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Amabili riflessi
Amabili riflessi
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E-book167 pagine2 ore

Amabili riflessi

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Info su questo ebook

Alessandro soffre di un disturbo allucinatorio che gli provoca un sintomo inusuale: parla con la sua immagine riflessa, in particolare con il vecchio specchio che possiede a casa.

Si crea un secondo “io”, un amico fidato che gli diverrà guida attraverso eventi che cambieranno la sua vita e quella di chi gli è accanto, soprattutto con il migliore amico Leonardo e Carolina, la ragazza di cui è attratto.
Vittima di un incidente, Alessandro dovrà ricominciare tutto dall’inizio, ricostruendo la sua esistenza e capire il motivo delle allucinazioni che diminuiranno mano a mano che ne comprenderà l'origine.

E’ lui il protagonista che accompagna il lettore in un viaggio tra le città di Padova e Venezia, scandito da una variegata colonna sonora e da una profonda simbologia.
Ciò che vediamo riflesso in uno specchio è solamente la nostra immagine, quello che i nostri occhi percepiscono ed elaborano in maniera limitata, nascondendoci alcuni dettagli e quindi alcuni aspetti della nostra personalità.

Tra feste con gli amici, giri in moto, drammi e amori sfuocati, Amabili riflessi si tuffa in un epilogo inatteso che renderà i protagonisti consapevoli che tutto può essere cambiato in ogni momento.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2015
ISBN9786051763583
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    Anteprima del libro

    Amabili riflessi - Luca Calegaro

    EPILOGO

    PROLOGO

    Venni risvegliato dal torpore della primavera che illuminava la stanza.

    Aprii gli occhi stordito dal sonno e fissai fuori dalla finestra. Dormivo con le persiane alzate perché non mi piaceva svegliarmi nell’ombra. Avevo fatto un sogno stranissimo.

    Stavo rincorrendo un uomo a cavallo che portava una fiaccola. Cercavo di non perderlo di vista mentre mi invitava a seguirlo. Presto mi stancai, mi fermai e così fece anche lui. Mi lanciò un cenno e subito si rimise al galoppo. Prima di capire dove andasse, mi ero svegliato.

    Peccato.

    Speravo di poterlo sognare nuovamente e raggiungerlo ovunque si fosse fermato.

    I sogni sono dei riflessi inconsci e nascondono verità e sensazioni. Forse questa persona a cavallo voleva insegnarmi a non arrendermi a una nuova strada in salita. Dopo tutto quello che mi era accaduto nell’ultimo anno, lo trovavo un significato piuttosto ironico. Ne avrei volentieri discusso allo specchio ma ormai non potevo più.

    Una volta lessi che in uno specchio si può celare un’anima.

    Forse è per questo che porta sfortuna romperlo.

    Mi alzai e lasciai che la giornata cominciasse pigra come mi sentivo io. Erano passati tre mesi da quando lei se ne andò.

    Io attendevo. Una colazione veloce in una giornata fosca mentre mi preparavo ad uscire, lontano.

    Con la tazza di caffè in mano, guardavo lo spazio vuoto nella casa sentendo la malinconia salire.

    Ero affezionato a quell’immagine che non c’era più sentivo e un estremo bisogno di parlare.

    Tutto ciò che aveva significato e dato un senso sembrava scomparso o diventato più quieto.

    Le persone che si erano legate mi avevano regalato strani pensieri, modi diversi di affrontare le mie giornate.

    Pensavo a quante volte mi ero ritrovato davanti alla mia immagine, a parlare con me stesso per affrontare le paure.

    Mi sbagliavo di nuovo.

    Ero stato guidato da un istinto nascosto, né animale, né umano. Un istinto che si era materializzato nella maniera più folle. Era stata pura conoscenza e volontà di cambiare la mia mente.

    Mi era dispiaciuto non aver tanto coltivato i miei pensieri, ma quello che avevo vissuto andava al di là di ogni concezione.

