Risurrezione III
Di Leo Tolstoy
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Info su questo ebook
Leo Tolstoy
Leo Tolstoy (1828-1910) was a Russian author of novels, short stories, novellas, plays, and philosophical essays. He was born into an aristocratic family and served as an officer in the Russian military during the Crimean War before embarking on a career as a writer and activist. Tolstoy’s experience in war, combined with his interpretation of the teachings of Jesus, led him to devote his life and work to the cause of pacifism. In addition to such fictional works as War and Peace (1869), Anna Karenina (1877), and The Death of Ivan Ilyich (1886), Tolstoy wrote The Kingdom of God is Within You (1893), a philosophical treatise on nonviolent resistance which had a profound impact on Mahatma Gandhi and Martin Luther King Jr. He is regarded today not only as one of the greatest writers of all time, but as a gifted and passionate political figure and public intellectual whose work transcends Russian history and literature alike.
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Anteprima del libro
Risurrezione III - Leo Tolstoy
Risurrezione III
Eugenio Venceslao Foulques
Воскресение
The characters and use of language in the work do not express the views of the publisher. The work is published as a historical document that describes its contemporary human perception.
Copyright © 1899, 2020 Lev Tolstoj and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788726569285
1. e-book edition, 2020
Format: EPUB 3.0
All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
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I.
Il convoglio del quale faceva parte Maslova aveva già fatto circa cinque mila verst. Fino a Perm, Maslova aveva viaggiato per ferrovia e per piroscafo coi condannati per reati comuni, e fu solo in quest’ultima città che riuscì a Niehliudof di ottenere il suo trasloco fra i condannati politici, come gli era stato consigliato dalla Bogo-duhovskaia. la quale faceva anche parte dello stesso convoglio.
Il viaggio fino a Perm fu assai penoso per Maslova, fisicamente e moralmente. Fisicamente a causa dell’agglomerazione, della sporcizia, degl’insetti schifosi che non davano pace ad alcuno; – moralmente, a causa degli uomini non meno schifosi, i quali, al pari d’insetti immondi, dovunque, benché si cambiassero ad ogni stazione, erano sempre insistenti, insolenti, e non la lasciavano mai in pace. Fra i condannati e le condannate, gli ispettori e i soldati di scorta, si era stabilito tale un libertinaggio cinico che ogni donna, specialmente poi se giovane, doveva stare sempre in guardia se le ripugnava di approfittare appunto della sua qualità di donna. E quello stato incessante di timore, di ansia, di lotta, era assai penoso per Maslova, la quale, più delle altre, era esposta ad attacchi di ogni specie, a causa della sua avvenenza e del suo triste passato che non era ignorato da alcuno. Il rifiuto fermo e reciso che dava ora a tutti gli uomini pareva loro un affronto personale, e provocava, da parte loro, dei sentimenti astiosi contro di lei. La sua situazione era solo alquanto alleggerita dalla compagnia di Fe-dosia e di Tarass, il quale, avendo saputo dei tentativi ai quali sua moglie era stata esposta, aveva chiesto ed ottenuto di viaggiare da condannato, per poter essere vicino a lei e proteggerla. Ed é così che viaggiava da Nìgeni in poi.
Il trasferimento di Maslova nella sezione politica aveva di molta migliorata la sua condizione. Oltre che i condannati politici erano meglio trattati, meglio nutriti, il passaggio di Maslova nella loro sezione aveva pure avuto il vantaggio di sottrarla alle persecuzioni galanti degli uomini, e poteva finalmente vivere senza che ogni minuto le ricordasse quel passato odioso che, ora, avrebbe voluto dimenticare per sempre. Ma il vantaggio principale era che, fra i politici, aveva fatto la conoscenza di alcune persone che potevano avere su di lei l’influenza più felice e più decisa.
Maslova era stata autorizzata, durante le fermate, ad alloggiare coi politici, ma, essendo in buona salute, doveva camminare insieme ai condannati comuni. Ed é così che aveva camminato, a cominciare da Tomsk. Insieme a lei camminavano due condannati politici: Maria Pavlovna Stcetinina, quella bella giovane dagli occhi sereni che tanto aveva colpito Niehliudof allorché era andato in prigione per vedere la Bogoduhovskaia, ed un certo Simonson, che si conduceva nella regione di Jaku-tsk; quello stesso uomo bruno, peloso, dagli occhi incavati, che Niehliudof aveva anche osservato in quella stessa occasione. Maria Pavlovna andava a piedi perché aveva ceduto il suo posto nel carro ad una donna incinta, condannata per reato comune; Simonson perché stimava ingiusto di avvalersi di un privilegio di classe. Tutti e tre viaggiavano di mattino presto, coi condannati comuni, mentre i politici partivano più tardi nei carri.
Così era avvenuto fino all’ultima tappa, prima di giungere ad una grande città, dove il convoglio doveva essere dato in consegna ad un nuovo comandante.
Era un tetro mattino di settembre. Ora nevicava, ora pioveva, con intervalli di forte vento ghiacciato. Tutti i componenti del convoglio – un 400 uomini e circa 50 donne – si trovavano nel cortile della loro prigione provvisoria; un certo numero circondava il sotto-ufficiale della scorta il quale distribuiva del danaro ai prigionieri, delegati dai loro camerata, e destinato alla compera delle provvigioni per quarantotto ore, dai mercanti autorizzati a penetrare nel cortile della sosta. Si udiva il rumore delle voci che contavano il danaro, pattuivano le provviste, ed il grido acuto delle venditrici.
