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La seconda forma del sogno
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La seconda forma del sogno
E-book141 pagine1 ora

La seconda forma del sogno

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Info su questo ebook

La seconda forma del sogno è la storia di quattro donne: Martina, un’adolescente con disturbi mentali che vive in un paese sul litorale romano; la dottoressa Silvestrelli, che la segue tentando di sperimentare un nuovo metodo di cura; Federica, una studentessa in bilico tra la propria giovinezza infelice e una possibile svolta esistenziale; e Aalina, una donna delle pulizie che si esprime attraverso ermetici e onirici disegni. Quattro vite che s’incontrano e si confondono sul filo della follia, tessendo le loro storie come una treccia che diventa sempre più inestricabile.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2020
ISBN9788895187976
La seconda forma del sogno

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    Anteprima del libro

    La seconda forma del sogno - Marco Saverio Loperfido

    Foglio 1 della dottoressa Luisa Silvestrelli

    Primo incontro con Martina, adolescente. Indossa jeans corti alle caviglie, come quelli che andavano di moda quando io avevo la sua stessa età, scarpe da ginnastica e giacca blu troppo leggera per il freddo invernale. La faccio accomodare con un gesto e un sorriso. Martina si siede nonostante non mi abbia mai guardato negli occhi. È impacciata, come persa in questa giacca che sembra uno spaventapasseri. Non indossa né camicia né maglietta. Capelli castani, racchiusi in un fermaglio di legno. È molto magra e s’intravede il seno. Sembra dif

    Incontro 1

    Trascrizione della prima seduta con Martina Okhotavic. Passo Oscuro, Via Villa Urbana 7, Cooperativa L’albero del Mondo, in data 13 gennaio 2016, ore 11.

    D=Dottoressa

    M=Martina

    D- Ciao Martina sono la dottoressa Silvestrelli.

    Martina sta in piedi sulla soglia della porta. Si avvicina con discrezione e si siede lentamente. Sembra sospettosa.

    D- È la prima volta che vieni qui?

    M- Mi ci ha portato papà.

    D- Me lo vuoi presentare?

    M- No, lui sta fuori che aspetta. Facciamo presto, vero?

    D- Oggi sì.

    Martina si guarda attorno e scruta la stanza, poi fissa gli occhi a sinistra, dove sta la finestra. Rimane così per qualche secondo, a fissare il paesaggio.

    M- Cosa sta scrivendo su quel foglio?

    D- Appunti. Serve per lavorare meglio. Non ti preoccupare.

    Silenzio. Martina guarda sempre verso sinistra, verso il paesaggio.

    D- Se ti dà fastidio smetto.

    M- Come vuole. Solo non capisco perché non mi abbia mai guardata negli occhi, da quando sono entrata.

    D- Ecco: ho lasciato la penna sul tavolo. Vedi?

    Martina distoglie lo sguardo dalla finestra, si scioglie i capelli e mette il fermaglio sul tavolo, accanto alla penna.

    M- Così siamo pari.

    D- Siamo pari?

    M- Io una cosa sul tavolo e lei una cosa.

    D- Bene.

    Martina mette sul tavolo anche un piccolo rotolo di plastica nero.

    D- Cos’è?

    M- Le bustine per la cacca del mio cane.

    D- Capisco. Quindi ora possiamo iniziare?

    M- No lei deve aggiungere qualcosa di suo. Così siamo pari.

    D- Può andar bene il pacchetto di gomme?

    M- No, le gomme si mangiano, la cacca no.

    D- Cosa vuoi che tolga, Martina?

    M- La telecamera.

    D- Ah, la telecamera (silenzio. Dunque Martina aveva visto la telecamera). Anche la telecamera non si mangia.

    M- No, ma fa la cacca. Caca le cose.

    D- Capisco. Ma non posso… Serve per lavorare meglio. Ti spiego subito perché è necessaria: se qualcuno volesse sapere cosa ci siamo detti e cosa è avvenuto tra noi… ecco, la telecamera ha registrato tutto. E poi è una specie di… occhio esterno. Mi capisci?

    M- Sì che capisco l’occhio esterno. Allora riprendo le bustine.

    Martina riprende le bustine dal tavolo.

    D- Così siamo pari.

    Martina sorride.

    M- Che lavoro facciamo?

    D- Parliamo. Chiacchieriamo di tutto quello che ci viene in mente, almeno per le prime volte, poi vedremo. Insieme. Noi non ci conosciamo e secondo me è un bene. Tu non sai chi sono, cosa faccio e io non so nulla di te. Non mi sono fatta dire nulla sul tuo conto, né ho letto le relazioni scritte da altri. So solo quando sei nata e come ti chiami. Lavoro così.

