere descritta attraverso tre elementi: un osservatore, qualcosa di osservabile, e un metodo di osservazione. Infine, questa relazione non è isolata, ma esiste dentro un sistema di relazioni.

    C’è anche chi ha proposto la distinzione tra trasparenza come virtù e trasparenza come meccanismo. Se intesa come virtù, è ciò che abbiamo sopra esposto, ed è dunque vista come elemento normativo, verso cui tendere. Se viene guardata come meccanismo, è utilizzata in modo descrittivo e si riferisce al modo e alle procedure secondo le quali un’organizzazione si rende trasparente.


    [1] E. Baraibar-Diez, M. Odriozola, J.L. Fernandez Sanchez, A survey of Trasparency: An Intrinsic Aspect of Business Strategy, in «Business Strategy and the Environment», 26(2017), pp. 480-489.

    [2] A. Etzioni, Is Transparency the Best Disinfectant, in «The Journal of Political Philosophy», 18(2010), pp. 389-404.

    [3] E. Baraibar-Diez, M. Odriozola, J.L. Fernandez Sanchez, A survey of Trasparency: An Intrinsic Aspect of Business Strategy, in «Business Strategy and the Environment», 26(2017), pp. 480-489.

    [4] R. Bushman, J. Piotroski, A. Smith, What determines corporate transparency?, in «Journal of Accounting Research», 42(2004), p. 207.

    [5] A. Vaccaro, P. Madsen, ICT and NGO: difficulties in attempting to be extremely transparent, in «Ethics and Information Technology», 2(2009), p. 221.

    [6] H. Mollgaard, P. Overgaard, Market transparency: a mixed blessing?, in «Centre for Industrial Economics in its series», CIE discussion paper n. 1999-15.

    [7] G. Vogelgesang, How leader interactional transparency can impact follower psychological safety and role engagement, in «Doctoral thesis», University of Nebraska-Lincoln.

    [8] A. Meijer, Transparency, in «The Oxford Handbook of Public Accountability», ed. By Bovens M., Goodin E., Shillemans T., Oxford University Press 2014.

    [9] R. Oliver, What is transparency?, McGraw-Hill, New York 2004.

    3. Trasparenza, Accountability e Responsabilità: facciamo chiarezza

    Sovente il concetto di trasparenza si intreccia con quelli di accountability e di responsabilità, e altrettanto spesso si genera confusione tra i tre termini, che vengono utilizzati come sinonimi.

    In questo paragrafo proveremo a chiarire le distinzioni e le relazioni tra i tre concetti, nella speranza di non aumentare la confusione esistente in materia.

    Rispetto al concetto di accountability, il dizionario Cambridge la definisce come il fatto di essere responsabili per quello che si fa e nel giustificare perché lo si fa [1] , mentre nel dizionario di Economia e Finanza della Treccani leggiamo:

    Responsabilità incondizionata, formale o non, in capo a un soggetto o a un gruppo di soggetti ( accountors), del risultato conseguito da un’organizzazione (privata o pubblica), sulla base delle proprie capacità, abilità ed etica. Tale responsabilità richiede giudizio e capacità decisionale, e si realizza nei confronti di uno o più portatori di interessi ( account-holders o accountees) con conseguenze positive (premi) o negative (sanzioni), a seconda che i risultati desiderati siano raggiunti o disattesi. L’accento non è posto sulla responsabilità delle attività svolte per raggiungere un determinato risultato, ma sulla definizione specifica e trasparente dei risultati attesi che formano le aspettative, su cui la responsabilità stessa si basa e sarà valutata. La definizione degli obiettivi costituisce, dunque, un mezzo per assicurare l’ accountability [2] .

    Già da queste due definizioni comprendiamo come un concetto rimanda all’altro: l’ accountability è legata alla responsabilità e richiede trasparenza. Ma anche la trasparenza è legata alla responsabilità.