    Avevo portato tutti i sentimenti che conoscevo a livelli inimmaginabili.

    Avevo regalato paura e pianto, dato felicità e riso.

    Finito il caffè, mi rivestii, presi la valigia e scesi in strada ad aspettare il taxi che stava arrivando.

    Era tempo di andare.

    PARTE PRIMA

    Undici mesi fa

    Fa caldo oggi.

    Troppo caldo.

    Dove ho messo le sigarette?

    Sono dietro di te.

    Dove?

    Dietro di me.

    Perché parlo con te?

    Accendi la sigaretta.

    Perché parlo con te?

    Perché sono te.

    Sei l’immagine della mia passione.

    Sono la realtà delle tue paure.

    E’ meglio che esca.

    Non ti seguirò.

    Non puoi.

    Posso essere ciò che voglio se lo desideri.

    E cosa credi che desideri?

    Io so quello che sai tu.

    Già…

    Ci vediamo dopo?

    Non lo so.

    Sono ciò che tu vuoi. Ricordalo.

    Non ho ricordi ora.

    Ci vediamo dopo?

    Credo di odiarla questa città. Padova non riesci a toglierla di torno.

    Diventa troppo piccola quando passi vent’anni, la mente cambia le priorità e stimola curiosità, ricerca, studio di qualcosa di nuovo.

    Camminavo per le stesse strade ogni giorno con occhi diversi. Le conoscevo e le riscoprivo ogni volta. La sapevo anche amare questa città. Niente più amore nè odio.

    Sembrava che stesse per piovere. Adoravo la pioggia. Finalmente arrivava.

    Era forte, tanto, momenti in cui non c’era nessuno anche se le strade erano piene; ero l’unico abitante del mio mondo ed era in questi istanti che mi accorgevo di amare la mia città.

    Emozioni diverse ma pur sempre emozioni. Questo sostantivo aveva diversi amori. Dalla sua unione con il Dolore era nata la Tristezza, con l’Incredibile la Meraviglia. Con i due gemelli il Certo e l’Incerto erano nati la Fiducia e il Dubbio, con il Sacro la Fede, con il Semplice la Felicità.

    L’Ignoto ci donava il Timore ma il Coraggio ci dava la Forza; ma il più grande amore dell’emozione era il Desiderio, la Speranza.

    Chissà dove ho messo le sigarette? Le avrò lasciate a casa dall’altro. Poco importa, fumare fa male. Ecco un distributore. Solite libertà morbide per favore.

    Quanto pioveva…

    Estasi violenta che si faceva strada e mi immortalava un’altra volta dove ero già stato…

    In una vita su di una scala più sottile, come il temporale che si allontanava.

    Ormai ero arrivato.

    Suonai il campanello…

    Ehi Leo, ci sei?, gli feci.

    Con la mente? mi rispose mangiucchiando qualcosa.

    Mai stato credo

    Vuoi salire?

    Verso il Paradiso possiamo andarci, ma preferisco arrivare all’Inferno con i miei jeans.

    Almeno hai dei buoni gusti musicali! – mi rispose - Dai sali, è aperto.

    Adoravo il rumore dell’androne.

    I passi…

    Li sentivo vivere nell’eco. Percepivo il tempo che scorreva alle mie spalle. Era quasi una poesia e talvolta la odiavo.

    Varcai la soglia di casa con l’anima dieci metri più indietro.

    Come ti va bello?, gli chiesi mentre aprivo il pacco dei miei 5 minuti liberi alla volta.

    Meglio che a te, almeno non sono bagnato. Vuoi bere?

    Sì grazie.

    Non male la serata di ieri.

    Sì, carina.

    Ecco chi era cresciuto con me…

    Più di dieci anni che ci conoscevamo. Dove andavo io, lui c’era stato e, qualsiasi casino adolescenziale che avesse la sua firma portava la mia a testimone.

