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Lo Statuto dei lavoratori e l'eredità di Gino Giugni
Lo Statuto dei lavoratori e l'eredità di Gino Giugni
Lo Statuto dei lavoratori e l'eredità di Gino Giugni
E-book192 pagine2 ore

Lo Statuto dei lavoratori e l'eredità di Gino Giugni

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Info su questo ebook

Il libro ripercorre, con autorevoli contributi, il percorso politico e professionale del giuslavorista Gino Giugni, soprattutto per quanto concerne la sua opera come Presidente della Commissione che elaborò, su mandato del Ministro socialista Brodolini, lo Statuto dei Lavoratori, definito nella Prefazione «il più brillante e fulgido esempio di riformismo».

Sullo sfondo la stagione politica dei governi di centro sinistra, segnata da grandi conquiste sociali, civili e democratiche.

La Fondazione Pietro Nenni, che custodisce l'archivio storico di Gino Giugni, ha voluto con questa pubblicazione rendergli un riconoscente omaggio per l’opera svolta e per sottolineare la modernità e il valore del suo pensiero politico.

LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2021
ISBN9788832104431
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    Anteprima del libro

    Lo Statuto dei lavoratori e l'eredità di Gino Giugni - Arcadia Edizioni

    Biblioteca della Fondazione Pietro Nenni

    © Arcadia edizioni

    I edizione, marzo 2021

    Isbn 9788832104431

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Immagine in copertina:

    Archivio fotografico Fondazione Nenni..

    Tutti i diritti riservati.

    Pierpaolo Bombardieri

    Segretario Generale della UIL

    Prefazione

    Recanati non è soltanto terra di poesia, ma anche di conquiste di diritti. Infatti, se è nota per aver dato i natali a Giacomo Leopardi, lì vi riposa uno dei padri dello Statuto dei Lavoratori, Giacomo Brodolini. L’ex Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale si spense prima dell’approvazione della Legge 300 e, dunque, ricordarlo in cima ai protagonisti è, almeno, doveroso. Ma la Legge 300, come si sa, porta la firma del giuslavorista Gino Giugni, la cui strada fu tracciata già nel suo percorso di studi che si intrecciò con la figura di un altro gigante del diritto, anch’egli un illustre socialista, Giuliano Vassalli, con cui discusse la tesi Dal delitto di coalizione al diritto di sciopero. Evidenziare i nomi ed i volti che hanno segnato una rivoluzione copernicana come la nascita dello Statuto dei Lavoratori significa trasmettere ai Millennials e alla generazione Z, quella dei nativi digitali, icone virtuose, eroi da fissare nella memoria.

    Intanto, affermiamo con chiarezza che lo Statuto dei Lavoratori è il più brillante e fulgido esempio di riformismo. Da diversi lustri, da troppe parti ci si definisce riformisti, pur non intravedendosi neanche l’ombra di una riforma vera. Alla politica di oggi e di domani bisognerebbe suggerire di studiare la Legge 300, perché abbiamo il dovere di smontare definitivamente il paradigma che per rilanciare lo sviluppo occorra sistematicamente ridurre l’impianto dei diritti. Che, nella sostanza, è la storia recente delle cosiddette riforme. Ma non è affatto così, anzi è vero l’opposto: allargare il perimetro dei diritti è il presupposto per uno sviluppo corretto, compiuto, inclusivo e sostenibile. E d’altronde il riformismo non lo si può improvvisare, c’è una scuola dietro che affonda le radici nell’illuminismo e che politicamente conosce linfa con Turati. È un approccio metodico e ideale, basti scorgere qualche tratto del libro di Federico Caffè, La solitudine del riformista.

    Mezzo secolo rappresenta un traguardo a tratti insolito, che fa rima con maturità; e in questo caso, dal punto di vista dei principi, include un’incredibile attualità e modernità, perché se il mondo del lavoro è soggetto ad un perenne turbinio dei cambiamenti è altrettanto vero che il riconoscimento e la tutela dei diritti dei lavoratori non sono esigenze che si esauriscono, semmai si rinnovano.

    Era un’Italia profondamente diversa dalla fotografia di oggi quella che precedeva l’autunno caldo: si affermava da non troppi anni il processo di industrializzazione e si faceva avanti il settore dell’edilizia, si svuotavano le aree rurali verso un’intensa urbanizzazione e continuava a sovrappopolarsi il Nord, con la speranza nelle valigie di un Meridione ben più sfortunato.