    In particolare, uno studio di Parris e al. [3] si sofferma proprio sulle relazioni che intercorrono tra la trasparenza e la responsabilità sociale di impresa, altro grande tema che ha generato una vastissima letteratura [4] . In sintesi, la trasparenza viene vista come uno strumento fondamentale per aumentare il grado di fiducia degli stake-holders (cioè tutti i portatori di interessi nei confronti dell’organizzazione) per migliorare le pratiche di responsabilità sociale. Un altro contributo [5] , basandosi su analisi empiriche, mostra come la trasparenza possa essere considerato il mediatore nella relazione tra le pratiche di responsabilità sociale e la reputazione dell’organizzazione. Nello stesso tempo essa viene vista come lo strumento che può rendere effettive tali pratiche di responsabilità sociale.

    Per quanto riguarda invece accountability e trasparenza, Fox [6] li definisce i principi gemelli, entrambi abbastanza malleabili da potersi riempire di tanti significati. In ambito accademico si ritiene che la disponibilità di informazioni rilevanti sia uno dei prerequisiti per i processi di accountability [7] . Nello stesso tempo è anche vero che la trasparenza può diminuire il bisogno di processi formali di accountability. Erkkila [8] sostiene che l’enfasi a livello manageriale sulla misura della performance e sulla trasparenza si fonde con l’idea riduttiva dell’ accountability come offerta di informazioni sull’operato di un’organizzazione. Così l’ accountability è ridotta all’offerta di informazioni e gli occhi che guardano dal di fuori possono stimolare comportamenti corretti. Secondo questa linea di argomentazione la trasparenza è uno strumento per assicurare che gli agenti economici o gli attori pubblici si conformino a degli standard, riducendo così l’uso dell’altro strumento a ciò deputato, l’ accountability. L’idea che si cela dietro questa linea di pensiero è quella dell’ampliamento dell’area della standardizzazione e degli automatismi nella relazione con l’esterno. Non è più l’organizzazione che decide come e cosa far sapere, in linea con i propri obiettivi e i propri ideali, ma le informazioni da fornire diventano standard. Vedremo come tutto ciò rappresenti uno dei limiti più importanti rispetto al modo comune di intendere la trasparenza.


    [1] https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/accountability.

    [2] In http://www.treccani.it/enciclopedia/accountability_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/.

    [3] D.L. Parris, L.J. Dapko, R. Wade Arnold, D. Arnold, Exploring transparency: a new framework for responsible business management, in «Management Decision» (2016), Vol. 54 Issue: 1, pp. 222-247.

    [4] Per un’analisi di questa letteratura si rimanda a S. Zamagni, Responsabili, Il Mulino, Bologna 2019.

    [5] The mediating effect of transparency in the relationship between corporate social responsibility and corporate reputation Elisa Baraibar-Diez University of Cantabria, Department of Business Administration, Santander, Spain Ladislao Luna Sotorrío University of Cantabria, Department of Business Administration, Santander, Spain, «Revista brasileira de gestão de negócios» ISSN 1806-4892 RBGN Review of Business Ma Rev. Bras. Gest. Neg. São Paulo v. 20 n.1, jan-mar. 2018, pp. 5-21.

    [6] J. Fox, The Uncertain Relationship between Transparency and Accountability, in «Development in Practice», Vol. 17, No. 4/5 (Aug., 2007), pp. 663-671.

    [7] M. Bovens, Analysing and assessing accountability: a conceptual framework, in «European Law Journal», 13(2007), pp. 447-468.

    [8] T. Erkkila, Government transparency: impacts and unintended consequences, Palgrave, New York 2012.

    4. Gli aspetti positivi della trasparenza

    Nonostante la confusione circa il significato della trasparenza in ambito economico, a tutti pare chiaro che il termine abbia una connotazione positiva.

    Negli ultimi due decenni una serie di eventi ha portato la trasparenza alla ribalta. A cominciare dalle crisi finanziarie del 1997-98 nei paesi asiatici, dove emerge il tema di strutture opache e deboli, e dalla crisi iniziata nel 2007, che mostra come il tema della complessità e dell’opacità attraversa tutto il mondo, quello della trasparenza inizia ad essere considerato un trend topic.

    Nel mondo delle imprese la crisi dei primi anni 2000 (Parmalat, Enron, Tyco, ecc.) innalza la soglia di attenzione sulla governance, i conflitti di interesse e la responsabilità sociale d’impresa. In questo caso la trasparenza viene vista come un potente rimedio e argine verso derive problematiche. L’attenzione si trasforma presto in regolamentazione: il Sarbanes-Oxley Act (2002) negli Stati Uniti, la direttiva europea sulla trasparenza del 2004, i principi di governance dei paesi OCSE, il codice di corporate governance del Regno Unito (2010).

