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Idee per un’antropologia teologico-pastorale
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Idee per un’antropologia teologico-pastorale
E-book220 pagine3 ore

Idee per un’antropologia teologico-pastorale

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Info su questo ebook

Osservando l’uomo dal punto di vista teologico-pastorale, è possibile suggerire (nuove) idee all’antropologia teologica? Certamente! Anzitutto perché spetta alla teologia pastorale verificare se un’antropologia si è (o non si è) dimostrata “adeguata” a edificare la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Poi, perché la legittimità di un’antropologia teologico-pastorale non si fonda sulla rivendicazione del miglior modello antropologico presente sul “mercato” delle religioni.
Parlare dell’uomo dal punto di vista teologico-pastorale significa mettere a tema la novità che Dio ha realizzato nella morte e resurrezione del Figlio unigenito del Padre che spalanca l’abisso della carità dentro il quale cresce e si alimenta la vita dell’uomo nuovo chiamato all’amore del “fratello per cui Cristo è morto” (1Cor, 8,11).
LinguaItaliano
Data di uscita14 apr 2022
ISBN9788865128657
Idee per un’antropologia teologico-pastorale

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    Anteprima del libro

    Idee per un’antropologia teologico-pastorale - Nicola Reali

    Nicola Reali

    Idee per un’antropologia teologico-pastorale

    © 2021, Marcianum Press, Venezia

    Marcianum Press

    Edizioni Studium S.r.l.

    Dorsoduro 1 - 30123 Venezia

    Tel. 041 27.43.914

    marcianumpress@edizionistudium.it

    www.marcianumpress.it

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Marcianum Press – Edizioni Studium sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Impaginazione e grafica: Massimiliano Vio

    ISBN Edizione cartacea 978-88-6512-812-1

    ISBN Edizione digitale 978-88-6512-865-7

    ISBN: 9788865128657

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Al lettore

    Introduzione

    I problemi

    1. L’antropologia adeguata

    2. Il mercato delle religioni

    3. La presenza della Chiesa nel mondo

    4. Ingenuamente ottimisti

    Legittimità dell’antropologia teologico-pastorale

    1. Comprendere teologicamente l’azione ecclesiale

    2. Antropologia e/o teologia

    L’uomo nuovo in azione

    1. Resi partecipi di una nuova creazione

    2. Il fratello per cui Cristo è morto (1Cor 8,11)

    3. La carità aequi-voca

    4. Condividere la carità

    AUTORE

    Indice dei nomi

    IL CALAMO – TEOLOGIA

    IL CALAMO

    Teologia

    24

    Nicola Reali

    Idee per un’antropologia teologico-pastorale

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    Al lettore

    Raccolgo in questo volume alcune considerazioni sull’antropologia dal punto di vista teologico-pastorale che, con un po’ di presunzione (un pizzico non guasta mai), ho raggruppato sotto il titolo Idee per un’antropologia teologico-pastorale . L’allusione al celebre testo, che segna lo spartiacque fondamentale del pensiero filosofico contemporaneo, è infatti sotto gli occhi di tutti. Ma, al di là di questo riferimento, nella scelta del titolo è presente unicamente la volontà di suggerire che, se osservata da un’angolatura teologico-pastorale, l’antropologia teologica si scopre bisognosa di (nuove) idee .

    Il termine chiave del titolo, che ha una storia antica quanto la storia dell’uomo, deve allora essere minimalisticamente inteso come sinonimo di opinione, parere, posizione. Uno spunto di riflessione che vuole avanzare (nuove) idee sull’antropologia teologica, partendo dalla (forse) ingenua convinzione che l’ambito teologico-pastorale abbia da offrire qualcosa per rinnovare l’antropologia teologica. Se esiste, infatti, un aspetto del fare teologia in prospettiva pastorale che, più di tutti, consente di evidenziare (nuove) idee è proprio quello di mettere in questione quanto – troppo spesso – è stato ritenuto ovvio presupposto del lavoro teologico. Diversamente dalla cosiddetta teologia speculativa che, per suggerire qualche nuova idea, deve far la fatica di ricominciare da capo ogni volta, alla teologia pastorale è sufficiente essere quello che deve essere per guadagnare uno sguardo, in qualche modo, originalmente teologico. Basti, per esempio, ricordare che ogni prassi ecclesiale deve essere sottoposta a verifica: con criteri teologici, e non semplicemente efficientistici; spetta alla teologia pastorale valutare se programmi e progetti, nati dalla migliore e più accreditata teologia, si siano (o non si siano) rivelati idonei a edificare la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo. Non è poi così difficile, quindi, sollevare dubbi e domande su quello che è stato fatto e avanzare nuove idee.

