Nel fantastico ed arcaico mondo degli ausoni: La saga dei patrioti del Sacro Impero Romano Italiano
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Recensioni su Nel fantastico ed arcaico mondo degli ausoni
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Anteprima del libro
Nel fantastico ed arcaico mondo degli ausoni - Fulvio Badini - Tranchese
info@youcanprint.it
Capitolo I
Si svegliò appena avvertì le prime gocce d'acqua sul viso. Stava per iniziare a piovere. Aprì gli occhi e percepì un movimento di uomini attorno a lui: un po' smarritosi guardò attorno, ma a causa del buio fece fatica a comprendere che stava in un accampamento militare. Il brusio e i passi dei soldati che si preparavano alla battaglia gli fecero ben presto battere forte il cuore. Si alzò col busto e, seduto, provò a scrutare senza successo i volti degli uomini che si muovevano lentamente in ogni direzione in attesa degli ordini del comandante. In alto le oscure ombre delle chiome di imponenti alberi si agitavano leggermente a causa del vento e alle sue spalle un massiccio tronco d'albero sembrava che stesse lì per proteggerlo. Non riusciva a capire dove potesse trovarsi quando, all'improvviso, dalle tenebre sbucò la sagoma di una persona che veloce si avvicinò a lui: impugnava una spada e possedeva uno scudo, e quando gli fu davanti si inginocchiò in modo che entrambi potessero guardarsi negli occhi.
-«Fulvio, devi alzarti! Stanno per arrivare e dobbiamo combattere».
Lui tirò nei polmoni tutta l'aria fredda che poté e incontrò il viso di Camilla: non aveva mai visto questa giovane donna, ma intuì che di lei poteva fidarsi.
-«Dove siamo e contro chi dobbiamo combattere?», domandò lui che non comprendeva il senso di quelle parole.
-«Lo saprai presto. Ora fidati di me. Mi chiamo
Camilla. Non hai mai visto nessuno di tutti i nostri compagni d'armi che sono qui, però riuscirai a distinguere i nostri nemici che sono più bassi di noi e indossano una tunica bianca con un cerchio rosso all'altezza del cuore».
-«Camilla, in che epoca e dimensione ci troviamo?», fece lui mentre si alzava e alzandosi percepiva di avere una spada nella cintura.
-«Lascia perdere per ora… te lo dirò a battaglia finita e te lo dirò a condizione che tu sopravviva, perché sulle lame delle spade che usano gli zanryù è cosparso un veleno che non lascia scampo a chi viene ferito anche in modo leggero. È sufficiente che il veleno trovi una piccola ferita per entrare nel tuo sangue e ucciderti. Non farti colpire».
-«Ci proverò a non farmi uccidere…», disse lui e ripeté:
-«Ci proverò», ma aveva paura per il rischio che correva.
-«Prendi il tuo scudo - disse lei - e seguimi e bada a non parlare che non possiamo correre il rischio di farci scoprire da qualche pattuglia nemica di esploratori».
Fulvio trovò uno scudo di forma rettangolare e di colore scuro a qualche passo da lui, adagiato a terra, lo raccolse e infilò la mano in una doppia cinghia in modo che potesse usarlo per proteggersi dai fendenti degli avversari; poi, in silenzio, si incamminò seguendo la ragazza che aveva poco più di vent'anni e una treccia di capelli castani che da dietro la nuca le scivolava sul petto. Nel giro di qualche minuto anche loro due si trovarono incolonnati in un gruppo di soldati. Indossavano tutti una tunica scura con un mantello nero e una leggera corazza. Alcuni soldati avevano un moschetto o un arco, ma molti erano armati solo con la spada e uno scudo. Il silenzio era d'obbligo e tutti gli armati erano consapevoli dei rischi che correvano, perché presto si sarebbero confrontati con un nemico astuto, imprevedibile e abile nel maneggiare le armi.
Una leggera pioggia bagnava i volti e le tuniche dei soldati che dopo circa mezzora giunsero in una fitta boscaglia delimitata da greto di un torrente, mentre al di là del corso d'acqua c'era una strada in terra battuta che costeggiava il ripido versante di una montagna con un bosco di pini.
Ad un cenno del comandante i soldati si disposero su due file per circa un centinaio di metri di fronte al greto di un corso d'acqua: un torrente facile da guadare per la sua poca e chiara acqua. Stavano tutti con un ginocchio a terra e in silenzio, mentre le prime luci dell'alba iniziavano ad illuminare la strada e il versante della montagna che avevano di fronte.