    L’avevo incontrato in un campo sperduto di una cittadina di provincia. La prima cosa che mi chiese fu se poteva farsi un giro sulla mia moto. Il mio CRE da quindicenne fierissimo con pistone da 80, albero anticipato, carburatore da 24 e filtro preso in prestito a un giovane del centro.

    Voleva farsi un giro, tutto qui. Se ci ripenso, mi ricordo il suo viso mentre apriva le marce sul vecchio sterrato dove ora sorgono condomini carichi di malinconia. Era strano ma dopo tutto questo tempo non ero riuscito a togliermelo di torno.

    Si chiamava Leonardo, la forza di un leone affogato nel Martini.

    Risi al pensiero e mi allungai il Southern Comfort con un cubetto di ghiaccio. Accesi la mia libertà disteso sul divano, ascoltando l’ultima pioggia salutarmi e guardando il fumo turbinante sparire veloce come un pensiero.

    Mi venne in mente Neil Young.

    Leo, sai chi è Neil Young?

    Uno che sapeva vendere le sue parole.

    Te le faceva comprare.

    Mi guardai in giro, mi alzai, camminai lentamente verso la finestra, verso quel limite proiettato dal nostro essere dove la speranza gorgogliava di rimpianti.

    Se credevo di odiare questa città, ora ne ero convinto.

    Tu che ne dici?, chiesi a Leonardo.

    Che sei pazzo, mi rispose accennando un sorriso e fregandomi una morbida dal pacco.

    Lo so ma è una questione di maggioranza decidere chi sia pazzo e chi non lo è. Mi sono riscoperto, sono andato oltre quel passaggio buio alla fine della strada, sono andato oltre la mia libertà.

    Alessandro, è difficile tornare indietro se ti abitui a quel limite. Non fare cazzate. Tu hai bisogno di riposo in questo periodo.

    Un giorno avrò tutto il tempo che voglio per riposare.

    Usciamo stasera?

    Ma sì Lion, usciamo.

    Ho da fare adesso. Vuoi qualcosa? Mi sembri finito.

    Abbastanza. Tu fai pure, io mi metto qui sul divano.

    Non capitava spesso di addormentarmi senza pensieri. Eppure ero già oltre questi confini. Era il silenzio che odiavo e che ora mi piaceva.

    Buio.

    Bello, sono le otto e mezza; ci muoviamo?

    Il risveglio mi aveva sempre affascinato.

    Cosa succedeva nel mondo quando stavo dormendo?

    Se potesse accadere per qualche strana coincidenza o incredibile motivo che tutte le persone e creature che esistono dormano nello stesso istante. Sarebbe stato surreale pensare che la Terra stesse semplicemente girando su se stesso, anche per un solo lunghissimo secondo.

    L’universo si era espanso in molto meno dopo il Gran Botto.

    Sbattere le ciglia e ritrovarsi circondato da qualche miliardo di stelle non deve capitare tutti i giorni. Per quanto non ci avessi mai capito un granché, la fisica aveva un’indescrivibile bellezza.

    Va bene, andiamo a bere qualcosa gli feci alzandomi con uno slancio di addominali. La porta, le scale, di nuovo il magnifico androne.

    Stavamo già camminando al di fuori del limite.

    Sembrava caotica questa piazza a guardarla da seduti.

    Non me ne ero mai accorto se vi stavo in mezzo ma, soffermandomi rintanato nel mio angolo alcolico, lo vedevo meglio.

    Seduto dal tavolino osservavo, non vedevo più; d’altronde avevo sempre odiato fumare mentre camminavo.

    Volevo fare un esperimento e costruire la mia sensazione di quel tavolo tondo di fronte.

    Due persone. Una donna sensuale, matura, forse russa, svestita nella calda estate al punto giusto per farsi guardare troppo.

    A cena con un lui che non c’entrava niente. Beveva vino. A lei vibrò il cellulare. Rispose nel suo russo squillante a voce alta. Lui continuava a bere. Chissà che pensava?

