Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia
La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia
La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia
E-book136 pagine1 ora

La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Marco Saverio Loperfido, cameraman, guida escursionistica (protagonista della docuserie Rai "Boez - Andiamo via") ricercatore sociale, autore di libri e documentari di viaggi e cammini, partecipa da oltre dieci anni a trekking con gruppi di persone con disagio mentale, l’ultimo svolto in Etiopia nel 2018. In questo libro, attraverso diari, fotografie, riflessioni, ricordi ci restituisce un’esperienza umana ricca e affascinante, in uno dei paesaggi più antichi del mondo, ritornando alle origini dell’umanità con lo strumento primordiale: il cammino.
 
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2020
ISBN9788894442762
La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia

Leggi altro di Marco Saverio Loperfido

Correlato a La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia

Ebook correlati

Scienze ambientali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La luce assoluta dell'Etiopia - Esperienze di Montagnaterapia - Marco Saverio Loperfido

    EDITORE

    INTRODUZIONE

    di Marco Bartolomucci

    Ho conosciuto Marco Saverio Loperfido durante le riprese di un documentario musicale autoprodotto, il titolo era Non vedo la fine , che per ironia della sorte non risultò mai pubblicato. Marco non era solo, era teneramente abbracciato alla sua cara Sonya, una telecamera di fabbricazione Sony che tra le sue mani non passava certo inosservata. Questa immagine è talmente chiara nella mia mente, così come le successive che hanno dato vita a ricordi di esperienze e avventure vissute insieme, talmente vivide da sembrare un frame mentale esposto nel museo del ricordo.

    In un certo senso Marco potrebbe somigliare a una sorta di Messia, proprio come lo descrive un ragazzo che partecipò al viaggio in Marocco, in una delle pagine del libro che state per leggere. Una somiglianza idealizzata non tanto per via dell’aspetto fisico, quanto per via di quello sguardo serafico, come appeso a una tela del Grand Tour a scrutare l’orizzonte, sciogliendo concetti e distillando semplicità. A distanza di anni ero io ad abbracciare la mia telecamera (perché una telecamera si abbraccia, non si imbraccia) per seguire i passi di Marco, caparbiamente diretti a mappare l’intero territorio della Tuscia, per dar vita corposa al suo progetto di sartoria culturale denominato ironicamente Ammappalitalia , il sito di mappatura collettiva di percorsi escursionistici italiani.

    Devo dire che in ogni suo processo e prodotto a cui ho avuto il piacere di collaborare, assistere o fruirne in quanto lettore/spettatore, si è sempre innescato uno scambio emotivo e concettuale mai da considerarsi scontato. Camminare con la telecamera ci ha permesso di confrontarci su diversi aspetti legati alla percezione della realtà e alla sua interpretazione. Quella realtà che ti viene incontro mentre ti sposti nello spazio, fatta di sassi, faggi, capre, pastori, calanchi, forre, lacrime e pioggia, e di quante più cose pagine e schermi non sappiano catturare. Ogni dono nasce in realtà da un sacrificio, sacrificio che risiede nell’ombra di ogni atto, come un rituale, un preparativo, un allenamento costante, una ricerca dettagliata. Queste azioni che confluiscono in immagini ci inducono a concepire che allacciarsi le scarpe o premere il tasto REC sono solo atti che ne prevedono molteplici sia prima che dopo, ma in quel momento rappresentano l’immagine simbolo dell’azione.

    Così nel silenzio del deserto, svegliato d’improvviso dalle taniche trasformate in tamburi dai beduini, si coglie il momento preciso di una vera e propria manifestazione, capace di descrivere poeticamente l’abbaglio di un riflesso, senza esser troppo didascalici o troppo evocativi, in delicato equilibrio funambolico sulle parole, per scendere nei crepacci, diradare la confusione dei respiri, osservare da prospettive diverse un angolo di meraviglia. Quel che ci viene incontro in quanto lettori di queste immagini letterarie che ci apprestiamo a scalare, è un affresco di emozioni artigianalmente condensato in diario intimo, un percorso descritto sensibilmente, che inquadra l’esperienza dei pazienti psichiatrici senza alcuna idealizzazione, senza falsi buonismi o ipotesi di salvezza, ma fornendo un’ipotesi di messa in discussione propria dell’essere umano.

    Ricordare, camminare, filmare. Queste sono le azioni fondamentali che troviamo all’interno dei viaggi di Marco Saverio Loperfido, una ricognizione personale dove il ricordo sembra essere molto più simile a un mockumentary che a un reportage. Marco è una vera e propria guida (non solo ambientale escursionistica) che riesce ad accompagnare il lettore in diversi luoghi e a fine lettura rimane la sensazione di esserci realmente stati, le sue parole lasciano un segno tangibile che lo spettatore/lettore riesce a cogliere attraverso i sensi e l’analisi di concetti o idee che hanno quasi sempre un substrato filosofico.