    Normalmente accanto all’assunzione generale che la trasparenza sia un qualcosa di buono in sé, si accompagna l’intuizione che essa serva per raggiungere qualche buon obiettivo. Bushman e al. [1] , per esempio, sostengono che la disponibilità di informazioni sia da considerare un fattore determinante per l’allocazione efficiente delle risorse e per depotenziare interessi di parte.

    Nei confronti delle imprese, sta diventando sempre più popolare il cosiddetto voto con il portafoglio [2] da parte dei consumatori: l’idea è quella di un’offerta che può essere plasmata dalla domanda dei consumatori. Se essi sono ben informati possono scegliere i prodotti non solo in base al prezzo, ma anche rispetto alla provenienza, alla genuinità, all’attenzione all’ambiente nella loro produzione, così come al trattamento riservati ai lavoratori e alle attenzioni sociali dell’impresa. In questo senso l’acquisto di un prodotto è paragonabile a un voto all’impresa, e come nei meccanismi elettorali, il sistema di preferenze può spostare l’offerta. In effetti alcuni esperimenti dimostrano quanto le informazioni, se disponibili, possano influenzare il comportamento dei consumatori.

    Nel 2016 è stato realizzato un esperimento in alcuni supermercati italiani [3] : all’ingresso dei supermercati sono stati esposti dei cartelloni giganti con un rapporto, fatto di punteggi, sui più grandi marchi di prodotti venduti. I punteggi riguardavano, per esempio, l’attenzione all’ambiente, l’uso rispettoso dei terreni e dell’acqua, il trattamento dei lavoratori, la condizione delle donne lavoratrici, e così via. Il monitoraggio delle vendite settimanali in quei supermercati ha evidenziato l’aumento di acquisti di prodotti dello stesso settore appartenenti ai marchi con i punteggi più alti, e la diminuzione di quelli con punteggi più bassi. Il tutto ovviamente valutato rispetto ad altri supermercati in cui i cartelli non erano stati posizionati all’ingresso.

    Recenti ricerche dimostrano che questo vale anche per gli enti non-profit e ecclesiastici: maggiori sono le informazioni sull’operato dell’organizzazione e più crescono le donazioni [4] .

    Gli esempi precedenti ci fanno comprendere quanto la disponibilità di informazioni sia importante per prendere decisioni, ma aprono anche ad un tema molto attuale, che è quello della manipolazione delle informazioni stesse. Chi verifica la veridicità delle informazioni fornite? Tutto ciò porta alla nascita e alla moltiplicazione di enti di certificazione, e alla standardizzazione delle informazioni che devono essere divulgate, generando un circolo vizioso per cui un processo che nasce per far conoscere l’attività di un ente o un’azienda in relazione ai propri obiettivi e alla propria mission, può diventare una gabbia in cui si è costretti a rivelare determinate in formazioni e non altre. Un processo che può diventare molto costoso.


    [1] R. Bushman, J. Piotroski, A. Smith, What determines corporate transparency?, in «Journal of Accounting Research», 42(2004)2, pp. 207-252.

    [2] Cfr. L. Becchetti, Il voto nel portafoglio, in «Il Margine» 2008; L. Becchetti, Il mercato siamo noi, Bruno Mondadori, Milano 2012.

    [3] L. Becchetti, F. Salustri, P. Scaramozzino, Making Information on CSR Scores Salient: A Randomized Field Experiment, in «Oxford Bullettin of Economics and Statistics» (2019), pp. 1-21.

    [4] A. Daniels, Transparency Boosts Donations, Even for Struggling Charities, Study Finds, in «The Chronicle of Philanthropy», 31(2019)4, p. 52; Bourassa M., Stang A, Knowledge is power: why public knowledge matters to charities, in «International Journal of Nonprofit and Voluntary Sector Marketing», feb. (2016), pp. 13-30.