    E se questo vale in generale, vale tanto più quando si parla di antropologia teologica. Come deve essere valutato quello che, ormai da molto tempo, sulla base di una precisa visione antropologico-teologica, è stato portato avanti nella prassi ecclesiale? È possibile proporne una disamina e provare (è solo un tentativo) a suggerire (nuove) idee? La risposta a questi interrogativi, ovviamente, non può che essere positiva. E in tale replica affermativa, è esplicitata la condizione sulla base della quale si muove questa pubblicazione. Essa, pertanto, non è in senso stretto un saggio di antropologia teologica né di teologia pastorale. Si parlerà molto di entrambi, ma l’unica finalità sarà quella di suggerire alcune idee per un’antropologia teologico-pastorale.

    Questo è quindi il cuore del presente volume che, come si vedrà, prende di petto e affronta numerose questioni sulle quali si sono prodotte intere biblioteche. Chi scrive è, infatti, consapevole del rischio di aver voluto pretendere per sé una competenza in troppi ambiti della ricerca storica, filosofica, teologica e biblica. Correre un tale pericolo è sembrato giustificato dal momento che si è inteso proporre un tracciato che, rendendo giustizia alla centralità della teologia pastorale, apre, almeno a titolo di questione possibile e lecita, altri interrogativi: sull’uomo e sulla sua irriducibilità a qualunque modello, ma anche sul suo rapporto con Dio che la fede cristiana riconosce realizzatosi nella morte e resurrezione del Figlio unigenito del Padre, che spalanca l’abisso della carità di Dio dentro la quale cresce e si alimenta la vita dell’uomo chiamato all’amore. Queste domande sono poste oggi in tentativi teologici (ma anche filosofici) importanti, originali e non poco numerosi. Resta il fatto che finora è stato aperto solo un pertugio e che la teologia pastorale, specialmente quella accademica, debba far propria questa ambizione.

    Infine, non posso tacere la mia gratitudine all’Istituto Pastorale Redemptor Hominis dove, grazie alla pazienza dei miei studenti e alla competenza dei miei colleghi, ho potuto maturare buona parte delle idee qui presenti. Un grazie anche all’Editore Marcianum che ha voluto accogliere questo libro nel catalogo delle sue pubblicazioni.

    N.R.

    31 maggio 2021, Festa della Visitazione

    Introduzione

    La teologia pastorale, si sa, è il tentativo di riflettere scientificamente sulla prassi ecclesiale in maniera teologicamente fondata. Che al suo interno possa esserci una riflessione antropologica è, da un certo punto di vista, scontato. Se l’azione della Chiesa mira, oggi come sempre, ad annunciare la buona novella del Vangelo di Cristo all’uomo, è chiaro che essa debba conoscere il suo interlocutore e debba aver chiaro quale immagine di uomo proporre.

    Normalmente, questa posizione si giustifica, da una parte, ricorrendo al dettato della Genesi riletto in senso incarnazionista e, dall’altra, all’oggettività della visione antropologica che ne deriva. In pratica, il dato rivelato della creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio e quello dell’incarnazione del Logos consentirebbero di dare corpo a una visione di uomo precisa che occorrerebbe riconoscere come oggettiva, in quanto valida per tutti gli uomini in tutti i tempi. Questo paradigma teologico-antropologico si struttura pertanto su quattro elementi fondamentali:

    1. La dottrina della creazione, in quanto massima espressione della visione antropologica della Bibbia, detta le linee di tutti i pronunciamenti teologici sull’uomo. Creato a immagine e somiglianza di Dio, l’uomo può essere veramente se stesso unicamente nell’adeguazione più perfetta possibile a quanto stabilito da Dio fin dalle origini.

    2. La dottrina dell’incarnazione, secondo la quale la seconda Persona della Trinità assume una natura umana, rivela definitivamente il vero volto di Dio e dell’uomo, consentendo così all’uomo caduto nel peccato l’effettiva realizzazione del piano originario di Dio.

    3. L’incarnazione non è unicamente un evento passato, ma la permanente presenza di Cristo nella sua Chiesa. Se Gesù di Nazareth è dunque il luogo al quale guardare per cogliere il vero volto dell’uomo, la Chiesa è il luogo dove l’umanità dell’uomo può realizzarsi grazie al sistema sacramentale attraverso il quale i credenti sono incorporati nel corpo mistico di Cristo.

    4. La dottrina della creazione riletta in chiave incarnazionista non è solo decisiva per comprendere l’identità della Chiesa, ma anche quella del mondo intero. Dio è all’opera nell’intera creazione: nella natura così come nella cultura umana e nella scienza. L’azione della Chiesa deve continuare l’opera di Dio, iniziata con l’incarnazione del Verbo, e lì realizzata perfettamente, cercando di discernere nel mondo quanto è conforme al piano di Dio e quanto è difforme.