    In regioni come la Lombardia e il Piemonte la quota di lavoratori dell’industria arrivava a superare il 50%. Nel quindicennio antecedente allo Statuto il fenomeno delle migrazioni interregionali aveva coinvolto quasi 10 milioni di persone. Si cresceva mediamente intorno al 6% di Pil. E tuttavia il nostro Paese era ancora distante dai livelli di benessere degli altri Paesi sviluppati. Inoltre, proprio la velocità dei cambiamenti socioeconomici non consentì il superamento di quelle criticità strutturali che l’Italia si trascinava da prima della guerra. C’erano i partiti e le ideologie. C’era uno sbilanciamento in favore dei datori di lavoro, tra ritmi di lavoro intensi e salari ancora bassi. Si ridestò una conflittualità di fabbrica che mirava all’aumento del salario, alla riduzione delle ore di lavoro settimanali, all’ampliamento dei diritti sindacali ed alla parità normativa tra operai e impiegati. Prevaleva il disagio di una classe operaia che rivendicava quella dignità sociale e quel benessere economico già conquistati da altri ceti sociali. Si trattò di una battaglia per affermare un rinnovato ruolo dei lavoratori nella società: non più subalterni o invisibili, ma protagonisti. Così l’indice di conflittualità (ore di sciopero per lavoratore dipendente) raggiunse l’asticella 23 e, nell’industria metalmeccanica, superò le 80 ore di sciopero per ogni lavoratore.

    Era l’autunno caldo. Gli operai delle grandi fabbriche e gli studenti animavano un’ondata di proteste e di agitazioni. Al centro, il protagonismo sociale, politico e democratico del sindacalismo italiano incoraggiato dalle legittime ed energiche aspirazioni e dal desiderio di miglioramento delle condizioni di vita da parte di milioni di lavoratori, che ne rafforzarono la soggettività politica anche a dispetto dei partiti stessi.

    Era questa la cornice nella quale si incastonò la nascita dello Statuto, che Giugni definì «il frutto di una felice congiunzione tra la cultura giuridica e il movimento di massa». Fu una vittoria del mondo del lavoro e del Sindacato, concretizzata dalla caparbietà parlamentare di una stagione autenticamente riformista a cui mancò, non a caso, l’adesione dei massimalisti. Allo Statuto dei Lavoratori si riconobbe la volontà di andare incontro alle esigenze dei lavoratori nell’interesse della ricerca della pace sociale.

    Quei principi, votati all’universalismo, costituiscono, ancora oggi, il caposaldo di una società democratica e libera che mette al centro la tutela della dignità di donne e uomini, che punti al confronto ed alla solidarietà come antidoto al quadro sempre più molecolarizzato dei lavori e della società.

    Il mondo del lavoro da Brodolini e Giugni a noi è profondamente mutato.

    E, d’altronde, si è trasformato già dal pre-Covid-19 a questi giorni. Nulla sarà come prima. La pandemia ha trasformato la nostra quotidianità, ha sgretolato la socialità e allargato la forbice delle disuguaglianze. Ha modificato i modelli di lavoro delle persone e ha imposto un’accelerazione sulla transizione dei profili occupazionali. Pensiamo alle piattaforme digitali, ai riders, alla remotizzazione delle professioni ma non soltanto, gli ambiti di lavoro si sono atomizzati. E c’è anche il tema del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati che richiede un intervento efficace e consistente. La digitalizzazione del mondo del lavoro richiede un ripensamento degli strumenti di tutela, garanzie e partecipazione dei lavoratori. In sostanza, occorre immaginare nuove regole. Ecco l’attualità di Gino Giugni, di Giacomo Brodolini e dello Statuto dei Lavoratori: occorre utilizzare lo stesso sguardo riformista di allora per governare i cambiamenti del nostro tempo di fronte ad un nuovo baricentro votato alla robotizzazione ed all’individualismo. Occorre una nuova fase anche di legislazione promozionale che tenga la barra dritta sui diritti e consenta al Sindacato, in veste unitaria, di rimettere al centro dell’iniziativa un nuovo modello di sviluppo che ridisegni lo stato sociale, che accompagni gli investimenti pubblici in arrivo dall’Europa, rilanciando questioni prioritarie come l’istruzione e la formazione, la salute – difendendo e valorizzando la sanità pubblica – , il Mezzogiorno, i giovani, le donne. Magari raggiungeremo insieme l’obiettivo zero morti sul lavoro e discuteremo seriamente di riduzione dell’orario di lavoro a parità di trattamento economico, di efficacia erga omnes dei contratti collettivi. Con questa tempra abbiamo celebrato il Primo maggio di quest’anno davanti ai cancelli di una grande multinazionale come Amazon. Un esempio chiaro di precarizzazione odierna di tanti ragazzi. Giugni sosteneva che la flessibilità deve servire per facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ma deve avere dei limiti limpidi, deve essere connessa con un sistema di controlli e contrappesi. Ancora siamo lontani, però, da un livello dignitoso di garanzie. Sono ancora troppe le storie al limite dello sfruttamento che stanno spezzando i sogni di più generazioni.