    5. La trasparenza e le sue ombre

    Perché la trasparenza possa dispiegare i suoi effetti benefici è importante evitarne le manipolazioni e prestare attenzione alle motivazioni per cui si rendono le organizzazioni più trasparenti. Da più parti, infatti, si esorta alla prudenza. In questo paragrafo cercheremo di evidenziare quali possono essere i limiti di un approccio che ponga troppa enfasi sulla trasparenza.

    Innanzitutto bisogna osservare che un capitolo importante dei processi di trasparenza è quello relativo ai costi e ai benefici. Ridurre le asimmetrie informative ha un costo. E dunque una domanda che emerge quando si discute di trasparenza è: come si valutano i costi e i benefici della trasparenza? Fino a quanta trasparenza ci si può permettere? In base alle riflessioni nate per rispondere a queste domande, si è formulato il concetto di trasparenza ottima [1] . Diversi studi [2] hanno infatti dimostrato che i benefici marginali legati all’aumento della trasparenza sono decrescenti. In altre parole quella dei benefici della trasparenza è una funzione che cresce fino ad un certo punto e poi decresce. Ha dunque un suo massimo, superato il quale aumentare la trasparenza ne fa diminuire i benefici. I costi della trasparenza sono sia quelli di chi deve elaborare e trasmettere dati, sia di chi deve riceverli. Mentre è facile comprendere che più sono i dati da elaborare e comunicare, più questo rappresenti un costo per le organizzazioni, risulta meno immediato il comprendere che la disponibilità di informazioni possa risultare costosa da parte di chi la riceva. Da una parte avere troppe informazioni rende più difficili le scelte, così come avere centinaia di tipi diversi di marmellate in uno scaffale del supermercato rispetto ad averne una ventina, dall’altra è dimostrato che nel valutare le informazioni a disposizione si può essere vittime di errori sistematici, di bias cognitivi [3] . Di trasparenza c’è dunque bisogno, fino ad un certo punto, un eccesso di trasparenza può andarne a ridurre gli stessi benefici che ad essa si accompagnano.

    Un altro punto da porre sotto attenzione è riferito a momenti di crisi di alcune aziende, quando un’eccessiva trasparenza può generare panico negli stake-holders e forse accelerare un crollo che avrebbe potuto essere evitato. Così si esprime Charlie McCreevy, commissario europeo per il mercato interno, durante la crisi finanziaria del 2007. Il suo discorso si riferisce alle regole che hanno impedito all’allora governatore della Banca d’Inghilterra di intervenire in maniera discreta per prevenire il fallimento della Northern Rock Bank:

    Ho sempre pensato che quando la stabilità finanziaria di un’istituzione è a rischio, la situazione si risolva meglio a porte chiuse. Sfortunatamente, nelle ultime settimane, le regole d’oro della trasparenza hanno richiesto una soluzione quieta del problema, prima che diventasse una vera e propria crisi. Il risultato è stato che le regole della trasparenza, intese a sostenere la fiducia degli investitori, quando sono state testate, hanno invece creato il panico… Chiaramente la trasparenza che culmina nel panico, seguito da un salvataggio, seguito da una proliferazione di azzardo morale, è la trasparenza senza la quale staremmo tutti meglio [4] .

    L’esempio ci apre la strada per un approfondimento di un problema delicato, legato alla trasparenza: la conseguenza non intenzionale legata al fatto che rendere visibile qualcosa può iniziare a cambiare ciò che è reso trasparente. Se una metafora della trasparenza è quella di poter vedere attraverso o dietro delle porte chiuse, la bontà dell’abolire questo spazio confidenziale dipende da come cambiano i modi di comportarsi dietro le porte chiuse. Quanto, cioè, l’aprire le porte spinge a comportarsi in modo diverso, soprattutto se chi vuol vedere attraverso non ha gli strumenti e le chiavi per comprendere cosa accade dietro quelle porte chiuse. Un altro esempio forse ci può venire in aiuto.

    Spesso la trasparenza è legata a misure e indicatori che servono poi per valutare la qualità di un’organizzazione. Tali misure sono solitamente standardizzate per permettere una comparazione tra le diverse imprese o istituzioni. Ma anche qui si nasconde un’insidia. L’utilizzo di dati e indicatori per stabilire la qualità delle organizzazioni può, in molti casi, portare ad una manipolazione dei dati stessi, o all’uso di misure che hanno come unico obiettivo quello di migliorare gli indicatori, entrando a volte in conflitto con i propri obiettivi e la propria mission.