    Seppur sintetizzati un po’ grossolanamente, questi argomenti stanno alla base della stragrande maggioranza dei progetti antropologico-pastorali. A essi occorre aggiungere il paradigma dell’oggettività, che di per sé la teologia prende a prestito dalla filosofia e, in particolare, dalla filosofia moderna. A parte quest’ultimo, nessuno degli argomenti presentati è teologicamente irrilevante per un’antropologia teologico-pastorale, pur tuttavia resta indeterminato in che senso essi possano essere assunti quale base di una riflessione antropologica in chiave teologico-pastorale. Pur mettendo tutti a tema l’uomo, essi adottano il termine-chiave uomo oscillando continuamente tra differenti significati che mai si ha la preoccupazione di distinguere: il primo uomo Adamo, l’uomo Gesù di Nazareth, l’uomo credente e l’uomo contemporaneo. A questo si aggiunga che il rinvio alla Genesi e all’incarnazione è anch’esso genericamente assunto senza alcuna distinzione tra l’evento della creazione e dell’incarnazione, la dottrina della creazione e dell’incarnazione e la confessione della fede nella creazione e nell’incarnazione.

    Tali imprecisioni sono decisive per comprendere l’antropologia teologico-pastorale. Infatti, anche se ogni accezione del termine uomo è connessa alle altre, è evidente che, accentuando l’uno o l’altro dei significati, si avranno prospettive e progetti differenti: un conto è parlare dell’umanità dalla prospettiva della creazione, un conto è parlarne da quella dell’unione ipostatica e un conto è considerarla facendo riferimento all’uomo d’oggi, sia esso credente o non credente. Non che questa differenza stabilisca una diversità di natura. Il problema è chiedersi sotto quale profilo l’umanità dell’uomo deve essere messa a tema dal punto di vista teologico-pastorale: il progetto originario di Dio? L’unione del divino e dell’umano in Gesù di Nazareth? Il credente? Oppure, l’uomo contemporaneo? Rispondere sotto tutti e quattro i profili, riportando ogni differenza a una comune natura umana, non risolve il problema, tenuto conto che il concetto di natura in questo caso sarebbe pensato proprio per livellare e azzerare queste differenze, riproponendo tautologicamente la stessa indeterminatezza semantica del termine uomo.

    Piuttosto, occorre notare che tutti questi modi diversi di parlare dell’uomo chiamano in causa delle differenze in cui ogni volta quello che si comprende è delimitato rispetto al resto e, quindi, definito da esso. Nel caso della creazione, infatti, l’umanità di Adamo non può essere messa a tema indipendentemente dall’atto creatore di Dio, per cui la differenza che stabilisce la prospettiva indispensabile a cogliere il significato della parola uomo in riferimento al primo vivente, è quella che rimanda al suo essere creatura di Dio, distinto e differente dal creatore. Il che vuol dire che l’identità del primo uomo in quanto creatura è stabilita sulla base della sua differenza dal creatore ( differenza teologica). Allo stesso modo, prendendo in considerazione l’incarnazione, il momento antropologico si specifica nel rinvio alla divinità, dal momento che l’umanità del Logos incarnato è accessibile unicamente partendo dalla differenza (nell’unità della persona) tra la natura divina e quella umana. Per cui, in questo caso, è la differenza umanità/divinità sancita dal dogma calcedonese ( differenza cristologica) a chiarire ciò di cui si parla quando si guarda all’uomo. Infine, è evidente che, prendendo di mira l’uomo credente, il punto cui riferirsi sarà la sua differenza dal non credente ( differenza esistenziale) e, quando il ragionamento si concentrerà sull’uomo contemporaneo, decisiva sarà la sua differenza dall’uomo vissuto nel passato ( differenza temporale o storica).

    Queste distinzioni possono essere combinate in modo diverso, ma non possono essere ridotte l’una all’altra, riportandole a qualcosa di comune. Esse non rispondono alla medesima questione, ma a questioni diverse. Di conseguenza non possono neppure essere ridotte a un concetto univoco di uomo, per quanto lo si dichiari teologicamente caratterizzato. Fare chiarezza su questo può essere di aiuto per cogliere il significato e la legittimità di un’antropologia teologico-pastorale.