    Il testo che porta la firma di Giugni non ha perso il suo valore simbolico e rimane tutt’oggi la base dei diritti fondamentali dei lavoratori. Tuttavia, è evidente che attorno alla Legge 300 sorga l’esigenza di un aggiornamento in senso estensivo, perché l’assetto di relazioni industriali che ha prodotto lo Statuto è profondamente cambiato e sono sorti nuovi bisogni e nuovi lavori da tutelare.

    Oggi come allora è necessaria la centralità del Movimento che ha reso possibile la nascita e la difesa dello Statuto dei Lavoratori, punto di riferimento normativo assolutamente fondamentale che va difeso nei principi e riletto, ma anche connesso con più ancoraggio con i mutamenti di oggi e di domani.

    Quando pensiamo a Giugni ho sempre in mente l’attentato subito e quella terribile gambizzazione per mano delle Br. Fortunatamente la storia ha dimostrato – anche a chi non voleva vedere – che chi faceva la rivoluzione non erano quelli con la pistola. Giugni e Brodolini ne rappresentano un’icona.

    Oggi serve esattamente questo: uno scatto rivoluzionario di riformismo autentico.

    Romano Bellissima

    Presidente della Fondazione Pietro Nenni

    Introduzione

    Il 12 dicembre 1968, nel primo governo di Mariano Rumor, entra come Ministro del lavoro e della previdenza sociale un Socialista ex sindacalista, il senatore Giacomo Brodolini, il cui motto era da una parte sola: quella dei lavoratori. Uno dei primi atti di Brodolini come ministro del Lavoro è quello di recarsi di persona ad Avola, dove alcuni giorni prima, in occasione di uno sciopero dei braccianti agricoli, la polizia aveva fatto fuoco sui manifestanti uccidendo due lavoratori e ferendone molti altri. In quella sede Brodolini, oltre a portare la sua solidarietà, dichiarò solennemente che fatti del genere non si sarebbero mai più dovuti ripetere e si impegnò a promuovere una grande riforma del lavoro e a tutela dei lavoratori, il varo di uno Statuto dei lavoratori. Impegni passati alla storia come il Manifesto di Avola.

    Quei drammatici fatti costituirono la goccia che fece traboccare il vaso. Infatti, le forti tensioni sociali prodotte dal ‘68, con la sua spinta riformatrice volta ad ammodernare le istituzioni e liberare il lavoro e i lavoratori, dalla condizione di sfruttamento e subordinazione fisica e morale in cui erano relegate: non solo era vietato ai lavoratori esprimere proteste, o dissensi sulle modalità del lavoro, ma il luogo stesso del lavoro, era considerato una sorta di riserva privata in cui solo il padrone, o chi ne faceva le veci, aveva diritto di parola e di decisioni. I lavoratori, le lavoratrici potevano essere controllate, perquisite senza alcuna tutela e senza alcuna forma di rispetto della persona. Era un luogo in cui la parola diritti non aveva accesso.

    In questo clima, il 20 giugno del 1969, il consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, senatore Giacomo Brodolini, approva le linee guida per un disegno di legge dal titolo Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro.

    Si tratta di una riforma epocale, il paradigma di una nuova frontiera sociale.

    Per redigere il testo del disegno di legge da portare al confronto prima con le parti sociali e successivamente con le forze politiche nei due rami del Parlamento, Brodolini costituisce una commissione tecnica e chiama a presiederla il prof. Gino Giugni che è il capo del suo Ufficio legislativo.

    La scelta di Gino Giugni si rivelerà fondamentale per il successo di una riforma che si può considerare rivoluzionaria dati i tempi in cui viene proposta.

    La discussione sul progetto di legge è molto intensa e abbraccia diversi aspetti e sensibilità, sia in commissione, durante la fase di redazione del testo, come durante il confronto con le parti sociali e successivamente con le parti politiche nei due rami del parlamento, dove oltre alle diverse sensibilità culturali si aggiungono quelle ideologiche e politiche. È proprio in queste occasioni che emerge tutta l’abilità e l’autorevolezza del prof. Gino Giugni, come si evince anche, dalle testimonianze degli autori delle pagine di questa pubblicazione.

    Nonostante il grandissimo impegno di Giugni e dell’intera commissione per redigere, nel più breve tempo possibile, il testo da presentare al dibattito pubblico, Brodolini non riuscirà a vedere l’approvazione definitiva della sua riforma, morirà l’11 luglio del 1969, a causa di una grave malattia, mentre era in corso di realizzazione la più importante opera della sua vita.

    Il successore di Giacomo Brodolini alla guida del dicastero del lavoro è un altro ex sindacalista, Carlo Donat Cattin, di aria cattolica, il quale confermerà il prof. Gino Giugni nel ruolo precedente, non solo per la sua riconosciuta professionalità, ma anche e soprattutto per

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