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Il club dei disoccupati
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Il club dei disoccupati
E-book381 pagine11 ore

Il club dei disoccupati

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Info su questo ebook

Il Club dei Disoccupati riunisce a Milano tre grandi amici: Elisabetta, aspirante giornalista di moda, Alex, aspirante stilista e Antonella, aspirante attrice.

Tutti e tre sono alla ricerca della propria affermazione, nel lavoro e nella vita, in una città sempre più dinamica, in grado di offrire tante opportunità ma solo a chi sa coglierle in fretta, nella consapevolezza che potranno cambiare altrettanto velocemente.Quando Elisabetta, grazie alla liaison con un fotografo bello e misterioso, si trova improvvisamente a lavorare per Twenties Style (rivista cult nel settore della moda) gli equilibri nel Club si alterano: Anto ha infatti appena perso il lavoro, ed Elisabetta non se la sente di rivelarle subito che sta per coronare il proprio sogno con una rubrica tutta sua sul magazine più ambito!

Alzando il naso dalle pagine del libro vi renderete conto anche voi di trovarvi totalmente presi dalle assurde situazioni in cui la protagonista riesce a cacciarsi!

L’intreccio narrativo conduce il lettore, con irresistibile ironia, alla scoperta di una Milano da vivere per realizzarsi, crescere e amare.

Il romanzo è inserito nella collana 'ChickCult' di ARPANet, per letture divertenti e appassionanti, caratterizzate da uno stile leggero, piacevole, ironico e scanzonato!
LinguaItaliano
EditoreARPANet
Data di uscita12 set 2012
ISBN9788874261505
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    Anteprima del libro

    Il club dei disoccupati - Luca Centi

    Fasoli

    LUCA CENTI

    il club

    dei

    disoccupati

    ARPABook

    eBook

    ELISABETTA CASTALDI

    Informazioni personali:

    - nata il 29 marzo 1985

    - vive a Milano

    - recapito telefonico: 333 01745

    Titoli di studio:

    - diploma di Liceo Classico

    - laurea in Lettere e Filosofia,

    indirizzo Scienze della Comunicazione

    Impieghi precedenti:

    - Zap, rivista indipendente di Milano

    - commessa per Sprint, negozio di abbigliamento

    - dog sitter

    - agenzia di volantinaggio

    Competenze informatiche:

    - uso decente del computer e dei programmi

    di scrittura

    - uso poco decente di internet

    - uso più che decente dei siti per acquisti online

    1.

    La strega sta leggendo il mio curriculum da dieci minuti. Forse si è addormentata, dopotutto mi è già successo col Signor De Vecchis, al mio precedente colloquio di lavoro.

    Il mio curriculum è talmente breve che non c’è altra spiegazione. Non dovevo ascoltare la mia amica Anto, avrei dovuto inserire anche gli altri mille lavoretti che ho svolto nei mesi scorsi.

    Per fortuna che all’ultimo momento ho aggiunto la mia esperienza nell’Agenzia di Volantinaggio e come Dog Sitter! Non che le mie passeggiatine con Lucky, Pepper e Toby possano aiutarmi granché, ma meglio di niente...

    «Cosa intende per uso decente

    Impiego qualche istante a rispondere. Quasi non riesco a credere che la strega abbia davvero parlato.

    «Io... ehm...» mi schiarisco la voce, nervosa. «So come accendere il computer e come... ehm... usarlo decentemente».

    «Sa usare programmi di scrittura?»

    Cavolo, dovrebbe fare davvero qualcosa per quella voce. È troppo cupa e cavernosa, ricorda quella di una strega acida. Un po’ come le lunghe unghie laccate di nero. O il naso sporgente. O gli occhiali enormi che le coprono metà del volto.

    Be’, forse dovrebbe rivedere il suo intero look.

    «Sì, so usarli» mi ricordo di rispondere. «Praticamente so usare solo quelli. Come dicevo, sarei perfetta per questo lavoro!»

    «Stampa Oggi è un quotidiano nazionale» dice lei, con la sua voce da strega. Chissà, forse è una fumatrice.

    Eppure non ci sono posacenere in giro per la stanza o pacchetti di sigarette.

    Dannazione, ucciderei per una sigaretta.