Camilla era accanto a Fulvio e i suoi occhi verdi erano vivi e attenti a scrutare il territorio circostante. Ogni tanto lei si voltava verso di lui e con un sorriso provava ad incoraggiarlo: aveva un volto radioso, con sopracciglia ben curate, le labbra sottili, denti bianchi e perfetti e un piccolo e grazioso naso, ma erano soprattutto gli occhi vispi ad attirare l'attenzione di lui.
-«Ancora pochi minuti - fece lei con la voce bassa
- e dalla nostra sinistra arriveranno gli zan-ryu: non sono tanti, ma sono determinati a combattere e con loro portano alcuni nostri compagni che sono stati fatti prigionieri tre giorni fa. Aspetteremo che i nostri arcieri e fucilieri che si sono nascosti nel bosco sulla montagna davanti a noi aprano il fuoco e che uccidano il maggior numero di nemici. Poi toccherà a noi attaccare e combattere corpo a corpo. La priorità è liberare i nostri compagni».
-«Loro, gli zan-ryù, quanti sono?», bisbigliò lui.
-«Forse centocinquanta o duecento o anche di più», rispose lei mentre scrutava la strada sulla sua sinistra.
-«E noi?», chiese lui mentre stringeva forte l'impugnatura della spada.
Lei si guardò velocemente attorno e disse:
-«Nel bosco ci sono 120 uomini della terza compagnia del battaglione Cacciatori del Piave
, mentre noi qui siamo 150 armati della prima compagnia del battaglione Lupi di Ajaccio
. I numeri dovrebbero essere a nostro favore, ma gli zan-ryù sono pericolosi come gli scorpioni e tante volte fingono di essere morti per aggredirti ed ucciderti alle spalle. Devi fare molta attenzione!».
-«Auguriamoci di non essere colpiti e io spero soprattutto che tu non muoia!», fece lui che nel profondo dell'animo provò un fremito per lei, e lei dovette accorgersene perché appoggiò la sua mano su quella di Fulvio che impugnava la spada e poi lo guardò diritto negli occhi, così che lui ebbe modo di scorgere la sua pelle bianca e delicata nonostante fosse una ragazza abituata, molto probabilmente, a combattere e ad uccidere.
-«Ben presto - disse lei - imparerai che la nostra esistenza è un continuo combattimento e ci tocca assistere alla morte di compagni che hanno fatto un pezzo di strada con noi, così come durante il nostro viaggio conosceremo nuovi amici pronti a battersi al nostro fianco con lealtà e senso dell'onore».
Camilla ebbe appena finito di parlare che si sentì un leggero verso, simile a quello delle aquile, arrivare dalla postazione del comandante: era l'ordine di fare silenzio assoluto. Gli zan-ryu si stavano avvicinando. La battaglia era imminente. Fulvio tirò un lungo respiro e percepì che tutti i suoi compagni avevano fatto la stessa cosa. A circa trenta metri da lui c'era il comandante: un uomo che doveva avere intorno ai quarant'anni: era il capitano Giovanni Pastorelli, conte di Briga, e sembrava sicuro di sé e certamente era consapevole che dai suoi ordini dipendeva la vita o la morte dei suoi soldati. Il comandante era l'unico a stare in piedi perché doveva scrutare tutto l'area circostante e capire la migliore strategia da adottare: Fulvio non lo aveva mai visto e non aveva mai sentito parlare di lui. Dentro di sé, però, Fulvio percepiva che l'obiettivo principale del comandante era quello di perdere il minor numero possibile di soldati, perché il capitano Pastorelli considerava preziosa la vita di ogni uomo che gli era stato affidato.
-«Ci siamo», affermò con la rabbia negli occhi Camilla alla vista dei primi due nemici che in capo alla colonna militare provenivano dal fondo della strada. Il reparto degli zan-ryu procedeva lento e guardingo, perché il loro capitano era consapevole che gli ausoni potevano tendere agguati e di certo avrebbero fatto di tutto per vendicare i loro commilitoni caduti in una precedente battaglia e, soprattutto, si sarebbero impegnati per liberare i loro compagni fatti prigionieri. La colonna degli zan-ryu avanzava con una cospicua avanguardia di moschettieri, seguita dal plotone comando che scortava il proprio comandante ed il gruppo dei prigionieri che erano legati a due a due con corde. Infine, a chiudere la colonna, il grosso del reparto.
Bisognava agire con determinazione e ogni secondo, ogni attimo, si sarebbe rivelato utile per evitare che gli zan-ryù uccidessero i prigionieri. Anche se la