    Prima di procedere, occorre nondimeno comprendere che, se non ci sono dubbi che la prassi ecclesiale sia l’oggetto proprio della teologia pastorale, allora, va da sé che, al suo interno, il momento antropologico possa essere tematizzato unicamente sul duplice versante del soggetto agente e del destinatario dell’azione. Da questa angolatura, l’antropologia, pertanto, fornisce solamente un’informazione sull’agente e sul destinatario (non è immediatamente implicato un profilo veritativo). Allo stesso tempo, appare chiaro che la questione di fondo è quella di capire come agire per agire nel modo più efficace possibile e cosa accade all’uomo quando è raggiunto dall’azione ecclesiale. La teologia pastorale può, dunque, occuparsi dell’antropologia unicamente quando mette a tema l’azione di un credente che si rivolge ai suoi contemporanei. Meglio ancora: una comunità di credenti che – avendo come unica preoccupazione quella di agire da credenti (evitando di agire da non credenti) – mettono in atto una prassi concreta che consente alla Parola di Dio di risuonare nel mondo. Ascoltare questa Parola e accoglierla significa diventare credenti; rifiutarla manifesta la volontà di rimanere nell’incredulità.

    Non si tratta pertanto di negare il valore della Genesi e dell’incarnazione, ma di rendersi conto che la domanda che guida la riflessione antropologica dal punto vista teologico pastorale prende di mira necessariamente la figura uomo implicato nell’azione pastorale della Chiesa: che tipo di uomo è quello che agisce nella prassi ecclesiale? Tale interrogativo non può e non deve essere né confuso né sovrapposto a quello che guida l’indagine antropologica quando si orienta a riflettere sulla creazione di Adamo ed Eva oppure sull’umanità del Logos incarnato. Sono profili distinti attraverso i quali si studia l’unica umanità dell’uomo. Ma la domanda che orienta la ricerca teologico-pastorale gode di una peculiarità e fa riferimento all’agire di uomo definito dalla sua appartenenza ecclesiale in virtù della sua professione di fede emessa al momento del battesimo. Si tratta pertanto dell’agire di un credente. Il che rivela come, osservata da un’ottica teologico-pastorale, sia la differenza credente/non-credente a consentire di mettere a tema la questione antropologica, identificando sia l’agente sia il destinatario della prassi ecclesiale.

    Pur tuttavia, occorre ricordare che quest’ultima considerazione ha valore unicamente dal punto di vista di Dio, non del mondo. Detto diversamente: è solo dal punto di vista di Dio (e, quindi, da una prospettiva teologica) che gli uomini si dividono in credenti e non credenti, mentre, da un’angolatura mondana, credere o non credere appaiono come due possibili modi di esistenza tra i molti a disposizione dell’uomo. Di conseguenza, se appare plausibile pensare che un’antropologia teologico-pastorale prenda in considerazione l’uomo sotto il profilo della differenza credente/non-credente, allo stesso tempo essa dovrà procedere con molta cautela poiché la dimenticanza della distinzione tra il punto di vista di Dio e quello del mondo può generare degli equivoci che corrono il rischio di compromettere qualsiasi progetto pastorale in chiave antropologico-teologica.

    I problemi

    Si è detto che la prassi ecclesiale non può prescindere da un’antropologia per il semplice fatto che si rivolge all’uomo concretamente esistente. Questi vive nel mondo. Non solo perché, banalmente, non vive sulla luna, ma anzitutto per quella inerenza al mondo che, da Heidegger in poi, impone di riconoscere il mondo come l’orizzonte insuperabile della vita umana, non come realtà, ma come l’insieme delle nostre possibilità di vita e di azione [1] . «Il mondo è fenomenologicamente l’invalicabile […] Io non sono nel mondo come l’acqua è nel bicchiere, né come il pesce è nell’acqua […] L’uomo ha un mondo, l’animale non ce l’ha, è povero di mondo e non possiede che un ambiente» [2] . Il mondo, dunque, non è la totalità delle cose alle quali noi possiamo dare un nome o tentare di spiegare. Non è neppure la cosa più grande che conterebbe tutte le altre. Esso è la condizione originaria attraverso la quale l’uomo è ciò che è, e ha accesso alle cose.


    [1] M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica, tr. it. di A. Angelino, Il Melangolo, Genova 1992.

    [2] J.-Y. Lacoste, Esperienza e assoluto. Sull’umanità dell’uomo, tr. it. di A. Patané, Cittadella, Assisi 1994, 28.

    1. L’antropologia adeguata

    Il mondo, così inteso, non è pertanto l’insieme delle cose esistenti nell’universo o nel cosmo, è un concetto riflessivo che non indica qualcosa , ma designa l’orizzonte di ogni rapporto che l’uomo instaura con tutte le cose. Di tutte le cose l’uomo può e deve cercare di dare una spiegazione, ma non del mondo, giacché esso è la condizione di ogni spiegazione. Questa sorgiva e invalicabile inerenza al mondo che ogni uomo sperimenta (per il fatto di essere uomo) obbliga a porsi la domanda su

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