    Il focus in questo caso è il viaggio in Etiopia, dove Marco è chiamato a filmare l’esperienza di un gruppo di persone con disturbi psichiatrici di varia natura. Per quanto le sfumature siano molteplici così come i dettagli in cui perdersi durante il volo dell’occhio sulle pagine stampate, all’interno del piano strutturale dell’opera è possibile individuare tre piani narrativi: l’approccio del diario intimo attraverso il quale l’autore ci racconta e si racconta; il rapporto con le immagini audiovisive e la telecamera Sonya , non più oggetto tecnologico freddo e muto, ma un terzo occhio sacro, un terzo braccio che è saldato a muscoli, nervi ed emozioni del corpo del buon Loperfido; i pensieri dei partecipanti all’escursione delle vette in Etiopia, chiamati a interpretare in senso artistico la loro esperienza.

    Questi tre piani narrativi sono sapientemente intrecciati e distillati, a tal punto che risulta difficile scorporarli a una prima lettura. Salire sulla cima di una montagna, qui, viene percepito come metafora, come sforzo fisico e mentale, come mettersi in discussione, come ricerca dei propri limiti, come atto spontaneo di una natura nomade che sembriamo aver perso nei meandri di uffici e supermercati. Marco ce lo ricorda a modo suo. Come i pensieri dei partecipanti all’esperienza che viene svolta all’interno di un progetto terapeutico (che indubbiamente fa bene a tutti, non solo a chi soffre di disturbi mentali) ci ricordano che probabilmente l’approccio alla vita può essere diverso e profondo come un lago senza fondo. Queste restituzioni artistiche dei pazienti sanno essere illuminanti, stimolare le nostre vedute come sa fare chi si spoglia di sovrastrutture e concetti inamidati atti a volerci far interpretare il personaggio quotidiano. Come chi riesce a farti cogliere la realtà da altri e nuovi punti di vista per renderti a ogni passo un poco più ricco. Non possiamo che rendere grazie per questo a tutti a loro.

    Debbo dire che mi è saltato alla mente il libro di Franco Lorenzoni I bambini pensano grande, probabilmente perché in quel libro i singoli approcci dei bambini nei confronti del mondo hanno nella loro potenza espressiva, comunicativa e di devastante sensibilità, qualcosa di simile a queste persone che affrontano la vita dovendo ogni giorno salire e scendere da una molteplicità di vette che appaiono come giganti irraggiungibili. Un altro riferimento letterario che sento molto vicino a questo testo riguarda il romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore di Luigi Pirandello, in cui il protagonista, operatore di ripresa cinematografica, diventa muto per lo shock delle terribili scene che è costretto a riprendere. La sensazione di disagio verso processi di meccanizzazione della società è apertamente dichiarata, qui la mano che passivamente gira la manovella della camera da presa non potrebbe certo abbracciare la telecamera chiamandola affettuosamente per nome. La redenzione civile di Marco Saverio operatore crea un corto circuito inaspettato all’interno del teorema pirandelliano. Mentre Serafino Gubbio perde la parola, Marco esalta la stessa in un gioco proverbiale dove tavolozze di colore danno vita a paesaggi surreali e dialoghi filosofici. La parola dunque resta ancorata a un presente vigile e attento, senza cadere nell’oblio, senza essere spodestata dall’uso violento dell’immagine a cui oggi siamo abituati.

    Il linguaggio verbale, che prende la forma di diario intimo, non viene relegato in secondo piano rispetto al linguaggio delle immagini, di cui Marco si serve per raccontare questa esperienza di Montagnaterapia che vede un gruppo di pazienti psichiatrici direttamente coinvolti. Con questo termine che indica la montagna come forma terapeutica si vuole intendere un approccio metodologico riabilitativo e socioeducativo finalizzato alla prevenzione, alla cura e riabilitazione di individui portatori di differenti problematiche, patologie e disabilità, progettato per svolgersi in ambiente montano. Qui non ci troviamo di fronte a un saggio sul camminare in montagna o a un testo che vuole esplorare determinate patologie o aspetti sociosanitari, tantomeno vi ritroviamo i canoni formali della letteratura di viaggio. L’occhio esterno segue delicatamente i passi di questa ennesima esperienza, che si basa sul principio del camminare come una scoperta di se stessi, una vera opportunità di conoscenza e spazio di riflessione.

    L’autore crede nel camminare, nella parola e nell’immagine audiovisiva. Questi tre ingredienti vengono sapientemente distillati per dar voce, corpo e anima ai tre piani narrativi del testo, che volendo passare al setaccio possono così essere inquadrati come tre plot che danno vita a un seducente ménage a trois , una danza leggera dove il rapporto con la telecamera Sonya, il coro di pensieri dei camminatori e la descrizione del viaggio sotto forma

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1