    Forse me ne offrirebbe una se le chiedessi di fumare. Ma certo, scopriremmo di avere qualcosa in comune e diventeremmo amiche per la pelle. La strega mi inviterebbe alle cene editoriali e io diventerei in breve la più giovane giornalista di Milano ad aver vinto...

    «Signorina Castaldi, i suoi impieghi precedenti sono molto... particolari, ma temo non siano in linea con le nostre esigenze».

    Dove ero rimasta? Ah, sì, le sigarette. Non ricordo di averle comprate, questa mattina. Mi sono svegliata in ritardo per il colloquio di lavoro e ho dovuto fare tutto di fretta. Fortuna che prima di farmi la doccia ho letto il post-it sul frigo col promemoria.

    «Come dicevo» riprendo, «sarei perfetta per questo lavoro, lei non crede?»

    La strega storce l’enorme naso, contrariata. Chissà perché.

    «Signorina Castaldi, cerchiamo giovani con maggiori esperienze in ambito giornalistico. E lei non ne ha molte».

    Non dovevo ascoltare Anto, lo sapevo. Ma posso ancora rimediare!

    «Signora...»

    Com’è che si chiama? Mi guardo disperatamente attorno alla ricerca di una targhetta o qualcos’altro su cui sia scritto il suo nome, ma non vedo niente. E dire che avevo studiato tutto alla perfezione! Io e la mia stupida memoria.

    «Signora, io sono stata anche una parrucchiera! Be’, solo per qualche giorno».

    «E questo la renderebbe competente?»

    «Be’, sì» sorrido. «Ho avuto a che fare con tantissime persone, sono abile nelle pubbliche relazioni».

    «Ma non è quello che cerchiamo».

    Ah, già. Il colloquio per le pubbliche relazioni era la settimana scorsa e quel nano con la faccia da annaffiatoio mi ha cestinata senza neppure degnarmi di uno sguardo.

    Doveva essere gay, senza dubbio. Di solito gli uomini restano sempre ad ascoltarmi, anche per le splendide camicette che indosso per l’occasione. Solo che finiscono tutti per salutarmi dispiaciuti con la stessa, identica frase: «Le faremo sapere».

    Sapere cosa, dico io!

    «Io so scrivere» insisto. «Sono laureata in Scienze della Comunicazione. Ho scritto anche molti articoli per una rivista indipendente».

    «Ne ha portato qualcuno?»

    Ops. Ecco che cosa ho dimenticato! Per tutta la durata del viaggio in metropolitana mi sono chiesta che cosa fosse lo strano magone che avevo in gola, e ora ho capito! Meno male, pensavo di aver lasciato la porta di casa aperta.

    «Potrei portargliene qualcuno oggi stesso!» propongo. «Oppure glielo posso allegare via email. Come è scritto nel curriculum, uso decentemente il computer!»

    Per un attimo penso di averla convinta, poi però arriccia di nuovo il suo enorme naso. È pieno di punti neri, come il suo mento, del resto. Per fortuna che ho con me il biglietto da visita della mia estetista di fiducia. Consigliarle Wanda, è questo il suo nome, sarà un ottimo modo per festeggiare la mia assunzione.

    «Non si preoccupi» dice però lei, con voce grave: «va bene così».

    Sta per dirlo. Sta per dirlo e io non posso impedirlo!

    «Le faremo sapere».

    È come se un enorme macigno mi avesse colpito in testa. Una fitta mi scuote da cima a fondo, mozzandomi il respiro. È il terzo colloquio, questa settimana, che non va a buon fine e io non so più che cosa fare.

    Mi alzo e raggiungo l’uscita. Quando passo davanti allo specchio ottagonale accanto alla porta ne approfitto per sistemarmi i capelli: sono stanca del mio colore naturale. Il marrone non è più di moda. Forse potrei provare col biondo, tanto per cambiare.

    Dopo l’ennesima delusione lavorativa mi merito un piccolo regalo, giusto?

    Mi volto per salutare la strega ma lei ha già ripreso a lavorare, fregandosene di me. È allora che le parole mi sommergono come un fiume in piena.

    «Sì, d’accordo, è vero. Ha ragione, io non c’entro niente, qui. Non sono una vera giornalista, sono disorganizzata e non sono esperta di computer, ma sono sveglia e imparo in fretta».