Katuscia e Maria Pavlovna, tutte e due in stivali e pellicce di pelle di montone, col capo avvolto in scialli, uscirono anch’esse nel cortile e andarono verso le venditrici, le quali stavano contro il muro per proteggersi dal vento, e cercavano di attirare i clienti; esse vendeva no dei pasticcini, del pesce, della kàstici¹, del fegato, della carne, delle uova e del latte; una di esse offriva anche dell’arrosto di porcello di latte.
Simonson, in abito e galoscie di cautciù – attaccate da corde sulle calze di lana (egli era vegetariano e non impiegava pelli di animali) – aspettava anch’egli nel cortile la partenza del convoglio. In piedi, presso il peristilio, egli notava sul taccuino un pensiero che gli era sorto nella mente:
«Se la batteriologia, scriveva egli, potesse osservare ed esaminare l’unghia dell’uomo, essa concluderebbe che l’oggetto studiato appartiene al mondo inorganico. Siamo giunti alla stessa conclusione, a proposito del nostro pianeta, esaminandone solo la scorza. Ma é falso!» Un movimento si produsse tra i prigionieri, nel momento in cui Maslova, la quale aveva comprato delle uova, un’infilzata di tarallucci, del pesce e del pane fresco, collocava le sue provviste in un sacco, mentre Maria Pa-vlovna pagava le mercantesse. Tutti tacquero e si disposero in fila. Il capo del convoglio uscì e diede le ultime istruzioni.
Tutto andò come al solito: si fece l’appello, si verificò la solidità delle catene, si accoppiarono quelli che dovevano marciare con le manette. Ma ben presto si fece udire la voce autoritaria e collerica dell’ufficiale, il rumore di colpi dati su un corpo umano e pianti di fanciul lo. E dopo un momento di completo silenzio, un mormorio indignato che percorreva la folla.
II.
Maria Pavlovna e Katuscia si avvicinarono al posto d’onde proveniva il rumore; esse videro l’ufficiale, uomo tarchiato, dai gran baffi biondi, il quale aggrottava i sopraccigli e sfregava la palma della mano sinistra contro quella destra, che gli coceva perché aveva dato un violento schiaffo ad un prigioniero; intanto non cessava dal pronunciare delle grossolane ed oscene bestemmie. Innanzi a lui stava un alto e magro prigioniero, con la testa rasa e vestito col cappotto corto della prigione e con un calzone anche più corto, il quale si asciugava il viso insanguinato con una mano, mentre all’altra teneva una bambina avvolta in uno scialle, e che strillava a squarciagola.
– Io ti… (e qui un’oscena bestemmia)… io ti insegnerò a fare delle riflessioni… (un’altra bestemmia)… Dàlla alle donne! gridava l’ufficiale. Animo! mettile subito! -L’ufficiale esigeva che si mettessero le manette a quel condannato alla deportazione dal consiglio rurale. Dopo la morte di sua moglie, a Tomsk, era stato lui a portare la bambina durante il tragitto. Il pretesto ch’egli aveva invocato di non poter continuare a portare la figliuola con le manette, aveva a tal segno irritato l’ufficiale, in quel momento di cattivo umore, che aveva battuto il prigioniero fino ad insanguinarlo, perché costui non aveva ubbidito subito.
Di faccia al prigioniero percosso stava un soldato della scorta; un altro condannato, con una grande barba nera, ed una mano infilata nelle manette, guardava di soppiatto il suo camerata, il padre della bambina. Quando l’ufficiale ripetè l’ordine di togliere la piccina, alcuni violenti mormorii si alzarono dalla folla dei prigionieri che assistevano a quella scena.
– Ha marciato senza manette fino a Tomsk! disse una voce rauca dall’ultima fila della colonna.
– Porta una bambina, non un cane! Dove metterà la piccina?
– È contro il regolamento!
– Chi ha detto questo? esclamò l’ufficiale come se qualcuno l’avesse insultato, e scagliandosi contro la folla. – Ti insegnerò io il regolamento! Chi ha parlato? Tu? tu?
– Tutti lo dicono, perchè… disse un prigioniero tarchiato, dalle larghe spalle.
Non potè finire; l’ufficiale gli tempestava la faccia di pugni.
– Ah! è dunque una sommossa? – Io vi insegnerò… una sommossa! Vi farò fucilare come cani! E le autorità mi saranno riconoscenti! Prendi la piccina!
Il silenzio dominò la folla. La bambina, che piangeva disperatamente, fu strappata dalle braccia di suo – padre da un soldato, mentre che un altro metteva le manette al prigioniero, il quale tendeva le mani con sottomissione.
Portala alle donne! urlò l’ufficiale al soldato, mettendo a posto la sua tracolla.
La bambina che aveva le mani avvolte nello scialle, cercava di toglierle, e, col viso congestionato, non cessava di urlare disperatamente.
Maria Pavlovna si staccò dalla folla e si avvicinò al soldato che teneva la bambina.
– Permettetemi di prenderla, signor ufficiale. Il soldato si fermò.
– Chi sei? chiese l’ufficiale.
– Sono una condannata politica.
Il bel viso di Maria Pavlovna, coi suoi begli occhi sereni – egli l’aveva notata nel momento in cui prendeva la direzione del convoglio – impressionò visibilmente l’ufficiale.
Guardò in silenzio la giovanetta, come se pesasse il pro ed il contro.
– Poco mi preme! Prendetela se volete! diss’egli finalmente. – È facile per voi di compiangerli; ma chi sarà responsabile se scappano?
– Come potrebbe scappare insieme alla bambina? chiese Maria Pavlovna.
– Non ho tempo di discutere con voi! Prendetela, se così vi piace!
– Ordinate di darla? chiese il soldato.
– Dàlla.
– Vieni vicino a me! disse Maria Pavlovna