    Un esempio rilevante è quello dei dati sui tassi di mortalità negli ospedali: più è basso il tasso di mortalità, più un ospedale è considerato di qualità. Ebbene, la letteratura rilevante sul tema [5] lancia il segnale d’allarme sul fatto che l’utilizzo di questo indicatore stia cambiando le pratiche ospedaliere sulle cure palliative, permettendo sempre a meno malati terminali di morire in ospedale, e inviandoli altrove. Tale allarme è da evidenziare anche nei confronti di strutture sanitarie cattoliche, nate da carismi con l’obiettivo di curare i più poveri, che si ritrovano a rifiutare pazienti troppo anziani, proprio per evitare il rischio di morte in ospedale. Quando troppa enfasi viene assegnata ai dati e agli indicatori, scegliendone alcuni e non altri, il rischio è quello di forzare alcune pratiche organizzative e di omologarle. Organizzazioni, come quelle ecclesiastiche, che hanno una loro peculiarità, dovrebbero valutare criticamente quali indicatori utilizzare per dimostrare la propria efficienza, insieme all’efficacia.

    Il pericolo di uno stravolgimento delle organizzazioni a misura della crescente richiesta di trasparenza è illustrato nel contributo di Power, nel suo libro: The Audit Society [6] . Egli sostiene che le richieste di trasparenza possono penetrare nel profondo delle dimensioni operative delle organizzazioni, modificando i processi e creando nuove mentalità, nuovi incentivi e nuove pratiche, arrivando a distorcere le performance organizzative nella competizione per migliorare gli indicatori.

    L’insidia di un cambiamento profondo dell’organizzazione che si apre alla trasparenza senza ragionare troppo e senza valutarne tutte le possibili conseguenze, è sempre alle porte.

    E, come abbiamo ripetuto più volte nel corso di questo capitolo, il rischio di aderire a richieste di trasparenza sempre più imponenti, è quello di diventare come gli altri, di standardizzare pratiche e procedure in modo che dati, indicatori e misurazioni siano comparabili.

    «La società della trasparenza è un inferno dell’Uguale» [7] : sono queste le parole del filosofo coreano Byung-Chul Han che cerca di descrivere il rapporto tra trasparenza e privacy nella società contemporanea. Così si esprime in merito a uniformità e standardizzazione:

    Chi riconduce la trasparenza unicamente alla corruzione e alla libertà di informazione, ne misconosce la portata. La trasparenza è coercizione sistemica che coinvolge tutti i processi sociali e li sottopone a una profonda mutazione. Il sistema sociale espone oggi tutti i suoi processi a un obbligo di trasparenza, al fine di standardizzarli e accelerarli… La comunicazione raggiunge la sua massima velocità dove l’Uguale corrisponde all’Uguale… la trasparenza stabilizza e accelera il sistema eliminando l’Altro o l’Estraneo. Questa coercizione sistemica rende la società della trasparenza una società uniformata [8] .

    In una società che tende ad espellere l’estraneo e all’uniformità, chi si sottopone agli obblighi di trasparenza, siano persone e/o organizzazioni, può essere ridotto ad un elemento funzionale di un sistema. Non solo. Una trasparenza che spinge a rivelare tutto di sé e delle proprie organizzazioni, che non ammette veli dietro cui celarsi, può risultare, sempre a detta di Byung-Chul, oscena, pornografica. Per questo motivo è importante accostarsi al tema della trasparenza avendo una buona consapevolezza della propria mission e della propria peculiarità.

    Infine, vale la pena riflettere sul fatto che molte volte si invoca la trasparenza come mezzo per accrescere la fiducia in un’istituzione. Ritengo invece che il nesso causale debba essere invertito: spesso tendiamo a chiedere trasparenza quando la fiducia si è incrinata. La fiducia ha in sé una dose di rischio: mi fido proprio perché non so tutto dell’altro, che può tradire la fiducia donata. E l’evidenza empirica e sperimentale dimostra che è proprio il sentirsi degni di fiducia che spinge

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