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Anime Cablate
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E-book179 pagine2 ore

Anime Cablate

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Info su questo ebook

Molto originale il modo in cui, in Anime cablate, il fenomeno delle chat di incontri riesca a intrecciarsi con i rischi dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana. Questo romanzo spinge a interrogarsi sui pericoli, spesso sottovalutati, della tecnologia, nonostante le sue infinite potenzialità. Con un ritmo incalzante e il giusto pathos, l’autore racconta la storia di Marco, un assicuratore quarantenne, sposato e con figli, che, dopo aver istallato per scommessa una app di incontri, a poco a poco subisce cambiamenti sia a livello psicologico sia nel rapporto con gli altri. In particolare, Giulia, una donna misteriosa e intrigante, lo ossessiona a tal punto da monopolizzare ogni cosa.
LinguaItaliano
Data di uscita27 gen 2022
ISBN9788869601415
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    Anteprima del libro

    Anime Cablate - Roberto Pietracito

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    www.altrimediaedizioni.com

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    Titolo dell’opera:

    ANIME CABLATE

    © 2021 Altrimedia Edizioni

    ISBN: 9788869601415

    © Altrimedia Edizioni è un marchio di

    Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria

    Prima edizione digitale: Gennaio 2022

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    16 aprile 2018

    Tutto questo non ha senso, tutto questo è solo un incubo, o forse no, è la mia testa che sta delirando. Sto delirando, sto delirando, sto delirando.

    Devo mettere in ordine le idee e i pensieri. Avrei bisogno di parlare con qualcuno, magari un bravo medico. Ma è troppo tardi.

    Come mi sono ridotto: seduto nei cessi a scrivere. Mi faccio pena da solo.

    Devo iniziare a buttare giù qualche frase, ma le parole si rincorrono nel cervello e giocano a nascondersi. L’italiano non è mai stata la mia materia preferita e, di certo, non lo diventerà adesso. Riscrivere tutta la storia, però, sin dal principio, è l’unica alternativa che mi resta.

    Posso ancora farcela. Devo farcela.

    8 gennaio 2018

    Sono al caldo, nel letto, sotto le coperte. Il freddo della notte mi cinge il viso. È ancora troppo presto per svegliarsi, ma una fastidiosa irritazione alla gola non accenna ad attenuarsi. Le vie respiratorie sono secche e gelide. Il naso tappato e le labbra ruvide sono la riprova di ore trascorse a boccheggiare. Ingoio della saliva per bagnare le pareti della faringe. Dovrò ricordarmi di prendere un antisettico.

    Nella camera tutto tace. Ascolto dei passi soffusi provenire dal piano superiore. Cerco di non sentirli e provo a riaddormentarmi. Vorrei cadere in un sonno profondo, ma la sveglia sta già suonando.

    Linda scatta sul letto, spegne il cellulare e, cercando gli occhiali, inizia con la sua solita tiritera.

    «Marco, Marco, forza. Marco è tardi.»

    Mi limito a girarmi nel letto, non ho le forze per alzarmi. Lei mi incalza.

    «Marco, forza Marco. Stamattina ho tanto da fare e devo pensare anche ai bambini. Forza alzati.»

    La sua mano fredda mi strattona per la schiena. Mi fingo morto. Lei non demorde, accende la luce, si alza e tira su gli avvolgibili.

    Odio mia moglie la mattina. Da quando ci siamo sposati, la odio ogni volta con un vigore nuovo. Tutte le sere punta la sveglia e si addormenta all’istante, viceversa, non appena la sente suonare, inizia a parlare e a dimenarsi.

    Lei si sta già vestendo, mentre io decido di uscire dalle coperte e di andare in bagno. È lì, di testa nell’armadio, che mi ricorda le tante commissioni della giornata. Ancora inebetito, cerco con lo sguardo le ciabatte, a terra, da qualche parte. Chissà dove.

    In tanti anni, non si è mai accorta che al mattino non riesco a starle dietro. Continuo a domandarmi se mi conosca almeno un po’.

    «Tesoro, sì o no?»

    Non so cosa risponderle. Nella mia testa si susseguono frasi generiche e prive di dettagli. Potrei dirle che ho bisogno di pensarci, oppure che può decidere da sé.

    «Scusami, devo correre in bagno.»

    Mi fulmina con lo sguardo e si discosta per lasciarmi passare.

    Giro la chiave della toilette alla ricerca di un po’ di calma. L’illusione dura poco, non appena entro in doccia sta già bussando.

    «Marco, Tesoro, sei pronto? Ho bisogno di truccarmi e di ripassare la piastra. Maledetti capelli, devo assolutamente cambiare parrucchiere.»

    Alzo la maniglia della doccia nel modo più delicato che conosco, sperando che, oltre la porta, non si senta lo scroscio dell’acqua.

    «Dammi solo due minuti.»