    M- Ha già detto tre volte lavoro e io solo una. Non va bene.

    D- (Silenzio) Hai ragione. Vedi però: incominciamo a scoprirci a vicenda. Hai fratelli?

    M- Sono in tre.

    D- Vuoi dirmi i loro nomi?

    M- Ian, Katy e Yuri.

    D- Vostro papà è straniero?

    M- Papà è russo, mamma no.

    D- Dov’è nata mamma?

    M- È nata qui vicino, a Torvaianica. Papà è venuto in Italia da giovane e ha incontrato mamma. Poi si sono… innamorati (ride).

    D- Vai bene a scuola, Martina?

    M- Non vado più a scuola e non so quando ci ritornerò.

    D- È una scelta dei tuoi genitori?

    M- No, mia.

    D- Da quanto tempo non ci vai?

    M- Da quando è cominciata.

    D- Martina… posso prendere appunti, adesso?

    M- Faccia come vuole. Solo non capisco perché non mi abbia mai guardato negli occhi, da quando sono entrata.

    Martina dice questa frase per la seconda volta, ma in realtà è lei a non aver mai guardato in faccia la dottoressa.

    D- Va bene ho capito. Però le prossime volte dovrò prendere appunti.

    M- È il suo lavoro.

    D- Hai detto lavoro. Cos’è… la terza volta anche per te? Siamo pari?

    M- No affatto. L’ho detto tre volte, ma parlavo del suo lavoro, non del mio.

    Silenzio

    D- Anche io ho dei fratelli, sai? Due maschi. Sono la più grande. Hanno pure dei figli.

    M- Quanta gente…

    D- Sì è vero… ma a Natale non stiamo mai tutti assieme, purtroppo. Tu come hai passato le vacanze?

    M- Camminando.

    D- In che senso?

    M- Camminavo.

    D- Da sola?

    M- No, con Yuri.

    D- Ah, uno dei tuoi fratelli. Siete molto legati?

    Martina sorride.

    M- Sì, dal guinzaglio (ride).

    D- In che senso?

    M- Da quando è cominciata.

    Silenzio. La dottoressa si alza e sposta la propria sedia accanto a quella di Martina. Adesso non c’è più la scrivania a dividerle.

    D- Guardami Martina.

    Martina non la guarda, ma si alza e va verso la finestra. Esce dall’inquadratura.

    M- Posso vedere il foglio che stava scrivendo quando sono arrivata?

    D- No, non posso dartelo.

    M- Insieme… ma lei un poco avanti.

    D- Sono la guida, Martina, insieme a te… ma leggermente avanti, con lo sguardo.

    Silenzio.

    D- Per oggi può bastare. Ok?

    Diario di Federica

    20 gennaio 2016

    Giornate monotone, come sempre. Possibile che nella mia vita ci debba essere tutta questa noia? Qualche novità solo sul fronte universitario. La professoressa mi ha ingaggiato per un lavoro molto importante, a suo dire. Si tratta della trascrizione di alcune interviste che sta somministrando a una paziente di nome Martina. La prof aveva gli occhi strani mentre me ne parlava, come una specie di urgenza e di inquietudine. Non ho avuto il coraggio di dirle di no e nemmeno di chiedere se almeno questo lavoro fosse pagato, proprio a causa di quegli occhi. Mi ha lasciato uno strano senso di ineluttabilità addosso. Aveva già deciso che la dovessi aiutare, punto e basta. Non si parla mai di contratti, di assegni di ricerca, di rimborsi spesa… e nel frattempo gli anni passano. Roberto cerca inutilmente lavoro. Centinaia di email e nessuna risposta. Povero amore mio. Quando riusciremo a farci una famiglia? Ho già 26 anni! Mia madre, alla mia età, aveva già me e Carlo. Non voglio essere una di quelle mamme che non riescono a prendere in braccio il proprio figlio per il mal di schiena. Non voglio diventare come la mia professoressa, una fricchettona senza figli, dedita al lavoro e basta! Ma forse sto esagerando... dovrei guardare a quello che ho: un ragazzo e una speranza di lavoro all’università.

    Diario di Federica

    25 gennaio 2016

    In questi giorni ho lavorato alla trascrizione delle prime tre interviste che la professoressa ha fatto a questa ragazza di nome Martina. È un lavoro faticoso perché non ho gli strumenti giusti. Lei mi ha dato le cassette video e mi ha detto di sbobinarle. Ma come faccio a vederle? Per fortuna c’è Roberto che mi dà una mano. Ha una piccola videocamera e le acquisisce su computer. Infine le mette su hard disk (perché sono pesanti) e a me non rimane altro che trascrivere su un documento tutto quello che la prof e la paziente si dicono. Sembra facile! Ma non

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