    La strega mi degna finalmente della sua attenzione e si toglie gli occhiali, fissandomi con i suoi piccoli occhietti neri.

    Vedo qualcosa sul suo viso, comprensione, forse?

    Quando parla, non posso fare a meno di sorridere.

    «Signorina Castaldi, come le ho già detto, Le faremo sapere».

    Cosa?! Lei doveva ricredersi e assumermi, non cacciarmi dal suo ufficio.

    Per Anne Hathaway, ne Il Diavolo Veste Prada, ha funzionato!

    2.

    «Anto, quella donna era una strega!»

    «Tesoro, non può essere andata così male».

    «Sì, invece! Per tutto il tempo mi ha guardata dall’alto in basso, come se fossi io quella vestita in modo sciatto e con una acconciatura alla signorina Rottermaier!»

    Appena uscita in strada ho subito chiamato Antonella, la mia migliore amica. Lei è la sola che può capirmi, visto che si trova nella mia stessa situazione: incastrata in un lavoro che non la appassiona e alla perenne ricerca, manco a dirlo disastrosa, dell’impiego dei suoi sogni.

    La differenza è che io riesco a mantenermi con il lavoro in biblioteca, lontanamente imparentato col mio sogno di diventare una giornalista, mentre Anto è costretta a fare da assistente in uno studio legale vicino Cadorna.

    «Quindi pensi che non ti assumerà?»

    «Non lo penso solamente» sospiro, «ne sono sicura. Quella strega mi avrà inserita nella black list del giornale...»

    «Ancora con questa storia? Non esiste nessuna black list!»

    «Allora come mai tutti i giornali si rifiutano di assumermi?»

    «Vediamo, forse perché sei disorganizzata? O forse perché il tuo curriculum è composto all’80% da informazioni inutili? O forse perché ti distrai sempre pensando ad acconciature e vestiti?»

    Detesto quando Anto mi fa la ramanzina. Solo perché ha 32 anni, ovvero 7 in più di me, si sente autorizzata a farmi da mamma. Peccato che anche lei abbia un curriculum scarno e pensi sempre e solo ai locali e ai drink.

    Cavolo, vorrei poter reggere l’alcol come lei. E invece mi sbronzo dopo un solo bicchiere di Martini.

    Deve essere il Karma. Forse in una qualche vita passata ho pestato i piedi sbagliati alla persona sbagliata nel momento sbagliato e sono stata maledetta.

    È così che funziona il Karma, giusto?

    «Vedi?» continua Anto al telefono. «Ti sei distratta di nuovo. Sei davanti a una vetrina?»

    «No... stavo pensando al Karma».

    «Ci pensavi guardando il tuo riflesso in una vetrina, vero?»

    Mi conosce troppo bene. Mi sono infatti fermata davanti alla boutique Armani in via Manzoni e ho gli occhi incollati su una giacca meravigliosa. Nera, doppiopetto, con una splendida cintura.

    Peccato per il cartellino del prezzo.

    Secondo me dovrebbero toglierli dalle vetrine. Come fanno altrimenti le persone come me a sognare?

    «Lo sai che non resisto ad Armani».

    «E neanche a Prada, Vuitton, Moschino, Dolce & Gabbana...»

    «Okay, okay, ho capito. Ma cosa vuoi che faccia? Che vada a deprimermi da qualche parte?»

    «Magari potresti andare al lavoro» scherza lei e io me la immagino mentre sorride, le mani impegnate ad archiviare gli infiniti fascicoli sulla sua scrivania.

    Strano, anzi, che il telefono dello studio non stia squillando all’impazzata come sempre. Di solito abbiamo appena il tempo di salutarci che deve riappendere per fissare degli appuntamenti.

    «No, niente lavoro oggi» sbuffo. «Mi sono presa la giornata libera perché pensavo mi assumessero. E invece la strega mi ha mandata via, nonostante il mio splendido discorso».

    «Dimmi che non l’hai fatto, ti prego».

    «Fatto cosa?»

    «Hai citato di nuovo Anne Hathaway, ammettilo».

    «Mi è sfuggito!»

    «Ne avevamo già parlato, Eli. Devi essere più realista! Tu non sei la protagonista di un film romantico! Sei una neolaureata trapiantata a Milano che cerca disperatamente un lavoro!»

