Il lavoro e il mutamento del contesto socioeconomico - Alcune riflessioni
Di Federico Zia
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Il lavoro e il mutamento del contesto socioeconomico - Alcune riflessioni - Federico Zia
Ringraziamenti
Prologo
A distanza di otto anni ho deciso di ripubblicare questo saggio per un semplicissimo motivo: la situazione socioeconomica non è affatto cambiata, si sta verificando ciò che era stato previsto diversi anni fa. La maggior parte della popolazione occidentale sta verificando sulla propria pelle tale cambiamento, ormai non si può più parlare di lavoratori
ma di professionisti del precariato
, ovviamente con tutto ciò che ne consegue sulla qualità della vita. Attenzione, non dico che tutte le forme di lavoro flessibile sono sbagliate, ma è sbagliato camuffare il lavoro precario in lavoro stabile. La flessibilità può andar bene in alcuni settori ma non in tutti e tale flessibilità deve essere accompagnata da misure che proteggano e migliorino la qualità della vita di un individuo o di una comunità.
L’errore più grande che può commettere la politica è affidarsi esclusivamente ai numeri e all’economia, cosa c’è di umano nei numeri ? I principali problemi che una classe dirigente si trova a tentare di risolvere dovrebbero essere affrontati con una visione orientata alla società, alla collettività, tenendo in considerazione anche le varianti economiche. La politica non deve corrispondere al pareggio di bilancio ma deve guardare alla felicità della popolazione.
Un grado soddisfacente di felicità può essere raggiunto mettendo a disposizione dei cittadini determinate risorse che potrebbero essere recuperate eliminando realmente
privilegi e sprechi. E questo non è assistenzialismo, è solo buon senso.
Questo discorso può sembrare utopistico se si considerano come attori chiave del cambiamento coloro che fanno parte della classe dirigente, qualcuno potrebbe essere anche favorevole ma sicuramente la maggioranza non rinuncerà alla propria gabbia dorata
all’interno della quale sono dei privilegiati ma non possono decidere liberamente perché schiavi di interessi e compromessi.
Un cambiamento simile sarà possibile solo quando la spinta partirà dal basso, dalla popolazione, la maggior esperta del settore, portatrice di interessi e valori sani.
Buona lettura.
Introduzione
La situazione di vita, lavorativa ed occupazionale dell’occidente modernizzato non è più definibile con certezza. Il contesto socioeconomico occidentale appare in rapida evoluzione e con esso i concetti che lo definiscono, frammentati in una pluralità di immagini e di significati. Significanti non più connessi ai propri significati, la qualità e la sicurezza lavorativa crescono in maniera inversamente proporzionale su due rette parallele. Una trasformazione che definisce e coinvolge uno dei principali problemi socioeconomici contemporanei rappresentato dalla metamorfosi del lavoro.
Nel XX secolo il lavoro si configurava come un sistema di distribuzione del reddito, di partecipazione remunerata alla produzione di beni e servizi, di sicurezza sociale e di diritti. Attualmente è difficile trovare una definizione adeguata, il lavoro è sottoposto a profonde trasformazioni a causa del progresso tecnologico, del cambiamento del sistema produttivo e delle politiche adottate.
Si comincia a parlare di lavori, le forme di lavoro si moltiplicano per contrattualità, per orari e per luoghi. Il lavoro diviene meno sicuro, inserito nella forbice di due elementi riconducibili all’attuale politica economica ultraliberista di matrice neoliberista: il ridotto interventismo statale con il conseguente trasferimento delle responsabilità ai lavoratori e alle imprese e la riduzione del costo del lavoro seguita da una moderata crescita salariale e da un’elevata quota di lavori flessibili che non forniscono alcuna garanzia futura ai lavoratori.
Il contesto socioeconomico europeo, come quello nazionale, è caratterizzato da una parte dal miglioramento della qualità nel lavoro, grazie all’evoluzione del lavoro da materiale a mentale e al progresso tecnologico ed organizzativo che consente di lavorare di meno e di produrre di più, ma anche da un peggioramento della sicurezza nel lavoro, in seguito all’aumento dell’utilizzo delle forme di lavoro temporaneo. La diffusione di tali forme di lavoro viene giustificata dai paesi europei con due motivazioni: per ridurre la disoccupazione e per ridurre la spesa per le politiche lavorative di tipo passivo, principalmente rappresentata dai sussidi alla disoccupazione.