    I bambini sono alle prese con la colazione. I rumori che provengono dal televisore mi rimbombano nelle orecchie. Per qualche istante, seguo il cartone animato senza carpirne il senso. Mangio un paio di biscotti e bevo il caffè. Sento l’odore forte nelle narici e sperimento il sapore amaro sulla lingua e nella bocca. Quando anche l’ultimo sorso è andato, il mio cervello si è riattivato. Sono pronto per iniziare la giornata. Spengo la TV, indosso il cappotto e aiuto i miei figli alle prese con gli zaini.

    Accompagno i bambini a scuola e vado al lavoro. È una tranquilla giornata come molte altre, tutto procede in piena regola, tra inerzia e abitudine, sino a quando sento bussare sulla porta. Disconnetto il computer e infilo la giacca. È arrivato il momento della pausa caffè.

    Mi appoggio al bancone del bar e con fare disinvolto bevo un sorso d’acqua. Sia io sia Sandro siamo pronti per il pettegolezzo del giorno. L’instabilità affettiva di Giorgio è fonte di aneddoti sempre nuovi.

    Ci conosciamo da tanto e non serve fare troppe domande, basta uno sguardo indagatore e le dita di Giorgio iniziano a scuotere, con violenza, una bustina di zucchero, quasi a volerlo raffinare più di quanto non lo sia.

    «Ieri sera siamo stati in centro per una birra e abbiamo parlato.»

    «È troppo piccola, non te la darà mai. E poi, se te l’avesse voluta dare, non sareste rimasti a parlare.»

    «Fidati, entro sabato la invito a cena.»

    «Quella, prima si spazzola tutto e, alla fine, ti dirà che ha il ciclo o, peggio ancora, il mal di testa.»

    In ufficio, Sandro e Giorgio sono molto professionali con le clienti; al contrario, durante la pausa, parlano di donne come farebbero due scaricatori di porto. Suppongo sia l’ambiente del bar a trasformarli. Provo a farli ragionare.

    «Dai ragazzi, stiamo parlando di una dieci anni più giovane. Cosa vuoi che gliene freghi di uno come te.»

    «Ne riparliamo dopo la cena di sabato. Vedrete come rosicherete.»

    Replico con tono deciso.

    «Guarda che noi siamo sposati.»

    «Voi due? Ma se Sandro passa la giornata a fissare le scollature delle clienti!»

    «Certo, perché loro arrivano con le tette di fuori. Ieri pomeriggio, è arrivata una con un bustino stretto e ‘ste cose che esplodevano. L’ho servita molto lentamente, facendo l’operazione nel miglior modo possibile.»

    Anche Mauro, servendoci il caffè, interviene nella conversazione.

    «Dotto’, mo’ prendetevi il caffè che ‘ste donne so’ tutte mignotte e quelle che non la danno so’ mignotte due volte.»

    Non c’è molto da aggiungere. Sandro se ne esce con una delle sue.

    «Ma almeno, si può sapere come c’ha le bocce questa?»

    Giorgio che non aspetta altro, prende il cellulare e inizia ad armeggiare.

    «Vi faccio vedere le foto profilo.»

    Dal telefono compare una ragazza sulla trentina, nell’atto di mandare un bacio con le labbra a cuoricino. A farle da cornice un mare scintillante sotto i raggi del sole. Lo sguardo di Sandro diventa ammiccante.

    «Però, hai capito... Forse una cenetta la organizzerei pure io...»

    Gli occhi di Giorgio si illuminano improvvisamente e, sbandierando il cellulare, comincia a provocarci.

    «Perché non vi iscrivete?»

    Accartoccio lo scontrino fra le mani e indicando l’uscita, la butto sull’ironia.

    «Perché siamo persone serie e dobbiamo tornare in ufficio a lavorare.»

    Il suo tono di voce si fa schietto e deciso.

    «Se lo fate, vi pago il caffè per una settimana.»

    Apro la porta del bar fingendo di non averlo sentito, già prevedendo le vicende future.

    Saluto con un cenno e vado a sedermi. Sblocco il pc, chiamo un cliente e inizio a gestire la sua pratica. Dopo meno di mezz’ora, mi ritrovo Sandro in stanza, determinato a vincere la scommessa.

    «E dai Marcolino, ci divertiamo un po’.»

    «Non mi sembra il caso. Giorgio spara un mare di cazzate.»

    «Noi ci iscriviamo e lui paga per una settimana. Nessuno ci obbliga a chattare.»

    «Non mi registrerò mai.»

    Lo vedo sedersi di fronte a me, con la calma di chi sta per intraprendere una lunga contrattazione. Appoggia i gomiti sul bordo della scrivania, sporge la testa e mi parla sottovoce.

    «Vuoi dargliela vinta come quando abbiamo scommesso sulla segretaria di fronte?»

    «Non si tratta di vincere o perdere...»

    Lui mi guarda, posa i palmi sul piano del tavolo e si alza di scatto. Mi ricorda un politico della Prima Repubblica durante un comizio elettorale.

    «E allora vinci, mettici un po’ di palle.»

    Nel frattempo, gira intorno alla mia postazione, si curva verso di me e mi sussurra in un orecchio.