    «E questo, per l’appunto, fa di me la perfetta protagonista di un film romantico».

    «Sei senza speranza» ride lei, dopo il suo breve momento di serietà. «Se non hai niente da fare, perché non vai a fare la spesa? Così stasera non saremo costretti a mangiare di nuovo noccioline e uova sode».

    «Ehi, le mie uova sode sono squisite».

    «Anche una torta al cioccolato lo è, ma non la mangio tutti i giorni».

    «Di nuovo a dieta?»

    «Assumo per lo più liquidi. Quindi ricordati di comprare almeno tre bottiglie di Martini».

    Come dicevo, piacerebbe anche a me avere la sua resistenza all’alcol. Una volta l’ho vista bere per tutta la sera e restare lucida, come se niente fosse. Le ho anche proposto di accettare qualche scommessa per raggranellare qualche euro, ma dice di avere i suoi principi: non si beve per lavoro, ma solo per piacere!

    «Scusa, tesoro, ma ora devo scappare. Il boss è tornato dalla sua colazione».

    Colazione? Guardo l’orologio e noto che sono le 11:24.

    «Pigro il Signor Righetti, eh?»

    «E tra tre ore ha un pranzo di lavoro che io, ovviamente, devo organizzare» sospira Anto. «Meglio che mi metta al lavoro. E tu tieni in caldo questa storia. Alex ci andrà a nozze».

    «Okay. Buon lavoro!»

    Quando riaggancio, devo sforzarmi non poco per allontanarmi dalla vetrina. Arrivata davanti a una gelateria, però, non riesco a resistere.

    Quale rimedio migliore di un gelato per alleviare le pene?

    3.

    Bene, è tutto pronto: sul tavolo ci sono pop corn, patatine e qualche fetta della torta al cioccolato che ho cucinato ieri sera, in un momento di follia culinaria. Non è venuta molto bene, ma è abbastanza commestibile.

    Le bottiglie di Martini sono allineate e stappate e i bicchieri pronti all’uso, insieme a una piccola ciotola di olive verdi.

    La nuova serata del Club dei Disoccupati può iniziare.

    Okay, so che il nome non è granché, visto anche che tutti i partecipanti al Club hanno più o meno un impiego, ma l’idea era quella di sottolineare la speranza che nutriamo di riuscire a realizzare i nostri sogni.

    E poi quando ho inventato quel nome ero piuttosto ubriaca. Colpa di una pessima combinazione: io che non reggo l’alcol e una serata con Wanda, la mia estetista, e i suoi amici del corso di tango argentino.

    Quando suonano alla porta corro ad aprire, ma prima mi do una sistemata allo specchio. I capelli, penso, si sono allungati un po’ troppo. Oramai mi arrivano fino al gomito, credo sia ora di tagliarli.

    La camicetta di Armani invece è sempre perfetta, nonostante faccia parte della collezione autunnale del 2008, regalo di un mio ex che mi pento di aver lasciato. Aveva sempre idee geniali in fatto di abbigliamento.

    Quando apro la porta, mi ritrovo davanti il faccione sorridente di Antonella. Deve essere andata dal parrucchiere nel pomeriggio, visto che ora i capelli biondi sono lunghi fino alle spalle e arricciati con cura.

    Indossa un paio di jeans, attillati come i miei, e un paio di stivaletti, diversi da quelli al ginocchio che ho io.

    «Ciao, tesoro!» esclama, abbracciandomi come può, viste le due buste che ha in mano.

    Pizza e due bottiglie di vino, come sempre. Per fortuna, avevo paura che tre bottiglie di Martini non bastassero.

    Il tempo di richiudere la porta e voltarmi che la vedo stesa sul divano. Sembra distrutta, ma chi, al suo posto, non lo sarebbe? Lavora come un cane per uno stipendio da fame e, come se non bastasse, il suo capo è uno stronzo.

    Verso il Martini in due bicchieri e gliene porgo uno.

    Lei lo prende distrattamente e vi affoga due olive. Dà poi un sorso e vedo di nuovo un po’ di colore sul suo viso.

    «È un viscido!» si sfoga allora.

    «Chi? Righetti?»

    «Già! Pensa che oggi è riuscito a palparmi il sedere una decina di volte. Per errore dice lui, come no».

