Alla ricerca del tempo futuro: La Chiesa italiana e la salute mentale 5
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La proposta complessiva intende guardare avanti; guardare al futuro con profonda fiducia: avremo davvero il tempo, e ne avremo tanto, quando cercheremo di usarlo bene, di spenderlo bene, per costruire il bene.
Quindi la ricerca del tempo futuro – il tema di questo lavoro – chiede un’ulteriore sottolineatura: non solo il cosa fare per vivere bene questo tempo, ma insieme accogliere le domande di questo tempo e cercare insieme, in modo sinodale, le risposte che ci riguardano. Come Chiesa e come comunità medico-scientifica.
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Anteprima del libro
Alla ricerca del tempo futuro - Massimo Angelelli
I molti cammini della Chiesa
Massimo Angelelli
Questo volume raccoglie i lavori della quinta edizione del Convegno su Chiesa italiana e salute mentale dal titolo emblematico: «Alla ricerca del tempo futuro», ad indicare prospettive di lavoro e di cammino.
Lo scorso anno abbiamo sofferto la distanza fisica; rivederci in presenza fa bene a tutti. Il primo ringraziamento va al gruppo di lavoro del Tavolo sulla salute mentale presso l’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI, che porta avanti questo progetto di collaborazione ormai da svariati anni.
Sono molti i cammini della Chiesa. Sembra opportuno riflettere sul significato di questa parola cammini e di come la Chiesa stessa sia sempre in cammino. Cammino può rappresentare un luogo di crescita, un reale percorso; allo stesso tempo significa anche una sfida, un rinnovamento: mettersi in cammino – muoversi – richiede comunque uno sforzo, una fatica iniziale. L’idea di muoversi verso
in qualche modo implica infatti il costo di un piccolo impegno iniziale.
L’immagine neotestamentaria del cammino ci aiuta ad inquadrare il nostro lavoro. Nel Vangelo Gesù cammina molto, si sposta continuamente di regione in regione, e sono molte le occasioni segnalate dagli Evangelisti in cui annotano che si mette in cammino
; nel Vangelo di Luca (Lc 4,18-30) troviamo inoltre il racconto di Gesù nella Sinagoga. Lui insegna, ma viene molto criticato, e addirittura quel giorno un’intera comunità voleva eliminarlo: «…tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù»; ma è interessante come Gesù reagisce: «Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino» (Lc 4,30).
Era una situazione molto turbolenta, molto difficile da gestire, eppure passò tra gli sguardi e si mise in cammino. Era cosciente di quello che stava vivendo, era pienamente consapevole del contesto sociale e religioso, cosciente delle persone che aveva intorno, ma serenamente, senza lasciarsi condizionare, seppur con fatica, si mise in cammino. Il nostro rischio attuale è quello di fermarci a causa dei condizionamenti esterni ed interni, mettendo in pausa l’esigenza primaria della missione evangelizzatrice della Chiesa stessa, che corrisponde ad un moto verso l’annuncio, sulle orme del suo fondatore e fondamento, Cristo stesso. La Chiesa quando è ferma non corrisponde al Vangelo.
Il Vangelo chiede dinamismo, azione, impegno. Se la Chiesa, se noi, ci fermiamo, non rispondiamo a questa esigenza evangelica. Non è un fare, non è un muoversi in maniera scomposta, è consapevolezza, coraggio ed impegno. Anche la preghiera, che appare come statica, richiede un reale dinamismo, poiché esige un profondo cammino interiore.
Muoversi sì! Ma verso dove? È possibile ora chiedersi quale sia il necessario complemento di moto a luogo. Certamente si può camminare anche per perdersi, è bella l’idea di poter passeggiare, di avere un po’ di tempo senza una meta precisa, di girovagare, anche di lasciarsi sorprendere da alcune scoperte. Nella vita ordinaria è comunque opportuno avere una meta, un andare verso un obiettivo specifico.
Siamo testimoni che nella storia della Chiesa e dei credenti i cammini hanno rappresentato sempre un’esperienza vitale, una dimensione del vissuto esperienziale che insieme è spirituale e azione di crescita. Possiamo pensare al concetto classico di cammino: il cammino di Santiago di Compostela, i cammini francescani, la Via Francigena e tutti i percorsi medievali che abbiamo riscoperto.
Oggi la Chiesa, di cui anche noi siamo membra attive, è chiamata a compiere un cammino sinodale. È l’invito che ci ha rivolto papa Francesco. Così il tema del cammino è una richiesta specifica della Chiesa dell’inizio di questo millennio.
La modalità stessa è sinodale: non è tempo di cammini solitari. Sono cammini condivisi, sinergici, sono cammini percorsi insieme in cui l’esperienza è condivisa. C’è un ascolto, c’è un percorso, c’è una condivisione, e questa esperienza di cammino sinodale è insieme spirituale e umana, di revisione e di crescita.
Il lavoro di ricerca che ci apprestiamo a compiere intende applicare alla storia che stiamo vivendo questa disponibilità al cammino; ed è l’occasione per riflettere su quello che stiamo sperimentando. Spesso viene richiamato il fenomeno pandemico, attuale poiché si tratta di oltre due anni di esperienza collettiva globale. È la prima peste del terzo millennio, con due caratteristiche molto particolari, inedite e innovative. Questa pandemia è totalmente globale e veloce (riguarda infatti tutto il mondo e simultaneamente), e soprattutto è totalmente live, cioè viene vissuta da tutti in diretta.
La pandemia ci ha paralizzati. Ha fisicamente paralizzato una popolazione quando siamo stati chiusi in casa, quando le nostre attività quotidiane sono state condizionate e limitate; ci ha paralizzato mentalmente quando le nostre relazioni sono state ferite, e peggio ancora sono state messe in discussione perché l’altro non era più la persona che abbiamo a fianco, ma colui che per noi costituisce un pericolo. Abbiamo equiparato l’altro all’untore.
Così facendo ci siamo paralizzati anche socialmente: lo stare distanti gli uni dagli altri, con un azzardo linguistico, è stato definito distanza sociale
; ma questo non è proprio tipico della persona umana. Più che distanza sociale è divenuta distanza relazionale.
Infine, è stata abbassata, quando non del tutto paralizzata, anche la speranza: si è generata una profonda incertezza nel futuro. È un profondo disorientamento che in qualche modo ha bloccato anche la speranza; c’è una fatica nella ripartenza, e ogni tanto ci chiediamo quando potremo davvero toglierci queste mascherine.
Siamo chiamati a rimetterci in cammino, a muoverci!
Alla domanda sopra espressa: in cammino, sì, ma verso dove?, la risposta più sensata pare essere di andare, camminare, procedere verso l’altro, per incontrarlo, accoglierlo, ascoltarlo e, con lui, costruire il bene reciproco, il bene comune per se stessi e la comunità.
I testi che sono raccolti in questo volume sono dei segnavia efficaci. Ci aiutano a guardare avanti, ad avere una traccia di percorso per il nostro camminare