    Non farmi incazzare! Chi credi che sia? Io non l’ho fatto, non l’ho vista ieri!!

    Il ragazzo biondo di fianco si lasciò andare alla rabbia e mi distolse l’attenzione dalla coppia ti amo-quanto-vuoi. Ma la capacità della mente è anche di sapersi isolare.

    Lei al telefono. Rideva molto nel suo russo. Non mi sembrava che lui stesse ridendo. Non beveva più. Pensava che la serata sarebbe dovuta andare diversamente. Chissà lei come si chiamava? Magari Irina, un 53% su quel nome. Si accorgeva Irina di parlare troppo al telefono; il suo ti-amo-tanto si annoiava. Sorridigli Irina.

    Accarrezzava il volto a Mario (22%), ma lui si era già giocato la tredicesima questa sera.

    Sarai sempre la nostra Italia Mario, continua così.

    Sorrisi e mi accesi una libertà.

    Era tempo di andare in queste ore che scorrevano lente ora, troppo veloci tra vent’anni.

    Desideravo muovermi per non pensare di potermi fermare.

    Leo ed io camminavamo lungo strade che scoprivamo ogni giorno per quello che erano, per quello che volevano dirci, per i ricordi che si stavano fondendo tra porfido dimenticato e mura immortali. Raccontavamo i nostri pensieri dimenticati perché era questa che io consideravo libertà, quella libertà che potevo aspirare ad ogni sigaretta,

    libertà che giocava con noi in questo mondo di natura demoniaca dove le scoperte migliori sarebbero avvenute sempre nella solitudine.

    Pascal in fondo era davvero un grande.

    Ci sentiamo più tardi bello.

    Gli risposi con un cenno.

    Mi sarebbe mancato l’androne di casa sua ma era meglio che fosse così, non volevo abituarmi. La banalità era un mostro feroce.

    Il cigolio della porta accompagnaval’ascensore di casa.

    3° piano. Nuovamente nel mio mondo appena conosciuto, di fronte alla mia immagine nello specchio.

    Ti sono mancato?, mi chiese.

    Non credo. Ti conosco abbastanza per non sentire la tua mancanza.Poi sei sempre con me, no?

    Sei sempre me.

    Ti ricordi quando accadde la prima volta? dissi spostandomi dal riflesso.

    Forse. Tu?

    Ho incubi da tutta la vita., replicai.

    Io sono un incubo? 

    Nessun nemico è peggiore di se stessi.

    "Questo l’ha detto Leonardo".

    E’ ovvio che tu sappia ciò che so io.

    Un attimo di silenzio. Poi cominciò.

    Capisci dove stiamo andando? Credi di sentirti pazzo? La pazzia èl’anima del mondo, lo sai? E’ solo una questione di maggioranza. Siamo in pochi, per ora

    Io capisco che tu sia me, ma perché ti stai mostrando ora? Cosa senti di potermi insegnare che già non so, visto che io e te…

    Te ed io?

    Noi!, dissi a tono alto rimettendomi di fronte alla mia immagine.

    Io sono la parte che era sempre viva dentro te, in ogni istante che hai respirato questo veleno che proviene da dietro, davanti, sotto, sopra, in ogni molecola che compone lo spazio vuoto che ci divide ma prima ci ha unito. Lo sai che fumi troppo, vero?

    Sei una coscienza?

    No, non sono la coscienza.

    Allora? continuai impaziente.

    "’Allora’ è solo un complemento. Il punto è ben oltre.

    Qualsiasi ricordo che io possa narrarti si trova presente nella tua mente. Sei stato incastrato come il più astuto dei leoni che può fuggire, scappare, combattere per molto tempo ma in realtà, caro mio o caro me, non ha più potere alcuno dentro una gabbia. Siediti per cortesia.

    Posso fumare?

    Stai parlando con te.

    "Già

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