    Cerco di mostrarmi scandalizzata, ma la verità è che nei miei lavori precedenti ho incontrato persone che cercavano di spingersi ben più in là di una semplice palpatina.

    Lei deve accorgersene perché subito aggiunge: «Tesoro, voleva vedermi sotto la gonna!

    «Cosa?» il Martini quasi mi va di traverso. «Come ti viene in mente di indossare la gonna in ufficio?»

    «Dovrei andare in tuta, secondo te?»

    «No, ma se sai che il tuo capo è un viscido indossa... che so, dei jeans».

    «Eli, non è una biblioteca, quella» sospira Anto, «ci sono clienti importanti e l’immagine conta parecchio».

    «Anche in biblioteca l’immagine conta» provo a dire, ma non ci credo neppure io».

    La biblioteca in cui lavoro è frequentata da pochissime persone, per lo più ragazze e professori, e tutti indossano abiti casual. Anzi, alcuni dovrebbero essere arrestati per crimini contro la moda, viste le pessime combinazioni di colori che sono costretta a vedere.

    «Cintura marrone su giacca nera» sospiro. «Non c’è mai limite al peggio».

    Anto annuisce e butta giù il suo Martini. «Mi è anche sfumato il colloquio di lavoro che avevo dopodomani».

    «Quale?» chiedo, avendo perso il conto.

    Come dicevo, siamo tutti alla ricerca del lavoro dei nostri sogni. Nel frattempo, però, dobbiamo accontentarci di quello che passa il convento.

    Fortuna che l’affitto del mio appartamento non è molto alto, nonostante si trovi a pochi minuti di macchina dal Parco Sempione, anche perché, quando l’ho preso, cadeva praticamente a pezzi. Sono stati i miei amici ad aiutarmi a sistemarlo e ora ne vado più che fiera: il piccolo salottino ha le pareti viola, due divanetti bianchi e un tavolinetto vintage trovato al mercatino dell’usato.

    L’angolo cucina ha le pareti verdi e gran parte degli elettrodomestici li ho rubati a mia madre senza che se ne accorgesse; il bagno e la camera da letto sono invece celesti, il colore della tranquillità, come lo chiama Alex.

    Che, per inciso, è in ritardo. Come sempre, del resto.

    «Il colloquio nello studio legale di Lambrate. E dire che ci speravo tanto».

    Mi siedo accanto a lei e le riempio di nuovo il bicchiere.

    «Lo so... ti hanno detto come mai hanno annullato il colloquio?»

    «Abbiamo già l’organico al completo, ecco cosa hanno detto!» si sfoga lei, afferrando il pacco di patatine. «Mi dici come si può completare un organico se i colloqui ancora non iniziano? Cavolo, vorrei anch’io avere abbastanza conoscenze per essere assunta virtualmente».

    «Noi poveri mortali dobbiamo accontentarci» sospiro, alzandomi.

    Mi è parso infatti di sentire il motorino di Alex, fuori dal condominio. Pochi secondi, infatti, e suonano alla porta.

    Quando apro, mi ritrovo davanti un emo pallido con un paio di jeans coperti di catene e la camicia a brandelli. Sotto la zazzera nera e impiastricciata di gel riesco appena a vedere i suoi occhi verdi.

    «Alex?» chiedo dubbiosa.

    Lui entra in casa senza dire una parola.

    Prima ancora di voltarmi sento Anto ridere a crepapelle.

    «Ma come cavolo ti sei conciato?» gli chiede, senza smettere di ridere. «Ti hanno investito i Tokyo Hotel mentre venivi qui?»

    «Giornata. Da. Dimenticare» è tutto quello che dice lui, prima di versarsi un bel bicchiere di Martini e sedersi a terra.

    «Chissà se batterà la mia» sorrido, tornando a sedere sul divano.

    «Fammi indovinare, hai citato di nuovo la Hathaway?» mi chiede, acido. Poi, quando mi vede arrossire scoppia a ridere e guarda Anto. «Io dicevo per scherzo ma tu l’hai fatto davvero! Paga, tesoro!»

    «Pagare cosa?» chiedo confusa, mentre vedo Anto tirare fuori il portafoglio. Prende una banconota da dieci euro e la passa ad Alex, che la fa sparire in una tasca, gongolante.