    «Hai paura che ti scopra Linda?»

    «Ma no, cosa c’entra...»

    «Se non vuoi farlo, un motivo ci deve pur essere...»

    È un gioco sottile e meschino. Con le sue frasi lasciate a metà e le sue allusioni, Sandro sta testando la mia codardia. Il tono e i gesti che utilizza, mi irritano oltremodo. Lo guardo negli occhi e gli rispondo a dovere.

    Sono pronto a lanciargli il guanto della sfida.

    «Sai cosa ti dico? Vinciamo questa scommessa e facciamola finita.»

    Lui mi rimanda uno sguardo pieno di soddisfazione.

    «Così mi piaci: bello reattivo e aggressivo.»

    Nel pomeriggio accompagno il secondo uomo di casa dal dentista. Scrivere uomo è scrivere troppo. Matteo ha solo nove anni e si comporta ancora come fosse un bambino. Forse lo stiamo viziando più del dovuto, ma già da quando è nato avevamo inteso che sarebbe stato testardo e capriccioso.

    Questo autunno, il dentista ci ha consigliato di fargli usare un apparecchio mobile e, da allora, è cominciato il nostro calvario. Abbiamo iniziato ad accompagnarlo in studio, ogni volta però diventava più difficile. Non voleva salire in auto, si rifiutava di scendere e pur di non camminare si aggrappava ai cartelli stradali. L’ho visto piangere e disperarsi.

    Poiché Linda ha poco polso, dopo l’ennesima scenata per la strada ha deciso che ad accompagnare Matteo sarei stato io e soltanto io.

    Così, mi ritrovo, ancora una volta, in sala d’attesa. Non sopporto aspettare e odio doverlo fare con mio figlio che continua a lamentarsi. Cerco di non guardarlo, di non dar spazio a un altro capriccio. Prendo il cellulare e inizio a smanettare, tengo gli occhi sullo schermo e fingo di essere concentrato per lavoro.

    Controllo le mail, eppure non ho voglia di occuparmene. Non posso neppure mettermi a giocare. Se Matteo mi scoprisse sarebbe la fine. Inizio a scorrere le icone, sino a quando trovo Lineonlove: la chat che ho installato in mattinata. Preso dalla curiosità ci clicco sopra e, davanti a me, si prospetta una lunga lista di nickname. Devo solo premerne uno e provare a scrivere. Per un attimo, resto bloccato con il dito a un passo dallo schermo, poi l’assistente apre la porta e urla.

    «Acquarelli!»

    Sobbalzo dalla sedia. Sento il cuore in gola. Cerco di recuperare la calma e con la voce strozzata, provo a rispondere.

    «Siamo noi. Forza, tocca a te campione.»

    Mio figlio è dentro e ne avrà per qualche minuto. Riaccendo il cellulare e scorro l’elenco dei nickname. Mi incuriosisce Priscilla. Esito ancora. Dopotutto, non sto facendo nulla di male. Voglio solo scrivere qualche parola. Clicco sul nome e si apre la chat.

    Ansia da foglio bianco.

    Cosa le scrivo? Tutto mi sembra terribilmente banale. Alla fine opto per un saluto anonimo.

    Ciao.

    Quasi subito Priscilla mi risponde.

    Anni?

    Sono comparsi soltanto cinque caratteri, eppure, mi hanno fatto realizzare che, dall’altro lato, c’è davvero qualcuno in attesa di una risposta. Non sono pronto a scrivere la mia vera età.

    Quaranta.

    In fondo, qualche anno non fa differenza e, inoltre, non vedrò mai Priscilla. Lei mi scrive che di anni ne ha trentasei. Resto lì, fermo a pensare, con lo sguardo perso nel vuoto. Il telefono vibra ancora, lo sblocco e trovo un suo messaggio.

    Che mi racconti?

    Mi sento stupido, non so perché lo sto facendo e non so di cosa parlare. Non ho difficoltà a rapportarmi con il sesso femminile, certo non mi capita spesso di intendermela, ma usare la chat è diverso. Non posso vedere chi ho di fronte, né tantomeno stringere una mano e mantenere un contatto visivo, persino alle parole che uso, non posso dare un tono, un’inflessione, una profondità.

    Sarò fuori allenamento? Dall’ultima volta che ho conquistato una ragazza è passato così tanto tempo che non ricordo neppure come ci sono riuscito. Di sicuro è trascorso almeno un ventennio.

    Linda era una ragazza giovane e di anni ne avrà avuti circa ventitrè. Ricordo il suo sguardo pulito e leale, come anche i suoi gesti e i suoi atteggiamenti. Me ne sono innamorato la prima volta che l’ho vista. Quando ci incontravamo, non riuscivo a staccarle lo sguardo di dosso, era così bella da mozzare il fiato.

    Conobbi mia moglie tramite amici comuni, quando lei e la sua amica Pina iniziarono a frequentare il mio gruppo. Purtroppo, Pina mi stava sempre addosso e,

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