Molte indagini hanno però riscontrato che un lavoro temporaneo è caratterizzato da un maggiore stato di insicurezza legato alla scadenza del contratto. Secondo l’indagine svolta dal Right Management Consultants, il grado di sicurezza del posto di lavoro in Italia è sceso in questi anni dal 52% al 49% e ciò significa che è aumentata la quota di lavoratori che temono di perdere il lavoro entro un anno e la quota di coloro che sono convinti di non riuscire a trovare un lavoro simile alle stesse condizioni economiche. Questa situazione si riflette sulle condizioni di vita dei cittadini che rimangono complessivamente basse, molte famiglie risultano del tutto prive di occupati.
In tale contesto occorre considerare la nascita di una nuova classe sociale, quella dei cosiddetti working poors, cioè un gruppo di persone che riesce a sopravvivere solo intrattenendo più rapporti di lavoro contemporaneamente, lavori poco qualificati, mal retribuiti e facilmente sostituibili attraverso l’automazione o attraverso la forza lavoro proveniente da altri Paesi dell’est europeo, del continente asiatico e di quello africano.
Per reagire ad una simile situazione occorre necessariamente intervenire con delle politiche in grado di spezzare la crescita asimmetrica delle due componenti che regolano la vita naturale di un Paese, una migliore qualità nella dimensione lavorativa, da cui deriva una maggiore qualità del ciclo produttivo e quindi della capacità competitiva, deve essere obbligatoriamente accompagnata da una maggiore sicurezza esistenziale che deriva in gran parte dalle condizioni lavorative di un individuo e con esso della sua comunità di riferimento.
Parte I: La definizione del problema socioeconomico: il problema contemporaneo
Nella società contemporanea globalizzata, caratterizzata dalla competitività e dalla variabilità dei mercati, il problema socioeconomico che abbraccia l’occidente modernizzato e tecnologicamente avanzato è rappresentato dalla trasformazione del lavoro causata dalla trasformazione del mondo della produzione e del consumo e dalla politica economica ultraliberista di matrice neoliberista.
Il lavoro stabile, sinonimo di sicurezza, tipico dell’epoca taylor-fordista, che ha contraddistinto gran parte del XX secolo sta progressivamente scomparendo dal contesto occidentale traducendosi in lavoro precario. Il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, utilizzando le parole di Accornero, è stato caratterizzato:
dalla promozione sociale, dall’incivilimento materiale, dalla dinamica dei redditi e dei consumi, dal riconoscimento politico ed istituzionale delle organizzazioni sindacali, dalla standardizzazione delle norme e dal livellamento delle prestazioni lavorative
.
Il lavoro cambia, ormai frammentato in molteplici immagini e concetti. Non si parla più di attività singola ma di attività plurali. La flessibilità individuale si interseca con quella contrattuale. Orario flessibilizzato, precariato legalizzato dalla mancata applicazione delle leggi di settore, e nuova mobilità sono le ultime parole d’ordine che dominano la dialettica sociale.
Uno degli elementi principali che impone la flessibilità, individuata come bisogno urgente dell’economia mondiale, è la variabilità dei mercati in un mondo economico-finanziario dove le nuove tecnologie e le reti d’imprese snelle e sempre più fitte stanno trasformando il mondo della produzione e del consumo e con esso il mondo del lavoro.
La flessibilità, secondo una visione imprenditoriale, va introdotta per garantire l’esistenza dell’impresa e dell’occupazione, secondo quella sindacale va concessa entro certi limiti che garantiscano la tutela e la massima occupazione.
Le richieste di una maggiore flessibilità si basano principalmente su due argomenti, ben esposti da Luciano Gallino:
- Le imprese per poter reggere la competizione internazionale hanno la necessità di far variare i costi diretti e indiretti del lavoro in relazione con l’andamento dei loro mercati, ciò comporta la possibilità di impiegare esattamente la quantità di forza lavoro retribuita necessaria alla produzione di un bene o di un servizio in un dato periodo di tempo.
- Secondo gli economisti la flessibilità favorisce l’occupazione, ma ciò è difficile da dimostrare perché per misurare il tasso di occupazione e di disoccupazione si utilizzano indici e metodologie molto differenti l’una dall’altra.
In particolare
il numero totale degli occupati di un paese si ricava da una complicata somma di grandezze misurate con strumenti differenti
e le grandezze principali secondo Gallino sono:
- L’occupazione regolare documentata da un contratto d’assunzione formalmente registrato presso un ente pubblico;
- L’occupazione rilevata mediante campionamento della quale una parte è regolare e una parte è irregolare;
- L’occupazione misurata mediante censimento dell’intera popolazione ogni dieci