    «Avevamo scommesso» mi spiega lei. «Io credevo che questa volta non avresti citato la Hathaway, ma mi sbagliavo. Grazie per avermi fatto perdere».

    Sgrano gli occhi. «Aspetta, quindi sarebbe colpa mia?»

    Lei sgranocchia una patatina e annuisce, con aria grave.

    «Ehi, eyes on me, please» ci interrompe Alex.

    Quando torniamo a guardarlo, sia io che Anto scoppiamo di nuovo a ridere. Alex è un bel ragazzo, ma quel look non gli dona affatto.

    «Le catene potevi risparmiartele» scherzo. «A meno che tu non debba infestare qualche castello».

    «Come dicevo, è stata una giornata da dimenticare» continua lui, ignorandomi. «Ricordate il colloquio che avevo oggi?»

    Entrambe scuotiamo la testa, confuse.

    «Ah, è vero, non ve l’avevo detto...»

    «Trasgressore!» esclamo offesa. «Hai appena infranto una regola del Club. Paga, tesoro!»

    A malincuore Alex tira fuori la banconota da dieci euro e la passa a me, che la infilo in una boccia di vetro accanto al divano. Un tempo era la casa di Pixy, il mio pesce rosso, ma quando è morto « sparito, a dire il vero « è diventata la cassa del Club.

    Abbiamo delle regole, infatti, che non devono essere infrante. Come il non nominare mai Lady Gaga, dopo che abbiamo costretto Anto a mascherarsi da lei lo scorso Halloween. Oltre a essere stata scambiata per un travestito dalla polizia, episodio che Alex ha immortalato ovviamente col cellulare, si è anche slogata una caviglia per colpa dei tacchi vertiginosi.

    Da allora Lady Gaga è un nome tabù.

    «Non vi ho detto del colloquio perché mi vergognavo» ammette Alex, imbarazzato. O almeno credo che lo sia. È difficile dirlo, visto il chilo di trucco che ha in faccia.

    «Colloquio dove?» chiedo, curiosa.

    «Gothique. Cercavano dei ragazzi immagine per una promozione. Ho accettato senza sapere in che cosa mi sarei cacciato».

    «Gothique?» ripete Anto, col tono da maestrina che tutti noi ben conosciamo. «Il negozio di abbigliamento in via Lorenteggio? Pensavo te ne tenessi alla larga dopo la pessima esperienza con Riccardo».

    Riccardo era uno dei commessi con cui Alex è uscito un paio di volte. Alla fine è venuto fuori che aveva anche una fidanzata e Alex non ha esitato a scaricarlo. La cosa che più odia, infatti, sono i bisex confusi.

    «Lo so» ci dice, scostandosi i capelli dal viso. «Ma cercavo di arrotondare un po’ visto che al supermercato non pagano molto. L’alternativa era Abercrombie & Fitch in Corso Matteotti e lì prendono solo palestrati».

    «Be’, in biblioteca cercano qualcuno per l’archivio» propongo. «Non so quanto pagano, ma meglio di niente…»

    Alex guarda Anto ed entrambi scoppiano a ridere. «Scusa, Eli» mi dice poi, «ma non mi ci vedo proprio in una biblioteca».

    «L’ultimo libro che ha letto è stato Pinocchio» aggiunge Anto, «e solo perché la sua maestra lo ha costretto».

    A quelle parole Alex fa finta di offendersi. «Ho una discreta collezione di riviste di moda, però. E un giorno vedrete che ci sarà un articolo su di me».

    Già, perché Alex sogna di diventare uno stilista.

    «Cos’è quello?» gli chiedo poi, quando lo vedo tirare fuori un cellulare touch screen nuovo di zecca.

    «Questo?» fa lui con noncuranza. «È solo un regalo».

    «Io e Anto siamo tutt’orecchie».

    «Ricordate Giulio, il ragazzo di Tecno?»

    «Tecno è il negozio di elettronica del centro commerciale in cui lavori, vero?»

    Alex annuisce. «Ecco, è stato lui a regalarmi questo gingillo».

    «Chiamalo gingillo!» esclamo. «Costerà tantissimo!»

    «Trecento euro, per l’esattezza» dice lui, con l’aria di chi la sa lunga. «Ma Giulio l’avrà pagato la metà, con lo sconto dipendenti».

