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Accadeva nel sessantotto
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Accadeva nel sessantotto
E-book84 pagine1 ora

Accadeva nel sessantotto

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Info su questo ebook

Il Sessantotto più che una data, rappresenta un’idea significativa della storia d’Europa e dell’Italia del dopoguerra. L’idea, cioè, come di una svolta drastica, per certi versi traumatica, della cultura e del costume sociale. Essa comportava un diverso modo di affrontare i problemi e le questioni sul tappeto di quegli anni rispetto al passato; e, soprattutto, comportava un atteggiamento di rivolta e di nausea verso quello che si diceva perbenismo.
In ragione di questa idea la scuola poteva esaltare, polemicando, i mungivacche di Barbiana e la letteratura poteva compiacersi senza remore del romanzo-saggio Porci con le ali. A volere fare una sintesi di quello che s’intendeva, e s’intende ancora, per spirito del Sessantotto, giova questa constatazione metaforica: la politica ed ogni ufficialità si sono tolti giacca e cravatta e si sono avvezzi a presentarsi sempre in  maniche di camicia. Tuttavia, come a fronte delle aberrazioni poté emergere la saggezza di un Noberto Bobbio, così dalla marea sommaria poté salvarsi quella linea di pensiero che poneva in primo piano la coscienza della condizione umana nel tempo, le sue prospettive, il suo equilibrio: un filo di saggezza nel lungo impatto con le inquietudini del divenire.
Accadeva e si poteva dire di tutto nel Sessantotto – da qui il nostro titolo –,  ma quel filo era destinato ad ispirare ancora molto altro, ed era in ragione di quel filo che potevano venire fuori anche pagine di immersione nella complessità di quel momento storico, rievocando personaggi che quel divenire rappresentavano. Giovandosi di quel filo, sono state scritte pure queste pagine che, non prive di conseguenti riflessioni, ora tornano come ultimo messaggio di chi, come l’autore, ha molto camminato ed avverte che ormai gli restano pochissimi passi ancora da fare.
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2022
ISBN9788899572877
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    Anteprima del libro

    Accadeva nel sessantotto - Elio Giunta

    Indice

    Uno

    Due

    Tre

    Quattro

    Cinque

    Sei

    Sette

    Otto

    Nove

    Dieci

    Undici

    Dodici

    Tredici

    Quattordici

    Quindici

    Epilogo

    Appendice

    Come un testamento

    184194.png

    Narrare è imbrigliarsi nel regno della menzogna,

    ma è anche vivere la vita come si vorrebbe o,

    se si tratta di passato, riviverla un po’

    come forse si sarebbe voluta.

    Tra desideri ed errori, si tratterà in ogni caso

    di un cercare di capirci di più.

    1968_dic._10_occupazione_Mamiani.jpg

    Dicembre 1968 - Occupazione dell'Istituto Mamiani di Roma

    Accadeva nel Sessantotto

    Uno

    La macchina si presentò perfettamente alle ore 17 per rilevarmi. Un trillo nella stanza dalla portineria «grazie, sono pronto». Mi guardai allo specchio dell’armadio con viso angustiato, con l’aria di chi ne avrebbe fatto volentieri a meno; raccolsi alcuni appunti dal tavolo, spensi la luce e venni giù. Attraversai la hall dell’albergo, il portiere s’inchinò, anch’io m’inchinai e stesi la mano all’accompagnatore incaricato dall’associazione che m’aveva invitato, il quale disse subito: «Si è trovato bene dottore?»

    Senza attendere risposta: «Andiamo per tempo, perché il Presidente gradirebbe incontrarla un po’ prima dell’inizio.»

    «D’accordo,» assentii, abbozzando un sorriso di convenienza.

    Il Presidente. Faceva il medico lì a Padova ove si era trasferito durante il corso universitario che aveva iniziato a Palermo e l’avevo conosciuto per la concomitante frequenza di un circolo letterario che c’intrigava alquanto nel diffuso dilettantismo della prima giovinezza. Anche lui aveva continuato a interessarsi di poesia ed aveva dato vita ad un istituzione culturale che organizzava appunto pomeriggi d’incontri con l’autore. Soggetto fisicamente minuto ma vivace e arzillo, tendente a pensare in positivo sulla vita e a sorprenderti con definizioni psicoanalitiche riguardanti parimenti l’intolleranza e la pastasciutta. Lo rivedevo volentieri.