    «È sempre una bella cifra» osserva Anto. Poi gli rivolge un sorrisetto malizioso. «Sembra che qualcuno stia provando a conquistarti».

    «A entrare nei miei pantaloni, vorrai dire» la corregge Alex, acido come sempre. «Cherie, sei troppo romantica».

    «E tu troppo cinico. E poi basta col francese! Credevo ti fossi stufato».

    «Vous avez tort! Se vuoi lavorare nella moda devi avere un accento francese».

    «Ed essere una checca» aggiungo io, trattenendo una risata.

    «Di certo non guasta! Un po’ di G-Factor rende le cose più semplici. E a proposito di semplicità, Eli, come cavolo ti sei conciata?»

    Sta guardando la mia camicetta.

    «È di Armani. Che ha che non va?»

    «L’anno, a giudicare dai motivi floreali».

    «Quando sarò milionaria sarò sempre alla moda» mi riprometto. «Per ora però cercherò di rendere trendy il vintage».

    «Solo perché prendi uno stipendio da fame non puoi chiamare tutto vintage».

    «Crea tu qualcosa, allora» butto là, sperando che accetti. Alex infatti ha tantissime idee, ma nessuna esce mai dal suo appartamento. È un eterno insoddisfatto, non si accontenta mai. Peccato che per farsi conoscere dovrebbe tirare fuori almeno un abito.

    «Creare qualcosa?» ripete incredulo. «E a quale scopo? Hai in mente di andare a qualche cena elegante? Quella sì che sarebbe una bella vetrina».

    «Nessuna cena elegante, mi dispiace. Però posso andare in giro per Milano sperando che qualcuno mi fermi e mi chieda il nome dello stilista!»

    Lui ci pensa su qualche istante. «Abbiamo bisogno di una modella vera, allora».

    L’oliva che gli lancio lo colpisce in fronte. Lui la raccoglie, ci soffia sopra e poi la mangia.

    «Potresti aver preso dieci malattie diverse» dice subito Anto, ipocondriaca come poche al mondo. «Eli non ha di certo il pallino delle pulizie».

    «Ehi!»

    «Fa niente» dice allora Alex, alzando le spalle. «La regola dei dieci secondi, avete presente? I batteri si depositano sul cibo solo se resta a terra per più di dieci secondi».

    Io e Anto ci scambiamo uno sguardo e poi entrambe sospiriamo. «Chissà se funziona anche con gli uomini.

    «Stendetevi a terra e provate» osserva Alex. «Ma state lontane da me, non sono disponibile!»

    4.

    Alle 8:00 sono già pronta per andare a lavoro.

    Strano, ma dopo ogni riunione del Club dei Disoccupati mi sveglio sempre in anticipo e sono più motivata del solito. Forse perché capisco di non essere la sola ad avere un impiego pietoso e uno stipendio da fame.

    Persino la metro, questa mattina, è più accogliente del solito. Quasi non mi disturba la signora con la gonna scucita o il ragazzo con le mutande in bella vista. Devo essere davvero di buon umore.

    Merito anche delle mie nuove scarpe di Prada, comprate la settimana scorsa subito dopo aver preso lo stipendio. Sono deliziose, nere con un piccolo fiocco in alto. Il tacco forse è troppo pronunciato, ma io sono un’esperta. Riuscirei a scalare una montagna persino con un tacco 16. E poi i tacchi mi slanciano da morire, visto che madre natura mi ha dato solo 166 centimetri di altezza.

    Mentre cammino per la strada mi specchio in tutte le vetrine. Lo so, dopotutto sto andando in una biblioteca e non in una festa esclusiva, ma se c’è una cosa che ho imparato fin da piccola è che vestire bene fa sentire bene.

    Quando tutte le mie amiche, dopo una delusione amorosa, se ne stavano in casa struccate, in tuta e con una mega confezione di gelato tra le mani, io supplicavo mia madre di darmi la sua carta di credito e andavo a fare shopping.

    Niente grida al mondo mi sento benissimo più di un paio di scarpe nuove. E se poi il tacco viene usato per rigare la macchina di un ragazzo traditore, tanto meglio; non che io abbia mai fatto una cosa del genere... ufficialmente, almeno.

    Una volta in biblioteca saluto il custode, un

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