    L’auto si avviò senza altri preamboli, sicché, piegati e sistemati quei fogli in una tasca, rimasi come assorto a guardare dietro i vetri. Incombeva sulla città il solito settembre uggioso e l’aria del pomeriggio umida e stagnante avvolgeva le statue immobili, dormienti, del Prato della Valle. Si giunse presto ai piedi d’una grande scalinata che, dietro il Municipio, dava accesso al salone scelto per la conferenza. L’accompagnatore mi fece cenno di seguirlo e, scusandosi di dovermi precedere, si affrettò a salire di buona lena. Qui la sorpresa. Scorsi in alto sul ripiano avanti l’ingresso due figure smilze e nere. Man mano che salivo le distinguevo meglio e comprendevo che intendevano avvicinarsi. Smunte, impacciate, una in particolare, con una smorfia di sorriso tra due guance pallide, disse: «Sapevo che venivi qui per una conferenza ed ho voluto approfittare per rivederti e darti un saluto. Spero non ti dispiaccia.»

    Quando le fui vicino, mi fermai come interdetto, incerto se avanzare a baciarla almeno sulla guancia, e lei aggiunse: «Come vedi, mi sono fatta suora. Per ora sono appena una novizia e questa è la mia accompagnatrice. Se tutto andrà bene, dopo la professione sarò una vera suora.»

    «Non mi sarei mai aspettato d’incontrarti qui. E vestita da suora. Tu? Sei una novizia?»

    E intanto, sempre più sorpreso, la squadravo nel volto bianco, aggrinzito, gli occhi piccoli ancora brillanti nel cavo tra la fronte e la mandibola, due gambe fatte esili le fuoriuscivano dalla gonna di panno nero grezzo, un po’ svolazzante, smagliato ai margini; il camiciotto nero col colletto bianco e un crocifisso metallico pendente al petto. Lei avvertì l’eccesso di sorpresa suscitata e disse: «Non so cosa sai o ricordi delle mie disavventure. Nadia non ce l’ha fatta, dopo aver perduto anche mio marito ero rimasta sola e confusa. Ho preferito rimanere a Genova a consumare anni di apatia, ma poi sono venuti altri anni, molti altri di riflessione e infine ho pensato che la vita religiosa poteva essere per me un giusto approdo. Ricorderai che io ero sempre stata donna di fede e praticante. Ho fatto i miei errori, no? Però…» Chinò il capo, stette un po’ zitta, poi lo rialzò verso di me come a raccogliere, proprio da me, quel senso profondo di pietà di cui aveva forse bisogno.

    «Però,» disse ancora, «il tempo non passa invano per chi sa vedere che c’è sempre una possibile meta innanzi a noi.»

    Troppe immagini turbinarono a quel punto nella mia mente. Non trovai da dire altro.

    «Ma sei davvero convinta che questa sia la tua strada?»

    «Ci provo. Stiamo a vedere. Se l’anno prossimo mi faranno pronunziare i voti… Cioè se avrò superato la prova.»

    Dalla sala vennero a chiamarmi. Ester mi stese la mano sorridendo:

    «Naturalmente comprenderai che non posso fermarmi. Mi piacerebbe ascoltarti, ma si fa tardi e non m’è consentito star fuori oltre una certa ora. Ma tu vai, ti aspettano. Ti auguro ogni bene.»

    «Ti potrò rivedere? Parlarti con più calma?»

    «Può darsi. Ma ormai Palermo è lontana. Forse un giorno potrò tornarci; se mi ci rimanderanno… chi sa…» E prese il braccio della conversa per avviarsi.

    Non osai trattenerla ulteriormente, né mi accostai per baciarla. Come alla vista inopinata d’un fantasma, sentii bloccarsi la parola, farfugliare la promessa che avrei trovato il modo di rincontrarla, ma non pensai d’informarmi dove sarebbe stato possibile né quando.

    «Ester, Ester, mi piacerebbe, sai quanto, restare a parlare con te, di molte cose, non solo di passato. E sapere anche…»

    «Lascia perdere, Emilio,» interrompendo, «non fare aspettare, vai. Le cose umane non hanno quasi mai compimento. Ricordi? E deve essere così. Vai, vai,» mi strinse ancora più forte la mano, «vai, e… in bocca al lupo per il tuo discorso.»

    La vidi allontanarsi risoluta, stretta al braccio della conversa, giù per quella scala, giù

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